«L’istruzione è lo strumento più potente per cambiare il mondo»

Quali sono i fattori chiave per un buon lavoro? Roberto Rossini, presidente delle Acli, snocciola a velocità supersonica le indicazioni dei 30 tavoli dove venerdì è stato affrontato l’argomento. Niente commenti, non tocca a lui farne né vuole sottrarre spazio alla discussione che seguirà. Fattori chiave, dunque. Sono otto: costruire reti locali, valorizzare il territorio, alternanza scuola-lavoro, rapporto tra le generazioni, orientamento, formazione continua, etica del lavoro, internazionalità. Poi cinque idee: senso civico e cittadinanza attiva, consumo responsabile, responsabilità delle comunità cristiane, lavoro manuale e intellettuale da comprendere assieme, informarsi e informare. Infine sette suggerimenti alla politica: potenziare le politiche attive del lavoro, favorire l’alternanza scuola-lavoro, semplificare la burocrazia, appalti limpidi, riforme, parità scolastica e part-time alla fine della vita lavorativa. La sintesi estrema di Rossini è collegare: teoria a pratica, talento a mestiere, formazione a lavoro.

Il neoliberismo rampante, la globalizzazione, le tecnologie, le leggi, le riforme attese e quelle disattese. Tutto importante, tutto da considerare. Ma alla fine a contare è la persona. L’uomo. Con la sua capacità di sognare, desiderare, inventare. Hanno competenze diverse gli ospiti diretti da Claudio Gentili, membro del Comitato scientifico delle Settimane. Alberto De Toni, rettore dell’Università di Udine, è ingegnere e professore; Johnny Dotti è un educatore ed imprenditore sociale, amministratore delegato di On; tanto misurato il primo, quanto rutilante il secondo. Paola Vecchina è presidente di Forma e si occupa di IeFP (istruzione e formazione professionale) e Giorgio Vittadini è presidente della Fondazione Sussidiarietà, lei ‘precede’ il lavoro, lui ci sta dentro. Diversi nelle esperienze e nel linguaggio, ma uniti negli esiti. Sono piante di varia specie che crescono e traggono nutrimento nello stesso terreno, in armonia.

Vittadini afferma convinto: «La formazione non deve fornire soltanto nozioni ma educare una personalità », perché oggi per lavorare meglio – gli studiosi lo garantiscono – servono «grinta, scrupolosità, stabilità emotiva, spirito di collaborazione, amicizia», tutte qualità squisitamente umane. Gentili riassume: «Mettere insieme la tecnica con un ideale di uomo». Vecchina ribadisce: «Buone leggi sì, ma occorrono soprattutto soggetti che nella libertà sappiamo assumersi dei rischi ». Dotti, che ha l’oratorio nel cuore ma anche al centro di nuovi processi produttivi, invita i ragazzi, ma soprattutto gli adulti che li vorrebbero tenere al guinzaglio, alla libertà e al rischio, «altrimenti produciamo acefali privi del coraggio di vivere». Enuncia le virtù necessarie all’impresa: «Coraggio, fortezza, giustizia, temperanza». E invita a un’alleanza tra adulti, che «autorizzino vere esperienze di libertà (e di impresa) negli oratori», e i minorenni: «Se in oratorio non avessi fatto la raccolta degli stracci, mai sarei diventato un imprenditore ». Avere un’idea educativa, è il mantra di Dotti.

De Toni gli fa eco citando Nelson Mandela: «L’istruzione è lo strumento più potente per cambiare il mondo». Bella frase che fa vibrare le corde del cuore, o anche concreto programma politico? De Toni sembra convinto: «Tre sono gli obiettivi di un percorso di istruzione: acquisire capacità critiche, imparare a imparare, imparare per un mestiere». E ribadisce: «In azienda, al centro dei processi di cambiamento sono gli uomini ». E la tecnologia? «La fanno gli uomini». Vittadini punta forte sulla parola desiderio: «Solo l’uomo che desidera è capace di reale invenzione e cambiamento ». E Vecchina annuisce: «Si riparte dal desiderio e dalla conciliazione di apparenti opposti». Il cerchio si chiude con De Toni: «Il gap strutturale tra le risorse (scarse, insufficienti) e i problemi (grandi, enormi) si colma facendo entrare in campo l’uomo. Lui, l’uomo, marca la differenza. Loro, gli uomini e le organizzazioni».

Vittadini ricorda: «Il capitale umano ha un collegamento diretto con il Pil. Le banche, le tasse, il debito… questi, ci ripetono, sarebbero i veri protagonisti. Ma è provato che se migliora l’istruzione, il Pil aumenta. Lo raccontano in modo evidente i percorsi recenti di Singapore, Taiwan, Cina… Per crescere, il primo modo è puntare con decisione su istruzione e formazione professionale». E consente a Gentili di concludere: «Il lavoro va messo al centro dei processi formativi; occorrono maggiori investimenti per il diritto di ricevere una buona formazione professionale; a partire dalle periferie e sapendo che saranno le minoranze creative a fare la storia».

Umberto Folena

Avvenire, 29 ottobre 2017

In cerca di futuro

Partono sempre di più, sempre di più i giovani, sempre di più dal Sud Italia. E, una volta partiti, difficilmente ritornano. Questa la fotografia degli italiani che lasciano il nostro Paese elaborata dal “Rapporto Italiani nel mondo 2017” della Fondazione Migrantes presentato questa mattina a Roma. Un evento cui hanno preso parte, tra gli altri, don Giovanni De Robertis, Direttore generale della Fondazione Migrantes e il Presidente Monsignor Guerino Di Tora, il direttore di Tv2000 Paolo Ruffini e Mons. Nunzio Galantino, Segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana.
Dal 2006 al 2017, si legge nel Rapporto, la mobilità degli italiani è aumentata del 60,1%: coloro che risiedono fuori dai confini nazionali sono passati da 3 milioni a 5 milioni. E se “La mobilità è una risorsa”, come si legge nell’introduzione “perché permette il confronto con realtà diverse ed è, se ben indirizzata, una opportunità di crescita e arricchimento”, è altrettanto vero che oggi “nello stato generale di recessione economica e culturale in cui purtroppo ci si ritrova”, la migrazione “è diventata nuovamente, come in passato, una valvola di sfogo, ciò che permette cioè di trovare probabilmente una sorte diversa rispetto a quella a cui si è destinati nel territorio di origine”.
Infatti, i dati registrati per il decennio 2006-2015 mostrano una propensione all’aumento continuo degli espatri che diviene più marcata soprattutto a partire dal 2010. Con una scarsa tendenza al ritorno: il saldo migratorio, nel 2015, è stato pari a -72.207 unità.
“Così intesa – si sottolinea –, la mobilità diventa unidirezionale, dall’Italia verso l’estero, con partenze sempre più numerose e con ritorni sempre più improbabili”.
Una migrazione che è anche e soprattutto dei giovani. Oltre il 39% di chi ha lasciato l’Italia alla volta dell’estero nell’ultimo anno ha un’età compresa tra i 18 e i 34 anni (oltre 9 mila in più rispetto all’anno precedente, +23,3%); un quarto ha tra i 35 e i 49 anni (quasi +3.500 in un anno, +12,5%). Ma ben il 9,7% è rappresentato da chi ha tra i 50 e i 64 anni, “ovvero i tanti ‘disoccupati senza speranza’” che sono rimasti senza lavoro in Italia “e con enormi difficoltà di riuscire a trovare alternative occupazionali concrete”.
Ed è un esodo che spopola in primo luogo il Mezzogiorno. Guardando alla provenienza dei cittadini italiani iscritti all’AIRE, resta preponderante (50,1%) l’origine meridionale (+47.262 rispetto al 2016), mentre il 34,8% è di origine settentrionale. Tra i primi quindici territori provinciali, solo tre sono del Nord Italia.
In tale scenario diventa fondamentale non tanto “agire sul numero delle partenze, ma piuttosto di trasformare l’unidirezionalità in circolarità” ed emerge “la necessità che la mobilità diventi sempre più un processo dinamico di relazioni e non una imposizione di qualche nazione su un’altra”. Questo vale tanto più in un momento storico in cui “alcuni hanno pensato che la libertà non potesse riguardare tutti, ma solo alcuni mentre chi è ritenuto privo di questo diritto va fermato”. Per questo è indispensabile “lavorare per una nuova cultura” un impegno cui la Chiesa italiana non si sottrae “nella certezza che la centralità della persona sia lo sguardo corretto per affrontare la realtà”.

In allegato la sintesi del Rapporto.

17 ottobre 2017

Quello che i media non dicono…

Il quarto numero del 2017 di “Vita e Pensiero”, bimestrale di cultura e dibattito dell’Università Cattolica, propone una interessante riflessione della sociologa Chiara Giaccardi.

“Più che allungare l’elenco delle cose non dette, come guerre dimenticate o povertà abbandonate, che pure sono doverose da portare in primo piano – sostiene l’autrice – serve un nuovo sguardo. Tre sollecitazioni, che indicano altrettante direzioni per andare oltre la parzialità”.

Ecco l’incipit del testo.

Our lives begin to end the day / we become silent about things that matter («Le nostre vite cominciano a finire il giorno in cui stiamo zitti di fronte alle cose che contano»), scriveva Martin Luther King. Purtroppo le nostre bocche sono invece piene di cose che non contano. O che inquinano. Illazioni, hate speech, fake news. Un rumore di fondo che corrode la capacità delle parole di significare, di far camminare verso obiettivi comuni, di denunciare ciò che va cambiato e lavorare insieme per il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo. Lo stesso dibattito sulla cosiddetta “post-verità” nel suo avvitarsi su reciproci rimbalzi di responsabilità tra media tradizionali e social media tradisce questa afasia, questo vociare risentito che ha perso il contatto con la vita, prima ancora che con la verità. Lo scriveva Walter Benjamin all’inizio del Novecento: non siamo più capaci di tenere l’informazione “cucita” alla vita vissuta e impregnata della sua saggezza, così come del suo lato “epico”, del tutto degno di essere raccontato e celebrato. Come è facile trascurare ciò che esce dalle maglie degli interessi politici ed economici! Anche quando si parla di cose che dovrebbero contare molto di più nell’agenda dei media, poi, se ne parla male. L’attenzione, quando c’è, è affetta da “orientalismo” – preziosa categoria politica e culturale coniata da Edward Said per definire il modo in cui (nelle arti, nei libri di storia, nell’informazione) parliamo dell’altro: dello straniero, del lontano, dell’altro “esotico”…

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Nella terra di nessuno. Per una mistagogia con i ragazzi

PREFAZIONE

 

L’educazione rappresenta una dimensione costitutiva e permanente della missione della Chiesa, che da sempre guarda con premura alle nuove generazioni. È coscienza condivisa che questo compito vitale si svolge oggi in una situazione culturale inedita, in un clima talmente sfavorevole da indurre tempo fa il Papa Benedetto XVI a esprimersi in termini di “emergenza educativa”.

È davanti agli occhi di tutti il fatto che le già gravi difficoltà della pastorale si moltiplicano nel momento in cui si vuole interagire con le nuove generazioni; gli operatori sperimentano la frustrazione di vedere che, nonostante gli sforzi profusi, in tanti – soprattutto tra gli adolescenti e i giovani – continuano a perdere progressivamente l’interesse per le questioni e le attività ecclesiali proposte.

I non pochi interrogativi suscitati dal fenomeno costringono le comunità cristiane a mettersi in discussione: l’adolescenza e la giovinezza, infatti, rappresentando un momento d’importanza cruciale lungo l’intero arco della vita nel determinare alcuni orientamenti esistenziali di fondo, dal lato personale e sociale, e in quanto luogo in cui si manifestano più acutamente le tendenze, le potenzialità e la crisi della cultura, danno ai problemi il carattere di vere provocazioni al cambiamento per l’azione evangelizzatrice della Chiesa, in tutte le sue forme. Si sperimenta un senso di precarietà e impotenza ed è forte l’attesa di “soluzioni” efficaci in vista dell’impegno educativo.

In questa problematica delicata e complessa s’inserisce il contributo di Paolo Sartor e Salvatore Soreca, significativo perché in esso si fondono armonicamente le competenze tipiche dello studioso con le sensibilità e la concretezza che contraddistingue chi ha maturato pure l’esperienza sul campo. Ne scaturisce un quadro chiaro teoricamente e stimolante sul versante operativo, secondo l’obiettivo dichiarato: «Contribuire a costruire un adeguato sguardo pedagogico e insieme catechetico sulla mistagogia per pensare prassi che intercettino la peculiarità del periodo adolescenziale» (p. 4).

Sono diversi gli elementi che qualificano in modo originale l’agile volume. Innanzitutto, la consapevolezza negli autori di affrontare un argomento di rilevanza assoluta: la Chiesa, se vuole sopravvivere, non può fare a meno della cura delle nuove generazioni, altrimenti è destinata ineluttabilmente alla scomparsa. Com’è stato osservato da qualcuno, nella questione degli adolescenti e giovani “si gioca nulla di meno che il futuro del cristianesimo”. Nelle pagine del libro traspare la convinzione che il venir meno del ricambio generazionale nelle parrocchie non dovrebbe essere considerato un problema tra gli altri, ma “la” preoccupazione principale della pastorale.

Colpisce poi lo sguardo positivo con cui si osserva il variegato mondo adolescenziale, descritto facendo ricorso alle più recenti acquisizioni teoriche delle scienze dell’educazione. L’adolescente, prima di essere un problema, è una risorsa, è in sé un’energia, possiede una carica e un dinamismo che vanno valorizzati e sostenuti perché possano esprimersi compiutamente in modo positivo. L’adolescenza è il periodo della crisi sì, ma crisi di crescita, di sviluppo, di doverosa e laboriosa ricerca di un senso da dare alla propria esistenza. L’intervento degli educatori dovrà favorire l’organizzazione libera e responsabile di un progetto personale di vita, attraverso la proposta di una ricca gamma di esperienze, capaci di scatenare tutto il potenziale vitale dell’adolescente, di dare spazio alla sua “inquietudine creativa”.

In questo non facile compito di accompagnamento, le comunità cristiane trovano nella mistagogia uno strumento educativo privilegiato: essa si configura come una tappa ma anche come uno stile. Lo studio ha il pregio di sottrarre il termine all’aura “archeologica” che spesso lo circonda, relegandolo in un glorioso ma comunque remoto passato, e gli restituisce profondità di significato e di perenne attualità. Se non mancano i cenni storici, è soprattutto il confronto con il magistero ecclesiale recente e con il pensiero di autori contemporanei (italiani) che garantisce autorevolezza e insieme freschezza alla riflessione proposta. Gli autori sono coscienti e onesti nel riconoscere che non si possono dare risposte semplici ai problemi complessi – come fanno intuire le diverse “tensioni” cui si accenna nel secondo capitolo – che animano la tappa conclusiva del cammino di iniziazione cristiana; al lettore, quindi, sono offerte non tanto “certezze” inoppugnabili ma punti di riferimento significativi e criteri interpretativi utili a muoversi senza smarrirsi in un terreno per tanti versi ancora inesplorato.

