XI edizione del Rapporto sulla libertà religiosa nel mondo (Acs 2012)

Non cessano le violenze e le persecuzioni a sfondo religioso nel mondo. Cina, Nigeria, Pakistan, Egitto, Kenya, India sono solo alcuni dei Paesi che destano maggiore preoccupazione. Se dunque nel 2011 sul fronte dell’applicazione della libertà religiosa “non vi sono stati miglioramenti”, si riscontra però una tendenza positiva inedita in termini di “consapevolezza relativa al tema della nell’opinione pubblica, dovuta in gran parte all’aumento della copertura mediatica e ad una maggiore disponibilità d’informazioni”.

È il quadro complessivo che emerge dalla XI edizione del Rapporto sulla libertà religiosa nel mondo presentato oggi a Roma in conferenza stampa da Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs).

Il Rapporto ha preso in esame 196 Paesi del mondo. Da una parte preoccupano in modo particolare le situazioni vissute in Cina, nei Paesi della cosiddetta “primavera araba” e in alcune nazioni dell’Africa; dall’altra il Rapporto evidenzia un aumento di sensibilità nell’opinione pubblica riguardo a questo problema: ne sono prova gli interventi legislativi di vari stati europei e l’impegno mostrato da alcuni parlamenti nazionali (italiano, belga e tedesco) nonché dal Parlamento europeo.

Se dunque, sul piano legislativo “si riscontrano passi in avanti, lo stesso – conclude il Rapporto di Acs – non si può dire riguardo alle violenze e alla persecuzione. Perché le minacce alla libertà religiosa non accennano a diminuire”.

Alcuni dati. Riflettori di Acs puntati sulla Nigeria per la proliferazione di alcuni gruppi islamici: dal 1999 alla fine del 2011 sono stati 14 mila i nigeriani uccisi da violenze a sfondo religioso. Lo scorso anno, nella sola settimana di aprile successiva alle elezioni presidenziali del giorno 16, almeno 800 persone sono rimaste uccise e 65 mila hanno dovuto abbandonare le proprie case. In India – si legge nel Rapporto – è lunghissima la lista degli attacchi alle minoranza mentre “il 2011 è stato un anno terribile per il Pakistan”: “Dopo l’omicidio a gennaio del governatore del Punjab, Salman Taseer, il 2 marzo viene ucciso il ministro federale per le Minoranze, il cattolico Shahbaz Bhatti”. Nessuna modifica è stata apportata alla legge anti-blasfemia, a causa della quale nel 2011 sarebbero state almeno 161 le persone incriminate e 9 quelle uccise con esecuzioni extra-giudiziali. Mai come nel 2011 anche in Cina è stata lunga la lista degli arresti di cristiani (cattolici e protestanti), islamici e buddisti (tibetani); la maggiore durezza del governo si deve probabilmente al crescente interesse religioso riscontrato nel Paese, in particolare nei confronti del cristianesimo. Le ulteriori tensioni tra Pechino e la Santa Sede sono legate alle nuove ordinazioni illecite e ai numerosi casi di arresti, torture e “rieducazioni tramite il lavoro” subiti da chi, fedele al Papa, rifiuta di aderire all’Associazione Patriottica.

Il caso dell’Egitto. A parlare della situazione della libertà religiosa nei Paesi arabi è stato padre Samir Khalil Samir, islamologo, che ha portato la storia dei due bambini copti analfabeti, di 8 e 10 anni, Mina Nadi Faraj e Nabil Naji Rizq, che sono stati arrestati con l’accusa di aver urinato su dei fogli di carta sui quali erano scritti dei versetti del Corano. “Questo – ha detto padre Samir – ci fa dire che stiamo prendendo una direzione pericolosa. Stiamo per tornare ad un’epoca che ormai non conoscevamo più: quella del fanatismo religioso. Negli ultimi trenta anni si sono verificati degli episodi, ma mai si era arrivati a mettere in prigione dei bambini analfabeti accusati di oltraggio all’Islam”. Queste situazioni, però – ha aggiunto l’islamologo – devono incrementare l’impegno del dialogo: “Insieme, musulmani e cristiani, dobbiamo lottare per più giustizia e per la dignità per tutti, lottare in favore dei più disagiati. Dobbiamo imparare insieme che la religione non è fatta per condannare chiunque, ma per aiutare tutti quanti ad essere più umani e più aperti ad ogni essere umano!”.

Dietro le statistiche. “La libertà religiosa è come tutti sanno una battaglia non solo dei credenti ma di tutti coloro che difendono il principio di libertà d’opinione”, ha detto il giornalista del “Sole 24 Ore” Alberto Negri. Ed ha aggiunto: “Sebbene redatto da una fondazione cattolica”, il Rapporto “non si limita a denunciare le violazioni alla libertà religiosa subite dalle comunità cristiane ma fa un quadro della situazione in 200 Paesi con riferimento alla condizione dei fedeli di ogni credo. La libertà religiosa è la cartina di tornasole per verificare l’applicazione dei diritti fondamentali dell’uomo”. “Ovviamente – ha concluso mons. Sante Babolin, presidente del Segretariato italiano di Acs -, le statistiche, spesso aride e fredde, vanno sempre collocate in un contesto geografico e culturale: dietro ogni cifra si nascondono volti e nomi precisi, persone che hanno pagato con la vita la loro fedeltà al Vangelo di Cristo. E a ricordarcelo, in questi ultimi mesi, ci sono le innumerevoli domeniche di sangue in Nigeria e le continue sofferenze dei cristiani iracheni e di quelli pachistani”.

Seminario Internazionale: “Conflitti. Religioni e (non)violenza”

La Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’UPS partecipa ormai da quattro anni al Religion Today Filmfestival, il primo festival itinerante del cinema delle religioni giunto alla XV edizione. Scopo dell’iniziativa, fin dalla sua nascita nel 1997, è la promozione di una cultura del dialogo e della pace.

Il tema Conflitti. Religioni e (non)violenza si mostra oggi con tutta la sua dirompente attualità, ed interpella ad una riflessione profonda sulle vie praticabili per costruire il presente e il futuro delle nostre società.

Il Seminario internazionale “Conflitti. Religioni e (non)violenza” si svolgerà a Roma lunedì 22 ottobre 2012 presso la Facoltà di Scienze della Comunicazione sociale dell’università Pontificia Salesiana.

Programma

8.45 – Accoglienza

9.00 – Saluti e introduzione

Carlo Nanni: [Rettore Magnifico dell’Università Pontificia Salesiana].

Katia Malatesta: [Direttrice del Religion Today Film Festival].

9.30 – 11.00 – Panel: Conflitti. Religioni e (non) violenza

Modera Katia Malatesta

Intervengono (prima parte)

Farzam Amin Salehi, Iran

The Relation between World cinema and Religion after World-War 2

[Poeta, scrittore, traduttore, giornalista, critico d’arte, sceneggiatore e docente. Nato in una piccola città del Nord dell’Iran, da più di 25 anni insegna varie discipline – tra cui Sceneggiatura e Filosofia e Storia del Cinema – agli studenti universitari e attivisti iraniani. Ha pubblicato molti saggi e articoli su cinema, storia, politica. Il suo intervento farà riferimento a film sia europei che iraniani]

Kjartan Leer Salvesen, Norvegia

Religion, conflict and film. The promise and problems of film in interreligious dialogue.

[Vicario e critico cinematografico. Professore al Volda University College in Norvegia, è responsabile di uno studio chiamato “Film, cultura popolare e visioni dal mondo” e ha pubblicato un libro sulle figure cristologiche nel cinema. È stato direttore del Filmfestival interreligioso “La faccia dell’altro” di Oslo (Norvegia) dal 2009 al 2011]

11 – 11.30 – Intervallo

11.30 – 13.00

Intervengono (seconda parte)

Gilli Mendel, Israele

Israeli Cinema : Short reflections on conflict, religion and violence.

[Direttrice del dipartimento Film e Media Education al Jerusalem Film Center, sede della Jerusalem Cinematheque e dell’Archivio cinematografico d’Israele. Tiene conferenze e sviluppa seminari e programmi usando il cinema per esplorare temi sociali, politici, culturali e storici. È stata consulente artistica dell’Israel Film Fund ed è membro della European Film Academy]

Carlo Tagliabue, Italia

Alla ricerca di una pace possibile: il cinema contemporaneo tra rappresentazione dei conflitti del reale e profezia.

[Regista in  Rai, docente universitario, giornalista e critico cinematografico. Autore di numerosi saggi e volumi.
Direttore Responsabile delle riviste “Ragazzo selvaggio” e “Scrivere di cinema”. Dal 1993 è Presidente del
Centro Studi Cinematografici]

13.00 – Pranzo

Pomeriggio

15.00 – Tavola rotonda

Modera Peter Gonsalves [Docente di Storia della Comunicazione Sociale – FSC]

Intervengono:

Augustine Loorthusamy, Malesia

[Presidente Generale di SIGNIS – World Catholic Association for Communication]

Dialogue as a way towards the solution of conflicts and an education to peaceful relations among religions

e Farzam Amin Salehi, Kjartan Leer Salvesen, Gilli Mendel, Carlo Tagliabue.

16.45 – relazione

Norman Peña [Dottorando FSC]

In the name of God – narratives of violence and values of the 9/11 tragedy

Dialogo con i relatori del Convegno

ore 17.45 – 19.00 – Proiezione di cortometraggi

Introduce: prof. Enrico Cassanelli [Docente di Televisione – FSC]. 

ADMISSIONS, di Harry Kakatsakis, USA, 2011, 21′ (ebraismo/islam, conflitto e riconciliazione con riferimento alla questione israelo-palestinese)

THE PILLARS, di Moustafa Zakaria, EAU, 2012, 16′ (islam)                                  

 JAGJEET, di Kavanjit Singh, India, 2011, 14′ (sikhismo)

THE GIFT, di Evgenij Isachenko, Bielorussia, 2011, 12′ (cristianesimo ortodosso)

 ore 19.15 – Conclusione e ringraziamenti

Prof. Mauro Mantovani [Decano FSC].

La nuova evangelizzazione parte del Vaticano II

Monsignor Fisichella illustra lo spirito dell’Anno della Fede e il suo legame con il 50° anniversario dell’evento conciliare

di Luca Marcolivio

 

Mancano due giorni alla solenne celebrazione eucaristica che aprirà l’Anno della Fede. Si tratta, come ha sottolineato il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, di una “celebrazione non ordinaria” che, niente affatto causalmente, cade nel giorno del 50° anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II.

“La scadenza conciliare è un’opportunità per ritornare all’evento del concilio che ha segnato in modo determinante la vita della Chiesa del XX secolo e per verificare l’incidenza dei suoi insegnamenti nel corso di questi decenni e dei prossimi anni che segneranno l’impegno della Chiesa per la nuova evangelizzazione”, ha commentato monsignor Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, nel corso del briefing riservato ai giornalisti accreditati alla Sala Stampa della Santa Sede.

Difatti lo stesso Vaticano II, fu un “momento privilegiato di nuova evangelizzazione”, ha aggiunto il presule. L’intero svolgimento del Concilio, del resto – dal discorso inaugurale del beato Giovanni XXIII, ai 16 documenti, fino al magistero di Paolo VI – esprimeva l’esigenza “di parlare di nuovo all’uomo di oggi di Dio e dell’importanza della fede per la sua vita”.

L’importanza dell’eredità dei documenti conciliari è stata ribadita anche da papa Benedetto XVI nel motu proprio Porta Fidei, che, istituendo l’Anno della Fede, ricorda la necessità che tali testi “vengano letti in maniera appropriata, che vengano conosciuti e assimilati come testi qualificati e normativi del Magistero, all’interno della Tradizione della Chiesa”.

