Messaggio per l’insegnamento della religione cattolica nell’anno scolastico 2013-2014

Cari studenti e genitori, 

nelle prossime settimane sarete chiamati a esprimervi sulla scelta di avvalersi dell’Insegnamento della religione cattolica (Irc). 
L’appuntamento si colloca in un tempo di crisi che investe la vita di tutti. Anche la scuola e i contesti educativi, come la famiglia e la comunità ecclesiale, sono immersi nella medesima congiuntura. Noi Vescovi italiani, insieme e sotto la guida di Benedetto XVI, animati dallo Spirito Santo che abita e vivifica ogni tempo, vogliamo ribadire con convinzione che la «speranza non delude» (Rm 5,5). 
Sono proprio i giovani – ricorda a tutti il Santo Padre – che «con il loro entusiasmo e la loro spinta ideale, possono offrire una nuova speranza al mondo… Essere attenti al mondo giovanile, saperlo ascoltare e valorizzare, non è solamente un’opportunità, ma un dovere primario di tutta la società, per la costruzione di un futuro di giustizia e di pace. Si tratta di comunicare ai giovani l’apprezzamento per il valore positivo della vita, suscitando in essi il desiderio di spenderla al servizio del Bene» (BENEDETTO XVI, Messaggio per la XLV Giornata Mondiale della Pace, 8 dicembre 2011). 
Noi Vescovi vogliamo anzitutto ascoltare le domande che vi sorgono dal cuore e dalla mente e insieme con voi operare per il bene di tutti. Lo abbiamo fatto nel redigere le nuove indicazioni per l’Irc nella scuola dell’infanzia, del primo e del secondo ciclo, con l’impegno di sostenere una scuola a servizio della persona. Siamo persuasi, infatti, che la scuola sarà se stessa se porterà le nuove generazioni ad appropriarsi consapevolmente e creativamente della propria tradizione. L’Irc, oggi come in passato, aiuterà la scuola nel suo compito formativo e culturale facendo emergere, “negli” e “dagli” alunni, gli interrogativi radicali sulla vita, sul rapporto tra l’uomo e la donna, sulla nascita, sul lavoro, sulla sofferenza, sulla morte, sull’amore, su tutto ciò che è proprio della condizione umana. I giovani domandano di essere felici e chiedono di coltivare sogni autentici. L’Irc a scuola è in grado di accompagnare lo sviluppo di un progetto di vita, ispirato dalle grandi domande di senso e aperto alla ricerca della verità e alla felicità, perché si misura con l’esperienza religiosa nella sua forma cristiana propria della cultura del nostro Paese. 
Cari genitori, studenti e docenti, ci rivolgiamo a voi consapevoli che l’Irc è un’opportunità preziosa nel cammino formativo, dalla scuola dell’infanzia fino ai differenti percorsi del secondo ciclo e della formazione professionale, perché siamo convinti che si può trarre vera ampiezza e ricchezza culturale ed educativa da una corretta visione del patrimonio cristiano-cattolico e del suo peculiare contributo al cammino dell’umanità. 
Riteniamo nostro dovere di Pastori ricordare, a tutti coloro che sono impegnati nel mondo della scuola, le parole del Papa per questo Anno della fede: «Ciò di cui il mondo oggi ha particolarmente bisogno è la testimonianza credibile di quanti, illuminati nella mente e nel cuore dalla Parola del Signore, sono capaci di aprire il cuore e la mente di tanti al desiderio di Dio e della vita vera, quella che non ha fine» (BENEDETTO XVI, Porta fidei, n. 15). 

Roma, 26 novembre 2012
PRESIDENZA DELLA CEI

  Messaggio IRC 2013-2014.pdf

“Quella porta ci è necessaria”

Il libro? “Un commento alla vita pubblica, capace di porre sul tavolo dell’agenda pubblica i temi fondamentali”, anche quando “non sono argomento che faccia guadagnare voti”, dalla “crisi demografica” alla “persecuzione dei cristiani in tante parti del mondo”. Un libro scritto con uno “stile che corre”, dove “l’esperienza vissuta è la parte forte”.
Nel suo intervento – in occasione della presentazione del libro La porta stretta del Card. Angelo Bagnasco, avvenuta giovedì 24 gennaio a Roma (Auditorium, Via delle Conciliazione, 4) – il Prof. Weiler ha evidenziato come il valore del testo si riconduca, innanzitutto, al suo essere “una voce chiara sui problemi cruciali che attraversano il Paese”, affrontati con la lucidità dell’uomo di ragione, che si fa ascoltare con la forza dell’argomentazione. Nelle sue pagine – ha spiegato il docente americano – “si riconosce il cuore della Chiesa, vicina alla gente travagliata dalla crisi economica” e, insieme, attenta a interpretare quest’ultima come “una crisi più profonda”, che tocca l’umano. Ancora: da credente ebreo, Weiler ha valorizzato come il Cardinale, nel suo rivolgersi ai fedeli, richiami la categoria della santità, misura che va ben oltre il “fare bene” dell’etica, pur indispensabile.
“Passare per la porta stretta” significa “proporre una parola autorevole anche su questioni che attengono all’ordine sociale e politico, quando sono in gioco i valori fondanti della convivenza civile e la stessa fedeltà al Vangelo spinga a non rimanere muti”. Lo ha detto il card. Tarcisio Bertone, parafrasando il titolo del volume. La Chiesa – ha aggiunto – “non rinuncia a prendere posizione per quanti si impegnano concretamente in vista dei veri interessi della comunità e dell’essere umano, nell’integralità dei suoi diritti e dei suoi doveri, personali, familiari e sociali”.
“Tra il portone spalancato della distrazione e della latitanza, volto a raccogliere il plauso di chi si attende dai Pastori della Chiesa poco più di una rituale benedizione che anestetizzi le coscienze, e la porta dell’ingerenza miope – ha concluso il Segretario di Stato – c’è la porta stretta di una responsabile presenza nella società e nella cultura italiana, che intende solo servire la verità e promuovere la collaborazione in uno spirito di ordinata concordia, che, nella fedeltà al Vangelo, si offre a tutti quale stimolo e proposta alta, quale terreno fertile di confronto e di dialogo rispettoso, senza sconti facili e senza zone franche dal giudizio e dal discernimento”.
Il volume del card. Bagnasco, per il Card. Bertone, “ben documenta questa benefica presenza e questo approccio forte, pacato e determinato, in vista del bene comune”.
“Grazie per la critica costruttiva che attraversa le Sue analisi, che, anche quando denunciano lacune e ritardi, mai indulgono in giudizi o in previsioni catastrofiche – ha sottolineato Mons. Crociata nel suo saluto introduttivo –; grazie perché ci richiama costantemente alle responsabilità che abbiamo rispetto a questo tempo e a questa società, provocandoci a un sano recupero della nostra grande tradizione religiosa, in un contesto di dialogo con l’uomo contemporaneo; grazie, infine e soprattutto, perché non si stanca di ricordarci e di testimoniarci il primato di Dio e dell’incontro con Gesù Cristo, chiave della vita di fede come della missione della Chiesa”.
Il Segretario Generale della CEI si è rivolto al Card. Bagnasco evidenziando che “nella cultura dalle mille possibilità indifferenziate, la voce della Chiesa in Italia, che si esprime attraverso la Sua voce e la Sua persona, ricongiunge al respiro di quella Verità che rende liberi”.
Nel suo ringraziamento, il card. Bagnasco ha spiegato perché la “porta stretta” della fede “ci è necessaria”. “Essa – ha detto – è sempre aperta e attende di essere attraversata da noi e da quanti con noi scoprono che solo in Gesù Cristo vi è la certezza per guardare il futuro e la garanzia di un amore autentico e duraturo”, come scrive il Papa in “Porta fidei”.
“Dobbiamo tornare ad avere uno sguardo ampio sulla realtà – ha concluso – che si lasci ispirare dalla ragione certamente, ma da una ragione ‘allargata’, cioè anche da altre istanze che contribuiscono allo sviluppo integrale della persona umana. È quanto la Chiesa intende fare con la sua presenza che non è motivata da secondi fini”.
  

Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani

Come è tradizione della Società Biblica in Italia, anche quest’anno 2013 sono offerti alla meditazione dei Cristiani alcuni testi biblici appositamente scelti da un gruppo internazionale ecumenico composto da rappresentanti del Consiglio Ecumenico delle Chiese e del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani.

Quest’anno la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani ci invita a riflettere sull’importantissimo e ben noto testo del profeta Michea: “Quale offerta porteremo al Signore, al Dio Altissimo, quando andremo ad adorarlo? Gradirà il Signore migliaia di montoni e torrenti di olio? Gli daremo in sacrificio i nostri figli, i nostri primogeniti per ricevere il perdono dei nostri peccati? In realtà il Signore ha insegnato agli uomini quel che è bene quel che esige da noi: praticare la giustizia, ricercare la bontà e vivere con umiltà davanti al nostro Dio” (6, 6-8).

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Opuscolo 2013

La settima parola: “non commettere adulterio”

Nel cammino di fraterno dialogo e stima tra la Chiesa in Italia e il Popolo ebraico, l’incontro tra il Papa e la Comunità ebraica di Roma nel Tempio Maggiore, il 17 gennaio 2010, ha suggellato positivamente le tappe fin qui percorse, indicando nuovi obiettivi, mostrando di voler andare oltre turbolenze e incertezze che hanno talora suscitato dubbi sull’effettiva consistenza del dialogo cristiano-ebraico odierno.
Nella sua visita alla Sinagoga di Roma Benedetto XVI, ha voluto sottolineare in maniera ancora più chiara quanto aveva già affermato nella sinagoga di Colonia sulla comune responsabilità che gli ebrei e i cristiani hanno di fronte alle “Dieci parole”: «In particolare il Decalogo – le “Dieci Parole” o Dieci Comandamenti (cfr Es 20,1-17; Dt 5,1-21) – che proviene dalla Torah di Mosè, costituisce la fiaccola dell’etica, della speranza e del dialogo, stella polare della fede e della morale del popolo di Dio, e illumina e guida anche il cammino dei Cristiani. Esso costituisce un faro e una norma di vita nella giustizia e nell’amore, un “grande codice” etico per tutta l’umanità. Le “Dieci Parole” gettano luce sul bene e il male, sul vero e il falso, sul giusto e l’ingiusto, anche secondo i criteri della coscienza retta di ogni persona umana. Gesù stesso lo ha ripetuto più volte, sottolineando che è necessario un impegno operoso sulla via dei Comandamenti: “Se vuoi entrare nella vita, osserva i Comandamenti” (Mt 19,17)».
In questa prospettiva, sono vari i campi di collaborazione e di testimonianza che si aprono davanti a ebrei e cristiani, uniti da comuni aspirazioni.
Vorremmo ricordarne tre particolarmente importanti per il nostro tempo.
 

Per una pastorale della proposta di fede

Si è svolto giovedì 10 e venerdì 11 gennaio a Roma, il seminario “Verso orientamenti condivisi”, organizzato dalla Commissione Episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi (CEDAC).
La Commissione ha programmato una serie di seminari per la verifica ed il rilancio della catechesi in Italia (Orientamenti pastorali 2010-2020, “Educare alla vita buona del Vangelo”, n. 54a) nel cammino verso un “documento condiviso” per il rinnovamento di percorsi e strumenti.
Il programma dei lavori è stato aperto giovedì dall’introduzione di S.E. Mons. Marcello Semeraro, Vescovo di Albano e Presidente della CEDAC, che ha evidenziato il percorso che, nella mutata situazione odierna, richiede non una riscrittura del Documento di Base, ma appunto “orientamenti condivisi” che confermino quel documento che rimane la magna carta della catechesi. Ad essere interpellata è la Chiesa nella sua valenza di comunità missionaria, che evangelizza passando a una pastorale della proposta di fede.
La catechesi, è stato evidenziato, rimane uno snodo essenziale della vita delle comunità cristiane, sia nella linea della formazione cristiana degli adulti, che dell’iniziazione cristiana dei ragazzi e di una proposta che si fa annuncio nei diversi ambiti di vita delle persone.
A Mons. Semeraro sono seguite due relazioni, affidate a Mons. Valentino Bulgarelli, catecheta e Direttore dell’Ufficio Catechistico della diocesi di Bologna (“15 anni di catechesi in Italia: indicazioni e orientamenti dal Direttorio Generale della Catechesi ad oggi”), e a Mons. Paolo Sartor, Responsabile del Settore catecumenato dell’Ufficio Catechistico Nazionale (“Il Vangelo della vita buona nella catechesi. Sintesi dei contributi inviati all’UCN in vista degli Orientamenti sulla catechesi”).
 
Venerdì 11 gennaio, alle 8, S. E. Mons. Mariano Crociata, Segretario Generale della CEI, ha presieduto la celebrazione dell’Eucaristia. Alle 9.15 Don Guido Benzi, Direttore dell’Ufficio Catechistico Nazionale, ha introdotto i gruppi di lavoro sulle relazioni del giorno precedente. Nel pomeriggio, si è tenuta la tavola rotonda, dal titolo: “Tre prospettive di contenuto in vista degli Orientamenti: comunità missionaria, formazione e iniziazione”, alla quale hanno partecipato il Prof. Don Pio Zuppa, catecheta e pastoralista della Facoltà Teologica Pugliese, la Prof.ssa Chiara Giaccardi, pedagogista ed esperta del mondo della comunicazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, la Prof.ssa Maria Teresa Stimamiglio, formatrice dei catechisti della Diocesi di Padova, e don Giuseppe Nevi, Parroco nella Diocesi di Cremona. Ha concluso i lavori S.E. Mons. Semeraro.
         
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EPIFANIA DEL SIGNORE

Prima lettura: Isaia 60,1-6

 

 Àlzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te. Poiché, ecco, la tenebra ricopre la terra, nebbia fitta avvolge i popoli; ma su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te. Cammineranno le genti alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere. Alza gli occhi intorno e guarda: tutti costoro si sono radunati, vengono a te. I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio. Allora guarderai e sarai raggiante, palpiterà e si dilaterà il tuo cuore, perché l’abbondanza del mare si riverserà su di te, verrà a te la ricchezza delle genti. Uno stuolo di cammelli ti invaderà, dromedari di Màdian e di Efa, tutti verranno da Saba, portando oro e incenso e proclamando le glorie del Signore.

 

v Per la solennità dell’Epifania la liturgia sceglie un inno dalla terza parte del libro di Isaia. Quest’inno risale alla fine del VI secolo a. C. Esso si rivolge alla città di Gerusalemme, che viene personificata. La pericope liturgica contiene e presenta solo l’inizio (vv. 1-6) dell’inno.

     «Rivestiti di luce» (v. 1). Tutta la lettura è posta sotto il segno della luce. Nel primo versetto si ripetono le espressioni «luce» e «brilla»; nel secondo troviamo la coppia di concetti opposti alla luce, «nebbia» e «tenebre»; nel terzo appaiono tre termini relativi alla luce; nel quarto sono messi in risalto gli occhi, fatti per percepire la luce; nel quinto, Gerusalemme è presentata come città raggiante, piena di raggi e di luce. Oltre a tutto questo, Gerusalemme è salutata come città-madre (in greco si direbbe «metropolis»), madre di figli e figlie (v. 4).