Un problema è se i percorsi di iniziazione cristiana abbiamo il compito di semplice introduzione nelle comunità cristiane o di trasformazione delle stesse. La scelta coraggiosa degli autori propende decisamente per questo secondo obiettivo. E ne studiano le condizioni di realizzabilità

 

“NON LASCIAMOLI SOLI”

Far partire atteggiamenti nuovi, far maturare dei processi

Atti 20,7-12

7 Il primo giorno della settimana ci eravamo riuniti a spezzare il pane e Paolo conversava con loro; e poiché doveva partire il giorno dopo, prolungò la conversazione fino a mezzanotte. 8 C’era un buon numero di lampade nella stanza al piano superiore, dove eravamo riuniti; 9 un ragazzo chiamato Eutico, che stava seduto sulla finestra, fu preso da un sonno profondo mentre Paolo continuava a conversare e, sopraffatto dal sonno, cadde dal terzo piano e venne raccolto morto. 10 Paolo allora scese giù, si gettò su di lui, lo abbracciò e disse: «Non vi turbate; è ancora in vita!». 11 Poi risalì, spezzò il pane e ne mangiò e dopo aver parlato ancora molto fino all’alba, partì. 12 Intanto avevano ricondotto il ragazzo vivo, e si sentirono molto consolati.

E’ bello rileggere insieme questo brano degli Atti, sentire come esso illumini quanto abbiamo vissuto nel Convegno di giugno scorso!

L’episodio avviene a Troade, nel “primo giorno della settimana”, quando la comunità si riunisce “nella stanza al piano superiore” per “spezzare il pane” e ascoltare la Parola di Dio annunciata da Paolo. E’ una comunità degli inizi, piccola e piena di entusiasmo, capace di ascoltare la Parola per tutta la notte, finché non spunta l’alba, approfittando fino all’ultimo della presenza dell’Apostolo. Tutta la stanza è illuminata da molte lampade: è un bel simbolo della luce della Parola e della fede di tante persone che si lascia illuminare da essa. Si direbbe che questa comunità è una “vergine saggia”: ha con sé l’olio, ha la lampada accesa. E’ pronta alla partenza dell’Apostolo e a continuare senza di lui il suo cammino

Non si è accorta però di un particolare. I ritmi di questa comunità, la sua fede luminosa e adulta, non vengono retti dal giovane Eutico. Egli sta alla finestra e, mentre Paolo continua senza sosta la sua omelia, preso da profonda sonnolenza, precipita giù. E’ un’immagine vera di quello che stiamo vivendo oggi: mentre la nostra comunità cristiana, in questa ricchissima e faticosa stagione postconciliare, riscopre con gioia la centralità dell’incontro con il Risorto, dell’ascolto della Parola di Dio, la bellezza del celebrare insieme spezzando il pane eucaristico nella fede e nella carità fraterna, proprio la componente giovanile delle nostre comunità si è lentamente spostata alla finestra, sviluppando un senso di estraneità nei confronti della comunità cristiana e si è addormentata. Forse, come Paolo, abbiamo parlato troppo di cose che poco avevano a che fare con la vita del giovane Eutico, per cui non lo abbiamo aiutato a percepire che la luce era anche per lui; forse ci è mancata l’empatia e non ci siamo accorti di quello che Eutico provava, di quanto la sua giornata, magari vissuta in solitudine, fosse stata pesante e faticosa; forse non siamo stati bravi ad accorgerci che anche Eutico aveva qualcosa da dire, delle domande da fare, che lo avrebbero aiutato ad entrare nel Mistero “a modo suo”, a personalizzare l’annuncio che ascoltava (“Dio a modo mio” è il titolo di un lavoro recente sui giovani e la fede in Italia); come al solito, Dio vuole che la sua comunità si converta e questo non avviene finché non mettiamo al centro della nostra attenzione i piccoli e i poveri…

Così Eutico, tra lo sconcerto di tutti, cade giù e muore. E’ con tristezza enorme che vediamo tanti giovani delle nostre città, proprio perché nei loro percorsi di crescita ormai il vangelo è per lo più assente, appiattirsi sulla mediocrità, perdere la capacità di sognare, rinchiudersi nell’individualismo, rimanere soli e senza parole rispetto ai grandi drammi della vita. Senza il Signore la vita dell’uomo non è più la stessa: si può essere giovani ed essere “vecchi dentro”, forse persino “morti dentro”.

Per questo il gesto di Paolo è esattamente quello che noi, comunità cristiana, siamo chiamati ad attualizzare: lasciare tutte le altre occupazioni, scendere al piano terra, lì dove si trova il giovane Eutico esanime, buttarci addosso a lui per abbracciarlo e ridonargli la vita dello Spirito. Il verbo usato dagli Atti e tradotto con “si gettò su di lui” (epèpesen ) è lo stesso che Luca utilizza anche nel vangelo per dire che il Padre della parabola “si gettò al collo” (Lc 15,20) del figlio minore, per baciarlo e alitare così su di lui la sua stessa vita divina. Le viscere di misericordia del Padre, il suo utero materno, si commuovono, e così anche quelle di Paolo di fronte alla morte del giovane. La misericordia si esprime nel gesto di gettarsi addosso al corpo del ragazzo, come Elia sul figlio della vedova, per ridonare la vita, il respiro, la dignità filiale, e aiutarlo a rialzarsi in piedi. Ogni nostro sforzo per la pastorale giovanile non potrà che partire da questa imitazione dell’utero materno del Padre, da questa riscoperta della misericordia che Dio ha verso di noi e che ci chiama ad esercitare verso tutti. Anche verso i genitori il nostro obiettivo è il medesimo: aiutarli a riscoprire la loro vocazione paterna e materna, la bellezza di un amore di donazione che li rende simili a Dio, la luminosità del gesto di chi muore un po’ perché l’altro, il figlio, possa avere vita. Vogliamo aiutare i papà e le mamme a riscoprire che la fede in Gesù e la relazione con Lui sostiene e dà forma anche al proprio modo di essere genitori.

Come Paolo anche noi possiamo esclamare: “Non vi turbate: la sua anima è in lui!” (tradotto dalla traduzione CEI con : “è ancora in vita”). Si, c’è nel cuore di ognuno dei ragazzi di questa città un desiderio profondo di Dio, un’anima che esprime questo desiderio in mille maniere diverse: voglia di raccontarsi, di sperimentare, di provare “la vertigine”; bisogno profondo di stare con gli altri, di superare l’isolamento, di trovare accoglienza e punti di riferimento tra gli adulti; rifiuto dei formalismi, delle relazioni non autentiche, degli spazi rigidi e non vitali, perché si è alla ricerca di un’appartenenza, di un nuovo modo di stare al mondo, di pensarsi, di agire. Una nostalgia di Dio trapela persino in molti di coloro che dicono di non credere in nessun tipo di religione o di filosofia (quasi la metà dei nostri ragazzi): più che di un rifiuto di Dio si tratta di una presa di distanza da un certo modo di vivere la vita cristiana appreso nelle stanze del catechismo parrocchiale e che ora, a questi adolescenti, non dice più niente perché non c’entra quasi nulla con quello che vivono. (Bichi-Bignardi, Dio a modo mio, p.176). Questo ci interpella profondamente: “la sua anima è ancora in lui”. Quali varchi e quali sentieri lo Spirito Santo si sta aprendo nell’interiorità dei nostri ragazzi? Come possiamo intercettare questi varchi, questi movimenti dello Spirito, e metterli in contatto con il Vangelo di Gesù e la vita della comunità cristiana? Come lo Spirito sta preparando nel cuore dei ragazzi la fede e la Chiesa del futuro? A quali conversioni ci sta chiamando, quali esodi ci vuole far compiere il Signore, attraverso le provocazioni che i ragazzi ci fanno e che siamo chiamati ad ascoltare e a prendere seriamente in considerazione?

Si, perché c’è un rischio reale davanti a noi: che non cogliamo fino in fondo la svolta epocale che stiamo vivendo. il Signore ci sta parlando attraverso la voce di questi giovani, nostri figli: trasmettere a loro la fede richiede un ripensamento profondo non solo delle iniziative di pastorale giovanile, ma del nostro essere Chiesa. Prendiamo per slogan o frasi fatte certe espressioni del nostro Vescovo, Papa Francesco, quando parla di un “improrogabile rinnovamento ecclesiale”: “Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione” (EG 27). Sono passati ormai tanti anni da quando il Magistero dei nostri Papi ci ha richiamati alla necessità di una riforma ecclesiale che, recependo ancora più pienamente il Concilio Vaticano II, segni un’autentica svolta missionaria “che non può lasciare le cose come stanno”(EG 25). Il vero rischio è che ad addormentarsi non sia Eutico, ma che sia tutta la comunità cristiana! Non possiamo rimanere a guardare sbigottiti Eutico che cade nel vuoto: bisogna fare come Paolo, che si precipita ad abbracciarlo e a ridare vita alla sua anima.

La Chiesa è “una madre dal cuore aperto” ( primo capitolo di EG): è discepola, figlia generata dalla Parola, e missionaria, madre che genera nuovi figli alla fede (comunità cristiana che evangelizza e si lascia evangelizzare) incarnandosi nei limiti umani e accompagnando il cammino concreto delle persone. Come in ogni sua epoca la Chiesa si rinnova grazie a due “movimenti” profondamente spirituali e tra loro connessi: se ritorna alle sorgenti della Parola e se si lascia provocare dalla carne degli uomini che è chiamata a servire. Anche perché lei stessa è impastata di quella carne e non può far finta di non esserlo! Bloccare la fecondità anche di uno solo dei due movimenti significa realizzare una riforma a metà della vita della Chiesa. Mettiamoci in ascolto della Parola, consegnata nella Scrittura e nella Tradizione ecclesiale, e ascoltiamo la voce dello Spirito che parla nel cuore degli uomini e nella storia umana, operando comunitariamente un sapiente discernimento dei segni dei tempi. E’ questo il cammino che ci aspetta, ed è un’avventura affascinante!

Con questo intervento di oggi non intendo far altro che rilanciare le parole del Papa e proporre alcune tracce per i cammini delle comunità parrocchiali e delle diverse realtà ecclesiali della diocesi di Roma. Fin dall’inizio voglio precisare che la priorità non va data alle “cose da fare”. Per far circolare operativamente nuove idee sono utili esperienze come quella dei laboratori di giugno, perché nei gruppi sono state condivise molte proposte, raccontate molte iniziative ben riuscite. Gli incontri di prefettura, le riunioni di catechisti e animatori di parrocchie diverse, sono occasioni preziose! Ciò che è più importante (e ben più difficile) è maturare atteggiamenti nuovi e far partire dei processi. E’ anche la preoccupazione del nostro Vescovo, Papa Francesco: sono le nostre malattie spirituali quelle che frenano la circolazione della vita dello Spirito, che impediscono alla comunità cristiana di incontrare in maniera feconda i giovani e le loro famiglie; le malattie ci inducono ad avere lo sguardo corto di chi non intuisce le direzioni di marcia da prendere e si appiattisce quindi sul “già fatto e quindi sicuro” quando ormai da tempo “sicuro non è”!

Vi dico allora quello che mi sembra essenziale fare, il prossimo anno pastorale: ogni comunità parrocchiale, ogni realtà ecclesiale, rifletta con franchezza su quale sia la sua malattia spirituale. In occasione di un’assemblea comunitaria, con il consiglio pastorale, con l’equipe dei catechisti, si chieda: in cosa ci siamo ammalati? Cosa frena in noi il dinamismo evangelizzatore? Cosa ci impedisce di essere una madre dal cuore aperto, capace di accogliere e di uscire? Perché i ragazzi che abbiamo accompagnato nell’iniziazione cristiana prendono le distanze dalla nostra comunità (ovviamente, per quello che dipende da noi…)? Il secondo capitolo di EG, “la crisi dell’impegno comunitario”, nella parte che riguarda “le tentazioni degli operatori pastorali” (EG 76-101) ci offrirà il materiale di base per riflettere. Gli uffici diocesani prepareranno delle schede per aiutare questa verifica comunitaria. Attenzione: non è un’operazione semplice individuare la malattia spirituale della nostra comunità! Non va fatta frettolosamente, perché richiede profonda libertà interiore e un discernimento sapiente illuminato dallo Spirito.

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Permettete anche a me, ora, di sottolineare tre malattie spirituali (mi ispirerò all’ultimo capitolo di EG: “evangelizzatori con Spirito”) che mi sembrano particolarmente pericolose per la nostra vita ecclesiale. Nella seconda parte di questa relazione proporrò alcune riflessioni sulla pastorale giovanile e sul dialogo e la collaborazione con i genitori, con lo scopo di avviare processi attraverso la realizzazione di alcune iniziative.

a. La comunità cristiana è essenzialmente comunità di fede, che vive della gioia dell’incontro con il Risorto (EG 264-267), che si nutre della sua Parola e dell’amicizia con Lui, che percepisce la bellezza e la responsabilità di essere il suo corpo visibile nel mondo per l’edificazione del regno. Stringiamoci a Cristo e che sia la conoscenza e la sequela di lui il cuore di ogni programma pastorale! Questo vuol dire che la comunità non si costruisce sull’efficienza della sua macchina organizzativa, non si riduce a spazio aggregativo per bambini e per anziani, soprattutto non si appiattisce su logiche mondane di vario tipo: l’autocelebrazione narcisistica, la fedeltà sterile e ideologica a riti e consuetudini, la difesa di uno spazio protetto e rassicurante, al riparo dai problemi del mondo… Questa non è senz’altro la Chiesa di Gesù il Signore! Diciamolo con il linguaggio di Papa Francesco: basta pelagianesimi! Questo significa: basta cammini comunitari nei quali pretendiamo di costruire la Chiesa da soli secondo logiche tutte umane. La Chiesa diventa una donna infeconda quando perde il suo sguardo contemplativo e smette di compiere una lettura realmente spirituale, di fede, di quello che lei vive e di quello che vivono gli uomini del suo tempo. Dobbiamo credere alla logica delle beatitudini: quanto più la comunità cristiana si fa piccola, povera, mite, quanto più si concentra sulle relazioni (una famiglia!) e non sulle strutture, tanto più diventa credibile e lascia passare la luce dello Spirito. Una comunità che non si converte continuamente al Signore rinnovando il discepolato è una comunità che non va molto lontano: alla fine i suoi membri implodono perché ognuno si attaccherà al suo ruolo o alle sue idee. Fin dall’inizio, a partire dall’iniziazione cristiana dei bambini e dei ragazzi fino ai gruppi per anziani, bisogna far sì che il Vangelo di Gesù sia il cuore di ogni cammino cristiano, con le modalità adatte a ciascuna età. Questo vale ovviamente anche per gli adolescenti e i giovani: non bisogna aspettare che abbiano un’età diversa per narrare loro la Parola di Dio, ma è necessario coniugare il Vangelo con le loro vite. Ascoltando con profondità i loro vissuti, il modo in cui si interrogano e percepiscono Dio nelle pieghe della loro esistenza, sarà più facile comprendere che il Signore sta già andando loro incontro, quali parole sta loro rivolgendo, attraverso quali esperienze li vuole aiutare a crescere… Qualcosa di simile va detto anche per i genitori dei ragazzi: al cuore di ciò che proponiamo per loro c’è l’annuncio rinnovato del Vangelo, magari sotto l’angolatura ricchissima di ciò che significa essere padri e madri nella Scrittura e nella spiritualità cristiana; sarebbe davvero riduttivo se ci si fermasse a qualche, pur utile, consiglio sulla relazione genitoriale!