L’Anno della Fede, dunque, rappresenta una “occasione propizia” sia per celebrare l’anniversario del Concilio, sia per “per ravvivare la fede dei credenti e animarli di uno spirito di evangelizzazione sempre più convinto”, ha sottolineato monsignor Fisichella.

Si tratterà anche di “un Anno dedicato allo studio e all’approfondimento dell’insegnamento conciliare perché abbia ad essere di sostegno nella formazione dei credenti – in particolare con la catechesi – nella vita sacramentale della comunità cristiana e nella testimonianza di vita”, ha aggiunto il presule.

La testimonianza è fondamentale affinché “la credibilità della fede non sia offuscata da nulla, ma ritrovi la sua freschezza e la sua forza evangelizzatrice con un linguaggio sempre più coerente ed efficace”.

Al briefing è intervenuto anche il segretario del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, monsignor José Octavio Ruiz Arenas, che ha ricordato che l’Anno della Fede sarà accolto da celebrazioni speciali in tutte le diocesi e parrocchie del mondo e che finora la risposta dei vescovi è stata molto positiva.

A margine del briefing, monsignor Fisichella ha poi risposto ad alcune domande poste da Zenit, in merito alla Nuova Evangelizzazione, all’Anno della Fede e al 50° anniversario del Concilio.

Come sarà possibile armonizzare la realtà della Nuova Evangelizzazione, fatta di nuovi movimenti e carismi, con le strutture “tradizionali” dell’evangelizzazione?

Mons. Fisichella: Io credo che abbiamo bisogno di vivere in maniera straordinaria, quella che è la vita ordinaria della Chiesa. L’evangelizzazione è la missione della Chiesa, che è stata voluta da Gesù per portare il suo Vangelo. In questa prospettiva, la Nuova Evangelizzazione non è qualcosa di diverso rispetto all’evangelizzazione del passato. Certamente ci sono talora delle sovrastrutture che possono soffocare l’azione evangelizzatrice della Chiesa. Come ho sottolineato durante i lavori sinodali, ritengo che abbiamo burocratizzato troppo la vita ecclesiale e spesso anche la vita sacramentale. Sotto questo punto di vista, abbiamo bisogno di tornare ad essere delle comunità che annunciano l’incontro vivo con il Signore, capaci di estendere la gioia di questo incontro. Se rimaniamo chiusi in noi stessi, autosufficienti rispetto a ciò che siamo, la Nuova Evangelizzazione non può partire, rischia di soffocare.

Lo “tsunami della secolarizzazione” di cui si è parlato al Sinodo, è un fatto conseguente o antecedente al Concilio?

Mons. Fisichella: Cronologicamente viene prima del Concilio. Di secolarizzazione si inizia a parlare dopo la Prima Guerra Mondiale. Non possiamo dimenticare l’ambigua interpretazione di alcune espressioni che vengono fatte proprie dal movimento post-conciliare. Penso, ad esempio, a quanto diceva Dietrich Boenhoffer nelle sue lettere dal carcere, quando affermava che “bisogna vivere come se Dio non esistesse”. C’è stato un accavallamento di interpretazioni che non hanno favorito l’esatta comprensione positiva del fenomeno della secolarizzazione.

La secolarizzazione doveva essere un momento di purificazione di tanti elementi estranei all’essenza della fede. La Gaudium et Spes, a tal proposito, riconosce l’autonomia delle realtà terrene: questo è uno dei punti maggiormente positivi della secolarizzazione, fermo restando che tutto ciò deve essere riletto alla luce del Vangelo, con occhi nuovi. I Padri conciliari avevano fatto passi in avanti di grande apertura. Sociologicamente e culturalmente il ’68 segna una tappa decisiva e la Chiesa riprende consapevolezza di questa situazione al Sinodo del 1973. È stato il progetto pastorale che non è stato più condiviso, quindi ci si è divisi in tante espressioni ecclesiali differenti. Adesso però siamo in grado di comprendere ulteriormente il percorso che la Chiesa deve fare.

Potrà l’Anno della Fede rappresentare un momento di riconciliazione all’interno della Chiesa? Penso alle divisioni tra i vari carismi, ai contrasti a livello di dottrina e di potere…

Mons. Fisichella: L’Anno della Fede è un anno che il Papa non ha indetto per una categoria particolare di fedeli. Esso è indirizzato all’intera Chiesa, partendo dai vescovi per arrivare all’ultimo dei battezzati. È un anno attraverso il quale tutti quanti siamo impegnati più del solito a riflettere sull’importanza della fede, su come poterla ravvivare nella nostra testimonianza nel mondo di oggi ma siamo chiamati anche a superare tutte le difficoltà presenti. Non ho una visione così pessimista come quella che lei ha esposto: nella mia esperienza in questi due anni da presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, nei diversi incontri che abbiamo avuto con i tanti movimenti antichi, storici e anche nuovi, ho riscontrato una grande disponibilità alla collaborazione e un grande desiderio non solo di ascoltarsi ma anche di lavorare insieme.

Maria Santissima è stata la prima ad avere fede nella natura divina e salvifica di suo Figlio, Gesù Cristo. Che ruolo avrà il culto mariano durante l’Anno della Fede?

Mons. Fisichella: Maria è icona della Fede e di come deve essere il credente, ovvero colui che si abbandona fiducioso alla volontà di Dio. Come preludio all’Anno della Fede, il Santo Padre ha ricordato, durante l’Angelus di domenica scorsa, l’esigenza di recitare quotidianamente e abitualmente il rosario. Oltre a questi momenti che sono parte della nostra vita quotidiana, ci sarà un evento esplicitamente dedicato alla pietà mariana: il 13 ottobre, anniversario della conclusione delle apparizioni della Madonna a Fatima, da tutto il mondo giungeranno rappresentanti ed esperienze di pietà mariana che confermeranno ancora una volta, l’importanza della presenza di Maria nella Chiesa, come esempio e come icona della fede.

“la famiglia è il cuore della società”

La 47esima edizione della Settimana Sociale dei cattolici italiana si svolgerà dal 12 al 15 settembre del prossimo anno a Torino con un tema al centro della riflessione

Questa mattina è stata presentata alla stampa la prossima settimana sociale dei cattolici, in una sede civica, il Palazzo del Comune di Torino. A fare gli onori di casa il sindaco Piero Fassimo con monsignor Arrigo Miglio, Arcivescovo di Cagliari e presidente del Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane sociali dei Cattolici italiani; monsignor Cesare Nosiglia, vicepresidente della Conferenza episcopale italiana (Cei) e Arcivescovo di Torino; monsignor Domenico Pompili, sottosegretario e direttore Ufficio nazionale per le Comunicazioni sociali della Cei.

«In questi ultimi anni si è chiesto e si chiede molto alla famiglia», ha dichiarato mons. Miglio, «che ha sempre dato molto dal punto di vista sociale, economico, educativo, mentre ci si accorge che molte famiglie non ce la fanno più: ne ha parlato recentemente il presidente della Cei card. Angelo Bagnasco, lo sanno bene le parrocchie e le Caritas. La famiglia – ha proseguito – nel nostro Paese sconta molti ritardi subiti, dal punto di vista politico e legislativo, ritardi maggiori rispetto a vari altri Paesi europei. E anche la crisi demografica ha e avrà ricadute in tempi lunghi; e si trascura il fatto che anche le famiglie degli immigrati portano gli stessi pesi delle nostre famiglie, molte volte accresciuti, ed entrano rapidamente anche loro nella stessa situazione delle famiglie italiane».

«Verremo dunque a Torino – ha affermato – a parlare di famiglia di fronte a una grave crisi sociale: di posti di lavoro, di rappresentanza, dei soggetti sociali e della politica. Il 2013 peraltro – ha aggiunto – vedrà anche un vivace dibattito sulle libertà in generale e sulle libertà religiose in particolare, in occasione del 17° centenario dell’Editto di Costantino. Tutto questo ci chiede di, e ci può aiutare a, fare una proposta forte, che comprenda l’annuncio del Vangelo della famiglia, la presentazione della famiglia come cellula primaria e fondamentale della vita sociale, come portatrice di diritti, anzitutto quello della libertà educativa, in base ai quali esigere politiche adeguate, larga attenzione e speciale rispetto da parte dello Stato, come risorsa e come punto da cui ripartire per dare speranza anzitutto ai giovani, considerando anche alcuni esempi virtuosi nati da anni in vari Paesi europei». «”Famiglia: speranza e futuro per la società italiana”: il titolo – ha sottolineato il Presule – collega alla famiglia il tema della speranza e dell’impegno per il futuro del Paese».

«Torino ha già ospitato la Settimana sociale in tre occasioni», ha ricordato invece mons. Nosiglia, «nel 1924, nel 1952 e nel 1993 dove si è riflettuto, proprio nell’ultima occasione, su “Identità nazionale, democrazia e bene comune”, temi che sappiamo essere di grande attualità ancora oggi. Le Settimane sociali – ha detto l’Arcivescovo «di casa» – sono un’occasione straordinaria di riflessione per l’intera Chiesa italiana, ma è anche uno strumento capace di stimolare il rilancio del nostro Paese in momenti particolarmente difficili come quello attuale». Mons. Nosiglia ha poi messo in evidenza che «oggi possiamo sentire anche la presenza, nel mistero della comunione dei Santi, di Giuseppe Toniolo, figura straordinaria di laico appassionato delle questioni economiche e sociali che ha avviato nel lontano 1907 le Settimane sociali e che nei mesi scorsi è stato beatificato da Benedetto XVI: consideriamo questo un ulteriore segnale che ci incoraggia per condividere nel modo migliore la preparazione alla prossima Settimana sociale qui a Torino», dove arriveranno circa 1400 persone provenienti dalle diocesi di tutta Italia.

LaStampa.it del 5/10/12

Carlo Carretto, dall’azione cattolica al deserto

Un incontro a Spello e Foligno su una delle figure laicali la cui spiritualità e fedeltà al vangelo sono state e sono fonte di ispirazione di molte generazioni 

 

Nella sua Spello si svolge una due giorni dedicata alla luminosa figura di Carlo Caretto (Alessandria, 2 aprile 1910 – Spello, 4 ottobre 1988), uno dei grandi protagonisti della vita della Chiesa e della società del Novecento.

 

L’appuntamento è promosso dall’Azione cattolica italiana, dalla diocesi di Foligno, dai Piccoli Fratelli di Jesus Caritas e dai Piccoli Fratelli del Vangelo, dall’Istituto per la storia dell’Azione cattolica e del movimento cattolico in Italia “Paolo VI” (Isacem) e dalle amministrazioni territoriali. 

Luoghi dei lavori la città di Foligno e la “Casa San Girolamo” di Spello, il complesso residenziale presso il quale si trova la tomba dell’autore di “Lettere dal deserto” che l’Azione cattolica propone a chi intenda fare un’esperienza intensa e fraterna di contemplazione, discernimento e vita spirituale sulle orme di “Fratel Carlo”.

 

Il tema scelto per l’incontro vuole richiamare lo stretto legame tra Caretto, il Vaticano II e la Parola, alla vigilia del cinquantesimo anniversario dell’apertura dell’assise conciliare e all’inizio dell’anno della fede proclamato da Benedetto XVI. 