— «Si riverserà su di te» (v. 5). Ecco un’altra immagine tematizzata nell’inizio dell’inno: l’affluire, l’invasione di re, nazioni, figli, figlie, popoli, cammelli… Si riversano a Gerusalemme come il mare; portano ricchezze, oro, incenso ed annunziano le lodi del Signore (v. 5-6).

— «La gloria del Signore» (vv. 1 e 2). La luce, deriva da questa gloria del Signore, e la lode di essa è sulla bocca di tutta l’immensa moltitudine, che con i suoi doni affluisce a Gerusalemme per rendere omaggio.

— «I tuoi figli vengono da lontano» (v. 4). In questa imponente processione anche i figli di Gerusalemme fanno ritorno alla loro madre. Erano stati prigionieri, ma adesso vengono ricondotti a casa in corteo trionfale.

— Queste immagini meravigliose chiariscono il Vangelo odierno; i Magi che vengono dall’oriente con i loro doni in omaggio (oro, incenso e mirra) annunziano la lieta novella della nascita del Messia a Gerusalemme.

— L’inno presenta in forma nuova un antico tema profetico: il pellegrinaggio dei popoli verso Gerusalemme (Is 2,1-5; Mi 4,1-5), dove essi si radunano intorno al Signore, che rende loro giustizia e dona la pace.

 

Seconda lettura: Efesini 3,2-3a.5-6 

 Fratelli, penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro favore: per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero. Esso non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come ora è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: che le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo.

 

La lettura riproduce, in forma abbreviata, un passo al centro del quale l’Autore della lettera agli Efesini pone il concetto di «mistero» (che ricorre tre volte). Questo «mistero» sta ad indicare il piano nascosto ed i pensieri di Dio che sono inaccessibili all’uomo. Già a livello del rapporto tra uomini e uomini, i pensieri degli uni sono nascosti agli altri. A maggior ragione i piani di Dio sono impenetrabili per noi.

     Il piano nascosto di Dio. Egli lo rivela ai santi apostoli e ai profeti (tra cui si trova particolarmente Paolo, vv. 1-2 e 5).

— Contenuto centrale di questo piano salvifico è il Cristo (v. 4), per mezzo del quale tutti gli esseri umani, tanto i pagani quanto i Giudei, ottengono le promesse e l’eredità di Dio (v. 6). Il messia (cioè il Cristo) nel piano di Dio dev’essere non solo il re del popolo ebraico ma dovrà raccogliere per la salvezza tutti quanti gli uomini.

— Questa intelligenza delle sue decisioni. Dio l’ha resa manifesta per mezzo dello Spirito Santo e l’ha annunziata nel Vangelo. 

Vangelo: Matteo 2,1-12

 

 Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”». Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo». Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.

 Esegesi 

     Siamo nel quadro del Vangelo dell’infanzia narrato da Matteo (capitoli 1-2). L’annuncio di Cristo si svolge secondo due precise prospettive: da una parte, mostrare che già nei primi giorni di vita di Gesù si stanno compiendo le profezie dell’Antico Testamento, il che dimostra, specialmente ai cristiani di origine giudaica che l’avvento di Cristo compie le scritture e quindi s’inserisce profondamente nel piano di Dio; dall’altra parte, l’Evangelista ci tiene ad anticipare sin da ora l’origine e la dignità divina di Cristo, pur nelle umili condizioni di un bambino.

     In questo modo i fatti dell’infanzia costituiscono un abbozzo mirabile di teologia della storia della salvezza e di cristologia.

—    «Alcuni Magi… da oriente» (v. 1).

Il termine greco magoi sta propriamente a designare gli esponenti di una classe di gente colta esistente fra i Persiani. Qui esso va letto sullo sfondo della concezione universalistica della salvezza, presente già nell’Antico Testamento (vedi I Lettura) e rievocata da Matteo: in Gesù, Dio chiama tutti alla rivelazione della sua gloria, grandi e piccoli, ricchi e poveri, colti ed ignoranti…

— «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? » (v. 2).

La domanda evidenzia la dignità messianica del Bambino. Questa dignità è confermata dal riferimento alla stella («Abbiamo visto spuntare la sua stella») che va collegata con la profezia contenuta in Nm 24,17 (Una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele»).

Siamo venuti per adorarlo (v. 2).        

Il verbo «adorare» (in greco proskynéo) è ripetuto tre volte, nella lettura di oggi. Insieme ai doni offerti in omaggio (oro, incenso, mirra) sottolinea il superamento di una prospettiva puramente messianica, in quanto si riferisce alla dimensione divina e pasquale della persona di Gesù.

     In realtà, Matteo usa ripetutamente il verbo proskynéo, che esprime l’atteggiamento della comunità cristiana in preghiera e adorazione davanti al suo Signore risuscitato.

— «Il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme» (v. 3).

Davanti al Cristo si delinea il dramma della divisione degli spiriti e dell’ostilità dei cuori. Da una parte, la ricerca dei Magi, cioè dei popoli pagani, che approda all’incontro con Gesù coronato da gioia grandissima (v. 10) e dall’adorazione. Dall’altra, il turbamento di Erode e di tutta la capitale del popolo ebraico, e la ricerca attenta attraverso i testi delle Scritture (vv. 5-6) che approdano al progetto di sopprimere il bambino. Sin da ora il Cristo è posto come «segno di contraddizione». L’umanità è chiamata ad operare scelte decisive davanti a Lui.

 

Meditazione

 

     Il Figlio di Dio nasce nella notte, nel nascondimento di Betlemme, «l’ultima delle città principali di Giuda» (Mt 2,6), e secondo il racconto di Luca, che abbiamo ascoltato durante la Messa nella notte di Natale, la notizia della sua nascita non raggiunge inizialmente che pochi pastori, nei quali l’evangelista legge il simbolo dei poveri, dei piccoli, degli umili, capaci di riconoscere e accogliere la rivelazione di Dio. L’evangelo di Matteo, che ascoltiamo oggi nella solennità dell’Epifania, narra invece la sua manifestazione ai Magi, altro simbolo eloquente: nel loro cammino l’evangelista riconosce il compiersi del pellegrinaggio di tutte le genti verso Gerusalemme, così come era stato annunciato dai profeti. «Cammineranno le genti alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere. Alza gli occhi intorno e guarda: tutti costoro si sono radunati, vengono a te. I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio» (Is 60,3-5). È prezioso mantenere unite tanto la sottolineatura di Luca quanto quella di Matteo: la manifestazione (epifania) del Signore è per tutti i popoli, poiché – ci ricorda l’apostolo Paolo nella seconda lettura – «le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo» (Ef 3,6); nello stesso tempo, per riconoscere questa sua manifestazione, occorre avere il cuore dei poveri e degli umili. Come i pastori, ma anche come i Magi, i quali, se pure vengono presentati come dei sapienti o dei re, custodiscono comunque il cuore povero di chi sa mettersi in ricerca uscendo dalle proprie convinzioni e pregiudizi; il cuore umile di chi sa adorare, senza sottomettersi alla potenza di Erode, ma piegando le proprie ginocchia e offrendo i propri doni alla piccolezza e alla debolezza di un bambino, finalmente trovato insieme a sua madre.