b. Oltre a mettere Cristo al centro, le comunità sono invitate a riscoprire “il piacere di essere popolo” (EG 268-274). L’insistenza del Papa è qui estremamente salutare, ci fa bene, perché ci ricorda che in Cristo siamo legati gli uni agli altri e che se ci dividiamo chi ci rimette siamo tutti. Separarci dagli altri, che siano i fratelli della comunità cristiana o gli abitanti del nostro stesso quartiere, ci fa ammalare. E’ dalla contemplazione dell’incarnazione che impariamo a far nostro uno stile diverso, quello con cui Gesù si avvicinava alle persone, condividendone la vita con simpatia autentica, entrando in relazione in profondità, facendosi carico dei dolori e delle fatiche degli altri. E’ quello che il Papa chiama rivoluzione della tenerezza: un modo pienamente evangelico di vivere le relazioni. Basta quindi individualismi e affermazioni identitarie giocate “contro qualcuno”! La storia delle nostre parrocchie e delle nostre comunità ecclesiali, in questi anni, ha su questo punto luci e ombre. Quanto cammino fatto insieme, quanta ricchezza di carismi messa in circolazione, come sono state belle alcune iniziative che ci hanno unito (penso al Giubileo e alla missione cittadina, alla Veglia di Pentecoste celebrata insieme a san Pietro, e a tante altre …). Non a caso ho scelto come simbolo del mio ministero episcopale il melograno, perché rappresenta il servizio alla comunione ecclesiale: i vari acini tenuti insieme dal Signore… Dall’altra parte non sono poche le situazioni in cui si è preferito arroccarsi, difendersi; si è assolutizzata un’esperienza ecclesiale a danno delle altre, ci si è guardati con diffidenza magari per concludere che la coabitazione è impossibile. E’ significativa, ad esempio, la difficoltà a lavorare insieme in prefettura: indica non tanto incapacità organizzativa o mancanza di tempo, ma forse una diffusa malattia spirituale. Quanto al rapporto con chi vive nei nostri quartieri e con cui vorremmo condividere il Vangelo e costruire un dialogo e una collaborazione positiva, ricordiamo i primi due dei tre atteggiamenti di fondo a cui Papa Francesco ci ha richiamati nel Convegno del 2016: togliersi i sandali davanti alle vite degli altri, perché sono luoghi santi; non rinchiudersi nei ghetti delle nostre presunte perfezioni, disprezzando e condannando senza appello le persone. Sul terzo atteggiamento ritorneremo tra poco

c. Una terza considerazione che vorrei condividere con voi riguarda la malattia spirituale di quelle comunità ormai rinunciatarie rispetto al compito evangelizzatore, inteso sia come annunzio del Vangelo sia come collaborazione alla trasformazione del mondo nel regno di Dio. Quante comunità introverse, ripiegate su se stesse, che hanno dimenticato di essere lievito inserito nella storia umana e guardano le vicende del mondo dal balcone delle proprie sicurezze! Con il tempo si inaridiscono e finiscono per dire o fare le cose di sempre: un po’ di catechesi dei bambini, magari qualche pratica devozionale, ma non testimoniano più nulla agli uomini della nostra città! La malattia consiste in fondo nella mancanza di fede nella Pasqua, nel Signore Risorto che agisce anche oggi per mezzo dello Spirito nel mondo e nei cuori delle persone. Basta pessimismo sterile! Non è possibile per la comunità cristiana dimenticare la storia e gli uomini. Smettere di cercare gli uomini, di coinvolgersi nelle loro gioie e speranze, tristezze angosce è una forma di ateismo pratico. Gli uomini infatti hanno già un posto nel cuore di Dio e lì li dobbiamo cercare. Nelle trame delle loro vite entusiasmanti e dolorose, coraggiose e complicate è presente e agisce lo Spirito del Risorto. Il discepolo di Gesù che vedesse negli uomini e nel mondo solo un luogo pagano, privo della presenza di Dio, pieno di tenebre e di nemici, è un discepolo che non crede nella Pasqua che agisce nella storia.

Ci verificheremo quindi sulle malattie spirituali! Anche negli incontri di settore del clero l’argomento verrà approfondito. Ogni comunità parrocchiale, in particolare, condividerà con il proprio Vescovo ausiliare le conclusioni della propria riflessione.

2)

E ora vogliamo ritornare su Eutico, simbolo dei giovani della nostra città. Il prossimo Sinodo dei Vescovi, come sapete, sarà dedicato alla riflessione sulla sfida della pastorale giovanile. L’esortazione apostolica papale che seguirà ci consegnerà contributi preziosi con cui confrontarci. Ma già da adesso (come avete compreso dalla prima parte di questa relazione) vogliamo fare il passo più importante, vogliamo metterci come Chiesa diocesana in un stato di conversione per ascoltare il grido che sale dalle esistenze dei giovani (cfr lettera del Papa che accompagna il documento preparatorio al Sinodo). Ci è sembrato che fosse necessario fin dall’inizio rivolgerci a coloro che hanno la responsabilità principale della loro crescita, i genitori. Il titolo del Convegno: “Non lasciamoli soli”, suggerisce che l’atteggiamento con cui ci avviciniamo a loro sia di collaborazione e di servizio e non, certo, di critica e condanna. Propongo qui alcuni punti che riprendono il discorso del Papa e lancio delle proposte, raccolte attraverso le relazioni dei laboratori e altri contributi che mi sono arrivati nel frattempo, con l’intento, come vi dicevo, di avviare processi.

a. Osserviamo da vicino Eutico. Lo guardiamo, come ci ha detto il Papa, in romanesco e in movimento. E’ l’amore incarnato del Figlio di Dio che ci spinge a guardare non ai giovani in astratto, quello delle pur utili indagini sociologiche, ma ai loro volti concreti, ai giovani che abitano il territorio delle nostra comunità. Una pastorale giovanile in romanesco significa che siamo chiamati ad incontrarli. Non parliamo di loro, ma con loro. Allora ne riconosceremmo il volto bellissimo e fragile, spesso fragilissimo, perché deturpato in mille modi dalla solitudine, dalle dipendenze, dall’arroganza e dalla violenza di chi usa e abusa di loro. Quando stanno insieme forse ci sembrano un “branco” pericoloso e impenetrabile; ma sappiamo che è solo una facciata, la manifestazione di una debolezza profonda. Il Signore vuole che li incontriamo. Credo che questo significhi rilanciare una pastorale coraggiosa della presenza nel territorio e del dialogo. Molti di voi hanno sottolineato il contatto che si può realizzare con gli adolescenti attraverso il mondo della scuola, soprattutto attraverso gli insegnati di religione: pur nel rispetto dei differenti ruoli e approcci (l’insegnante di religione non è un catechista) è ormai evidente a tutti noi quali enormi potenzialità siano contenute nel creare un ponte tra comunità parrocchiale e istituto scolastico. Vi invito a contattare l’ufficio Scuola, don Filippo Morlacchi, perché vi racconti le tante esperienze che sono state già realizzate a Roma, con molto frutto. Sarà anche necessario potenziare un altro canale, quello della presenza negli altri luoghi di vita dei ragazzi, specie in quelli più a rischio per loro. E’ spaventosa la situazione di devianza che vivono molti adolescenti, talvolta nell’assordante silenzio degli adulti e delle istituzioni, anche le nostre. Figli allo sbando, figli di nessuno. Anche in questo settore sono state realizzate molte significative iniziative, penso a don Giovanni Carpentieri e all’equipe che collabora con lui e ad altre realtà presenti nella nostra diocesi. Si tratta quindi di far partire un processo permanente di incontro e di ascolto, e a questo siamo tutti chiamati: renderci conto di come vive Eutico, parlare con lui, farci raccontare qualcosa di ciò che pensa riguardo a sé, alla sua vita, alle sue cadute, a Dio, alla comunità cristiana da cui ha preso le distanze… Vi invito a farlo, a leggere insieme queste narrazioni magari come consiglio pastorale, a rifletterci sopra e far arrivare le vostre riflessioni al Servizio di pastorale giovanile. L’ascolto potrebbe estendersi e comprendere anche alcuni genitori, insegnanti ed educatori, operatori dell’area minori. Gli insegnanti di religione potrebbero, d’intesa con le comunità parrocchiali presenti nel territorio della scuola, provare a raccogliere in classe le riflessioni dei ragazzi e condividerle con i presbiteri e con gli animatori degli adolescenti in incontri di prefettura. Un’iniziativa del genere non va pensata come un sondaggio, non serve per elaborare dati statistici, ma serve unicamente a voi: è un modo con cui la comunità cristiana di quel territorio incontra e si mette in ascolto dei ragazzi che vi abitano e si lascia mettere in crisi e incoraggiare dalle loro attese, dalle critiche o dagli apprezzamenti, dal modo in cui percepiscono Dio e la vita cristiana. Papa Francesco ci ha poi invitato a leggere con gli “occhiali giusti” l’età dei ragazzi, come una realtà in movimento: non è una patologia da medicalizzare ma una stagione della vita preziosa per sé e per tutta la loro famiglia. E’ preziosa anche per noi, comunità cristiana: ci spinge a ringiovanirci, ad accogliere la sfida, a vivere le trasformazioni necessarie per evangelizzare la generazione che viene

b. Il soggetto che è chiamato a convertirsi ed accogliere come una madre i ragazzi e le loro famiglie è tutta la comunità cristiana. Come vorrei che fossimo pienamente convinti di questo e ne comprendessimo fino in fondo le conseguenze! Abitualmente pensiamo che l’evangelizzazione dei giovani richieda tecniche particolari di approccio, offerte formative sofisticate, educatori professionisti o “fuochi d’artificio” pastorali, senza i quali nulla sarebbe efficace: e siccome non sono alla nostra portata, ci scoraggiamo già in partenza. Chi conosce e si fa vicino agli adolescenti sa che hanno bisogno fondamentalmente di adulti di riferimento, di comunità a cui appartenere e che esprimono verso di loro una sensibilità e un’attenzione paterna e materna, senza essere paternalistica. Si trovano bene se vivono una trama di relazioni che li faccia sentire a casa; liberi, perché sono alla ricerca di una loro identità, ma a casa. Guardate come tanti ragazzi si legano ai loro nonni, da cui li separano “anni luce” a livello di mentalità ma da cui si sentono particolarmente amati e lasciati in una sorta di spazio libero (i rimproveri li fanno i genitori!). In effetti nei processi di evangelizzazione e di catechesi dobbiamo tener conto che non tutto è mediato dai contenuti dottrinali comunicati (di cui spesso i ragazzi ricordano pochissimo!) ma che esistono altri fattori educativi importanti: l’accoglienza che fa sentire in famiglia, il senso di appartenenza che può maturare nel gruppo inserito nella comunità cristiana (qui mi piace stare!), la testimonianza ecclesiale alla Parola che suscita la fede e l’identità che scaturisce da questa appartenenza e da questa testimonianza, resa con la vita oltre che con la parola umana; da qui può nascere il giovane cristiano che si impegna nella Chiesa e nel mondo. Affinché questo processo del diventare cristiano possa funzionare, è richiesta l’attenzione di tutta la comunità cristiana (la “compagnia affidabile” di cui ci parlava Papa Benedetto): perché se un ragazzo è accolto da un catechista sorridente ma subito dopo è scansato da una sagrestana “mangia-bambini”, lo sforzo rischia di essere vanificato! In realtà ho la percezione chiara che alle nostre comunità cristiane non manchi nulla per essere pronte a ripartire con una buona pastorale giovanile: devono “solo” (tra virgolette) convertirsi ad un atteggiamento di maggiore attenzione ed apertura. Anche il linguaggio adatto con i giovani non scaturisce da una riunione fatta a tavolino dagli educatori, ma da una comunità appassionata del Vangelo e dei ragazzi: questa comunità, vedrete, sa trovare le parole con cui farsi capire! Per sostenere questo processo di trasformazione della comunità cristiana, vi propongo di dedicare una domenica al mese ad una lectio divina sul tema dell’essere padri e madri nella fede, una Chiesa che genera nuovi figli attraverso la Parola: potete proporre questo itinerario biblico agli adulti della comunità parrocchiale, ai catechisti, ai genitori, alle fraternità di famiglie. Il tema del generare alla fede narrando è molto ricco nella Scrittura. Prepareremo del materiale su questa iniziativa. Il Servizio di pastorale giovanile, guidato come sapete da don Antonio Magnotta, sta puntando a sostenere gli animatori degli adolescenti offrendo loro un cammino formativo di prefettura e degli itinerari sulla riscoperta dell’identità del battezzato (quest’anno sul munus sacerdotale). La pastorale universitaria (Mons. Leuzzi) propone quest’anno un cammino di riscoperta del discepolato missionario sul Vangelo di Marco. Qui vorrei sottolineare un punto importante per il futuro della pastorale giovanile della diocesi: valorizzare la prefettura come il luogo in cui le comunità cristiane e gli educatori degli adolescenti e dei giovani pensano, progettano, verificano le loro attività, si sostengono con incontri di formazione, si raccordano con le scuole del territorio e con le altre agenzie educative, mettono in piedi equipe di operatori di strada, portano avanti la dimensione vocazionale della pastorale giovanile e altro ancora. Non penso che questo sia solo un sogno utopico, ma è un obbiettivo concreto su cui lavorare nei prossimi anni. Per ciò che riguarda l’animazione vocazionale della pastorale giovanile segnalo l’iniziativa di don Fabio Rosini detta “La strada nuova”: si tratta di incontri mensili per giovani, sul tema del discernimento sapienziale, da realizzare con l’aiuto dei rispettivi parroci, in quattro parrocchie, una per ciascuno dei punti cardinali della nostra città: san Lino, Santa Bernardette, SS. Annunziata, SS. Simone e Giuda Taddeo. Inoltre altre iniziative saranno promosse dal Centro Pastorale per la Famiglia, dal Centro Catechistico, da quello Liturgico, dalla Caritas e dal C.O.R.