Ripercorrendo la parabola religiosa e civile di un uomo che ha vissuto intensamente la sua vicenda terrena: dai vivaci anni della formazione alla partecipe attenzione alle problematiche educative, dall’intenso impegno nell’Azione cattolica italiana all’appassionante esperienza nel deserto algerino, dalla fondazione della fraternità dei Piccoli fratelli di Charles de Foucauld a Spello fino all’effervescente coinvolgimento nel rinnovamento post-conciliare della Chiesa.

 

In programma dei lavori prevede: un incontro pubblico con gli studenti e don Antonio Sciortino, direttore di Famiglia Cristiana; la tavola rotonda con il presidente nazionale dell’Azione cattolica, Franco Miano, il sindaco di Spello, Sandro Vitali, e il direttore Sciortino; e un momento di confronto dedicato al grande tema della pace con testimonianze e proposte dalle nostre città e dal mondo, a cui prenderanno parte il sindacalista Luciano Recchioni, lo storico Paolo Trionfini, il gesuita padra Paolo Dall’Olio e il coordinatore della “Tavola della pace” Flavio Lotti.

Famiglia e vita, impegni profetici

Nel testo del comunicato finale del Consiglio Permanente (Roma, 24-27 settembre), l’attenzione dei Vescovi nei confronti della famiglia, per la quale rinnovano l’appello a politiche fiscali che la tutelino e ne rispettino la libertà educativa; la responsabilità per la qualità delle vocazioni e la santità dei sacerdoti; la formazione di comunità che siano ambiente educante per la fede, animate da una catechesi adulta anche nei contenuti; il dialogo con la cultura, nella proposta del paradigma antropologico che scaturisce dal Cristianesimo.

Conferenza Episcopale Italiana

CONSIGLIO PERMANENTE

Roma, 24 – 27 settembre 2012

COMUNICATO FINALE

«Questo Concilio tutto si risolve nel suo conclusivo significato religioso, altro non essendo che un potente e amichevole invito all’umanità d’oggi a ritrovare, per via di fraterno amore, quel Dio “dal Quale allontanarsi è cadere, al Quale rivolgersi è risorgere, nel Quale rimanere è stare saldi, al Quale ritornare è rinascere, nel Quale abitare è vivere” (Sant’Agostino). Così noi speriamo al termine di questo Concilio ecumenico vaticano secondo e all’inizio del rinnovamento umano e religioso, ch’esso s’è prefisso di studiare e di promuovere; così speriamo per noi, Fratelli e Padri del Concilio medesimo; così speriamo per l’umanità intera, che qui abbiamo imparato ad amare di più ed a meglio servire».

L’ampia citazione di Paolo VI (7 dicembre 1965) con cui si è conclusa la sessione autunnale del Consiglio Episcopale Permanente (24 – 27 settembre 2012) – riunito a Roma sotto la presidenza del Card. Angelo Bagnasco – ne riassume lo spirito, la finalità e gli stessi contenuti.

La prolusione e il confronto che l’ha seguita hanno dato voce alle difficoltà della gente, senza venire meno a uno sguardo di speranza e di incoraggiamento. I Vescovi si sono soffermati sulla famiglia, per la quale rinnovano l’appello a politiche fiscali che la tutelino e ne rispettino la libertà educativa.

Alla vigilia del Sinodo dedicato al tema della Nuova Evangelizzazione e dell’apertura dell’Anno della Fede nel 50° anniversario del Concilio Vaticano II e nel 20° della pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, il Consiglio Permanente ha focalizzato la propria riflessione su alcuni temi e iniziative: la formazione cristiana degli adulti tra rinnovamento e istanza educativa, all’indomani dei Convegni catechistici regionali; la pastorale vocazionale, con la trasformazione del Centro Nazionale Vocazioni in Ufficio Nazionale; la 47ª Settimana Sociale dei Cattolici Italiani, incentrata sulla famiglia, cellula primaria e fondamentale della vita sociale (Torino, 12 – 15 settembre 2013); il Convegno Ecclesiale Nazionale  sul tema della fede, criterio veritativo d’interpretazione del vivere umano (Firenze, 9 – 13 novembre 2015). In vista di tale appuntamento, il Consiglio Permanente ha provveduto a costituire un Comitato preparatorio e ne ha eletto la Presidenza.

Nei corso dei lavori è stata, quindi, analizzata la situazione concernente i registri comunali delle cosiddette unioni di fatto e delle dichiarazioni anticipate di trattamento; si è fatta una valutazione del primo quinquennio del Comitato per il progetto culturale, individuando ambiti e compiti per il prossimo futuro; è stato approvato il nuovo regolamento dell’Ufficio Nazionale per l’educazione, la scuola e l’università; si è proceduto ad adeguare la Convenzione per il servizio pastorale in missione dei presbiteri diocesani; è stato approvato il Messaggio per la Giornata per la Vita (3 febbraio 2013).

Il Consiglio Episcopale Permanente ha provveduto anche ad alcune nomine, fra le quali quella di membri di Commissioni Episcopali e di direttori di Uffici Nazionali.

Famiglia e vita, impegni profetici

Il «reticolo di corruttele e di scandali», che attraversa la classe politica e motiva indignazione e ostilità nella cittadinanza, ha portato i membri del Consiglio Permanente a lamentare la distanza tra l’Italia dei “furbi” e quella degli onesti. La tradizione culturale del Paese è enorme – hanno rilevato – ma si stenta a vederne in atto le ricadute; prevale la demagogia delle opinioni, mentre si fatica a formare le coscienze di quei credenti che si sono volti all’impegno politico e che necessitano di essere sostenuti anche nella vita spirituale, perché questa ispiri loro comportamenti coerenti. Si avverte la necessità di un nuovo patto sociale, a partire dalla riscoperta di ragioni vere e condivise che possano far vivere insieme una vita buona e virtuosa.

Il confronto all’interno del Consiglio ha permesso di focalizzare la drammatica situazione in cui tanta gente ormai vive: precariato, disoccupazione, aziende in forti difficoltà, insolvenza da parte di enti locali. La realtà che porta il peso maggiore della crisi rimane la famiglia, principale ammortizzatore sociale e condizione del possibile rilancio del Paese. Per questo il Consiglio Permanente rimarca l’urgenza di politiche fiscali che la tutelino, riconoscendole, ad esempio, libertà educativa e, quindi, un maggiore sostegno alla scuola, compresa quella paritaria. Specie attraverso le Caritas, si conferma il volto di una Chiesa vicina e solidale, riferimento credibile anche nella proposta di stili di vita sobri ed essenziali. La stessa Chiesa rimane, perciò, sconcertata a fronte di forze politiche e culturali preoccupate, paradossalmente, di indebolire ulteriormente la famiglia: il riferimento è al tentativo di regolamentazione giuridica delle cosiddette unioni di fatto, per le quali anche in Italia alcuni gruppi avanzano pressanti richieste di riconoscimento, in termini che si vorrebbero analoghi – se non identici – a quelli previsti per la famiglia fondata sul matrimonio; una tutela che, nelle intenzioni, verrebbe estesa anche alle unioni omosessuali.

L’analisi della situazione porta a rilevare che nei Comuni italiani che hanno istituito registri per le unioni civili il numero degli iscritti rimane irrilevante, se non nullo. Questo dato – unito alla consapevolezza che tali iniziative sono di dubbia legittimità sotto il profilo giuridico e carenti di utilità pratica – non impedisce di coglierne il valore simbolico e la carica ideologica rispetto al modello costituzionale: l’unione tra l’uomo e la donna sancita dal patto matrimoniale.

Ad analoga considerazione i Vescovi sono giunti anche per le dichiarazioni anticipate di trattamento, raccolte nei registri istituiti da alcuni Comuni, che pure concorrono a diffondere una precisa e discutibile cultura attorno al fine vita.

Il Consiglio Permanente ha quindi ribadito l’impegno della Chiesa a tutela della famiglia naturale e a difesa della vita umana nella sua inderogabile dignità: un impegno – è stato evidenziato – profondamente “laico”, che va a beneficio dell’intera comunità civile. Di tale impegno è parte anche l’annuncio della bellezza del progetto matrimoniale e familiare e, quindi, la difesa della domenica, quale giorno libero dal lavoro e dedicato alla famiglia e alla festa.

Catechesi, assunzione del pensiero di Cristo

Alla luce dei 16 Convegni regionali promossi dall’Ufficio Catechistico Nazionale – una sorta di Convegno diffuso che, da aprile a settembre 2012, ha animato in maniera capillare il territorio nazionale – il Consiglio Permanente si è soffermato sulla catechesi, quale forma decisiva nell’educazione alla fede.

La responsabilità di comunicare e testimoniare la fede alle nuove generazioni ha il suo soggetto nell’intera comunità cristiana: questa consapevolezza richiede un forte investimento sulla formazione e l’accompagnamento degli adulti, a partire da quanti già partecipano alla vita ecclesiale. Compito prioritario della Chiesa, del resto, rimane la riscrittura della proposta cristiana nelle coscienze delle persone e nel loro vissuto.

Una comunità che sia ambiente educante per la fede, inoltre, non può che essere animata da una catechesi adulta anche quanto ai contenuti, nell’attenzione a plasmare in ogni età credenti capaci di rendere ragione della speranza che li anima: può dirsi adulto soltanto chi è capace di restituire quanto ha ricevuto, assicurando la continuità tra le generazioni e la vitalità della stessa comunità.

Per questo i Vescovi hanno sottolineato l’importanza di concludere la fase delle sperimentazioni degli itinerari di iniziazione cristiana e di fare comunione e unità attorno al progetto catechistico e agli stessi catechismi della CEI. L’obiettivo di tale investimento è la formazione e l’assunzione del pensiero di Cristo – «Pensare secondo Cristo e pensare Cristo attraverso tutte le cose» (S. Massimo il Confessore) –; necessita di legami integranti con l’esperienza celebrativa e con quella caritativa, nonché della valorizzazione di particolari momenti – quali la richiesta del battesimo e della prima Comunione – per un cammino di relazione e di incontro con la famiglia, in una prospettiva pastorale attenta a mantenere il carattere popolare dell’esperienza ecclesiale. È stato, infine, chiesto dai Vescovi di mantenere prioritario l’impegno di formazione dei catechisti.

La Commissione Episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi ha, quindi, aggiornato il Consiglio Permanente circa il lavoro di stesura di nuovi orientamenti che, riaffermando il valore del documento di base, Il rinnovamento della catechesi (1970), indichino le scelte pastorali delle Chiese in Italia per svolgere la loro missione evangelizzatrice.

Vocazioni, questione di fede

La matrice antropologica della cultura corrente rimanda a un io autocentrato, che idolatra la propria individuale libertà e ha come riferimento soltanto se stesso. Dal rischio di tale mentalità non sono immuni gli stessi sacerdoti: riconoscerlo per i Vescovi è stato un riappropriarsi della responsabilità della santità del proprio clero, nell’impegno a prevenirne, per quanto possibile, le cadute e ad accompagnarlo con una formazione adeguata, perché la sua vita sia abitata dal Signore.

Su tale tema i Vescovi hanno sviluppato un’ampia riflessione, alla luce del documento “Orientamenti pastorali per la promozione delle vocazioni al ministero sacerdotale” della Congregazione per l’educazione cattolica.

La preoccupazione dei Pastori – più ancora che il calo numerico dei sacerdoti – riguarda i criteri che, nella mentalità corrente, guidano un giovane nella costruzione della propria identità: spesso il singolo ritiene di potersela costruire da sé, scegliendosi i riferimenti e le risorse che ritiene maggiormente confacenti al proprio benessere psicologico ed emotivo. La condizione che innerva un’autentica vocazione – ha evidenziato a più riprese il Consiglio Permanente – rimane la fede, coltivata nella relazione con Cristo: da qui nasce l’elemento unificante dell’identità teologica e della vita spirituale del sacerdote, che porta a quella carità pastorale caratterizzata dalla totalità del dono della vita.