     I Magi vengono da Oriente, che nella storia di Israele ha rappresentato spesso il luogo di provenienza di invasioni, distruzioni, oppressioni. Oriente era stato anche il luogo dell’esilio. «Uno stuolo di cammelli ti invaderà, dromedari di Madian e di Efa», profetizza Isaia (v. 6), capovolgendo in promessa di gioia quella che più volte era stata una minaccia di morte. Ora cammelli e dromedari invadono Gerusalemme, ma per portarvi oro e incenso e proclamare le glorie del Signore (cfr. Is 60,6). Da Oriente era partito anche Abramo, per giungere nella terra che Dio gli aveva promesso, confidando nel dono di una eredità attraverso la quale sarebbero state benedette tutte le nazioni della terra. Anche i Magi, come Abramo, hanno saputo uscire dalla loro terra, affidandosi a dei segni, a una parola misteriosa che è risuonata nel loro cuore e ora, nel bambino che adorano, figlio di Davide e figlio di Abramo (cfr. Mt 1,1) possono riconoscere il compiersi della promessa antica: finalmente la benedizione di Dio raggiunge tutti i popoli.

     Abramo era partito poiché aveva creduto; anche i Magi sono mossi da una fede come quella di Abramo, che li porta a cercare non una terra o un figlio, ma il re dei Giudei che è nato (cfr. v. 2). Hanno creduto nella stella che hanno saputo scorgere nel cielo notturno. Non era stata forse questa la promessa ad Abramo? «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle… Tale sarà la tua discendenza» (Gen 15,5). Abramo era stato invitato da Dio ad alzare lo sguardo verso l’alto. Verso il cielo. All’inizio del suo cammino, Dio lo aveva sollecitato a camminare, e dunque a guardare verso una terra che egli stesso gli avrebbe indicato; ora Abramo deve guardare verso il cielo. Potrà contemplare la terra della promessa di Dio solo a condizione di alzare lo sguardo verso l’alto. E ha dovuto farlo di notte, abbandonando la sicurezza della propria tenda per arrischiarsi all’aperto. La notte è spazio di pericolo, in cui la vita può essere minacciata da molti nemici; o è tempo di smarrimento, che non consente di intravedere la via da intraprendere, di saggiare con chiarezza dove porre i propri passi. Eppure, soltanto accettando di uscire nella notte si può anche contemplare il cielo stellato che la sovrasta. Solo così e solo allora si vede «spuntare la sua stella» (Mt 2,2).

     I Magi, inoltre, hanno scorto questa stella non solo in un cielo notturno, ma anche nelle Scritture sante. Sanno infatti che non è una stella qualsiasi quella che contemplano, ma è la stella del re dei Giudei. Lo aveva profetizzato Balaam, figlio di Beor.

 

Io lo vedo, ma non ora,

io lo contemplo, ma non da vicino:

una stella spunta da Giacobbe

e uno scettro sorge da Israele (Nm 24,17).

 

Sono necessarie entrambe le luci per illuminare la notte di una ricerca: quella della stella e quella delle Scritture, che i Magi tornano ad ascoltare a Gerusalemme, laddove i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, sollecitati da Erode, ricordano quanto si legge nel profeta Michea (cfr. Mt 2,5-6). Entrambe le luci, le stelle e le Scritture: «i Magi hanno scandagliato il cielo, vi hanno scoperto una nuova stella, e sono partiti, come Abramo, senza sapere dove andassero. Hanno dovuto mettere a confronto la loro esperienza astrale con la rivelazione scritta: hanno consultato gli scribi a Gerusalemme e, con loro, hanno scrutato le Scritture. Se noi stiamo attenti soltanto alla Scrittura letterale, possiamo esserne i depositari, i custodi, ma essa rischia di diventare per noi un testo morto e persino una lettera che uccide, se trascuriamo d’essere sensibili come i Magi ai segni dei tempi, agli imprevisti della storia» (P. Miquel).

     Infine è necessario un cuore che sappia leggere tanto nei segni dei tempi quanto nelle Scritture. Un cuore come quello dei Magi, che provano una grandissima gioia nel vedere la stella (cfr. v. 10), mentre al contrario «il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme» (v. 3). La paura di Erode nasce in fondo dalla preoccupazione di dover difendere qualcosa, anzitutto il proprio potere; mentre la gioia dei Magi nasce dall’aver finalmente incontrato colui al quale portare i propri doni, prostrandosi nell’adorazione. Diversamente da Erode, non hanno nulla da difendere o da trattenere nella voracità di un possesso; hanno tutto da offrire e da donare. È questo loro atteggiamento a consentire di leggere il cielo e le Scritture, e di trovare finalmente colui che anche noi cerchiamo con tutto il nostro de-siderio. Lo cerchiamo per donare a lui la nostra vita, corrispondendo all’amore non misurabile con cui egli si consegna a noi. «Egli libererà il misero che invoca e il povero che non trova aiuto. Abbia pietà del debole e del misero e salvi la vita dei miseri» (Sal 72,12-13).

 

Preghiere e racconti

Una pasqua annunciata

 

«Alza gli occhi intorno e guarda; tutti costoro si sono radunati, vengono a te. I tuoi figli vengono da lontano» (Is 60,4). 

«Al vedere la stella essi provarono una grandissima gioia. Entrati nella casa, videro il Bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti poi in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese». (Mt 2, 10-12).

 

Un proverbio, preso dai miei ricordi d’infanzia, suona: «la Pasqua-Epifania tutte le feste si porta via». Ciò che allora mi sembrava incomprensibile, era lo strano accoppiamento dell’Epifania con la Pasqua.

Il Gesù bambino adorato dai magi che già richiama il Gesù crocifisso e risorto. Il Figlio di Maria e Giuseppe ancora infante, cioè senza parola, che come in una rapida dissolvenza cinematografica, cede il posto al Cristo Signore, alfa e omega della storia, Parola unica ed ultima dell’amore universale del Padre.

Poi, col passare degli anni, ne ho capito il motivo e so che non potrebbe essere diversamente. L’Epifania del Dio-bambino ai magi, cioè il suo manifestarsi ai lontani e ai pagani, è già un primo squarcio di luce che lacera il velo del tempio che separava e nascondeva il «Santo dei santi». La lacerazione di quel velo sarà totale e definitiva nell’evento pasquale, quando l’urto dell’onda luminosa del Risorto romperà le anguste barriere di separazione tra cielo e terra, tra vita e morte, tra uomo e uomo. Così l’Epifania del Natale è il primo bagliore di una Pasqua ormai annunciata. E la Pasqua è l’annuncio della totale epifania di Dio finalmente realizzata. 

Cercare Dio

Oggi è la festa degli infaticabili cercatori di Dio, degli inarrestabili pellegrini dell’Assoluto, incamminati verso cieli nuovi e terra nuova: «I tuoi figli vengono da lontano» (Is 60, 4).

A qualunque popolo, razza, religione e cultura appartengano, tutti lo possono trovare perché Egli, che è la meta, si è fatto anche strada. Visto il collegamento tra Epifania e Pasqua, non sarebbe male commentare quella preghiera che si pronuncia nella liturgia del venerdì santo per coloro che, pur non credendo in Dio, vivono con bontà e rettitudine di cuore. È splendida: «Dio, tu hai messo nel cuore degli uomini una così profonda nostalgia di te, che solo quando ti trovano hanno pace: fa’ che, al di là di ogni ostacolo, tutti riconoscano i segni della tua bontà e, stimolati dalla testimonianza della nostra vita, abbiano la gioia di credere in te, unico vero Dio e padre di tutti gli uomini».