c. “Solo se i nostri vecchi faranno sogni, allora i giovani avranno visioni”, ci ha detto più volte Papa Francesco citando il profeta Gioele. Solo se le comunità cristiane si risveglieranno dal loro torpore e ricominceranno a sognare, potranno essere capaci di sostenere i ragazzi ed incoraggiarli ad avere “visioni” per l’oggi, per la loro vita e per quella delle realtà in cui abitano. La voglia di essere protagonisti, di rispondere alle sfide, di provare entusiasmo e vertigini, di cui ci ha parlato il Papa, possono davvero oggi esprimersi se sono messi in contatto con una comunità che, seppure un po’ invecchiata, ha ancora voglia di sognare, perché il suo sogno è quello di Dio, una comunità che desidera ancora una volta narrare, alla generazione che viene, la grande storia dell’amore crocifisso del Signore. All’interno della trama positiva delle relazioni comunitarie da cui si sente accolto e valorizzato, il giovane Eutico, messo a contatto con il sogno di Dio sulla sua vita e quella di tutti, non si addormenterà ma sentirà il cuore battergli forte, la testa frullargli, le mani prudergli. Se parliamo a tutta la persona di Eutico, ci dice il Papa, se usiamo tutti i registri educativi (del pensare, dell’amare, del fare), il nostro giovane ritroverà l’unità della sua esistenza e inventerà un “modo suo” di credere, sperare, amare. Le visioni dei giovani infatti, spesso non coincidono con i sogni dei vecchi, non sono la stessa cosa: ma i secondi sono al servizio dei primi. I giovani credenti di oggi vivono la fede in una maniera personale, meno normativa e rigida, più autobiografica e meno istituzionale; questo non è relativismo, ma il normale processo che avviene quando la fede viva passa da una generazione all’altra. Quindi, i vecchi devono sognare e permettere ai giovani di elaborare le loro visioni. Dalla testimonianza credente di chi ha camminato con il Signore possono nascere modalità nuove di vivere la testimonianza oggi. In molti dei laboratori si è sottolineata l’importanza di iniziative intergenerazionali, non solamente tra gruppi di pari, perché possano emergere, al servizio dei ragazzi, le testimonianze di adulti significativi della comunità cristiana. E’ da apprezzare la pastorale degli adolescenti diffusa in molte parrocchie dove è presente il cammino neocatecumenale, dove una famiglia ospita a casa sua e accompagna il percorso di vita e di fede di piccoli gruppi di adolescenti. Noto anche che si diffonde sempre più anche la pratica di affidare un giovane, per il suo accompagnamento spirituale, ad un laico adulto o ad una famiglia, perché possa orientarlo nelle sue scelte fondamentali. Anche qui c’è un processo da avviare con convinzione e una pista di lavoro per i prossimi anni!

d. In ultimo uno sguardo sui genitori dei ragazzi, in realtà il tema centrale del Convegno di quest’anno. Non vogliamo lasciarli soli nel loro compito educativo. Spesso riusciamo a coinvolgere in qualche incontro in parrocchia i genitori dei bambini, ma è molto raro coinvolgere i genitori degli adolescenti. Spesso queste dipende dal fatto che hanno timore di venire criticati, ritenuti responsabili delle intemperanze e delle follie dei loro figli: dobbiamo far loro sentire, invece, tutta la nostra vicinanza, la nostra disponibilità a collaborare. I genitori apprezzano molto la comunità parrocchiale quando a riesce a coinvolgere i loro ragazzi, specie se a casa sperimentano di non essere più presi in considerazione dai loro figli. Tante iniziative indicate nei laboratori sono davvero molto belle e invito a diffonderle e farle circolare. Il Servizio di pastorale giovanile preparerà dei sussidi per l’organizzazione di incontri tra genitori e animatori degli adolescenti, tra genitori e figli. Vorrei però sottolineare due cose: saremo credibili per i genitori se ci sentiranno parlare non soltanto di ciò che vivono i loro figli, ma anche di ciò che vivono loro. Ripeto: devono poter sentire il nostro calore, la nostra empatia e attraverso di essa la tenerezza di Dio. Inoltre, è molto importante che parliamo loro della bellezza del generare e dell’essere padri e madri contenuta nella Scrittura. Lì, nella pagina biblica, c’è un tesoro che stupisce, affascina e motiva al compito educativo. Ho chiesto inoltre al Papa se vorrà regalarci, per il tempo di Avvento e di Quaresima, un sussidio che contenga poche semplici proposte per la preghiera in famiglia. Sarebbe molto bello se ci aiutassimo a recuperare questa capacità di parlare di Dio e di pregarlo in casa che avevano le famiglie fino alla precedente generazione e che si è perduta, contribuendo così alla rottura della trasmissione della fede. La piccola Chiesa domestica, che è la famiglia, riscopre così la sua dignità e la sua vocazione

La Chiesa è una famiglia: l’immagine è quella della mensa domestica, alla quale il Signore invita tutti a sedersi, una tavola dove c’è posto per tutti perché ognuno si senta a casa. Questa casa è la casa della Trinità, che è la Trinità: Dio ha preparato in se stesso un posto per ciascuno di noi (Benedetto XVI). Qui sulla terra è la Chiesa il sacramento dell’amore materno di Dio che invita tutti alla mensa del regno di Dio, al banchetto della Parola e dell’Eucarestia: peccatori, poveri, storpi e ciechi, vecchi e giovani… Gli adolescenti e le loro famiglie, di cui abbiamo parlato nel Convegno di giugno, sono già da sempre nel cuore di Dio: se è così, a noi è chiesto di metterci a servizio del Signore che li cerca, li chiama, li invita a sedersi alla mensa della Parola e dell’Eucarestia, li fa sentire a casa. Quando pensiamo ai ragazzi e le loro famiglie, dobbiamo immaginarli in questo “luogo”: nel cuore di Dio. E’ lì che li dobbiamo cercare.

Preghiera degli educatori e dei genitori per i figli

O Padre,

ci rivolgiamo a Te all’inizio di questo anno nel quale la nostra comunità desidera dedicarsi in maniera rinnovata a servizio della crescita dei ragazzi e dei giovani.

Siamo consapevoli che il futuro passerà dal modo con cui saremo riusciti a rendere sensibili, forti, libere le coscienze di coloro che oggi sono giovani.

Sappiamo che non possiamo lasciare a se stesse le nuove generazioni; né che possiamo lasciare genitori, educatori e insegnanti soli a portare la responsabilità di dare un senso e un orientamento alla loro vita.

Vogliamo tutti insieme, come comunità, assumerci il compito di dare ai ragazzi e ai giovani ragioni di vita e di speranza; vogliamo con loro credere nel futuro. Vorremmo riuscire a fare loro toccare con mano, nelle nostre esistenze, che la vita vale la pena di essere vissuta e che, alla luce del Vangelo e sulla traccia del tuo Figlio Gesù, essa acquista una vastità di orizzonti, una pienezza e un’intensità che va al di là di ogni possibile desiderio.

Siamo coscienti di aver contribuito a preparare per loro una società che ama più le cose che le persone, che esclude i deboli, che non si indigna per l’ingiustizia e non sa più piangere per il dolore dell’altro.

Tu sai, Padre, che anche gli adulti sono spesso sopraffatti dalla stanchezza, spenti dalla disillusione, e che la vita appare loro talvolta più un peso che una benedizione.

Sappiamo quante volte non abbiamo saputo orientare i desideri dei più giovani, non abbiamo saputo trovare le parole giuste per comunicare loro la bellezza della vita e della fede; quante volte non siamo riusciti a riconoscere e ad accogliere le loro spinte al bene o non abbiamo saputo rispettare e decifrare i loro silenzi.

Come discepoli del tuo Figlio, non abbiamo saputo far vedere tutta la bellezza di una vita vissuta secondo il Vangelo.

Padre,

mentre ti chiediamo di avere misericordia per le nostre povertà, invochiamo con ancora più forza il dono del tuo santo Spirito, senza il quale nulla ci è possibile.

Sostenuti da te, sentiamo di poterti presentare il nostro rinnovato impegno.

Desideriamo impegnarci in modo nuovo per l’educazione delle nuove generazioni.

– Ci impegniamo a sentire tutti i nostri ragazzi e giovani come figli nostri, e ad ascoltarli nel loro bisogno di vita, di amore, di pienezza, di gioia;

– Ci impegniamo a fare loro vedere con la nostra vita di ogni giorno quanto sia bella, buona e gioiosa un’esistenza che si svolge sotto il tuo sguardo di Padre e che attinge al Vangelo di Gesù;

– Ci impegniamo ad avere uno sguardo di predilezione per i ragazzi più fragili, quelli che sono stati troppo poco amati e che rischiano di non credere più in nulla;

– Ci impegniamo a far sì che le ragazze e le giovani siano rispettate per la loro dignità ed educate a custodire per tutti quella riserva di tenerezza di cui ha grande bisogno la società;

– Ci impegniamo a sostenere le famiglie, a diventare ogni giorno alleati dei genitori in quel compito educativo che sentiamo anche nostro;

– Ci impegniamo a non pretendere dai giovani che siano migliori di noi, ma insieme con loro vogliamo dar vita ad un mondo pienamente umano;

– Ci impegniamo a far loro posto nella nostra comunità e nella società, consapevoli che la giovinezza della Chiesa ha bisogno della loro presenza, del loro pensiero, del loro cuore, della loro novità.

Ti presentiamo Padre la nostra preghiera per l’intercessione di Maria, Madre di Gesù e Madre di ogni donna e uomo. Lei, che conosce la bellezza e la fatica di accompagnare verso la vita il giovane Gesù, sostenga il nostro cammino.

Amen

 

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Discorso Conclusioni Convegno Diocesano

Da venticinque anni, pensare la comunicazione

Guardare alla situazione attuale e allargare lo sguardo sul futuro per «Ripensare la comunicazione», sotto il profilo delle teorie, delle tecniche e delle didattiche. È questo l’obiettivo del Convegno con cui la Facoltà di Scienze della comunicazione sociale (Fsc) dell’Università Pontificia Salesiana di Roma festeggia i suoi 25 anni. Una «due giorni» di riflessione, confronto e workshop che si apre venerdì 14 novembre nella sede dell’ateneo con i saluti dell’arcivescovo Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali, di Carlo Nanni, rettore, e di Mauro Mantovani, decano della Fsc, per tracciare alcune linee programmatiche, ribadendo la necessità che il comunicare vada oltre la mera tecnologia per fare rima con la passione per la verità, l’attenzione al mondo giovanile e alle fasce più deboli e marginalizzate, la promozione della giustizia, del dialogo e della pace. L’ateneo ha deciso di conferire il dottorato honoris causa a padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa vaticana, per il «suo costante e continuo servizio nell’opera di evangelizzazione e di diffusione del messaggio cristiano e della voce del Papa nel mondo attraverso i mezzi di comunicazione sociale». Alla cerimonia intervengono don Ángel Fernández Artime, rettor maggiore dei salesiani, monsignor Domenico Pompili, direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della Cei, padre Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica, e Cosimo Alvati, docente della Fsc.

In allegato il discorso pronunciato da Mons. Pompili per padre Lombardi.

 

La nuova sfida educativa è l’essere generativi

La relazione di Chiara Giaccardi e Mauro Magatti inaugura il nuovo anno accademico all’Università Salesiana di Roma. Generatività, alterità e educazione, le parole chiave del loro discorso rivolto a studenti e docentiE’ la prima volta che il neo rettor maggiore dei salesiani Ángel Fernández Artime inaugura l’anno accademico dell’Università Pontificia Salesiana di Roma di cui ne è pure gran cancelliere. Un anno ricco di avvenimenti per l’ateneo salesiano che lo scorso 16 Agosto ha aperto i festeggiamenti per il bicentenario di San Giovanni Bosco e i settantacinque anni dalla fondazione della stessa università.

Quest’anno a tenere la prolusione ufficiale è stata eccezionalmente una coppia di sposi, genitori di sei figli ed entrambi docenti presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano (una scelta non indifferente a conclusione di un cruciale Sinodo straordinario sulla famiglia). Chiara Giaccardi, sociologa e docente ordinario di media research e Mauro Magatti docente ordinario di sociologia della religione. Entrambi hanno riflettuto sul significato di “Generatività” anche alla luce della loro ultima pubblicazione intitolata “Generativi di tutto il mondo, unitevi! Manifesto per la società dei liberi“ (Feltrinelli, 2014).

La generatività nasce dall’ascolto. «La generatività è un incontro di idee – spiega Giaccardi – la capacità di leggere la realtà e gli stessi segni dei tempi ascoltando l’altro. Un ascolto che deve diventare il punto di partenza dell’azione educativa. L’alterità con la quale tutti i giorni ci incontriamo e ci scontriamo provoca un movimento di apertura e da questo scombussolamento si crea generatività. Questa parola ha la stessa radice di genio, generoso, radice ed indica la capacità di fare essere qualcosa avendo ascoltato e legato».

Dall’ipersoggettivismo all’”ecologia del cognitivo”. «Nella cultura contemporanea – aggiunge Magatti – abbiamo imparato che non esiste realtà senza soggetto ma abbiamo anche ridotto ogni forma di alterità di questa stessa realtà: l’abbiamo ridotta al nostro punto di vista tralasciando la dimensione collettiva e rendendola sempre più soggettiva, comoda a noi stessi: quell’ipersoggettivismo che non accumula niente. Abbiamo, invece, bisogno di una “ecologia del cognitivo”, ovvero il cercare di riflettere rispetto alla cultura contemporanea, come possiamo tornare e interpretare questa relazionalità senza temerla. Il filosofo Panikkar ci suggerisce una visione della realtà “cosmoteandrica”, ovvero inglobante tre aspetti. Il primo è il cosmo (la relazionalità con la natura e tutto ciò che ci circonda), il secondo è il Theós (il nostro rapporto con Dio e per i non credenti con il mistero) ed infine il terzo, andrica (la nostra relazione sociale con gli altri uomini). Ripartiamo, dunque, ristrutturando il nostro concetto di realtà, con la natura con Dio e con l’altro».

L’educazione è un’alleanza che deve coinvolgere. «Da docenti ma soprattutto da genitori – continua la Giaccardi – sappiamo che “educazione” è una parola che non ha nulla a che fare con il fornire risposte alla domande ma col tenerle vive le domande, tenere viva la curiosità e far gustare il bello. Troppo spesso siamo intrappolati in un modello educativo che si struttura come trasmissione ma l’educazione non è altro che un incontro tra alterità, un incontro nel quale si costruisce qualcosa di nuovo attraverso la relazione. L’educazione è un’alleanza in cui si genere qualcosa di nuovo e in cui tutti cambiano, sia l’educatore che l’educando. L’educazione non può non coinvolgere, nessuno in questa alleanza è soltanto spettatore».

L’opportunità del rafting generativo. «Tutti certamente conosciamo la visione di Bauman sulla modernità liquida – afferma Magatti. Viviamo in una società sempre in movimento, di un’esperienza che continua cambia e con essa cambia anche la vita. Non ha senso dunque avere nostalgia di una società solida perché forse un mondo solido non sarebbe stato capace di ospitare questi nuovi equilibri. E’ vero, una modernità liquida comporta tanti rischi ma in questa liquidità siamo invitati a fornire risposte positive. La vita non è ferma, ci muoviamo all’interno di un fiume come coloro che praticano quello sport in canoa chiamato “rafting”. Ma sappiamo che questo è un rafting generativo perché questa sperimentazione di disorientamento crea nuove opportunità e nuove idee, una nuova sfida».

I due docenti, in conclusione, rivolgendosi agli studenti hanno detto: «Ci auguriamo che questa idea di generatività possa essere una via per aiutare la nostra contemporaneità a fare un passo nell’esperienza della libertà contemporanea. Amare l’idea di libertà che è figlia della cristianità. Essere capaci di entrare in ascolto con il cosmo e con l’altro. Da questo punto di vista Don Bosco è stato uno dei più grandi “generativi” della storia».