Tra i “luoghi” di formazione i Vescovi hanno indicato la pastorale giovanile, la direzione spirituale e il Seminario Minore o, comunque, una forma di pre–Seminario.

Il Consiglio Episcopale Permanente ha, quindi, sancito il passaggio del Centro Nazionale Vocazioni a nuovo Ufficio Nazionale per la pastorale delle vocazioni, approvandone il regolamento e inserendolo a pieno titolo nella Segreteria Generale della CEI. In questo modo ha dato nuova configurazione giuridica a un organismo che ora diventa segno più adeguato della collocazione della dimensione vocazionale nel contesto della pastorale delle Chiese particolari in Italia.

Un Comitato per Firenze 2015

Il V Convegno Ecclesiale Nazionale si terrà a Firenze sul tema della fede, cifra veritativa di interpretazione del vivere umano. In vista di tale appuntamento il Consiglio Permanente ha costituito un Comitato preparatorio, del quale ha eletto la Presidenza: un Presidente e tre Vice Presidenti (espressioni rispettivamente del Nord, del Centro e del Sud dell’Italia), oltre al Segretario Generale della CEI.

Il compito affidato al Comitato concerne la presentazione alla prossima Assemblea Generale non solo della proposta del titolo del Convegno, ma del programma del percorso preparatorio e delle modalità più idonee a favorire il coinvolgimento e la partecipazione del popolo cristiano nelle sue varie articolazioni.

I Vescovi, dopo aver fissato la data dell’assise (9 – 13 novembre 2015), ne hanno richiamato la funzione di approfondimento della tematica del decennio nella sua proiezione culturale e sociale. In particolare, hanno raccomandato che venga evidenziata la natura cristiana dell’umanesimo, a dire quanto il Cristianesimo sia indispensabile per la storia, la cultura e l’attualità del Paese, e come l’erosione di tali radici comprometta la base su cui è fondata la comunità nazionale.

L’attenzione a rilanciare le fonti dell’umanesimo sociale, in un contesto che vede il declino dell’ambizioso progetto della modernità, si completa nella consapevolezza di essere, come credenti, portatori di una parola decisiva circa l’umano, quindi la libertà, la responsabilità e le relazioni, vissute in chiave trinitaria: con l’Apostolo, i Vescovi annunciano che «se uno è in Cristo, è una nuova creatura» (2Cor 5,17).

Abitare la cultura

Una valutazione del primo quinquennio del Comitato per il progetto culturale ha offerto al Consiglio permanente l’occasione di un confronto con il Card. Camillo Ruini, che del Comitato è Presidente.

Il Cardinale ha presentato le iniziative scaturite da una sistematica riflessione sul momento attuale della società e della Chiesa: i rapporti-proposta e gli eventi internazionali.

I Vescovi, nell’esprimere gratitudine per questo lavoro di penetrazione della cultura “alta”, hanno raccomandato che il Comitato continui – in mezzo a quella “promessa mancata” che, per molti versi, è stata la modernità – a proporre il paradigma antropologico che scaturisce dal Cristianesimo. Circa i contenuti sui quali lavorare, il Consiglio Permanente ha espresso un’attenzione privilegiata per i giovani, per arrivare a dialogare meglio con la loro cultura, usando i linguaggi e gli strumenti più idonei a evangelizzarla in profondità.

Al riguardo, Avvenire e TV2000, il SIR nonché i settimanali e le emittenti diocesane, sono colti nel loro decisivo valore in merito alla formazione dell’opinione pubblica. Nel rilanciare l’impegno a sostenerli e a promuoverne la diffusione, i Vescovi domandano che si individuino strategie anche per valorizzare la rete di internet.

Varie

Il Consiglio Permanente ha preso in esame tema, programma e itinerario di preparazione alla 47ª Settimana Sociale dei Cattolici Italiani (Torino, 12-15 settembre 2013). Sarà imperniata sulla famiglia, con l’intento di presentarla come cellula primaria e fondamentale della vita sociale, portatrice di diritti – a partire dalla libertà educativa –, risorsa da sostenere e da cui ripartire per dare speranza anzitutto ai giovani.

Di famiglia parla anche il Messaggio per la Giornata per la Vita (3 febbraio 2013), nel quale i Vescovi esprimono vicinanza solidale a quanti sono duramente provati dalla crisi, mentre rilanciano il valore della persona e della vita umana fin dal concepimento.

Per aggiornarlo alla situazione attuale, il Consiglio Permanente ha approvato il nuovo regolamento dell’Ufficio Nazionale per l’educazione, la scuola e l’università. Le modifiche sono finalizzate, in particolare, a ridare unitarietà a questi diversi ambiti, facendoli confluire in un’unica Consulta.

Nel corso dei lavori è stata adeguata anche la Convenzione che regola il servizio pastorale in missione dei presbiteri diocesani. I principali mutamenti riguardano l’inserimento nel sistema di sostentamento del clero dei sacerdoti fidei donum, il versamento dei contributi previdenziali al Fondo clero dell’INPS da parte dell’Istituto Centrale per il sostentamento del clero, nonché le coperture previste dalla polizza sanitaria per il clero, stipulata dall’ICSC.

Nomine

Nel corso dei lavori, il Consiglio Permanente ha proceduto alle seguenti nomine:

– Presidente del Comitato Preparatorio del V Convegno ecclesiale nazionale (Firenze 2015): S.E. Mons. Cesare Nosiglia, Arcivescovo di Torino.

– Vice Presidenti del Comitato Preparatorio del V Convegno ecclesiale nazionale (Firenze 2015): S.E. Mons. Gianni Ambrosio, Vescovo di Piacenza – Bobbio, per il Nord; S.E. Mons. Mansueto Bianchi, Vescovo di Pistoia, per il Centro; S.E. Mons. Antonino Raspanti, Vescovo di Acireale, per il Sud.

– Membro della Commissione Episcopale per il clero e la vita consacrata: S.E. Mons. Arturo Aiello, Vescovo di Teano – Calvi.

– Membro della Commissione Episcopale per la famiglia e la vita: S.E. Mons. Alberto Tanasini, Vescovo di Chiavari.

– Direttore dell’Ufficio Nazionale per i problemi giuridici: Mons. Giuseppe Baturi (Catania).

– Direttore dell’Ufficio Nazionale per la pastorale del tempo libero, turismo e sport: Mons. Mario Lusek (Fermo).

– Direttore dell’Ufficio Nazionale per la pastorale della sanità: Don Carmine Arice (Società dei Sacerdoti di San Giuseppe Benedetto Cottolengo).

– Direttore dell’Ufficio Nazionale per la pastorale delle vocazioni: Mons. Domenico Dal Molin (Vicenza).

– Responsabile del Servizio Nazionale per la pastorale giovanile: Don Michele Falabretti (Bergamo).

– Responsabile del Servizio Nazionale per l’insegnamento della religione cattolica: Don Daniele Saottini (Brescia).

– Coordinatore Nazionale della pastorale per gli immigrati albanesi in Italia: Don Pasquale Ferraro (Roma).

– Coordinatore Nazionale della pastorale per i cattolici indiani di rito latino in Italia: Don Rajan Madakkudiyan (Kannur, India).

– Assistente ecclesiastico centrale dell’Azione Cattolica Italiana per il settore adulti: Don Emilio Centomo (Vicenza).

– Assistente ecclesiastico nazionale per la Branca Rover – Scolte dell’Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani: Padre Giovanni Gallo, C.O.

– Assistente ecclesiastico generale dell’Associazione Italiana Guide e Scouts d’Europa Cattolici: Don Stefano Caprio (Foggia – Bovino).

– Assistenti ecclesiastici nazionali dell’Associazione Italiana Guide e Scouts d’Europa Cattolici:  Don Giovanni Facchetti (Bolzano – Bressanone), per la Branca Guide;  Don Fabio Menghini (Pitigliano – Sovana – Orbetello), per la Branca Esploratori; Don Claudio Barboni (Cerignola – Ascoli Satriano), per la Branca Rover; Padre Peter Dubovsky, SJ, per la Branca Coccinelle; Padre Andrea Cova, OFM Capp., per la Branca Scolte.

– Consulente ecclesiastico nazionale del Centro Sportivo Italiano: Don Alessio Cirillo Albertini (Milano).

– Consigliere ecclesiastico nazionale della Coldiretti: Don Paolo Bonetti (Gorizia).

– Assistente ecclesiastico centrale della Fondazione Centesimus Annus – Pro Pontifice: Don  Giovanni Fusco (Melfi – Rapolla – Venosa).

La Presidenza, nella riunione del 24 settembre, ha proceduto alle seguenti nomine:

– Membro dell’Osservatorio centrale per i beni culturali di interesse religioso di proprietà ecclesiastica, in rappresentanza della Conferenza Episcopale Italiana: Don Bassiano Uggé, Sottosegretario della CEI.

– Assistenti Ecclesiastici dell’Università Cattolica del Sacro Cuore – sede di Roma: don Angelo Auletta (Tricarico), don Paolo Angelo Bonini (Albenga – Imperia), don Luciano Oronzo Scarpina (Nardò – Gallipoli), don Matthew James Solomon (Roma).

– Assistente Ecclesiastico dell’Università Cattolica del Sacro Cuore – sede di Brescia: don Roberto Lombardi (Brescia).

– Membri del Collegio dei Revisori dei Conti della Fondazione Centro Unitario per la cooperazione missionaria tra le Chiese (CUM): Rag. Ruggero Mischi (Presidente); Ing. Livio Gualerzi (Membro).

La Presidenza, nella medesima riunione, ha dichiarato l’assunzione ad interim delle funzioni di Presidente della Commissione Episcopale per le migrazioni da parte di S.E. Mons. Paolo Schiavon, Vescovo ausiliare di Roma.

Evangelizzazione: occorre un insegnamento più innovativo della religione

Il cardinale Ravasi parla dell’evento del Cortile dei Gentili ad Assisi, del Sinodo di ottobre e di una Nuova Evangelizzazione che deve riflettersi anche in un insegnamento più innovativo della religione

di Salvatore Cernuzio

Al termine della conferenza di presentazione dell’evento del Cortile dei Gentili, “Dio questo sconosciuto. Dialogo tra credenti e non credenti”, che si svolgerà il 5 e 6 ottobre, ad Assisi, ZENIT ha intervistato il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura.

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L’evento del Cortile dei Gentili è stato un evento di pre-evangelizzazione che ha creato terreno fertile per l’imminente Sinodo dei vescovi dedicato appunto alla Nuova Evangelizzazione. Cosa si aspetta, invece, il Cortile dal grande assise di ottobre?

Card. Ravasi: Prescindendo dal fatto che lo stesso Sinodo cita il Cortile dei Gentili nell’Instrumentum Laboris, ciò che noi ci aspettiamo è che la presentazione della fede avvenga in una forma, con un linguaggio, che sia il più possibile comprensibile, non soltanto per i credenti ma anche per l’orizzonte culturale generale. Cioè che non sia soltanto autoreferenziale o legato a formule che, seppur preziose, sono ormai datate.

È qui l’importanza della comunicazione della fede, che è quello che, in un certo senso, facciamo anche noi, senza però voler evangelizzare.

E in questa direzione, quale potrebbe essere una formula efficace per vincere anche quel mare di indifferenza che lei, durante la conferenza, ha accusato essere l’atteggiamento più pericoloso del mondo attuale?