I magi sono il simbolo di tutti coloro che affrontano un lungo percorso ad ostacoli senza cedere ai tentativi di depistaggio o disorientamento, senza lasciarsi catturare dagli ambigui sorrisi del potere. E il loro viaggio non termina, come ci aspetteremmo, con il raggiungimento del traguardo sognato. «Videro il Bambino con Maria sua Madre» e così, si potrebbe concludere, vissero felici e contenti. No. Dopo aver offerto i loro doni, «per un’altra strada fecero ritorno al loro paese».

Da allora sarà sempre così per chi lo ha trovato e poi vuole rimanere con lui: bisogna saper cambiare strada, per non perderlo; anzi, per non perdersi.

 

Avvicinarsi a Dio

Festa anche dei lontani, degli stranieri, degli esclusi dal sistema. L’apparire della luce di Dio tra le nostre tenebre capovolge i sistemi dei pesi e delle misure da noi stabiliti. Trasforma i meccanismi di esclusione e inclusione da noi codificati. Ci sono «lontani» che diventano «vicini», e «primi» che diventano «ultimi». Ci sono pii e osservanti delle leggi e maestri di morale che escono dal tempio senza essere perdonati; e peccatori, prostitute ed empi samaritani che diventano modelli di santità. Non è l’etichetta che conta. Le vecchie carte d’identità, per lui, sono tutte scadute e vanno rinnovate con… altri criteri.

Se i magi riescono a incontrare e adorare Gesù, è perché Dio, per rivelarsi, «non fa preferenze di persone», non chiede prima la tessera di appartenenza politica o religiosa, non discrimina in base ai titoli di studio o ai diplomi di benemerenza. Non valuta insomma le condizioni di staticità o i piedistalli del passato. Egli va incontro e svela il suo volto a quanti si spingono sulle piste del futuro e aprono i varchi dell’esodo. Si fa trovare nella casa di ogni uomo reso «infante», senza capacità o diritto di parola e di difesa.

Si fa identificare da chi ha già deciso di assomigliarli. E gli si può assomigliare solo lasciando la nostra strada, oltre che la sicurezza della nostra casa, per seguire i suoi sentieri e le sue tracce. 

Leggere i segni di Dio

Festa di chi sa leggere i segni. Una “stella”, guidava i magi nel loro faticoso cammino.

Quanti segni anche per noi, nella natura, negli eventi del tempo, nel cuore dell’uomo, possono diventare frecce direzionali, raggi luminosi che discretamente, nel cuore della notte, orientano i nostri timidi passi verso un paese, sempre incompiuto, dove c’è spazio per ogni uomo: quell’uomo che è lo spazio stesso di Dio.

Soprattutto il Bambino, scoperto e adorato nella povertà di un villaggio da questi curiosi investigatori del mistero, è i1 segno che dobbiamo indagare tra le case e le baracche della terra, se vogliamo rintracciare i preziosi lembi del cielo. È lui il vero cielo, e ne dobbiamo intuire la presenza oltre il velo di ogni persona, dietro le quinte di ogni scena storica. Davanti a Gesù i magi non dicono nulla. Di fronte a lui solo silenzio, ginocchia che si piegano, vita che diventa dono: mirra, oro, incenso. È Gesù crocifisso, risorto, glorificato. Compendio dei misteri dolorosi, gaudiosi e gloriosi della vita umana. Epifania di Dio, pellegrino sulle strade dell’uomo. Epifania dell’uomo, quando si fa pellegrino sulle strade di Dio. Un monito per le nostre comunità affinché, come popolo di «magi pellegrini», non indugino nei palazzi di Erode, nelle accademie dell’immobilismo, nei labirinti delle ricerche a tavolino, ma affrontino la strada della concretezza quotidiana e forzino la marcia verso quell’alto monte dove il Signore, eliminata per sempre la coltre della morte e fatto cadere l’ultimo velo che impedisce la completezza della sua definitiva epifania, ha già preparato il festoso banchetto della vita e della pace per tutti i popoli.

(Don Tonino Bello, Avvento. Natale. Oltre il futuro, Padova, Messaggero, 2007, 97-102).

Epifania del Signore

Prostrati, i santi magi adorano il Bambino,

offron doni d’Oriente: oro, incenso e mirra.

 

O simboli profetici di segreta grandezza,

che svelano alle genti una triplice gioia! 

Oro e incenso proclamano il Re e Dio immortale;

la mirra annunzia l’Uomo deposto dalla croce.

 

Betlemme, tu sei grande fra le città di Giuda:

in te è apparso al mondo il Cristo Salvatore. 

Nelle sue mani il Padre pose il giudizio e il regno:

lo attestano concordi le voci dei profeti.

 

Non conosce confini nello spazio e nel tempo

il suo regno d’amore, di giustizia e di pace. 

A te sia lode, o Cristo, nato da Maria Vergine,

al Padre ed allo Spirito nei secoli dei secoli.

 

Amen.

 

(Ufficio delle Letture nella Solennità dell’Epifania). 

I re magi

La notte era senza luna; ma tutta la campagna risplendeva di una luce bianca e uguale come il plenilunio, poiché il Divino era nato; dalla campagna lontana i raggi si diffondevano… Il Bambino Gesù rideva teneramente, tenendo le braccia aperte verso l’alto, come in atto di adorazione; e l’asino e il bue lo riscaldavano col loro fiato, che fumava nell’aria gelida. La Madonna e San Giuseppe di tratto in tratto si scuotevano dalla contemplazione, e si chinavano per baciare il figliolo. Vennero i pastori, dal piano e dal monte, portando i doni e vennero anche i Re Magi. Erano tre: il Re Vecchio, il Re Giovane e il Re Moro. Come giunse la lieta novella della natività di Gesù si adunarono. E uno disse:- È nato un altro Re. Vogliamo andare a visitarlo ?- Andiamo- risposero gli altri due.- Ma con quali doni?- Con oro, incenso e mirra. Nel viaggio i Re Magi discutevano animatamente, perché non potevano ancora stabilire chi, per primo, dovesse offrire il dono. Primo voleva essere chi portava l’oro. E diceva:- L’oro è più prezioso dell’incenso e della mirra; dunque io debbo essere il primo donatore. Gli altri due alla fine cedettero. Quando entrarono nella capanna, il primo a farsi innanzi fu dunque il Re con l’oro. Si inginocchiò ai piedi del bambino; e accanto a lui si inginocchiarono i due con l’incensi e la mirra. Gesù mise la sua piccoletta mano sul capo del Re che gli offerse l’oro, quasi volesse abbassarne la superbia. Rifiutò l’oro; soltanto prese l’incenso e la mirra, dicendo: L’oro non è per me!

(Gabriele D’Annunzio)

 

La stella più luminosa

Una stella brillò in cielo oltre ogni stella in quella notte; la sua luce fu oltre ogni parola e la sua novità destò stupore. Tutte le altre stelle insieme col sole e con la luna, formarono un coro attorno a quella stella che tutte sovrastava in splendore.

(S. Ignazio di Antiochia)  

La solennità dell’Epifania

Cari fratelli e sorelle!

Celebriamo oggi la solennità dell’Epifania, la “Manifestazione” del Signore. Il Vangelo racconta come Gesù venne al mondo in grande umiltà e nascondimento. San Matteo, tuttavia, riferisce l’episodio dei Magi, che giunsero dall’oriente, guidati da una stella, per rendere omaggio al neonato re dei Giudei. Ogni volta che ascoltiamo questo racconto, siamo colpiti dal netto contrasto tra l’atteggiamento dei Magi, da una parte, e quello di Erode e dei Giudei, dall’altra. Dice infatti il Vangelo che, all’udire le parole dei Magi, “il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme” (Mt 2,3). Una reazione che può avere differenti comprensioni: Erode è allarmato, perché vede in colui che i Magi ricercano un concorrente per sé stesso e per i suoi figli. I capi e gli abitanti di Gerusalemme, invece, sembrano più che altro stupefatti, come risvegliati da un certo torpore, e bisognosi di riflettere.