Ermanno Giuca

“Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione”

INDICE 
Introduzione

I Parte
L’ascolto: il contesto e le sfide sulla famiglia
Il contesto socio-culturale
La rilevanza della vita affettiva
La sfida per la pastorale

II Parte
Lo sguardo su Cristo: il Vangelo della famiglia
Lo sguardo su Gesù e la pedagogia divina nella storia della salvezza
La famiglia nel disegno salvifico di Dio
La famiglia nei documenti della Chiesa
L’indissolubilità del matrimonio e la gioia del vivere insieme
Verità e bellezza della famiglia e misericordia verso le famiglie ferite e fragili

III Parte

Il confronto: prospettive pastorali
Annunciare il Vangelo della famiglia oggi, nei vari contesti
Guidare i nubendi nel cammino di preparazione al matrimonio
Accompagnare i primi anni della vita matrimoniale
Cura pastorale di coloro che vivono nel matrimonio civile o in convivenze
Curare le famiglie ferite (separati, divorziati non risposati, divorziati risposati, famiglie monoparentali)
L’attenzione pastorale verso le persone con orientamento omosessuale
La trasmissione della vita e la sfida della denatalità
La sfida dell’educazione e il ruolo della famiglia nell’evangelizzazione

Conclusione

Introduzione
1. Il Sinodo dei Vescovi riunito intorno al Papa rivolge il suo pensiero a tutte le famiglie del mondo con le loro gioie, le loro fatiche, le loro speranze. In particolare sente il dovere di ringraziare il Signore per la generosa fedeltà con cui tante famiglie cristiane rispondono alla loro vocazione e missione. Lo fanno con gioia e con fede anche quando il cammino familiare le pone dinanzi a ostacoli, incomprensioni e sofferenze. A queste famiglie va l’apprezzamento, il ringraziamento e l’incoraggiamento di tutta la Chiesa e di questo Sinodo. Nella veglia di preghiera celebrata in Piazza San Pietro sabato 4 ottobre 2014 in preparazione al Sinodo sulla famiglia Papa Francesco ha evocato in maniera semplice e concreta la centralità dell’esperienza familiare nella vita di tutti, esprimendosi così: «Scende ormai la sera sulla nostra assemblea. È l’ora in cui si fa volentieri ritorno a casa per ritrovarsi alla stessa mensa, nello spessore degli affetti, del bene compiuto e ricevuto, degli incontri che scaldano il cuore e lo fanno crescere, vino buono che anticipa nei giorni dell’uomo la festa senza tramonto. È anche l’ora più pesante per chi si ritrova a tu per tu con la propria solitudine, nel crepuscolo amaro di sogni e di progetti infranti: quante persone trascinano le giornate nel vicolo cieco della rassegnazione, dell’abbandono, se non del rancore; in quante case è venuto meno il vino della gioia e, quindi, il sapore – la sapienza stessa – della vita […] Degli uni e degli altri questa sera ci facciamo voce con la nostra preghiera, una preghiera per tutti».

2. Grembo di gioie e di prove, di affetti profondi e di relazioni a volte ferite, la famiglia è veramente “scuola di umanità” (cf. Gaudium et Spes, 52), di cui si avverte fortemente il bisogno. Nonostante i tanti segnali di crisi dell’istituto familiare nei vari contesti del “villaggio globale”, il desiderio di famiglia resta vivo, in specie fra i giovani, e motiva la Chiesa, esperta in umanità e fedele alla sua missione, ad annunciare senza sosta e con convinzione profonda il “Vangelo della famiglia” che le è stato affidato con la rivelazione dell’amore di Dio in Gesù Cristo e ininterrottamente insegnato dai Padri, dai Maestri della spiritualità e dal Magistero della Chiesa. La famiglia assume per la Chiesa un’importanza del tutto particolare e nel momento in cui tutti i credenti sono invitati a uscire da se stessi è necessario che la famiglia si riscopra come soggetto imprescindibile per l’evangelizzazione. Il pensiero va alla testimonianza missionaria di tante famiglie.

3. Sulla realtà della famiglia, decisiva e preziosa, il Vescovo di Roma ha chiamato a riflettere il Sinodo dei Vescovi nella sua Assemblea Generale Straordinaria dell’ottobre 2014, per approfondire poi la riflessione nell’Assemblea Generale Ordinaria che si terrà nell’ottobre 2015, oltre che nell’intero anno che intercorre fra i due eventi sinodali. «Già il convenire in unum attorno al Vescovo di Roma è evento di grazia, nel quale la collegialità episcopale si manifesta in un cammino di discernimento spirituale e pastorale»: così Papa Francesco ha descritto l’esperienza sinodale, indicandone i compiti nel duplice ascolto dei segni di Dio e della storia degli uomini e nella duplice e unica fedeltà che ne consegue.

4. Alla luce dello stesso discorso abbiamo raccolto i risultati delle nostre riflessioni e dei nostri dialoghi nelle seguenti tre parti: l’ascolto, per guardare alla realtà della famiglia oggi, nella complessità delle sue luci e delle sue ombre; lo sguardo fisso sul Cristo per ripensare con rinnovata freschezza ed entusiasmo quanto la rivelazione, trasmessa nella fede della Chiesa, ci dice sulla bellezza, sul ruolo e sulla dignità della famiglia; il confronto alla luce del Signore Gesù per discernere le vie con cui rinnovare la Chiesa e la società nel loro impegno per la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna.

PRIMA PARTE
L’ascolto: il contesto e le sfide sulla famiglia
Il contesto socio-culturale

5. Fedeli all’insegnamento di Cristo guardiamo alla realtà della famiglia oggi in tutta la sua complessità, nelle sue luci e nelle sue ombre. Pensiamo ai genitori, ai nonni, ai fratelli e alle sorelle, ai parenti prossimi e lontani, e al legame tra due famiglie che tesse ogni matrimonio. Il cambiamento antropologico-culturale influenza oggi tutti gli aspetti della vita e richiede un approccio analitico e diversificato. Vanno sottolineati prima di tutto gli aspetti positivi: la più grande libertà di espressione e il migliore riconoscimento dei diritti della donna e dei bambini, almeno in alcune regioni. Ma, d’altra parte, bisogna egualmente considerare il crescente pericolo rappresentato da un individualismo esasperato che snatura i legami familiari e finisce per considerare ogni componente della famiglia come un’isola, facendo prevalere, in certi casi, l’idea di un soggetto che si costruisce secondo i propri desideri assunti come un assoluto. A ciò si aggiunge anche la crisi della fede che ha toccato tanti cattolici e che spesso è all’origine delle crisi del matrimonio e della famiglia.

6. Una delle più grandi povertà della cultura attuale è la solitudine, frutto dell’assenza di Dio nella vita delle persone e della fragilità delle relazioni. C’è anche una sensazione generale di impotenza nei confronti della realtà socio-economica che spesso finisce per schiacciare le famiglie. Così è per la crescente povertà e precarietà lavorativa che è vissuta talvolta come un vero incubo, o a motivo di una fiscalità troppo pesante che certo non incoraggia i giovani al matrimonio. Spesso le famiglie si sentono abbandonate per il disinteresse e la poca attenzione da parte delle istituzioni. Le conseguenze negative dal punto di vista dell’organizzazione sociale sono evidenti: dalla crisi demografica alle difficoltà educative, dalla fatica nell’accogliere la vita nascente all’avvertire la presenza degli anziani come un peso, fino al diffondersi di un disagio affettivo che arriva talvolta alla violenza. È responsabilità dello Stato creare le condizioni legislative e di lavoro per garantire l’avvenire dei giovani e aiutarli a realizzare il loro progetto di fondare una famiglia.

7. Ci sono contesti culturali e religiosi che pongono sfide particolari. In alcune società vige ancora la pratica della poligamia e in alcuni contesti tradizionali la consuetudine del “matrimonio per tappe”. In altri contesti permane la pratica dei matrimoni combinati. Nei Paesi in cui la presenza della Chiesa cattolica è minoritaria sono numerosi i matrimoni misti e di disparità di culto con tutte le difficoltà che essi comportano riguardo alla configurazione giuridica, al battesimo e all’educazione dei figli e al reciproco rispetto dal punto di vista della diversità della fede. In questi matrimoni può esistere il pericolo del relativismo o dell’indifferenza, ma vi può essere anche la possibilità di favorire lo spirito ecumenico e il dialogo interreligioso in un’armoniosa convivenza di comunità che vivono nello stesso luogo. In molti contesti, e non solo occidentali, si va diffondendo ampiamente la prassi della convivenza che precede il matrimonio o anche di convivenze non orientate ad assumere la forma di un vincolo istituzionale. A questo si aggiunge spesso una legislazione civile che compromette il matrimonio e la famiglia. A causa della secolarizzazione in molte parti del mondo il riferimento a Dio è fortemente diminuito e la fede non è più socialmente condivisa.

8. Molti sono i bambini che nascono fuori dal matrimonio, specie in alcuni Paesi, e molti quelli che poi crescono con uno solo dei genitori o in un contesto familiare allargato o ricostituito. Il numero dei divorzi è crescente e non è raro il caso di scelte determinate unicamente da fattori di ordine economico. I bambini spesso sono oggetto di contesa tra i genitori e i figli sono le vere vittime delle lacerazioni familiari. I padri sono spesso assenti non solo per cause economiche laddove invece si avverte il bisogno che essi assumano più chiaramente la responsabilità per i figli e per la famiglia. La dignità della donna ha ancora bisogno di essere difesa e promossa. Oggi infatti, in molti contesti, l’essere donna è oggetto di discriminazione e anche il dono della maternità viene spesso penalizzato piuttosto che essere presentato come valore. Non vanno neppure dimenticati i crescenti fenomeni di violenza di cui le donne sono vittime, talvolta purtroppo anche all’interno delle famiglie e la grave e diffusa mutilazione genitale della donna in alcune culture. Lo sfruttamento sessuale dell’infanzia costituisce poi una delle realtà più scandalose e perverse della società attuale. Anche le società attraversate dalla violenza a causa della guerra, del terrorismo o della presenza della criminalità organizzata, vedono situazioni familiari deterioratee soprattutto nelle grandi metropoli e nelle loro periferie cresce il cosiddetto fenomeno dei bambini di strada. Le migrazioni inoltre rappresentano un altro segno dei tempi da affrontare e comprendere con tutto il carico di conseguenze sulla vita familiare.

La rilevanza della vita affettiva
9. A fronte del quadro sociale delineato si riscontra in molte parti del mondo, nei singoli un maggiore bisogno di prendersi cura della propria persona, di conoscersi interiormente, di vivere meglio in sintonia con le proprie emozioni e i propri sentimenti, di cercare relazioni affettive di qualità; tale giusta aspirazione può aprire al desiderio di impegnarsi nel costruire relazioni di donazione e reciprocità creative, responsabilizzanti e solidali come quelle familiari. Il pericolo individualista e il rischio di vivere in chiave egoistica sono rilevanti. La sfida per la Chiesa è di aiutare le coppie nella maturazione della dimensione emozionale e nello sviluppo affettivo attraverso la promozione del dialogo, della virtù e della fiducia nell’amore misericordioso di Dio. Il pieno impegno richiesto nel matrimonio cristiano può essere un forte antidoto alla tentazione di un individualismo egoistico.

10. Nel mondo attuale non mancano tendenze culturali che sembrano imporre una affettività senza limiti di cui si vogliono esplorare tutti i versanti, anche quelli più complessi. Di fatto, la questione della fragilità affettiva è di grande attualità: una affettività narcisistica, instabile e mutevole che non aiuta sempre i soggetti a raggiungere una maggiore maturità. Preoccupa una certa diffusione della pornografia e della commercializzazione del corpo, favorita anche da un uso distorto di internet e va denunciata la situazione di quelle persone che sono obbligate a praticare la prostituzione. In questo contesto, le coppie sono talvolta incerte, esitanti e faticano a trovare i modi per crescere. Molti sono quelli che tendono a restare negli stadi primari della vita emozionale e sessuale. La crisi della coppia destabilizza la famiglia e può arrivare attraverso le separazioni e i divorzi a produrre serie conseguenze sugli adulti, i figli e la società, indebolendo l’individuo e i legami sociali. Anche il calo demografico, dovuto ad una mentalità antinatalista e promosso dalle politiche mondiali di salute riproduttiva, non solo determina una situazione in cui l’avvicendarsi delle generazioni non è più assicurato, ma rischia di condurre nel tempo a un impoverimento economico e a una perdita di speranza nell’avvenire. Lo sviluppo delle biotecnologie ha avuto anch’esso un forte impatto sulla natalità.

La sfida per la pastorale
11. In questo contesto la Chiesa avverte la necessità di dire una parola di verità e di speranza. Occorre muovere dalla convinzione che l’uomo viene da Dio e che, pertanto, una riflessione capace di riproporre le grandi domande sul significato dell’essere uomini, possa trovare un terreno fertile nelle attese più profonde dell’umanità. I grandi valori del matrimonio e della famiglia cristiana corrispondono alla ricerca che attraversa l’esistenza umana anche in un tempo segnato dall’individualismo e dall’edonismo. Occorre accogliere le persone con la loro esistenza concreta, saperne sostenere la ricerca, incoraggiare il desiderio di Dio e la volontà di sentirsi pienamente parte della Chiesa anche in chi ha sperimentato il fallimento o si trova nelle situazioni più disparate. Il messaggio cristiano ha sempre in sé la realtà e la dinamica della misericordia e della verità, che in Cristo convergono.

II PARTE
Lo sguardo su Cristo: il Vangelo della famiglia
Lo sguardo su Gesù e la pedagogia divina nella storia della salvezza

12. Al fine di «verificare il nostro passo sul terreno delle sfide contemporanee, la condizione decisiva è mantenere fisso lo sguardo su Gesù Cristo, sostare nella contemplazione e nell’adorazione del suo volto […]. Infatti, ogni volta che torniamo alla fonte dell’esperienza cristiana si aprono strade nuove e possibilità impensate» (Papa Francesco, Discorso del 4 ottobre 2014). Gesù ha guardato alle donne e agli uomini che ha incontrato con amore e tenerezza, accompagnando i loro passi con verità, pazienza e misericordia, nell’annunciare le esigenze del Regno di Dio.

13. Dato che l’ordine della creazione è determinato dall’orientamento a Cristo, occorre distinguere senza separare i diversi gradi mediante i quali Dio comunica all’umanità la grazia dell’alleanza. In ragione della pedagogia divina, secondo cui l’ordine della creazione evolve in quello della redenzione attraverso tappe successive, occorre comprendere la novità del sacramento nuziale cristiano in continuità con il matrimonio naturale delle origini. Così qui s’intende il modo di agire salvifico di Dio, sia nella creazione sia nella vita cristiana. Nella creazione: poiché tutto è stato fatto per mezzo di Cristo ed in vista di Lui (cf. Col 1,16), i cristiani sono «lieti di scoprire e pronti a rispettare quei germi del Verbo che vi si trovano nascosti; debbono seguire attentamente la trasformazione profonda che si verifica in mezzo ai popoli» (Ad Gentes, 11). Nella vita cristiana: in quanto con il battesimo il credente è inserito nella Chiesa mediante quella Chiesa domestica che è la sua famiglia, egli intraprende quel «processo dinamico, che avanza gradualmente con la progressiva integrazione dei doni di Dio» (Familiaris Consortio, 11), mediante la conversione continua all’amore che salva dal peccato e dona pienezza di vita.