Card. Ravasi: Penso che per vincere la “nebbia” della superficialità, della banalità, dell’indifferenza generica, ci siano due strade. Una è quella adottata da alcune Chiese americane, soprattutto protestanti, che è il proporre l’essenziale, il minimo, impegnandosi, particolarmente, sul versante della carità, del volontariato e dell’impegno sociale. È questa una componente certamente significativa, ma, a mio avviso, insufficiente, in quanto la Chiesa non è “un’agenzia caritativa”.

L’altra via, invece, è quella della verità ultime, ovvero il coraggio di gettare sul tappeto, in un linguaggio comprensibile, i temi della vita, della morte, del bene, del male, della giustizia, della sofferenza, dell’amore.

Tutte quelle domande, cioè, che sono deposte in tutte le persone e che riaffiorano quando attraversano una sofferenza come, ad esempio, un familiare che muore di cancro o anche quando s’innamorano, si trovano a contatto con la bellezza e via dicendo. Tali quesiti devono essere riproposti con un linguaggio incisivo e culturalmente efficace: è l’unica via per far trovare all’umanità una risposta. Solo così la superficialità verrebbe scossa come da un elettroshock.

All’incontro di Assisi si svolgerà un dialogo tra lei e il presidente Giorgio Napolitano. Cosa rappresenta la figura del presidente della Repubblica nel dialogo tra credenti e non credenti?

Card. Ravasi: Rappresenta due componenti fondamentali: da un lato, incarna la figura dell’Italia in tutte le sue dimensioni e quindi di un Paese dalla grande tradizione cristiana. È la voce di un’Italia che ha pur sempre nel panorama della tradizione culturale il tema religioso. Non si può entrare in una pinacoteca o in una città senza “scontrarsi” con cattedrali, monumenti, dipinti che richiamano il sacro.

D’altra parte, il presidente Napolitano rappresenta una grande personalità che ha riproposto i valori, anche in mezzo al degrado culturale, sociale e politico. Egli insiste spesso, soprattutto con i giovani, sul tema dei grandi valori. È proprio lì che si crea una sintonia: quando entrambi cominciamo ad interrogarci sulle questioni fondamentali per la società stessa.

In questi giorni, il ministro per la Pubblica Istruzione, Francesco Profumo, a margine di un Convegno del Miur, ha parlato di una revisione di materie come la religione e la geografia, considerando ormai la forte presenza nelle scuole di studenti di culture e religioni differenti. Qual è il suo pensiero riguardo a questa tematica?

Card. Ravasi: Credo che sia indubbiamente importante rinnovare la didattica, prima di tutto, nel metodo. Pensiamo adesso a come avviene la comunicazione, non più con la carta scritta o il pennino come nella mia infanzia, ma con la tecnologia e altre modalità differenti. Anche nei contenuti, però, è necessario un rinnovamento! Ci sono componenti che sono fondanti da cui non si può prescindere, non solo per la religione, ma anche per le scienze. Allo stesso tempo, però, ci sono interpellanze sempre nuove: pensiamo ai problemi della Bioetica, un termine che 50 anni fa neppure esisteva. Credo, pertanto, che l’insegnamento della religione, in maniera corretta, sulla base del messaggio evangelico e dei grandi insegnamenti cristiani che vanno comunque sempre trasmessi, deve agganciarsi con il mutare della società e l’evoluzione dei tempi e della cultura.

Nella prospettiva di una trasmissione innovativa e, al contempo, essenziale della cultura, come si inserisce un evento interamente dedicato a Dante, come quello da lei annunciato per il 12 novembre alla Chiesa del Gesù di Roma?

Card. Ravasi: È tutto in linea con quello che si diceva. L’eredità che noi abbiamo è talmente alta e gloriosa che non può essere considerata una cosa del passato, marginale o da buttare. È una delle basi più feconde in assoluto. Ricordiamo, però, che il metodo è fondamentale, nel senso che un evento di tale spessore culturale non deve essere presentato come un’operazione filologica, ma come stimolo sul quale costruire oltre. Esprimono al meglio questo concetto, le parole del filosofo Bernardo di Chartres: “Noi siamo nani sulle spalle di giganti, ma è per questo che riusciamo a vedere più lontano”.

IV Congresso delle cultura cristiana

Oggi sino al 30 settembre, si tiene a Lublino l’evento polacco per la promozione del dialogo tra Chiesa, cultura contemporanea e religioni

di don Mariusz Frukacz

“Alla ricerca di un uomo in un uomo. Radici cristiane della speranza” è il tema del IV Congresso. È questa una delle iniziative più importanti in Polonia, nata per idea di mons. Józef Życiński, Arcivescovo Metropolita di Lublino, morto nel 2011, per la promozione del dialogo della Chiesa con la cultura contemporanea e tra le religioni.

Nell’edizione di quest’anno, che si svolgerà presso l’Università Cattolica di Lublino, sono  invitati illustri ospiti, tra cui, in particolare, spicca il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura che riceverà un dottorato honoris causa presso l’Ateneo. Saranno presenti anche padre prof. Tomàs Halik, il prof. Zygmunt Bauman, il ministro Rocco Buttiglione.

Hanno confermato la propria presenza anche George Weigel, Nunzio Apostolico in Polonia; l’Arcivescovo Celestino Migliore; don Janusz Mariański, famoso sociologo e don Józef Niewiadomski, preside della Facoltà di Teologia a Innsbruck.

Il Congresso è concepito come un dibattito europeo fra i credenti e non credenti sulla speranza nella cultura contemporanea.

Aprirà i lavori, venerdì 28 settembre, la conferenza dell’Arcivescovo Celestino Migliore sul “Contributo di Giovanni Paolo II alla comprensione della missione della Chiesa in politica europea e mondiale”. Subito dopo, Rocco Buttiglione interverrà sul ruolo del Beato e della Chiesa Cattolica nel dibattito sui diritti umani.

Il giorno successivo, sabato 29, i partecipanti al Congresso potranno ascoltare una lezione del filosofo Bauman intitolata: “Immagine postmoderna dell’uomo nella società. Dove sono le fonte di speranza per un futuro migliore?”. Sarà il turno, poi, del Nunzio apostolico, George Weigel che parlerà della “Visione della speranza cristiana al neo-paganesimo del mondo moderno.”

In programma, sabato sera, l’iniziativa chiamata “Dibattito per due pulpiti” sul tema de “La fede e incredulità nella vita dei polacchi”, che si tiene tradizionalmente nella Chiesa dei Padri Domenicani nel centro storico di Lublino.

L’ultimo giorno del Congresso, il 30 settembre, gli organizzatori hanno previsto, infine, una conferenza di padre prof. Tomasz Halik sull’argomento “L’Europa ha subito una decristianizzazione? Le prospettive per il dialogo tra cristianesimo e neo-paganesimo”. Farà seguito il sociologo Mariański che presenterà una “mappa religiosa dell’Europa e delle sue dinamiche contemporanee”.

Parallelamente alle lezioni del Congresso si svolgeranno alcuni dibattiti su otto “pannelli” che affronteranno temi di grande attualità come: il dialogo tra fede e scienza; la carità; il femminismo; lo spirito cristiano della cultura europea e via dicendo. Tra questi, uno spazio sarà dedicato alla persona di mons. Józef Życiński, metropolita di Lublino, iniziatore del Congresso. 

Il primo Congresso della cultura cristiana, vide la luce, sotto gli auspici del Pontificio Consiglio della Cultura, il 6-7 novembre 2000. In quell’occasione, sul tema “Il Sacro e la cultura: le radici cristiane del futuro”, intervennero eccezionali personalità ecclesiastiche, come Paul Poupard e Miroslav Vlk, e numerosi luminari del mondo della cultura e della scienza, quali Ryszard Kapuscinski, Leszek Kolakowski e Andrzej Wajda.

Per maggiori informazioni, consultare il sito web del Congresso:www.kongres.lublin.pl

“Legami di vita buona” riflessione dal convegno della Azione Cattolica

Il Concilio è il nostro presente e il nostro futuro. È la chiamata a rinnovare il nostro patto di fedeltà alla Chiesa e a dare risposte alle aspettative di questo nostro tempo, carico di drammi e pur fecondo”.

Così il presidente nazionale dell’Azione Cattolica, Franco Miano, ha concluso ieri a Roma il convegno nazionale “Legami di vita buona. Azione Cattolica, Chiesa locale e Chiesa universale”, che dal 21 al 23 settembre ha riunito oltre 350 tra presidenti e assistenti unitari diocesani e regionali di Ac.

Con lo sguardo al nuovo anno associativo, che s’inserisce e si orienta nel cammino tracciato dalla coincidenza di tre grandi eventi – i 50 anni dall’apertura del Concilio, l’inizio dell’Anno della fede e l’imminente inaugurazione del Sinodo dei vescovi sulla nuova evangelizzazione -, Miano ha rinnovato la “promessa” dei laici di Ac di “costruire legami di vita buona con tutti gli uomini e le donne di buona volontà, nel cammino ordinario compiuto da ciascuno di noi nelle diocesi e nelle parrocchie”.

Una fede intelligente. Ogni fondamento di “vita buona”, ha spiegato inaugurando i lavori mons. Domenico Sigalini, assistente generale dell’Azione Cattolica e vescovo di Palestrina, presuppone una “fede intelligente”, poiché “una fede senza intelligenza è un insulto a noi stessi e allo stesso Signore che non vuole automi o persone compiacenti”, bensì “persone vere, intere, diritte nella loro dignità; non vuole atteggiamenti servili, compromissori”. Nella sua relazione di apertura, “I laici e il Concilio”, il monaco camaldolese Franco Mosconi ha offerto all’uditorio un “percorso conciliare” basato su tre direttrici “da riscoprire”. A partire dalla speranza, ossia l’avere fisso “un orizzonte escatologico”, per arrivare alla santità, “termine ormai relegato tra gli incensi”, ma che “significa costruire la propria maturità umana come Dio la sogna, guardando il Figlio”. Su di esse si erge come “stella polare” la “Parola di Dio”. Di qui la domanda: “Cosa ne abbiamo fatto della Parola a mezzo secolo dalla ‘Dei Verbum’?”. “Questo arco di tempo – che per la Bibbia è il segno di un’intera generazione – quanto è stato inquietato e trasformato dalla Parola?”. La Parola divina “è come un mare in cui ci si deve immergere”; invece, ha concluso Mosconi, “spesso non incide ferite nella placida superficialità dei nostri giorni”.

Seminatori della Parola. Nell’omelia della celebrazione eucaristica presieduta il 22 settembre, mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, ha ricordato che “dopo Gesù, ognuno di noi è seminatore della Parola di Dio”, e ciò comporta anzitutto “la responsabilità a non essere seminatori qualunque”. “Non ci si improvvisa evangelizzatori, come non ci si improvvisa buoni seminatori: occorre formarsi a questo compito”. “Il buon seminatore – ha ammonito il presule – non è colui che resta immobile. Come Gesù, è in continuo andare incontro all’altro. Dunque, non è più tempo di rimanere chiusi nelle nostre parrocchie. Bisogna uscire e andare lì dove l’uomo vive. Il che non vuol dire andare in Paesi lontani, ma al di là del nostro pianerottolo, dove vive il nostro vicino. Questa è la nuova evangelizzazione”. “L’unica e indivisibile missione della Chiesa – ha precisato mons. Diego Coletti, vescovo di Como – si articola secondo tre prospettive principali, intimamente connesse tra loro”: “Secolare, profetica e pastorale”. La prima consiste nel permeare “dello spirito evangelico la vita dell’uomo in tutti i suoi aspetti “secolari” (famiglia, lavoro, economia, cultura, politica, scienza…)”. La prospettiva “profetica” si esplica nel manifestare “in grado straordinario, nel proprio stile di vita, le esigenze radicali della sequela di Gesù, indicate nel Vangelo”. “La prospettiva “pastorale” è, infine, il modo di “vivere ed esprimere l’unica e indivisibile missione della Chiesa assumendo, con la forza dello Spirito Santo, il compito di dar vita alla comunità cristiana, nutrirla con la Parola e i sacramenti, coordinarne i carismi e i ministeri, curarne i difetti e le malattie, vigilare per diffonderla e custodirla: in una parola, edificare e condurre la comunità in quanto tale”. 