 Isaia, in realtà, aveva preannunciato:

“Un bambino è nato per noi, / ci è stato dato un figlio. / Sulle sue spalle è il potere / e il suo nome sarà: / Consigliere mirabile, / Dio potente, / Padre per sempre, / Principe della pace” (Is 9,5).

Perché dunque Gerusalemme rimane turbata? Pare che l’Evangelista voglia quasi anticipare quella che sarà poi la posizione dei sommi sacerdoti e del sinedrio, ma anche di parte del popolo, nei confronti di Gesù durante la sua vita pubblica. Di certo, risalta il fatto che la conoscenza delle Scritture e delle profezie messianiche non porta tutti ad aprirsi a Lui e alla sua parola. Viene alla mente che, nell’imminenza della passione, Gesù pianse su Gerusalemme, perché non aveva riconosciuto il tempo in cui era stata visitata (cfr Lc 19,44).

Tocchiamo qui uno dei punti cruciali della teologia della storia: il dramma dell’amore fedele di Dio nella persona di Gesù, che “venne fra i suoi, / e i suoi non lo hanno accolto” (Gv 1,11). Alla luce di tutta la Bibbia, questo atteggiamento di ostilità, o ambiguità, o superficialità sta a rappresentare quello di ogni uomo e del “mondo”  in senso spirituale , quando si chiude al mistero del vero Dio, il quale ci viene incontro nella disarmante mitezza dell’amore. Gesù, il “re dei Giudei” (cfr Gv 18,37), è il Dio della misericordia e della fedeltà; Egli vuole regnare nell’amore e nella verità e ci chiede di convertirci, di abbandonare le opere malvagie e di percorrere decisamente la via del bene.

“Gerusalemme”, dunque, in questo senso siamo tutti noi! Ci aiuti la Vergine Maria, che ha accolto con fede Gesù, a non chiudere il nostro cuore al suo Vangelo di salvezza. Lasciamoci piuttosto conquistare e trasformare da Lui, l’”Emmanuele”, Dio venuto tra noi per farci dono della sua pace e del suo amore.

(Le parole del Papa alla recita dell’Angelus, 06.01.2009).

 

Preghiera

Verso la grotta di Betlemme, guidati dalla stella cometa apparsa nel lontano cielo, sono diretti i sapienti del tempo per incontrare il Messia atteso dalle genti. Lungo è il cammino che porta a Gesù Bambino, un cammino che i santi Re Magi ricoprono in tempi stretti per non disperdersi in altri pensieri. Giungono, per vie misteriose, alla Grotta del Signore e depongono ai piedi del Salvatore, oro, incenso e mirra, simboli del divino. E’ l’atto di sottomissione della scienza alla fonte della vera ed unica sapienza. Ripartono da quel luogo benedetto carichi di meriti e di propositi di bene, per ritornare ai paesi di origine e narrare in termini nuovi la buona notizia della nascita del Redentore. 

O Gesù, che nella tua manifestazione ai popoli e alla cultura di altra provenienza ti sei fatto fratello a tali sapienti d’Oriente che furono spinti dal profondo desiderio di incontrarti, aiutaci a capire da quale parte è la verità e dove è la luce che guida i nostri passi verso nuove ed autentiche conquiste per l’umanità. Illumina quanti operano nel campo della ricerca e della sperimentazione perché alla scuola dei Re Magi possano anch’essi accostarsi al mistero dell’uomo con grande rispetto e venerazione. Tu che sei l’onnisciente e l’onnipotente fa che questa umanità, pervasa dalla presunzione di volare sempre più in alto per sentirsi grande, possa recuperare il valore dell’umiltà, quello che aiuta a sognare e a costruire il domani ripartendo da Te che sei l’unica e certa verità. Amen

(Padre Antonio Rungi)

* Per l’elaborazione della presente «lectio», oltre al nostro materiale di archivio, ci siamo serviti di:

– Temi di predicazione, Napoli, Editrice Domenicana Italiana.

La Bibbia per la famiglia, a cura di G. Ravasi, Milano, San Paolo, 1998.

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M. FERRARI, «Oggi di è adempiuta questa scrittura». Avvento, Tempo di Natale e Tempo ordinario (prima parte), Milano, Vita e Pensiero, 2012.

COMUNITÀ MONASTICA SS. TRINITÀ DI DUMENZA, La voce, il volto, la casa e le strade, Milano, Vita e Pensiero, 2008-2009.

– R. FERRIGATO (ed.), Avvento e Natale 2012. Sussidio liturgico-pastorale, Milano, San Paolo, 2012.

– J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, L’infanzia di Gesù,  Milano/Città del Vaticano, Rizzoli/Libreria Editrice Vaticana, 2012.

– J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret, Milano, Rizzoli, 2007.

– Don Tonino Bello, Avvento e Natale. Oltre il futuro, Padova, Messaggero, 2007.

45° marcia per la pace.. con don Tonino Bello

La nonviolenza attiva come strada per la pace. È, alla vigilia della 45ª marcia della pace (Lecce, 31 dicembre), l’indicazione di mons. Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea e già presidente di Pax Christi Italia. È tratta dal magistero di Giovanni XXIII, il Papa del Concilio e dell’enciclica “Pacem in terris”, e dall’esempio di don Tonino Bello. Proprio sulla figura di don Tonino mons. Bettazzi interverrà, il 31 dicembre a Lecce, per “annunciare il Vangelo della pace”, in occasione della 45ª marcia nazionale per la pace, promossa da Ufficio Cei per i problemi sociali e il lavoro (clicca qui), Pax Christi, Caritas, Azione Cattolica e arcidiocesi di Lecce. A pochi giorni dalla marcia Francesco Rossi, per il Sir, lo ha incontrato.

Alla marcia porterà una testimonianza su don Tonino Bello. Qual era il suo messaggio per la pace?
“Ricordo la marcia di Pax Christi fatta a Sarajevo, voluta da don Tonino, durante la guerra in Jugoslavia. Andammo lì innanzitutto per dire a quelle popolazioni martoriate che c’era qualcuno che pensava a loro, poi per richiamare la responsabilità dell’Italia e dell’Europa; in terzo luogo per riaffermare che anche in una siffatta situazione l’unico cammino vero per la giustizia e la pace era quello della nonviolenza attiva. Ecco, questo era il messaggio centrale per il vescovo di Molfetta, già presente nella ‘Pacem in terris’ di Giovanni XXIII. Ritenere che la guerra porti alla giustizia, secondo l’enciclica, è fuori dalla ragione; in più il cristiano deve sentire la nonviolenza contro qualunque forma di guerra come una conseguenza della propria adesione al Vangelo e impegnarsi in tal senso. Tonino Bello ha accolto questo messaggio fino alla morte: raccogliendo l’impegno di Giovanni Paolo II contro la prima guerra del Golfo si è attirato critiche forti, tanto da causargli un’ulcera allo stomaco dalla quale è poi venuto il tumore. È stato quindi un vero martire della nonviolenza”.

Cosa significa nonviolenza attiva?
“Organizzare quanto si può per raggiungere una soluzione pacifica, trovando tutti i mezzi possibili senza aspettare che arrivi il momento in cui solo le armi siano in grado d’intervenire, com’è invece recentemente avvenuto per la Libia. Tanto più che la guerra non fa prevalere chi ha più ragione, ma chi ha più forza…”.