14. Gesù stesso, riferendosi al disegno primigenio sulla coppia umana, riafferma l’unione indissolubile tra l’uomo e la donna, pur dicendo che «per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così» (Mt 19,8). L’indissolubilità del matrimonio (“Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi” Mt 19,6), non è innanzitutto da intendere come “giogo” imposto agli uomini bensì come un “dono” fatto alle persone unite in matrimonio. In tal modo, Gesù mostra come la condiscendenza divina accompagni sempre il cammino umano, guarisca e trasformi il cuore indurito con la sua grazia, orientandolo verso il suo principio, attraverso la via della croce. Dai Vangeli emerge chiaramente l’esempio di Gesù che è paradigmatico per la Chiesa. Gesù infatti ha assunto una famiglia, ha dato inizio ai segni nella festa nuziale a Cana, ha annunciato il messaggio concernente il significato del matrimonio come pienezza della rivelazione che recupera il progetto originario di Dio (Mt 19,3). Ma nello stesso tempo ha messo in pratica la dottrina insegnata manifestando così il vero significato della misericordia. Ciò appare chiaramente negli incontri con la samaritana (Gv 4,1-30) e con l’adultera (Gv 8,1-11) in cui Gesù, con un atteggiamento di amore verso la persona peccatrice, porta al pentimento e alla conversione (“va’ e non peccare più”), condizione per il perdono.

La famiglia nel disegno salvifico di Dio
15. Le parole di vita eterna che Gesù ha lasciato ai suoi discepoli comprendevano l’insegnamento sul matrimonio e la famiglia. Tale insegnamento di Gesù ci permette di distinguere in tre tappe fondamentali il progetto di Dio sul matrimonio e la famiglia. All’inizio, c’è la famiglia delle origini, quando Dio creatore istituì il matrimonio primordiale tra Adamo ed Eva, come solido fondamento della famiglia. Dio non solo ha creato l’essere umano maschio e femmina (Gen 1,27), ma li ha anche benedetti perché fossero fecondi e si moltiplicassero (Gen 1,28). Per questo, «l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne» (Gen 2,24). Questa unione è stata danneggiata dal peccato ed è diventata la forma storica di matrimonio nel Popolo di Dio, per il quale Mosè concesse la possibilità di rilasciare un attestato di divorzio (cf. Dt 24, 1ss). Tale forma era prevalente ai tempi di Gesù. Con il Suo avvento e la riconciliazione del mondo caduto grazie alla redenzione da Lui operata, terminò l’era inaugurata con Mosé.

16. Gesù, che ha riconciliato ogni cosa in sé, ha riportato il matrimonio e la famiglia alla loro forma originale (cf. Mc 10,1-12). La famiglia e il matrimonio sono stati redenti da Cristo (cf. Ef 5,21-32), restaurati a immagine della Santissima Trinità, mistero da cui scaturisce ogni vero amore. L’alleanza sponsale, inaugurata nella creazione e rivelata nella storia della salvezza, riceve la piena rivelazione del suo significato in Cristo e nella sua Chiesa. Da Cristo attraverso la Chiesa, il matrimonio e la famiglia ricevono la grazia necessaria per testimoniare l’amore di Dio e vivere la vita di comunione. Il Vangelo della famiglia attraversa la storia del mondo sin dalla creazione dell’uomo ad immagine e somiglianza di Dio (cf. Gen 1, 26-27) fino al compimento del mistero dell’Alleanza in Cristo alla fine dei secoli con le nozze dell’Agnello (cf. Ap 19,9; Giovanni Paolo II, Catechesi sull’amore umano).

La famiglia nei documenti della Chiesa
17. «Nel corso dei secoli, la Chiesa non ha fatto mancare il suo costante insegnamento sul matrimonio e la famiglia. Una delle espressioni più alte di questo Magistero è stata proposta dal Concilio Ecumenico Vaticano II, nella Costituzione pastorale Gaudium et Spes, che dedica un intero capitolo alla promozione della dignità del matrimonio e della famiglia (cf. Gaudium et Spes, 47-52). Esso ha definito il matrimonio come comunità di vita e di amore (cf. Gaudium et Spes, 48), mettendo l’amore al centro della famiglia, mostrando, allo stesso tempo, la verità di questo amore davanti alle diverse forme di riduzionismo presenti nella cultura contemporanea. Il “vero amore tra marito e moglie” (Gaudium et Spes, 49) implica la mutua donazione di sé, include e integra la dimensione sessuale e l’affettività, corrispondendo al disegno divino (cf. Gaudium et Spes, 48-49). Inoltre, Gaudium et Spes 48 sottolinea il radicamento in Cristo degli sposi: Cristo Signore “viene incontro ai coniugi cristiani nel sacramento del matrimonio”, e con loro rimane. Nell’incarnazione, Egli assume l’amore umano, lo purifica, lo porta a pienezza, e dona agli sposi, con il suo Spirito, la capacità di viverlo, pervadendo tutta la loro vita di fede, speranza e carità. In questo modo gli sposi sono come consacrati e, mediante una grazia propria, edificano il Corpo di Cristo e costituiscono una Chiesa domestica (cf. Lumen Gentium, 11), così che la Chiesa, per comprendere pienamente il suo mistero, guarda alla famiglia cristiana, che lo manifesta in modo genuino» (Instrumentum Laboris, 4).

18. «Sulla scia del Concilio Vaticano II, il Magistero pontificio ha approfondito la dottrina sul matrimonio e sulla famiglia. In particolare, Paolo VI, con la Enciclica Humanae Vitae, ha messo in luce l’intimo legame tra amore coniugale e generazione della vita. San Giovanni Paolo II ha dedicato alla famiglia una particolare attenzione attraverso le sue catechesi sull’amore umano, la Lettera alle famiglie (Gratissimam Sane) e soprattutto con l’Esortazione Apostolica Familiaris Consortio. In tali documenti, il Pontefice ha definito la famiglia “via della Chiesa”; ha offerto una visione d’insieme sulla vocazione all’amore dell’uomo e della donna; ha proposto le linee fondamentali per la pastorale della famiglia e per la presenza della famiglia nella società. In particolare, trattando della carità coniugale (cf. Familiaris Consortio, 13), ha descritto il modo in cui i coniugi, nel loro mutuo amore, ricevono il dono dello Spirito di Cristo e vivono la loro chiamata alla santità» (Instrumentum Laboris, 5).

19. «Benedetto XVI, nell’Enciclica Deus Caritas Est, ha ripreso il tema della verità dell’amore tra uomo e donna, che s’illumina pienamente solo alla luce dell’amore di Cristo crocifisso (cf. Deus Caritas Est, 2). Egli ribadisce come: “Il matrimonio basato su un amore esclusivo e definitivo diventa l’icona del rapporto di Dio con il suo popolo e viceversa: il modo di amare di Dio diventa la misura dell’amore umano” (Deus Caritas Est, 11). Inoltre, nella Enciclica Caritas in Veritate, evidenzia l’importanza dell’amore come principio di vita nella società (cf. Caritas in Veritate, 44), luogo in cui s’impara l’esperienza del bene comune» (Instrumentum Laboris, 6).

20. «Papa Francesco, nell’Enciclica Lumen Fidei affrontando il legame tra la famiglia e la fede, scrive: “L’incontro con Cristo, il lasciarsi afferrare e guidare dal suo amore allarga l’orizzonte dell’esistenza, le dona una speranza solida che non delude. La fede non è un rifugio per gente senza coraggio, ma la dilatazione della vita. Essa fa scoprire una grande chiamata, la vocazione all’amore, e assicura che quest’amore è affidabile, che vale la pena di consegnarsi ad esso, perché il suo fondamento si trova nella fedeltà di Dio, più forte di ogni nostra fragilità” (Lumen Fidei, 53)» (Instrumentum Laboris, 7).

L’indissolubilità del matrimonio e la gioia del vivere insieme
21. Il dono reciproco costitutivo del matrimonio sacramentale è radicato nella grazia del battesimo che stabilisce l’alleanza fondamentale di ogni persona con Cristo nella Chiesa. Nella reciproca accoglienza e con la grazia di Cristo i nubendi si promettono dono totale, fedeltà e apertura alla vita, essi riconoscono come elementi costitutivi del matrimonio i doni che Dio offre loro, prendendo sul serio il loro vicendevole impegno, in suo nome e di fronte alla Chiesa. Ora, nella fede è possibile assumere i beni del matrimonio come impegni meglio sostenibili mediante l’aiuto della grazia del sacramento. Dio consacra l’amore degli sposi e ne conferma l’indissolubilità, offrendo loro l’aiuto per vivere la fedeltà, l’integrazione reciproca e l’apertura alla vita. Pertanto, lo sguardo della Chiesa si volge agli sposi come al cuore della famiglia intera che volge anch’essa lo sguardo verso Gesù.

22. Nella stessa prospettiva, facendo nostro l’insegnamento dell’Apostolo secondo cui tutta la creazione è stata pensata in Cristo e in vista di lui (cf. Col 1,16), il Concilio Vaticano II ha voluto esprimere apprezzamento per il matrimonio naturale e per gli elementi validi presenti nelle altre religioni (cf. Nostra Aetate, 2) e nelle culture nonostante i limiti e le insufficienze (cf. Redemptoris Missio, 55). La presenza dei semina Verbi nelle culture (cf. Ad Gentes, 11) potrebbe essere applicata, per alcuni versi, anche alla realtà matrimoniale e familiare di tante culture e di persone non cristiane. Ci sono quindi elementi validi anche in alcune forme fuori del matrimonio cristiano –comunque fondato sulla relazione stabile e vera di un uomo e una donna –, che in ogni caso riteniamo siano ad esso orientate. Con lo sguardo rivolto alla saggezza umana dei popoli e delle culture, la Chiesa riconosce anche questa famiglia come la cellula basilare necessaria e feconda della convivenza umana.

Verità e bellezza della famiglia e misericordia verso le famiglie ferite e fragili
23. Con intima gioia e profonda consolazione, la Chiesa guarda alle famiglie che restano fedeli agli insegnamenti del Vangelo, ringraziandole e incoraggiandole per la testimonianza che offrono. Grazie ad esse, infatti, è resa credibile la bellezza del matrimonio indissolubile e fedele per sempre. Nella famiglia,«che si potrebbe chiamare Chiesa domestica» (Lumen Gentium, 11), matura la prima esperienza ecclesiale della comunione tra persone, in cui si riflette, per grazia, il mistero della Santa Trinità. «È qui che si apprende la fatica e la gioia del lavoro, l’amore fraterno, il perdono generoso, sempre rinnovato, e soprattutto il culto divino attraverso la preghiera e l’offerta della propria vita» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1657). La Santa Famiglia di Nazaret ne è il modello mirabile, alla cui scuola noi «comprendiamo perché dobbiamo tenere una disciplina spirituale, se vogliamo seguire la dottrina del Vangelo e diventare discepoli del Cristo» (Paolo VI, Discorso a Nazaret, 5 gennaio 1964). Il Vangelo della famiglia, nutre pure quei semi che ancora attendono di maturare, e deve curare quegli alberi che si sono inariditi e necessitano di non essere trascurati.

24. La Chiesa, in quanto maestra sicura e madre premurosa, pur riconoscendo che per i battezzati non vi è altro vincolo nuziale che quello sacramentale, e che ogni rottura di esso è contro la volontà di Dio, è anche consapevole della fragilità di molti suoi figli che faticano nel cammino della fede. «Pertanto, senza sminuire il valore dell’ideale evangelico, bisogna accompagnare con misericordia e pazienza le possibili tappe di crescita delle persone che si vanno costruendo giorno per giorno. […] Un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani, può essere più gradito a Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare importanti difficoltà. A tutti deve giungere la consolazione e lo stimolo dell’amore salvifico di Dio, che opera misteriosamente in ogni persona, al di là dei suoi difetti e delle sue cadute» (Evangelii Gaudium, 44).

25. In ordine ad un approccio pastorale verso le persone che hanno contratto matrimonio civile, che sono divorziati e risposati, o che semplicemente convivono, compete alla Chiesa rivelare loro la divina pedagogia della grazia nelle loro vite e aiutarle a raggiungere la pienezza del piano di Dio in loro. Seguendo lo sguardo di Cristo, la cui luce rischiara ogni uomo (cf. Gv 1,9; Gaudium et Spes, 22) la Chiesa si volge con amore a coloro che partecipano alla sua vita in modo incompiuto, riconoscendo che la grazia di Dio opera anche nelle loro vite dando loro il coraggio per compiere il bene, per prendersi cura con amore l’uno dell’altro ed essere a servizio della comunità nella quale vivono e lavorano.

26. La Chiesa guarda con apprensione alla sfiducia di tanti giovani verso l’impegno coniugale, soffre per la precipitazione con cui tanti fedeli decidono di porre fine al vincolo assunto, instaurandone un altro. Questi fedeli, che fanno parte della Chiesa hanno bisogno di un’attenzione pastorale misericordiosa e incoraggiante, distinguendo adeguatamente le situazioni. I giovani battezzati vanno incoraggiati a non esitare dinanzi alla ricchezza che ai loro progetti di amore procura il sacramento del matrimonio, forti del sostegno che ricevono dalla grazia di Cristo e dalla possibilità di partecipare pienamente alla vita della Chiesa.

27. In tal senso, una dimensione nuova della pastorale familiare odierna consiste nel prestare attenzione alla realtà dei matrimoni civili tra uomo e donna, ai matrimoni tradizionali e, fatte le debite differenze, anche alle convivenze. Quando l’unione raggiunge una notevole stabilità attraverso un vincolo pubblico, è connotata da affetto profondo, da responsabilità nei confronti della prole, da capacità di superare le prove, può essere vista come un’occasione da accompagnare nello sviluppo verso il sacramento del matrimonio. Molto spesso invece la convivenza si stabilisce non in vista di un possibile futuro matrimonio, ma senza alcuna intenzione di stabilire un rapporto istituzionale. 28. Conforme allo sguardo misericordioso di Gesù, la Chiesa deve accompagnare con attenzione e premura i suoi figli più fragili, segnati dall’amore ferito e smarrito, ridonando fiducia e speranza, come la luce del faro di un porto o di una fiaccola portata in mezzo alla gente per illuminare coloro che hanno smarrito la rotta o si trovano in mezzo alla tempesta. Consapevoli che la misericordia più grande è dire la verità con amore, andiamo aldilà della compassione. L’amore misericordioso, come attrae e unisce, così trasforma ed eleva. Invita alla conversione. Così nello stesso modo intendiamo l’atteggiamento del Signore, che non condanna la donna adultera, ma le chiede di non peccare più (cf. Gv 8,1-11).