Testimonianza dalla Romania. Il “profilo delle responsabilità cui è chiamato il laico cristiano nel suo servizio alla comunità” è stato delineato da Anna Maria Basile, presidente diocesana di Andria dal 2005 al 2011. A partire da tre verbi, ha spiegato: “Custodire, tramandare, generare ancora” per “capire meglio il tempo e il luogo in cui viviamo”, avere “uno sguardo nuovo”, cercare “nel passato le radici del futuro”. La storia di un’Ac romena “cresciuta in numeri e impegno, in particolare nel far conoscere il ruolo dei laici nella Chiesa e nella società, considerando che i documenti del Concilio sono stati pubblicati in lingua romena solo dal 1990, dopo la caduta del comunismo, a 35 anni sua dalla chiusura”. A raccontarla sono stati la presidente dell’Ac di Iasi, Adriana Ianus, l’assistente don Felix Roca, e il vescovo ausiliare mons. Aurel Percã. Un’esperienza di laicato missionario ed evangelizzatore, “impegnato nell’educazione alla fede e nell’azione di carità” e “particolarmente attento ai temi della famiglia”.


Riportiamo la Lectio divinadi mons. Domenico Sigalini, Assistente generale dell’Azione cattolica e vescovo di Palestrina, al Convegno nazionale dei Presidenti e Assistenti unitari diocesani e regionali dell’Ac, in corso a Roma.

Troppo indurito è il nostro cuore

Ma i discepoli avevano dimenticato di prendere dei pani e non avevano con sé sulla barca che un pane solo. Allora egli li ammoniva dicendo: “Fate attenzione, guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode! ”. E quelli dicevano fra loro: “Non abbiamo pane”. Ma Gesù, accortosi di questo, disse loro: “Perché discutete che non avete pane? Non intendete e non capite ancora? Avete il cuore indurito? Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite ? E non vi ricordate, quando ho spezzato i cinque pani per i cinquemila, quante ceste colme di pezzi avete portato via? ”. Gli dissero: “Dodici”. “E quando ho spezzato i sette pani per i quattromila, quante sporte piene di pezzi avete portato via? ”. Gli dissero: “Sette”. E disse loro: “Non capite ancora? ”.(Mc 8, 14-21)

Appena prima di questo brano di vangelo sono state narrate due moltiplicazioni dei pani, al capitolo 6 (vv. 41-43) e al capitolo 8 (vv. 6-8). Hanno destato grande meraviglia e discussioni, piccoli egoismi e grandi progetti materiali. Chi aveva trovato la panacea per tutti i suoi mali: che vuoi di più, ci dà anche da mangiare! Chi aveva pensato che il miracolo poteva essere di casa tutti i giorni con un uomo così. Gesù coglie il rischio e fa fatica a far capire che i suoi miracoli sono segno, soltanto segno. Questo è segno di un altro pane. I farisei continuano a chiedere segni, sicurezze, certezze, ma Gesù offre un segno decisivo per la fede dei cristiani: il pane che è Lui, il pane eucaristico, che è ancora Lui, il pane dell’offerta sacrificale dell’Eucaristia, che è sempre Lui, il pane della vita, che ne è il senso, la pienezza.

Ma i discepoli avevano dimenticato di prendere dei pani e non avevano con sé sulla barca che un pane solo.

Ne erano avanzati di pani dopo la prima e la seconda moltiplicazione; Gesù li sollecita a prendere la barca per non fissarsi sui facili successi e sul facile indice di gradimento ottenuto con il miracolo. E i discepoli lasciano a terra tutto quel ben di Dio. Era la scorta per la loro fame, ma la lasciano e si adattano a quel pezzo che è rimasto in barca. E’ solo un pezzo di pane o è il pane della vita che è Gesù? Su questo gioco di simboli si sviluppano le domande dure, incalzanti, mozzafiato di Gesù.

Che pane avevano con sé sulla barca?

Io chi sono per voi? Mi sto facendo in quattro per aiutarvi ad alzare lo sguardo dal piatto e voi ci ficcate dentro pure la vita! Non siete capaci di fare il salto di qualità che deve fare ogni uomo di fronte a tutte le cose. Niente è solo materia, tutto ha un significato che rimanda a Dio. Questo pane non è la sorgente di un litigio per quando gli apostoli sentiranno un buco nello stomaco, ma è la presenza di Gesù. Lui è il pane della vita, il sapore, il senso; il nutrimento, il gusto della casa e del forno, dell’amore di chi lo ha preparato e del lavoro che lo ha reso possibile: è una introduzione umanissima alla sua presenza nel pane e nel vino.

Allora egli li ammoniva dicendo: “Fate attenzione, guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode!

Il lievito dei farisei e il lievito di Erode sono inseriti in questa scena da Marco come un inciso, prima di proseguire con le domande di Gesù e possono essere letti nel contesto come due preoccupazioni o condizioni per credere alla grandezza del pane che è Gesù: c’è un lievito che traduce la cecità dovuta alle ideologie, o ad atteggiamenti culturali di autosufficienza e un lievito, quello di Erode, che stigmatizza e rappresenta ogni strumentalizzazione del potere. Sono minacce all’accoglienza del pane che è Gesù, al significato del consumarsi per gli altri che è assolutamente opposto a quello che i due lieviti rappresentano.

Se questo pane è poi figura non troppo velata e lontana del pane eucaristico che deve essere spezzato per tutti, i lieviti errati possono essere letti come l’autosufficienza, l’egoismo, il dominio dell’uomo sull’uomo, come fu la vita di Erode. Non sono assolutamente compatibili questi modi di vivere con l’accoglienza di questo pane, con la disponibilità e la comunione fraterna che deve caratterizzare ogni comunità che si raccoglie la domenica attorno al pane eucaristico. Che senso avrebbe spezzare il pane da gente che si ignora, che non si sopporta, che si fa la guerra, che non vive in pace, che cerca in tutti i modi di sopraffare l’altro, di usarlo, pure con i guanti bianchi?.

E quelli dicevano fra loro: “Non abbiamo pane”.

Siamo senza nutrimento, siamo senza concretezza, ci siamo ritrovati euforici, dopo le belle moltiplicazioni dei pani, dopo aver goduto di un successo insperato con la gente, dopo che tutti ci guardavano con invidia perché siamo del giro di Gesù, ma oggi tutto è finito e siamo rimasti soli. Cercavano con gli occhi un forno, invece dovevano guardare a Gesù. Quante volte anche noi davanti a Dio diciamo: non abbiamo più pane

L’abbiamo consumato nell’ingordigia

L’abbiamo creduto un modo di dire di Gesù e non abbiamo conservato quella fede semplice della prima comunione

Non abbiamo pane perché nelle nostre comunità non si fa posto alla sua Parola.

Non abbiamo pane perché abbiamo perso il senso della vita

Non abbiamo pane perché siamo pigri; niente ci soddisfa, e tiriamo a campare

Non abbiamo pane perché ci manca la speranza nella vita

Non abbiamo pane perché sentiamo una fame che non passa con il cibo

Non abbiamo pane perché ci siamo affidati alle superficialità e ora ci lasciano soli

Non abbiamo pane perché la messa domenicale viene dopo le nostre preoccupazioni economiche, di riposo, di relax. Dopo lo spread e i dati della borsa.

Ma Gesù, accortosi di questo, disse loro: “Perché discutete che non avete pane? Non intendete e non capite ancora? Avete il cuore indurito?

Inizia qui la serie di domande che anche noi ci vogliamo fare, che Gesù in maniera incalzante fa ai suoi discepoli.

Se scorriamo il testo vediamo che la parola pane o pani è detta almeno sei volte e che almeno sette volte Gesù coglie la loro assoluta incomprensione. Non ci sono dubbi su che cosa voglia dirci il vangelo con questo episodio e val la pena di lasciarci interrogare. Solo rispondendo a queste domande potremo trovare pace.

Discutere, intendere, capire è il desiderio e l’impegno di mettere al servizio della situazione la propria intelligenza e l’intelligenza degli amici: assieme si sta cercando di capire, ma non ci si riesce. L’intelligenza è la prima scintilla che deve scattare quando si tratta di fede; forse è la fame che ha innescato la discussione, forse la rabbia, il dispetto, ma Gesù vuole che si metta testa a quello che si fa e si vuol pensare. Ogni esperienza di fede può avere mille motivi, ma deve passare per il crogiuolo dell’intelligenza. Dio ci ha dato l’intelligenza perché la usiamo sempre fino in fondo. Abbiamo una razionalità che non può essere mandata all’ammasso perché troviamo più comodo fidarci del sentito dire, del sentimento, delle emozioni, delle atmosfere, delle tradizioni.

Una fede senza intelligenza è un  insulto a noi stessi e allo stesso Signore che non vuole automi o persone compiacenti. Vuole persone vere, intere, diritte nella loro dignità; non vuole atteggiamenti servili, compromissori. Quanti giovani credono che la fede sia abbandonare la lucidità della ragione, un atto che non regge di fronte alla scienza. Certo, se le conoscenze di Dio e della sua Parola sono ferme alle nozioni rabberciate al catechismo della fanciullezza, non possiamo dire che stiamo usando l’intelligenza. Abbiamo un luogo dove la fede deve fare i conti con l’intelligenza sempre, con la vita concreta, con i fatti quotidiani come la nascita, la morte, la malattia; questo luogo è la vita concreta di una comunità cristiana: la parrocchia

La parrocchia serve una fede che cerca l’intelligenza e che non si dà senza ragioni. Il sapere Dio che offre la parrocchia è intrinsecamente spinto a delinearsi nella vita dell’uomo e in ogni sua domanda, per questo non può non dirsi con parole di uomo, con simboli e linguaggi umani, dentro i significati profondi della vita e di ogni vita, nella quotidianità e nel susseguirsi degli eventi, nella ricerca faticosa di senso e di felicità degli uomini. La mediazione culturale non è un optional per la testimonianza cristiana della fede.

Entra in campo qui un servizio alla fede che deve abitare la cultura.

È autentico servizio alla vita quotidiana della gente, al tessuto di relazioni del territorio, alla costruzione di una società una fede che si fa cultura.

– Che sa rispondere ai grandi interrogativi dell’uomo andando oltre le risposte ben compaginate o didascaliche di ogni catechismo, che si fa domanda prima di essere risposta. E’ una fede che si comunica, qualitativamente diversa da quella che rimane nel chiuso della propria consolazione

– per questo è necessario un passaggio da una cultura inconsapevole, che faceva parte dell’habitat naturale di una società cristiana a una nuova consapevolezza. Forzando, ma non troppo, il concetto si può dire che occorre passare da una generazione di cristiani che hanno ricevuto le risposte senza farsi le domande, a cristiani che si interrogano con tutti gli uomini sul proprio destino, sul senso ultimo della vita. Qui si apre tutto il campo della inculturazione della fede

– un altro livello di necessità dell’esprimersi culturalmente della fede e che è a portata di parrocchia, proprio per la sua popolarità e concretezza, è

* tutto lo sforzo di cambiamento di mentalità assolutamente improrogabile per aiutare i nuovi poveri a ridarsi speranza da sé, entro nuovi modi di pensarsi nel proprio territorio, per uscire dall’usura, per ridare forza alle strutture educative, per innestarsi nelle relazioni umane. E’ ancora fede che si fa cultura se è vero come abbiamo detto sopra, che la carità e forma della fede.