Questi ultimi giorni dell’anno sono accompagnati dalla preoccupazione internazionale per la Siria…
“Bisogna moltiplicare le pressioni esterne, su un piano economico e civile, in modo che nel Paese cessino le violenze senza giungere a un intervento armato della comunità internazionale”.

Accanto alle guerre combattute, ci sono altre “guerre” contro la vita. Benedetto XVI, nel messaggio per Giornata mondiale della pace del prossimo 1° gennaio, pone come condizione essenziale il “rispetto per la vita umana” dal concepimento alla fine naturale. Come portare quest’impegno per la pace nella quotidianità?
“È giusto impegnarsi strenuamente per difendere la vita quando comincia e quando finisce, ma ricordiamoci che la difesa del concepimento e della fine naturale della vita è più forte ed efficace se accompagnata da una difesa della vita in tutto il suo svilupparsi”.

Vengono in mente, a questo proposito, gli appelli per un lavoro dignitoso, contro lo sfruttamento, come pure per il rispetto dei tempi dell’uomo, che prevedono lavoro ma anche festa. È, alla fine, anche questo un impegno per la pace?
“Certo, i giovani altrimenti che prospettiva hanno? Anche questa è difesa della vita, quando si dà ai giovani la possibilità di sperare, di avere condizioni di sicurezza sufficienti per costruire una famiglia…”.

E la Chiesa come può farsi prossima concretamente a queste situazioni?
“Dovrebbe essere la Chiesa dei poveri in tutte le sue dimensioni. La nuova evangelizzazione è tanto più efficace se viene fatta da una Chiesa che mostra come tra i suoi ideali non trovino spazio alcuno il denaro e il potere”.

A 50 anni dal Concilio qual è il messaggio che si sente di riprendere, sull’impegno per la pace, da quell’assise?
“Il principio che il Vaticano II riprende dalla ‘Pacem in terris’ è che la pace non è soltanto il tacere delle armi o l’equilibrio del terrore, ma frutto della giustizia e dell’amore. Alimentare una sincera ricerca della giustizia in tutte le sue forme significa andare contro il grande discrimine tra i pochi che si arricchiscono sempre di più e la maggioranza che impoverisce. Questa è la giustizia all’interno delle nazioni e nel mondo, che può preparare davvero una pace concreta”.

La famiglia custodisca la vita

Benedetto XVI, introducendo stamattina l’Angelus da piazza San Pietro, in occasione della festa della Santa Famiglia di Nazaret, ha invitato a rivolgere al Signore una “speciale preghiera” per “tutte le famiglie del mondo”.

La vera casa. “Nella liturgia il brano del Vangelo di Luca ci presenta la Vergine Maria e san Giuseppe che, fedeli alla tradizione, salgono a Gerusalemme per la Pasqua insieme con Gesù dodicenne”, ha ricordato il Papa. La prima volta in cui Gesù era entrato nel Tempio del Signore “era stata quaranta giorni dopo la sua nascita, quando i suoi genitori avevano offerto per lui ‘una coppia di tortore o di giovani colombi’, cioè il sacrificio dei poveri”. Infatti, ha osservato il Pontefice, “Luca, il cui intero Vangelo è pervaso da una teologia dei poveri e della povertà, fa capire … che la famiglia di Gesù era annoverata tra i poveri di Israele; ci fa capire che proprio tra loro poteva maturare l’adempimento della promessa”. Gesù “oggi è di nuovo nel Tempio, ma questa volta ha un ruolo differente, che lo coinvolge in prima persona. Egli compie, con Maria e Giuseppe, il pellegrinaggio a Gerusalemme secondo quanto prescrive la Legge, anche se non aveva ancora compiuto il tredicesimo anno di età: un segno della profonda religiosità della Santa Famiglia. Quando, però, i suoi genitori ripartono per Nazaret, avviene qualcosa di inaspettato: Egli, senza dire nulla, rimane nella Città”. Per tre giorni “Maria e Giuseppe lo cercano e lo ritrovano nel Tempio, a colloquio con i maestri della Legge; e quando gli chiedono spiegazioni, Gesù risponde che non devono meravigliarsi, perché quello è il suo posto, quella è la sua casa, presso il Padre, che è Dio”. A questo proposito il Santo Padre ha ricordato un’omelia di Origene sul Vangelo di Luca: “Egli professa di essere nel tempio di suo Padre, quel Padre che ha rivelato a noi e del quale ha detto di essere Figlio”.

Dono di Dio. “La preoccupazione di Maria e Giuseppe per Gesù – ha spiegato Benedetto XVI – è la stessa di ogni genitore che educa un figlio, lo introduce alla vita e alla comprensione della realtà”. Oggi pertanto è “doverosa una speciale preghiera al Signore per tutte le famiglie del mondo. Imitando la santa Famiglia di Nazaret, i genitori si preoccupino seriamente della crescita e dell’educazione dei propri figli, perché maturino come uomini responsabili e onesti cittadini, senza dimenticare mai che la fede è un dono prezioso da alimentare nei propri figli anche con l’esempio personale”. Nello stesso tempo “preghiamo perché ogni bambino venga accolto come dono di Dio, sia sostenuto dall’amore del padre e della madre, per poter crescere come il Signore Gesù ‘in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini’. L’amore, la fedeltà e la dedizione di Maria e Giuseppe siano di esempio per tutti gli sposi cristiani, che non sono gli amici o i padroni della vita dei loro figli, ma i custodi di questo dono incomparabile di Dio”. Di qui l’auspicio: “Il silenzio di Giuseppe, uomo giusto, e l’esempio di Maria, che custodiva ogni cosa nel suo cuore, ci facciano entrare nel mistero pieno di fede e di umanità della Santa Famiglia”. Il Papa ha, quindi, augurato “a tutte le famiglie cristiane di vivere alla presenza di Dio con lo stesso amore e con la stessa gioia della famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe”.

Speranza per l’umanità. Anche nei saluti in varie lingue il Pontefice ha posto l’accento sulla Santa Famiglia, che “Dio ha dato all’umanità – ha affermato in francese – come modello dei valori umani e familiari. Il Figlio di Dio ha voluto nascere in una famiglia e ha dato così a questa il suo nobile significato e il suo ruolo insostituibile per l’individuo e per la società. La famiglia è il luogo naturale di sviluppo del bambino. È il terreno primo e indispensabile dove si radica e si costruisce la persona e i suoi legami umani”. In spagnolo un saluto da Roma il Santo Padre lo ha fatto giungere anche “ai numerosi partecipanti all’Eucaristia che si celebra a Madrid nella Festa della Santa Famiglia. Che Gesù, Maria e Giuseppe siano un esempio della fede che fa brillare l’amore e rinforza la vita delle famiglie. Per loro intercessione, chiediamo che la famiglia continui a essere un dono prezioso per ciascuno dei suoi membri e una speranza solida per tutta l’umanità. E che la gioia di condividere la vita sotto la protezione di Dio, che impariamo da bambini dalle labbra dei nostri genitori, ci sproni a rendere il mondo una vera casa, un luogo di armonia, solidarietà e rispetto reciproco”. Con questo proposito, ha aggiunto, “rivolgiamoci a Maria, nostra Madre del cielo, affinché accompagni le famiglie nella loro vocazione a essere una vera forma di Chiesa domestica e cellula originaria della società”. In polacco ha detto: “Auguro che le vostre famiglie siano penetrate dalla presenza di Dio, ricolme di amore e fiducia e caratterizzate da reciproco rispetto e comprensione. La Santa Famiglia vi aiuti a superare le difficoltà della vita”. “A tutti auguro una buona domenica e una fine d’anno nella luce e nella pace del Signore”, ha concluso in italiano.