III PARTE
Il confronto: prospettive pastorali
Annunciare il Vangelo della famiglia oggi, nei vari contesti
29. Il dialogo sinodale si è soffermato su alcune istanze pastorali più urgenti da affidare alla concretizzazione nelle singole Chiese locali, nella comunione “cum Petro et sub Petro”. L’annunzio del Vangelo della famiglia costituisce un’urgenza per la nuova evangelizzazione. La Chiesa è chiamata ad attuarlo con tenerezza di madre e chiarezza di maestra (cf. Ef 4,15), in fedeltà alla kenosi misericordiosa del Cristo. La verità si incarna nella fragilità umana non per condannarla, ma per salvarla (cf. Gv 3,16 -17). 30. Evangelizzare è responsabilità di tutto il popolo di Dio, ognuno secondo il proprio ministero e carisma. Senza la testimonianza gioiosa dei coniugi e delle famiglie, chiese domestiche, l’annunzio, anche se corretto, rischia di essere incompreso o di affogare nel mare di parole che caratterizza la nostra società (cf. Novo Millennio Ineunte, 50). I Padri sinodali hanno più volte sottolineato che le famiglie cattoliche in forza della grazia del sacramento nuziale sono chiamate ad essere esse stesse soggetti attivi della pastorale familiare.

31. Decisivo sarà porre in risalto il primato della grazia, e quindi le possibilità che lo Spirito dona nel sacramento. Si tratta di far sperimentare che il Vangelo della famiglia è gioia che «riempie il cuore e la vita intera», perché in Cristo siamo «liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento» (Evangelii Gaudium, 1). Alla luce della parabola del seminatore (cf. Mt 13,3), il nostro compito è di cooperare nella semina: il resto è opera di Dio. Non bisogna neppure dimenticare che la Chiesa che predica sulla famiglia è segno di contraddizione.

32. Per questo si richiede a tutta la Chiesa una conversione missionaria: è necessario non fermarsi ad un annuncio meramente teorico e sganciato dai problemi reali delle persone. Non va mai dimenticato che la crisi della fede ha comportato una crisi del matrimonio e della famiglia e, come conseguenza, si è interrotta spesso la trasmissione della stessa fede dai genitori ai figli. Dinanzi ad una fede forte l’imposizione di alcune prospettive culturali che indeboliscono la famiglia e il matrimonio non ha incidenza.

33. La conversione è anche quella del linguaggio perché esso risulti effettivamente significativo. L’annunzio deve far sperimentare che il Vangelo della famiglia è risposta alle attese più profonde della persona umana: alla sua dignità e alla realizzazione piena nella reciprocità, nella comunione e nella fecondità. Non si tratta soltanto di presentare una normativa ma di proporre valori, rispondendo al bisogno di essi che si constata oggi anche nei Paesi più secolarizzati.

34. La Parola di Dio è fonte di vita e spiritualità per la famiglia. Tutta la pastorale familiare dovrà lasciarsi modellare interiormente e formare i membri della Chiesa domestica mediante la lettura orante e ecclesiale della Sacra Scrittura. La Parola di Dio non solo è una buona novella per la vita privata delle persone, ma anche un criterio di giudizio e una luce per il discernimento delle diverse sfide con cui si confrontano i coniugi e le famiglie.

35. Allo stesso tempo molti Padri sinodali hanno insistito su un approccio più positivo alle ricchezze delle diverse esperienze religiose, senza tacere sulle difficoltà. In queste diverse realtà religiose e nella grande diversità culturale che caratterizza le Nazioni è opportuno apprezzare prima le possibilità positive e alla luce di esse valutare limiti e carenze.

36. Il matrimonio cristiano è una vocazione che si accoglie con un’adeguata preparazione in un itinerario di fede, con un discernimento maturo, e non va considerato solo come una tradizione culturale o un’esigenza sociale o giuridica. Pertanto occorre realizzare percorsi che accompagnino la persona e la coppia in modo che alla comunicazione dei contenuti della fede si unisca l’esperienza di vita offerta dall’intera comunità ecclesiale.

37. È stata ripetutamente richiamata la necessità di un radicale rinnovamento della prassi pastorale alla luce del Vangelo della famiglia, superando le ottiche individualistiche che ancora la caratterizzano. Per questo si è più volte insistito sul rinnovamento della formazione dei presbiteri, dei diaconi, dei catechisti e degli altri operatori pastorali, mediante un maggiore coinvolgimento delle stesse famiglie.

38. Si è parimenti sottolineata la necessità di una evangelizzazione che denunzi con franchezza i condizionamenti culturali, sociali, politici ed economici, come l’eccessivo spazio dato alla logica del mercato, che impediscono un’autentica vita familiare, determinando discriminazioni, povertà, esclusioni, violenza. Per questo va sviluppato un dialogo e una cooperazione con le strutture sociali, e vanno incoraggiati e sostenuti i laici che si impegnano, come cristiani, in ambito culturale e socio-politico.

Guidare i nubendi nel cammino di preparazione al matrimonio
39. La complessa realtà sociale e le sfide che la famiglia oggi è chiamata ad affrontare richiedono un impegno maggiore di tutta la comunità cristiana per la preparazione dei nubendi al matrimonio. È necessario ricordare l’importanza delle virtù. Tra esse la castità risulta condizione preziosa per la crescita genuina dell’amore interpersonale. Riguardo a questa necessità i Padri sinodali sono stati concordi nel sottolineare l’esigenza di un maggiore coinvolgimento dell’intera comunità privilegiando la testimonianza delle stesse famiglie, oltre che di un radicamento della preparazione al matrimonio nel cammino di iniziazione cristiana, sottolineando il nesso del matrimonio con il battesimo e gli altri sacramenti. Si è parimenti evidenziata la necessità di programmi specifici per la preparazione prossima al matrimonio che siano vera esperienza di partecipazione alla vita ecclesiale e approfondiscano i diversi aspetti della vita familiare.

Accompagnare i primi anni della vita matrimoniale
40. I primi anni di matrimonio sono un periodo vitale e delicato durante il quale le coppie crescono nella consapevolezza delle sfide e del significato del matrimonio. Di qui l’esigenza di un accompagnamento pastorale che continui dopo la celebrazione del sacramento (cf. Familiaris Consortio, parte III). Risulta di grande importanza in questa pastorale la presenza di coppie di sposi con esperienza. La parrocchia è considerata come il luogo dove coppie esperte possono essere messe a disposizione di quelle più giovani, con l’eventuale concorso di associazioni, movimenti ecclesiali e nuove comunità. Occorre incoraggiare gli sposi a un atteggiamento fondamentale di accoglienza del grande dono dei figli. Va sottolineata l’importanza della spiritualità familiare, della preghiera e della partecipazione all’Eucaristia domenicale, incoraggiando le coppie a riunirsi regolarmente per promuovere la crescita della vita spirituale e la solidarietà nelle esigenze concrete della vita. Liturgie, pratiche devozionali e Eucaristie celebrate per le famiglie, soprattutto nell’anniversario del matrimonio, sono state menzionate come vitali per favorire l’evangelizzazione attraverso la famiglia.

Cura pastorale di coloro che vivono nel matrimonio civile o in convivenze
41. Mentre continua ad annunciare e promuovere il matrimonio cristiano, il Sinodo incoraggia anche il discernimento pastorale delle situazioni di tanti che non vivono più questa realtà. È importante entrare in dialogo pastorale con tali persone al fine di evidenziare gli elementi della loro vita che possono condurre a una maggiore apertura al Vangelo del matrimonio nella sua pienezza. I pastori devono identificare elementi che possono favorire l’evangelizzazione e la crescita umana e spirituale. Una sensibilità nuova della pastorale odierna, consiste nel cogliere gli elementi positivi presenti nei matrimoni civili e, fatte le debite differenze, nelle convivenze. Occorre che nella proposta ecclesiale, pur affermando con chiarezza il messaggio cristiano, indichiamo anche elementi costruttivi in quelle situazioni che non corrispondono ancora o non più ad esso.

42. È stato anche notato che in molti Paesi un «crescente numero di coppie convivono ad experimentum, senza alcun matrimonio né canonico, né civile» (Instrumentum Laboris, 81). In alcuni Paesi questo avviene specialmente nel matrimonio tradizionale, concertato tra famiglie e spesso celebrato in diverse tappe. In altri Paesi invece è in continua crescita il numero di coloro dopo aver vissuto insieme per lungo tempo chiedono la celebrazione del matrimonio in chiesa. La semplice convivenza è spesso scelta a causa della mentalità generale contraria alle istituzioni e agli impegni definitivi, ma anche per l’attesa di una sicurezza esistenziale (lavoro e salario fisso). In altri Paesi, infine, le unioni di fatto sono molto numerose, non solo per il rigetto dei valori della famiglia e del matrimonio, ma soprattutto per il fatto che sposarsi è percepito come un lusso, per le condizioni sociali, così che la miseria materiale spinge a vivere unioni di fatto.

43. Tutte queste situazioni vanno affrontate in maniera costruttiva, cercando di trasformarle in opportunità di cammino verso la pienezza del matrimonio e della famiglia alla luce del Vangelo. Si tratta di accoglierle e accompagnarle con pazienza e delicatezza. A questo scopo è importante la testimonianza attraente di autentiche famiglie cristiane, come soggetti dell’evangelizzazione della famiglia. Curare le famiglie ferite (separati, divorziati non risposati, divorziati risposati, famiglie monoparentali)

44. Quando gli sposi sperimentano problemi nelle loro relazioni, devono poter contare sull’aiuto e l’accompagnamento della Chiesa. La pastorale della carità e la misericordia tendono al recupero delle persone e delle relazioni. L’esperienza mostra che con un aiuto adeguato e con l’azione di riconciliazione della grazia una grande percentuale di crisi matrimoniali si superano in maniera soddisfacente. Saper perdonare e sentirsi perdonati è un’esperienza fondamentale nella vita familiare. Il perdono tra gli sposi permette di sperimentare un amore che è per sempre e non passa mai (cf. 1 Cor 13,8). A volte risulta difficile, però, per chi ha ricevuto il perdono di Dio avere la forza per offrire un perdono autentico che rigeneri la persona.

45. Nel Sinodo è risuonata chiara la necessità di scelte pastorali coraggiose. Riconfermando con forza la fedeltà al Vangelo della famiglia e riconoscendo che separazione e divorzio sono sempre una ferita che provoca profonde sofferenze ai coniugi che li vivono e ai figli, i Padri sinodali hanno avvertito l’urgenza di cammini pastorali nuovi, che partano dall’effettiva realtà delle fragilità familiari, sapendo che esse, spesso, sono più “subite” con sofferenza che scelte in piena libertà. Si tratta di situazioni diverse per fattori sia personali che culturali e socio-economici. Occorre uno sguardo differenziato come San Giovanni Paolo II suggeriva (cf. Familiaris Consortio, 84).

46. Ogni famiglia va innanzitutto ascoltata con rispetto e amore facendosi compagni di cammino come il Cristo con i discepoli sulla strada di Emmaus. Valgono in maniera particolare per queste situazioni le parole di Papa Francesco: «La Chiesa dovrà iniziare i suoi membri – sacerdoti, religiosi e laici – a questa “arte dell’accompagnamento”, perché tutti imparino sempre a togliersi i sandali davanti alla terra sacra dell’altro (cf. Es 3,5). Dobbiamo dare al nostro cammino il ritmo salutare della prossimità, con uno sguardo rispettoso e pieno di compassione ma che nel medesimo tempo sani, liberi e incoraggi a maturare nella vita cristiana» (Evangelii Gaudium, 169).

47. Un particolare discernimento è indispensabile per accompagnare pastoralmente i separati, i divorziati, gli abbandonati. Va accolta e valorizzata soprattutto la sofferenza di coloro che hanno subito ingiustamente la separazione, il divorzio o l’abbandono, oppure sono stati costretti dai maltrattamenti del coniuge a rompere la convivenza. Il perdono per l’ingiustizia subita non è facile, ma è un cammino che la grazia rende possibile. Di qui la necessità di una pastorale della riconciliazione e della mediazione attraverso anche centri di ascolto specializzati da stabilire nelle diocesi. Parimenti va sempre sottolineato che è indispensabile farsi carico in maniera leale e costruttiva delle conseguenze della separazione o del divorzio sui figli, in ogni caso vittime innocenti della situazione. Essi non possono essere un “oggetto” da contendersi e vanno cercate le forme migliori perché possano superare il trauma della scissione familiare e crescere in maniera il più possibile serena. In ogni caso la Chiesa dovrà sempre mettere in rilievo l’ingiustizia che deriva molto spesso dalla situazione di divorzio. Speciale attenzione va data all’accompagnamento delle famiglie monoparentali, in maniera particolare vanno aiutate le donne che devono portare da sole la responsabilità della casa e l’educazione dei figli.

48. Un grande numero dei Padri ha sottolineato la necessità di rendere più accessibili ed agili, possibilmente del tutto gratuite, le procedure per il riconoscimento dei casi di nullità. Tra le proposte sono stati indicati: il superamento della necessità della doppia sentenza conforme; la possibilità di determinare una via amministrativa sotto la responsabilità del vescovo diocesano; un processo sommario da avviare nei casi di nullità notoria. Alcuni Padri tuttavia si dicono contrari a queste proposte perché non garantirebbero un giudizio affidabile. Va ribadito che in tutti questi casi si tratta dell’accertamento della verità sulla validità del vincolo. Secondo altre proposte, andrebbe poi considerata la possibilità di dare rilevanza al ruolo della fede dei nubendi in ordine alla validità del sacramento del matrimonio, tenendo fermo che tra battezzati tutti i matrimoni validi sono sacramento.

49. Circa le cause matrimoniali lo snellimento della procedura, richiesto da molti, oltre alla preparazione di sufficienti operatori, chierici e laici con dedizione prioritaria, esige di sottolineare la responsabilità del vescovo diocesano, il quale nella sua diocesi potrebbe incaricare dei consulenti debitamente preparati che possano gratuitamente consigliare le parti sulla validità del loro matrimonio. Tale funzione può essere svolta da un ufficio o persone qualificate (cf. Dignitas Connubii, art. 113, 1).

50. Le persone divorziate ma non risposate, che spesso sono testimoni della fedeltà matrimoniale, vanno incoraggiate a trovare nell’Eucaristia il cibo che le sostenga nel loro stato. La comunità locale e i Pastori devono accompagnare queste persone con sollecitudine, soprattutto quando vi sono figli o è grave la loro situazione di povertà.

51. Anche le situazioni dei divorziati risposati esigono un attento discernimento e un accompagnamento di grande rispetto, evitando ogni linguaggio e atteggiamento che li faccia sentire discriminati e promovendo la loro partecipazione alla vita della comunità. Prendersi cura di loro non è per la comunità cristiana un indebolimento della sua fede e della sua testimonianza circa l’indissolubilità matrimoniale, anzi essa esprime proprio in questa cura la sua carità.

52. Si è riflettuto sulla possibilità che i divorziati e risposati accedano ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia. Diversi Padri sinodali hanno insistito a favore della disciplina attuale, in forza del rapporto costitutivo fra la partecipazione all’Eucaristia e la comunione con la Chiesa ed il suo insegnamento sul matrimonio indissolubile. Altri si sono espressi per un’accoglienza non generalizzata alla mensa eucaristica, in alcune situazioni particolari ed a condizioni ben precise, soprattutto quando si tratta di casi irreversibili e legati ad obblighi morali verso i figli che verrebbero a subire sofferenze ingiuste. L’eventuale accesso ai sacramenti dovrebbe essere preceduto da un cammino penitenziale sotto la responsabilità del Vescovo diocesano. Va ancora approfondita la questione, tenendo ben presente la distinzione tra situazione oggettiva di peccato e circostanze attenuanti, dato che «l’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere sminuite o annullate» da diversi «fattori psichici oppure sociali» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1735).