* la consapevolezza che si deve tradurre ogni pensiero, ogni contenuto della fede in un linguaggio laico, in un linguaggio che ha la persona umana al centro dell’attenzione. Bisogna diffidare delle comunicazioni semplicemente cristiane. Il pensiero sociale della Chiesa è tutto traducibile in linguaggio laico. E’ in voga purtroppo una sorta di fondamentalismo che non si applica seriamente a ridire con linguaggio laico le grandezze della fede in Gesù. E’ una scorciatoia che, se da una parte aiuta a sentirsi a posto in coscienza, perché siamo stati capaci di dire con coraggio la nostra fede, dall’altra lascia l’uomo solo ad affrontare il delicato momento del dirsi della fede nella sua vita, nelle sue fatiche quotidiane, nella pressione degli eventi, nei problemi che rimangono spesso aperti non solo per tutta una vita, ma anche per stagioni di storia.

Il nostro cuore è indurito

Gesù fa però anche un’altra domanda, chiama in causa non solo l’intelligenza, ma anche il cuore, anche la capacità di lasciarsi coinvolgere in una  esperienza di dono. Cuore, nel nostro modo di dire è termine che significa amore, dono, l’offerta di tutta la persona. E’ necessario per la completezza di una adesione di vita. Non basta l’intelligenza, occorre la capacità di amare. Gesù fa una domanda che suona come un rimprovero, che ci mette al muro: avete il cuore indurito? Sclerocardia è l’indurimento: sclerosi del cuore. E’ lì bloccato come una pietra. Che cosa può esprimere un pezzo di pietra se non la durezza di una vita che sta altrove, che non si commuove per niente, che non comanda al viso nemmeno un sorriso, alle mani una stretta d’accoglienza, al corpo uno slancio di dedizione? Chi ha il cuore indurito per eccellenza nell’Antico Testamento è il faraone, il padrone dell’Egitto, colui che tiene prigioniero il popolo, che lo sfrutta, che non bada a sofferenze, che calcola il  numero dei mattoni, che comanda la morte dei neonati, che si mette contro Dio, contro il suo piano di salvezza (cfr Es 4, 21). Alla fine di ogni piaga che ritma le speranze e delusioni del popolo di Israele che vuol uscire dall’Egitto c’è un ritornello: il cuore del faraone è ostinato nella sua durezza di cuore. Il salmo 4 dice:  Fino a quando, o uomini, sarete duri di cuore? Perché amate cose vane e cercate la menzogna? Nel vangelo di Matteo (13, 15) si richiamano le parole di Isaia : Voi udrete, ma non comprenderete,  guarderete, ma non vedrete.  Perché il cuore di questo popolo  si è indurito. Ezechiele (2,4) dice:  Quelli ai quali ti mando sono figli testardi e dal cuore indurito.

Lo stesso Marco (6,52) appena dopo la moltiplicazione dei pani, nelle stesse condizioni, sulla barca, nella fatica di reggerla col vento contrario, con Gesù che cammina sulle acque e viene in loro aiuto, ancora dice: Ed erano enormemente stupiti in se stessi, perché non avevano capito il fatto dei pani, essendo il loro cuore indurito.

Insomma Gesù nella sua infinita sapienza e bontà continua a chiedere agli apostoli di aprire il cuore, di mettersi in una condizione di amore, di dono, di accoglienza, di apertura.

Lasciati andare, smollati, vieni giù dalle tue sicurezze, fidati, fa un passo, rischia, dona la tua vita, smettila di stare sulle tue, apriti alla vita, buttati nell’avventura dell’amore, esci dal tuo comodo loculo…Se vi sarà in mezzo a te qualche tuo fratello che sia bisognoso in una delle tue città del paese che il Signore tuo Dio ti dá, non indurirai il tuo cuore e non chiuderai la mano davanti al tuo fratello bisognoso (Deut 15, 7)

A questo cuore indurito serve una cardioterapia, fatta di preghiera, di ascolto della Parola, di relazioni umanissime e di scuola d’amore. La famiglia, l’amicizia, l’innamoramento, il fidanzamento sono tutte cardioterapie se hanno al centro l’amore fino all’ultima goccia di Gesù. Questi apostoli hanno bisogno di una full immersion nel cuore di Gesù. La faranno, ma prima verrà la passione

Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite ?

Sono domande che Gesù fa usando letteralmente le parole dei profeti

Is 6, 9-10 Ascoltate pure, ma senza comprendere,
osservate pure, ma senza conoscere.
Rendi insensibile il cuore di questo popolo,
fallo duro d’orecchio e acceca i suoi occhi
e non veda con gli occhi
né oda con gli orecchi
né comprenda con il cuore
né si converta in modo da esser guarito”.

Ger 5, 21 “Questo dunque ascoltate,
o popolo stolto e privo di senno,
che ha occhi ma non vede,
che ha orecchi ma non ode.

Ez 12, 12 Il principe, che è in mezzo a loro si caricherà il bagaglio sulle spalle, nell’oscurità, e uscirà per la breccia che verrà fatta nel muro per farlo partire; si coprirà il viso, per non vedere con gli occhi il paese.

Nei discepoli si verifica un’altra volta e chissà per quante volte ancora il dramma dell’antico popolo, dell’uomo che continua a fuggire la premura di Dio, che snobba il suo amore, che chiude gli occhi davanti all’evidenza, che si chiude in se stesso, che butta fuori Dio dalla vita. Gesù si mette così nella linea dello struggente amore di Dio per l’umanità e vuol far capire agli apostoli che in questa azione di assoluta misericordia si vuol collocare.

Gesù si manifesta come colui che realizza il piano di Dio, pensato da secoli, come poi San Paolo cercherà di annunciare a tutti i pagani.

Allora la storia di questi discepoli è la nostra storia, le loro difficoltà sono le nostre, le loro chiusure sono le nostre autosufficienze, i loro dubbi sono i nostri rifiuti a seguire Gesù.

E non vi ricordate….

E’ utile dare risalto anche a questo verbo che spesso torna nelle Sacre Scritture; un verbo legato alla memoria, che per la bibbia non è il riportarsi a cose passate, ma a un fatto vivo e attualmente operante. Così è la memoria della Pasqua, così è l’Eucaristia che è memoria, memoriale della morte e Risurrezione di Gesù, così sono tutti i gesti sacramentali.

Gli apostoli se vorranno fare parte di un nuovo modo di vivere la vita e il rapporto con Dio dovranno esercitare e confrontarsi continuamente con questo significato di memoria. Non siamo cultori di diari, di musei, non siamo antiquari o specialisti del mercato delle pulci dove puoi trovare pezzi antichi a basso prezzo, ma siamo ricostruttori di vita vera, riproduttori di gesti autentici di salvezza, li riviviamo, non li togliamo dalla formalina per guardarli o dall’antitarme per metterli in mostra. L’Eucaristia è qui, è oggi spezzare il pane che è la vita, la morte e la risurrezione di Gesù. Vengono ricordate le sette sporte, le dodici ceste: sono ancora le sporte e le ceste del pane eucaristico che viene spezzato ogni giorno, ogni domenica nell’Eucaristia per i fedeli di oggi. Si dice due volte “pezzi di pane”, perché l’Eucaristia è proprio pane spezzato, fatto in pezzi. L’intento degli evangelisti è chiarissimo e noi oggi ancora viviamo questa gioia di avere tra noi il pane che è Gesù.

E disse loro: “Non capite ancora? ”

Il brano di vangelo termina con un’altra domanda ancora, con una infinita serie di punti interrogativi, di inviti a cambiare testa, a entrare in un altro ordine di idee, di atteggiamenti, di conoscenza di Gesù. Dobbiamo decidere di affidarci interamente a Gesù. E’ tempo di accorgerci della nostra durezza di cuore, di risvegliarci nella verità. Questo brano di vangelo ci dice la forza e l’impegno che esige sempre la lettura della Parola di Dio; è una lettura che continuamente ci provoca, non è fatta per far riposare le orecchie, ma per far cantare il cuore.

Così mi immagino che dicessero tra di loro gli apostoli:

Siamo su quella barca e stiamo riprendendo il cammino con Gesù; è stato veramente emozionante partecipare alle moltiplicazioni dei pani, ma ci siamo fermati al livello dello stomaco. Ci siamo riempiti la pancia, e capivamo a fatica che non erano espedienti per soccorrere la fame di cibo della gente. Noi euforici di questo potere abbiamo avvertito in Gesù una certa tensione. Dopo la prima moltiplicazione ci ha quasi obbligati a metterci in barca per cambiare aria. Ci aveva visti troppo attaccati al successo, non voleva che ci lasciassimo prendere la mano da un eventuale potere e già lì ci ha detto che avevamo un cuore duro. Ma perché?

Poi un’altra moltiplicazione e ci siamo ancora meravigliati. Ancora un altro spostamento in barca, con un solo pane. Non ci eravamo accorti che quel pane era per noi solo Gesù. Non capivamo, Ci ha fatto un fuoco di fila di domande, ci sembrava perfino impaziente. Ci ha detto che abbiamo il cuore malato, duro come una pietra. Ci ha riportato alla storia dei nostri padri che hanno spesso voltato le spalle a Dio. Volete abbandonare Dio anche voi? Volete capire che questo pane sono io, il senso della vita sono io, il Dio che ha fatto cielo e terra si fa incontrare da me?

Gli avremmo creduto pienamente più tardi, quando dopo quell’ultima cena, abbiamo toccato con mano la sua tristezza, ma anche la sua volontà incrollabile di dono fino alla fine, il suo essere pronto a dare la vita volontariamente. Quella sera ci ha fatto capire che nessuno lo stava consegnando anche se lo tradiva o ingannava, nessuno lo stava prendendo con inganno, ma si offriva lui. Da sempre aveva aspettato quel momento. Quel pane oggi per noi è ancora la sua presenza, Lui nella pienezza del dono di sé e sarà sempre la nostra forza, sarà al centro della nostra preghiera, lo contempleremo in adorazione ininterrotta.

L’uomo non vive di solo benessere

Pubblichiamo il testo dell’omelia tenuta dal cardinale Ennio Antonelli, già presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, nella Messa per il V Pellegrinaggio nazionale delle famiglie per la famiglia, celebrata a Napoli in Piazza Dante prima della serata dedicata alle Dieci Piazze.

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Grazia e pace e ogni bene a tutti voi e alle vostre famiglie dal Signore nostro Gesù Cristo!

Siamo qui riuniti per partecipare al bellissimo progetto “10 Piazze per 10 Comandamenti”. Sono incontri di festa, ed è giusto che sia così perché per i Comandamenti di Dio, per la legge di Dio, bisogna essere grati, bisogna far festa. È una legge di libertà, una legge di amore, una legge per la vita, per la vita umana autentica, per la vita buona, per la vita personale, per la vita sociale. È giusto far festa: dice la parola di Dio stessa nel Salmo 118 che i precetti del Signore fanno gioire i cuori. Certo, si rattristano anche quando non li osserviamo con piena responsabilità, e allora la coscienza ci rimprovera, ma di per sé sono per la vita, sono per la gioia, sono per la felicità, adesso e nell’eternità.