Benedetto XVI: Tempo di impegno nel mondo per i cristiani

L’articolo del Papa per il “Financial Times” (20 dicembre 2012) nasce da una richiesta venuta dalla redazione del “Financial Times” stesso, che, prendendo spunto dalla pubblicazio- ne dell’ultimo libro del Papa sull’infanzia di Gesù, ha chiesto un suo commento in occasione del Natale. Nonostante si trattasse di una richiesta insolita, il Santo Padre ha accettato con disponibilità. Forse è giusto ricordare la disponibilità con cui il Papa aveva risposto anche in passato ad alcune richieste fuori del comune, ad esempio la richiesta di intervento alla BBC, proprio in occasione del Natale alcuni mesi dopo il viaggio nel Regno Unito, o la richiesta di intervista televisiva per il programma “A sua immagine” della RAI, rispondendo a domande in occasione del Venerdì Santo. Si è trattato anche allora di occasioni per parlare di Gesù e del suo messaggio ad un ampio uditorio, nei momenti salienti dell’anno liturgico cristiano.

Si può leggere l’originale in inglese qui: 

http://www.ft.com/intl/cms/s/0/099d055e-4937-11e2-9225-00144feab49a.html

“Rendi a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio” fu la risposta di Gesù quando gli fu chiesto ciò che pensava sul pagamento delle tasse. Quelli che lo interrogavano, ovviamente, volevano tendergli una trappola. Volevano costringerlo a prendere posizione nel dibattito politico infuocato sulla dominazione romana nella terra di Israele. E tuttavia c’era in gioco ancora di più: se Gesù era realmente il Messia atteso, allora sicuramente si sarebbe opposto ai dominatori romani. Pertanto la domanda era calcolata per smascherarlo o come una minaccia per il regime o come un impostore.

 La risposta di Gesù porta abilmente la questione ad un livello superiore, mettendo con finezza in guardia nei confronti sia della politicizzazione della religione sia della deificazione del potere temporale, come pure dell’instancabile ricerca della ricchezza. I suoi ascoltatori dovevano capire che il Messia non era Cesare, e che Cesare non era Dio. Il regno che Gesù veniva ad instaurare era di una dimensione assolutamente superiore. Come rispose a Ponzio Pilato: “Il mio regno non è di questo mondo”.

I racconti di Natale del Nuovo Testamento hanno lo scopo di esprimere un messaggio simile. Gesù nacque durante un “censimento del mondo intero”, voluto da Cesare Augusto, l’imperatore famoso per aver portato la Pax Romana in tutte le terre sottoposte al dominio romano. Eppure questo bambino, nato in un oscuro e distante angolo dell’impero, stava per offrire al mondo una pace molto più grande, veramente universale nei suoi scopi e trascendente ogni limite di spazio e di tempo.

Gesù ci viene presentato come erede del re Davide, ma la liberazione che egli portò alla propria gente non riguardava il tenere a bada eserciti nemici; si trattava, invece, di vincere per sempre il peccato e la morte.

La nascita di Cristo ci sfida a ripensare le nostre priorità, i nostri valori, il nostro stesso modo di vivere. E mentre il Natale è senza dubbio un tempo di gioia grande, è anche un’occasio- ne di profonda riflessione, anzi un esame di coscienza. Alla fine di un anno che ha significato di privazioni economiche per molti, che cosa possiamo apprendere dall’umiltà, dalla povertà, dalla semplicità della scena del presepe?

Il Natale può essere il tempo nel quale impariamo a leggere il Vangelo, a conoscere Gesù non soltanto come il Bimbo della mangiatoia, ma come colui nel quale riconosciamo il Dio fatto Uomo.

E’ nel Vangelo che i cristiani trovano ispirazione per la vita quotidiana e per il loro coinvolgimento negli affari del mondo – sia che ciò avvenga nel Parlamento o nella Borsa. I cristiani non dovrebbero sfuggire il mondo; al contrario, dovrebbero impegnarsi in esso. Ma il loro coinvolgimento nella politica e nell’economia dovrebbe trascendere ogni forma di ideologia.

I cristiani combattono la povertà perché riconoscono la dignità suprema di ogni essere umano, creato a immagine di Dio e destinato alla vita eterna. I cristiani operano per una condivisione equa delle risorse della terra perché sono convinti che, quali amministratori della creazione di Dio, noi abbiamo il dovere di prendersi cura dei più deboli e dei più vulnerabili. I cristiani si oppongono all’avidità e allo sfruttamento nel convincimento che la generosità e un amore dimentico di sé, insegnati e vissuti da Gesù di Nazareth, sono la via che conduce alla pienezza della vita. La fede cristiana nel destino trascendente di ogni essere umano implica l’urgenza del compito di promuovere la pace e la giustizia per tutti.

Poiché tali fini vengono condivisi da molti, è possibile una grande e fruttuosa collaborazione fra i cristiani e gli altri. E tuttavia i cristiani danno a Cesare soltanto quello che è di Cesare, ma non ciò che appartiene a Dio. Talvolta lungo la storia i cristiani non hanno potuto accondiscendere alle richieste fatte da Cesare. Dal culto dell’imperatore dell’antica Roma ai regimi totalitari del secolo appena trascorso, Cesare ha cercato di prendere il posto di Dio. Quando i cristiani rifiutano di inchinarsi davanti ai falsi dèi proposti nei nostri tempi non è perché hanno una visione antiquata del mondo. Al contrario, ciò avviene perché sono liberi dai legami dell’ideologia e animati da una visione così nobile del destino umano, che non possono accettare compromessi con nulla che lo possa insidiare.

In Italia, molte scene di presepi sono adornate di rovine degli antichi edifici romani sullo sfondo. Ciò dimostra che la nascita del bambino Gesù segna la fine dell’antico ordine, il mondo pagano, nel quale le rivendicazioni di Cesare apparivano impossibili da sfidare. Adesso vi è un nuovo re, il quale non confida nella forza delle armi, ma nella potenza dell’amore. Egli porta speranza a tutti coloro che, come lui stesso, vivono ai margini della società. Porta speranza a quanti sono vulnerabili nelle mutevoli fortune di un mondo precario. Dalla mangiatoia, Cristo ci chiama a vivere da cittadini del suo regno celeste, un regno che ogni persona di buona volontà può aiutare a costruire qui sulla terra.

“Buoni cristiani e onesti cittadini” Scuola di Formazione SocioPolitica

Vi proponiamo la III edizione della Scuola di Formazione SocioPolitica organizzata con il patrocinio dell’Università Pontificia Salesiana, della Facoltà di Filosofia della stessa e dalla Federazione dei Servizi Civili e Sociali CNOS, che si svolgerà tutti i venerdì di quaresima presso la Parrocchia di Santa Maria della Speranza in via F. Cocco Ortu, 19 in Roma.

La scuola di formazione socio – politica intende proporre, sempre nel prezioso Tempo Quaresimale, un momento di riflessione condiviso per leggere, alla luce della Dottrina Sociale della Chiesa, le sfide che la crisi ci impone e le cui prospettive di soluzio- ne dipendono da una corretta comprensione dei ruoli fondamentali della famiglia, del lavoro, della giustizia, dell’economia e della finanza pubblica.

DESTINATARI:

La scuola è gratuita e aperta a tutti ed è destinata ai giovani, insegnanti, educatori, catechesti e a coloro che sono impegnati in attività civili, politiche ed economiche

Per informazioni rivolgersi alla segreteria della Parrocchia Santa Maria della Speranza o presso il sito: http://speranza.donbosco.it – 345.3402412

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