53. Alcuni Padri hanno sostenuto che le persone divorziate e risposate o conviventi possono ricorrere fruttuosamente alla comunione spirituale. Altri Padri si sono domandati perché allora non possano accedere a quella sacramentale. Viene quindi sollecitato un approfondimento della tematica in grado di far emergere la peculiarità delle due forme e la loro connessione con la teologia del matrimonio.

54. Le problematiche relative ai matrimoni misti sono ritornate sovente negli interventi dei Padri sinodali. La diversità della disciplina matrimoniale delle Chiese ortodosse pone in alcuni contesti problemi sui quali è necessario riflettere in ambito ecumenico. Analogamente per i matrimoni interreligiosi sarà importante il contributo del dialogo con le religioni.

L’attenzione pastorale verso le persone con orientamento omosessuale
55. Alcune famiglie vivono l’esperienza di avere al loro interno persone con orientamento omosessuale. Al riguardo ci si è interrogati su quale attenzione pastorale sia opportuna di fronte a questa situazione riferendosi a quanto insegna la Chiesa: «Non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia». Nondimeno, gli uomini e le donne con tendenze omosessuali devono essere accolti con rispetto e delicatezza. «A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione» (Congregazione per la Dottrina della Fede, Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, 4).

56. È del tutto inaccettabile che i Pastori della Chiesa subiscano delle pressioni in questa materia e che gli organismi internazionali condizionino gli aiuti finanziari ai Paesi poveri all’introduzione di leggi che istituiscano il “matrimonio” fra persone dello stesso sesso.

La trasmissione della vita e la sfida della denatalità
57. Non è difficile constatare il diffondersi di una mentalità che riduce la generazione della vita a una variabile della progettazione individuale o di coppia. I fattori di ordine economico esercitano un peso talvolta determinante contribuendo al forte calo della natalità che indebolisce il tessuto sociale, compromette il rapporto tra le generazioni e rende più incerto lo sguardo sul futuro. L’apertura alla vita è esigenza intrinseca dell’amore coniugale. In questa luce, la Chiesa sostiene le famiglie che accolgono, educano e circondano del loro affetto i figli diversamente abili.

58. Anche in questo ambito occorre partire dall’ascolto delle persone e dar ragione della bellezza e della verità di una apertura incondizionata alla vita come ciò di cui l’amore umano ha bisogno per essere vissuto in pienezza. È su questa base che può poggiare un adeguato insegnamento circa i metodi naturali per la procreazione responsabile. Esso aiuta a vivere in maniera armoniosa e consapevole la comunione tra i coniugi, in tutte le sue dimensioni, insieme alla responsabilità generativa. Va riscoperto il messaggio dell’Enciclica Humanae Vitae di Paolo VI, che sottolinea il bisogno di rispettare la dignità della persona nella valutazione morale dei metodi di regolazione della natalità. L’adozione di bambini, orfani e abbandonati, accolti come propri figli, è una forma specifica di apostolato familiare (cf. Apostolicam Actuositatem, III,11), più volte richiamata e incoraggiata dal magistero (cf. Familiaris Consortio, III,II; Evangelium Vitae, IV,93). La scelta dell’adozione e dell’affido esprime una particolare fecondità dell’esperienza coniugale, non solo quando questa è segnata dalla sterilità. Tale scelta è segno eloquente dell’amore familiare, occasione per testimoniare la propria fede e restituire dignità filiale a che ne è stato privato.

59. Occorre aiutare a vivere l’affettività, anche nel legame coniugale, come un cammino di maturazione, nella sempre più profonda accoglienza dell’altro e in una donazione sempre più piena. Va ribadita in tal senso la necessità di offrire cammini formativi che alimentino la vita coniugale e l’importanza di un laicato che offra un accompagnamento fatto di testimonianza viva. È di grande aiuto l’esempio di un amore fedele e profondo fatto di tenerezza, di rispetto, capace di crescere nel tempo e che nel suo concreto aprirsi alla generazione della vita fa l’esperienza di un mistero che ci trascende.

La sfida dell’educazione e il ruolo della famiglia nell’evangelizzazione
60. Una delle sfide fondamentali di fronte a cui si trovano le famiglie oggi è sicuramente quella educativa, resa più impegnativa e complessa dalla realtà culturale attuale e della grande influenza dei media. Vanno tenute in debito conto le esigenze e le attese di famiglie capaci di essere nella vita quotidiana, luoghi di crescita, di concreta ed essenziale trasmissione delle virtù che danno forma all’esistenza. Ciò indica che i genitori possano scegliere liberalmente il tipo dell’educazione da dare ai figli secondo le loro convinzioni.

61. La Chiesa svolge un ruolo prezioso di sostegno alle famiglie, partendo dall’iniziazione cristiana, attraverso comunità accoglienti. Ad essa è chiesto, oggi ancor più di ieri, nelle situazioni complesse come in quelle ordinarie, di sostenere i genitori nel loro impegno educativo, accompagnando bambini, ragazzi e giovani nella loro crescita attraverso cammini personalizzati capaci di introdurre al senso pieno della vita e di suscitare scelte e responsabilità, vissute alla luce del Vangelo. Maria, nella sua tenerezza, misericordia, sensibilità materna può nutrire la fame di umanità e vita, per cui viene invocata dalle famiglie e dal popolo cristiano. La pastorale e una devozione mariana sono un punto di partenza opportuno per annunciare il Vangelo della famiglia.

Conclusione
62. Le riflessioni proposte, frutto del lavoro sinodale svoltosi in grande libertà e in uno stile di reciproco ascolto, intendono porre questioni e indicare prospettive che dovranno essere maturate e precisate dalla riflessione delle Chiese locali nell’anno che ci separa dall’Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi prevista per l’ottobre 2015, dedicata alla vocazione e missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo. Non si tratta di decisioni prese né di prospettive facili. Tuttavia il cammino collegiale dei vescovi e il coinvolgimento dell’intero popolo di Dio sotto l’azione dello Spirito Santo, guardando al modello della Santa Famiglia, potranno guidarci a trovare vie di verità e di misericordia per tutti. È l’auspicio che sin dall’inizio dei nostri lavori Papa Francesco ci ha rivolto invitandoci al coraggio della fede e all’accoglienza umile e onesta della verità nella carità.

Votazioni dei singoli numeri della “Relatio Synodi”

Totale dei presenti: 183
Non sono indicate le astensioni.
placet / non placet

1. 175   1
2. 179   0
3. 178   1
4. 180   2
5. 177   3
6. 175   5
7. 170   9
8. 179    1
9. 171    8
10. 174  8
11. 173  6
12. 176  3
13. 174  7
14. 164  18
15. 167  13
16. 171  8
17. 174  6
18. 175  5
19. 176  5
20. 178  3
21. 181  1
22. 160  22
23. 169  10
24. 170  11
25. 140  39
26. 166  14
27. 147  34
28. 152  27
29. 176  7
30. 178  2
31. 175  4
32. 176  5
33. 175  7
34. 180  1
35. 164  17
36. 177  1
37. 175  2
38. 178  1
39. 176  4
40. 179  1
41. 125  54
42. 143  37
43. 162  14
44. 171  7
45. 165  15
46. 171  8
47. 164  12
48. 143  35
49. 154  23
50. 169  8
51. 155  19
52. 104  74
53. 112  64
54. 145  29
55. 118  62
56. 159  21
57. 169  5
58. 167  9
59. 172  5
60. 174  4
61. 178  1
62. 169  8
 
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Ripetere non serve e costa troppo

Settembre. Un nuovo anno scolastico è iniziato e l’attenzione di politici e dell’opinione pubblica si è concentrata sulla scuola. Un po’ per gli annunci di riforma, ma anche perché siamo tutti genitori, figli, zii, nonni o nonne e quindi il mondo della scuola fa parte, nel bene e nel male, del nostro vivere quotidiano o di quello dei nostri cari. Quello che è certo, al di la delle proposte di rivoluzionare la scuola è che molti studenti italiani sentiranno sia sui banchi di scuola che a casa la minaccia “Studia! Altrimenti sarai bocciato”. In teoria la bocciatura dovrebbe servire a permettere a uno studente che è rimasto indietro nel programma di “mettersi in pari” per riuscire poi a proseguire gli studi con profitto. Tuttavia lo studio OCSE PISA che confronta i dati sulle bocciature e sulle competenze scolastiche degli studenti 15-enni in più di 65 paesi nel mondo mostra che far ripetere anni scolastici non è di aiuto per gli studenti che ripetono un anno, comporta costi elevati per il sistema paese e non solo non aiuta a promuovere maggiore equità nel sistema, ma rinforza le differenze tra studenti con un diverso background socio-economico. In Italia ci sono ancora troppi bocciati: il 17% degli studenti quindicenni ha dichiarato di aver ripetuto almeno un anno scolastico, rispetto a una media OCSE del 12%.

Gli studenti persi e il mancato recupero

Inoltre, mentre in molti paesi dei Paesi con livelli molto alti di ripetenti il numero di studenti che ha ripetuto una classe è diminuito, in Italia il numero degli studenti ripetenti è aumentato. In Italia tra il 2003 e il 2012, la percentuale di studenti che ha dichiarato di aver ripetuto almeno un anno scolastico è aumentata di 2 punti percentuali, mentre in Francia che nel 2003 registrava il 39% di ripetenti nel 2012 questo era sceso al 28%. Lo studio PISA mostra che purtroppo in Italia, come in molti altri paesi, tra gli studenti che ottengono gli stessi risultati in matematica, comprensione di testi e scienze, gli studenti socialmente svantaggiati hanno più probabilità di ripetere un anno rispetto agli studenti più favoriti. Gli studenti socio-economicamente svantaggiati hanno meno possibilità di ricevere aiuto durante l’anno scolastico grazie a corsi di recupero e lezioni private. Gli studenti svantaggiati spesso hanno maggiori problemi comportamentali, arrivano in ritardo e saltano lezioni o giorni di scuola. Invece che intervenire sui problemi che determinano un allontanamento progressivo di troppi ragazzi dalle classi, il mondo scuola in Italia si basa ancora sull’uso della bocciatura come strumento per punire. Uno dei possibili risultati e’ la scarsa motivazione dei ragazzi e gli alti livelli di dispersione scolastica. L’esigenza di fare ripetere una classe implica costi elevati: alla spesa di un anno aggiuntivo d’istruzione bisogna infatti aggiungere il mancato introito per la società quando si differisce di almeno un anno l’ingresso dello studente bocciato sul mercato del lavoro. In Italia, il costo delle bocciature rappresenta il 6,7% della spesa annua nazionale per l’istruzione primaria e secondaria – ovvero 47.174 dollari (circa 36 mila euro) per studente che ripete l’anno. Prevenire è meglio che curare. Vale nel mondo della sanità pubblica, ma vale anche, e soprattutto, nel mondo della scuola. Prevenire è meglio che curare e le bocciature sono costose e non curano il problema dello scarso profitto e motivazione degli studenti italiani. Ridurre le bocciature potrebbe aiutare a risparmiare risorse da investire nella prevenzione: per aiutare i ragazzi in modo personalizzato durante l’anno affinché’ non si creino lacune nel processo di apprendimento e per affiancare ragazzi demotivati e con scarso attaccamento alla scuola.

di Francesca Borgonovi, analista Ocse

Cambiare si può. Com’è difficile dire «no slot»

Per i ludopatici è un problema riuscire a starne alla larga. Per i baristi è difficile separarsene. Gli uni perché malati di gioco; gli altri perché messi all’angolo da condizioni contrattuali che prevedono penali stratosferiche: anche 250 euro per ogni giorno di spegnimento dell’apparecchio in anticipo rispetto alla scadenza dei contratti. Abbastanza per scoraggiare. Nonostante questo il fronte no-slot cresce.

Ma a volte, dietro un sì o un no alle scommesse, possono nascondersi altri interessi. Sospetti su cui a Milano lavorano i carabinieri, dopo che nella notte di capodanno la Caffetteria Marchionni ha subito l’esplosione di due bombe carta che ne hanno danneggiato l’ingresso. L’anno scorso l’attività era stata rilevata regolarmente dai nuovi proprietari che, per prima cosa, hanno rispedito ai noleggiatori gli apparecchi da gioco. Italo e Maria, i due titolari, provano a smorzare i toni: «Purtroppo dobbiamo convivere anche con questi inconvenienti ma, sicuramente, non sono queste “stupidate” a darci preoccupazione». 

Come dire che chiunque sia stato, quello non è un posto in cui spadroneggiare. Non è una risposta da poco. Angela Fioroni, di Legautonomie Lombardia, non si è molto sorpresa di quanto successo nel locale del quartiere milanese di Bruzzano, periferia Nord nella quale si muovono con una certa disinvoltura le nuove leve della ’ndrangheta: «Abbiamo avuto notizie di intimidazioni prima di togliere le slot – racconta Fioroni –, ma sarebbe la prima volta che questo accade dopo». Segno che chi decide di restituire al mittente gli apparecchi rischia di mettersi nei guai.

«Se non mangiamo noi non mangia nessuno». Sono frasi come queste a rivelare cosa ci sia, talvolta, dietro alla spietata concorrenza tra noleggiatori di videopoker e slot-machine. Gli investigatori le hanno ascoltate alcuni mesi fa in Molise e poi di nuovo in Campania e nel Lazio. Dalle parti di Campobasso è stata scoperta un’organizzazione che pretendeva di sostituire le macchinette già attive nei vari locali con quelle delle proprie agenzie di noleggio. In alcuni casi la minaccia veniva supportata anche da una precedente azione di “disturbo”, un avvertimento che serviva a mettere in guardia i commercianti. Nelle carte dell’inchiesta ci sono intercettazioni eloquenti: «Poi te la porto una macchinetta – dice uno degli indagati ad una delle vittime – e digli che se lui non rompe le scatole a me io non le rompo a lui».

Nel centro di Pavia c’è un bar con le slot spente. Il titolare ha fatto una certa fatica a convincere i concessionari a portarle via. «Hanno promesso che entro febbraio – riferisce il barista che preferisce restare anonimo – verranno a riprendersele». Non è stato facile, e non solo per i mille euro di percentuale sugli incassi che gli apparecchi gli assicuravano ogni mese. «Ma grazie alla legge regionale con cui la giunta si impegna a proteggere i baristi e le ricevitorie che vogliono dismettere le slot-machine, abbiamo trovato l’occasione per chiudere per sempre con questo incubo».

A Crespi D’Adda (Bergamo) Angela e Frank Labat, gestori de “Il villaggio Café”, hanno raccontato di aver fatto con le slot un tentativo tre anni fa, durato circa 6 mesi: «Abbiamo potuto avere esperienza diretta della dipendenza generata da queste macchinette». Il contratto, per loro fortuna, non era vincolante, e quando hanno visto la gente del piccolo borgo rovinarsi hanno preso una decisione: «Più volte ci sono state riproposte le slot machine, o i “gratta e vinci”, o prodotti di questo genere, ma la nostra risposta è invariabilmente no».

 
Nello Scavo