Oggi siamo qui per celebrare, per festeggiare il quarto Comandamento, “Onora il padre e la madre”, un Comandamento che riguarda la vita familiare. E questo nostro incontro inizia con la liturgia della 24ª domenica del Tempo ordinario. Le Letture come messaggio principale ci presentano la dinamica, la logica, l’orientamento di fondo della vita di Gesù e della vita vera cristiana. È la logica dell’amore inteso come dono di sé, come dedizione a Dio e agli altri. Questa logica dell’amore e della carità conferma, assume i Comandamenti e li porta a perfezione, in un certo senso li trascende. Quindi è molto adatto questo messaggio per questo incontro che stiamo celebrando. Abbiamo ascoltato dal Vangelo l’importante dialogo tra Gesù e i discepoli a Cesarea di Filippi. Questo dialogo si colloca nel momento centrale della vita pubblica di Gesù. Il momento della cosiddetta svolta di Gesù: fino a quell’ora il Signore si era dedicato soprattutto alle folle, alle masse. Da allora in poi si dedica soprattutto ai discepoli, ovviamente senza trascurare le folle.

Ma c’è una svolta piuttosto evidente nei racconti evangelici. Gesù aveva compiuto molte guarigioni, aveva mostrato la potenza di Dio, la misericordia di Dio. La gente lo aveva seguito in massa, con entusiasmo, piena di meraviglia per quello che lui compie, piena di speranza per il futuro e si domandava: «Chi è mai costui? Chi è quest’uomo così potente, così buono?». E dava diverse interpretazioni, risposte. Qualcuno diceva: «È Giovanni Battista che Erode ha fatto decapitare e che è risuscitato dai morti», qualcun altro diceva: «È Elia», il profeta che secondo l’Antico Testamento era stato tratto in Cielo sul carro di fuoco e secondo l’aspettativa della gente doveva ritornare nei tempi del Messia. Comunque dicevano: «È un profeta, è un grande profeta che è sorto tra di noi». Ma Gesù dice ai discepoli: «Ma voi chi dite che io sia?», e Pietro a nome di tutti dice: «tu sei il Cristo, tu sei il Messia». Gesù accetta questa professione di fede di Pietro ma nello stesso tempo ordina severamente di non dirlo in giro alla gente, di non dirlo a nessuno: «Sì, sono il Messia ma non lo dite».

Perché questo? Perché la gente, i discepoli stessi avevano una falsa immagine del Messia, si aspettavano un re trionfatore, un re che guidasse la rivolta del popolo contro i Romani, che liberasse il popolo dall’oppressione dell’Impero romano, che portasse la libertà e il benessere, che inaugurasse un regno potente, facesse di Gerusalemme il centro del mondo. Quelle che la gente nutriva erano speranze terrene di gloria e di grandezza, Gesù invece è il Messia in un senso completamente diverso. Si rivolge ai discepoli e dice che il Figlio dell’Uomo deve essere rifiutato, respinto dalle autorità della nazione, deve essere perseguitato, oltraggiato, umiliato, suppliziato, ucciso, e poi risusciterà. I discepoli rimangono profondamente disorientati, sbalorditi: «ma che sta dicendo?», e Pietro a nome di tutti lo tira in disparte e dice: «Ma che dici? Non ti deve assolutamente succedere quello che stai dicendo». Pietro rimprovera Gesù, ma Gesù a sua volta rimprovera Pietro, come avete sentito: «Va’ dietro di me, satana, non pretendere di andarmi davanti e di dirmi tu quello che bisogna fare. Vieni dietro a me, a te spetta seguirmi, va’ dietro di me o tentatore, perché tu non pensi secondo Dio ma secondo gli uomini, secondo gli interessi, la mentalità terrena degli uomini».

E poi Gesù, non contento di questo, raduna la folla e dice: «Non pensate che seguirmi sia una passeggiata, una marcia trionfale. Se qualcuno vuol venire dietro me, vuol essere mio discepolo, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuol salvare la propria vita la perderà ma chi perderà la propria vita a causa mia e del Vangelo la salverà». È un discorso difficile per la gente, difficile per gli stessi discepoli, persino per Pietro.

È questa la “svolta di Galilea”: da allora in poi le folle cominciano ad abbandonarlo, non lo capiscono più, rimangono profondamente deluse. Gesù parla di «chi perderà la propria vita a causa mia e del Vangelo», cioè chi dona la propria vita per amore, facendo della sua vita un dono, un dono al regno di Dio, a Dio e agli altri. E questo naturalmente costa anche sacrificio, bisogna portare la croce per questo. Ma chi imparerà a donare la sua vita, anche col sacrificio, questi la ritroverà, non perde in realtà la vita, la acquista, la rende autentica, piena, trova la felicità già adesso e poi nell’eternità. È questa l’esperienza che fanno tutti i veri cristiani: il centuplo già adesso e poi la vita eterna.

Ma è un discorso difficile, contrario alla mentalità spontanea, all’interesse immediato, al piacere immediato, alla miopia delle nostre vedute umane, dell’opinione pubblica. E quindi bisogna avere il coraggio di credere sul serio a Gesù, di prenderlo sul serio e di andare controcorrente. Gesù ci assicura che non è una speranza solo nel futuro: adesso soffri e solo dopo la morte, troverai… anche subito! C’è un altro detto di Gesù: c’è più gioia a dare che a ricevere. Non c’è gioia solo nel seguire la propria soddisfazione o nella propria gratificazione, interesse, bene immediato; ma c’è gioia anche a donare, provare per credere! Lo sanno le mamme per esempio, in famiglia, quando con amore fanno dei grossi sacrifici ma si sentono anche interiormente contente perché stanno facendo qualcosa di bello per i loro figli, lo stanno facendo per la loro famiglia. C’è più gioia a dare che a ricevere, già adesso: questo vale per tutta la vita cristiana, e in particolare per la vita di famiglia.

Benedetto XVI, nella sua prima Enciclica Deus caritas est, dice che l’amore coniugale vero è sintesi di eros e agape, è sintesi di amore e desiderio, di ricerca della propria soddisfazione – giusto e umano anche questo – ma sintesi con la dedizione e l’impegno per il bene dell’altro coniuge. Quindi l’amore-desiderio deve essere unito con l’amore-dono. E allora l’amore-desiderio non è più egoismo, ma viene nobilitato, diventa pieno, autentico amore. E questo è anzitutto amore reciproco tra i coniugi, l’uno per l’altro, e poi è amore comune dei genitori verso i figli, dedizione ai figli, con la procreazione, con la cura e con l’educazione. Questo comporta sacrificio, la croce: Gesù lo dice chiaramente, non ci inganna.

Comporta tanti sacrifici, piccoli e grandi, nelle varie circostanze della vita, quasi ogni giorno, ma porta anche una gioia autentica nella misura in cui riusciamo a vivere coerentemente questa logica dell’amore che è sintesi dieros e agape. A Milano, nel recente Incontro mondiale delle famiglie, è stata presentata una ricerca sociologica “La famiglia, risorsa della società”. Sono stati confrontati diversi modelli, diverse forme di famiglia o para-famiglia – oggi c’è molta fantasia nella società e nella cultura – ed è risultato che le famiglie “normali”, quelle che poi sarebbero anche nelle aspirazioni della gran parte della gente, compresi i giovani, le famiglie normali cioè uomo e donna uniti in matrimonio, con due o più figli, sono le più felici, le meno lamentose, le più coraggiose nell’affrontare la vita, le più generose. Sono più felici e più stabili, perché tra l’altro i figli sono un rafforzamento del legame dei coniugi stessi; sono più pro-sociali, cioè più aperte, più attente, più disponibili, più impegnate anche verso la società, verso le altre famiglie, verso i problemi dei poveri, verso la società in generale. Sono famiglie anche mediamente più povere, questo è significativo, perché non sono sostenute anzi sono penalizzate sia dallo Stato sia dal mercato, e quindi sono mediamente più povere, ma sono più felici.

Cosa significa questo? L’uomo non vive di solo benessere, l’uomo non vive di beni materiali soltanto: vive soprattutto di relazioni buone, e quando c’è la ricchezza di relazioni c’è anche la gioia, il gusto di vivere. E allora ecco, le famiglie che hanno due o più figli hanno ricchezza di relazioni, magari minore ricchezza di beni materiali, ma maggior ricchezza di relazioni. E quindi sono anche l’ambiente più adatto per la crescita umana di tutti i membri, dei figli innanzitutto ma anche degli adulti stessi, sono la scuola più vera, più autentica di umanità, e portano anche un maggiore benessere alla società. Viceversa, la povertà di relazioni crea infelicità e danni alle persone e alla società. Nello stesso libro in cui è stata pubblicata questa ricerca c’è anche uno studio dei dati sociologici, disponibili nel mondo già da tempo, una ricerca di sfondo: i figli, i giovani che crescono senza la figura paterna o con la madre soltanto o con nessuno dei due genitori, negli Stati Uniti sono il 90% dei senza casa, gli sbandati; il 72% degli omicidi, l’85% dei carcerati, il 60% degli stupratori.

Notate quanti danni alle persone e alla società vengono fuori quando la famiglia non c’è o non funziona? In Francia, l’80% dei ricoverati in psichiatria sono persone che sono cresciute in una famiglia incompleta o sfasciata, inesistente. In generale, , i giovani che crescono con un solo genitore, hanno doppia probabilità di diventare delinquenti rispetto agli altri che crescono in una famiglia normale. Questo per quanto riguarda i figli. Ma anche per gli anziani non va bene. Gli anziani che non hanno avuto figli, che non li hanno voluti soprattutto – se non sono venuti non è colpa di nessuno – vanno incontro alla solitudine. La mancanza di figli, la scarsità di figli genera solitudine per gli anziani e la solitudine è una grande povertà.

Dice Madre Teresa di Calcutta, che di povertà se ne intendeva, che è più grave, fa soffrire di più la povertà della solitudine che non quella della miseria dei Paesi poveri. E lei diceva spesso che i Paesi del benessere, in realtà, sono più poveri dei Paesi sottosviluppati, più poveri di umanità e anche di gusto di vivere – e questo non ci vuole molto a rendersene conto se si va in un Paese dell’Africa, per esempio si vedono tanti bambini che sono festosi, gioiosi, non hanno niente eppure sembra che abbiano tutto.

E poi la de-natalità, la mancanza di figli, prepara un futuro molto rischioso per gli anziani, mette a rischio l’economia, lo Stato sociale, le pensioni, l’assistenza degli anziani: in un futuro non lontano il trend è questo. È chiaro che la famiglia normale, quella di due o più figli con una coppia stabile di coniugi, la famiglia cosiddetta normale è la famiglia che è un grande bene per tutti, per le persone e per la società. In fondo è quel tipo di famiglia che il Comandamento di Dio vuole sostenere: “Onora il padre e la madre”, e viceversa i genitori sono i primi che devono dedicarsi seriamente ai figli, l’amore deve essere nelle due direzioni e innanzitutto deve partire dai genitori verso i figli.

Mi pare che queste statistiche presentate a Milano confermino la validità dei Comandamenti di Dio, confermino che i Comandamenti di Dio sono per la vita, per la vita buona già adesso: non solo per il futuro, per l’eternità, ma già adesso, per la vita buona delle persone, per la vita buona della società. E quindi mi pare davvero giusto e bello che noi facciamo festa, che festeggiamo, celebriamo i Comandamenti di Dio e in particolare il quarto Comandamento nell’incontro di oggi.