Il Papa: ora più equità e sviluppo per i giovani

 

 

 

 

È la crisi economico-finanziaria globale che nasce in Occidente e che scatena i suoi effetti devastanti sui paesi in via di sviluppo a segnare il tradizionale discorso di augurio di inizio anno tenuto ieri da Papa Benedetto XVI al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede.

Sono l’incertezza per il futuro dei giovani e la loro protesta sviluppatasi soprattutto nel Nord Africa e in Medio Oriente. È l’esigenza di un mondo più giusto e sicuro e soprattutto di uno sviluppo che abbia al centro l’uomo e le sue esigenze.

È la domanda di nuove regole e soprattutto di una «maggiore etica» che guidi i comportamenti individuali e sociali nell’economia globale.

È di questo che parla Papa Ratzinger ai 179 rappresentanti dei paesi accreditati presso la Santa Sede, da ultimo la Malesia, ricevuti ieri mattina in udienza nella Sala Regia. La tradizionale cerimonia è stata l’occasione per fare un bilancio dell’anno trascorso.

Malgrado tutto invita ad avere speranza nel futuro, Papa Ratzinger. Ce n’è bisogno. Il quadro è drammatico. Ne è ben consapevole il pontefice.

«Il momento attuale – osserva – è segnato purtroppo da un profondo malessere e le diverse crisi, economiche, politiche e sociali, ne sono una drammatica espressione».

Sottolinea come «gli sviluppi gravi e preoccupanti della crisi economica e finanziaria mondiale» iniziata nei Paesi industrializzati stiano lasciando «disorientati e frustrati soprattutto i giovani».

etica e giovani

Invoca un cambiamento profondo dei comportamenti individuali e sociali, degli individui e degli

Stati. Perché la crisi può essere affrontata come un’occasione per «riflettere sull’esistenza umana e

sull’importanza della sua dimensione etica».

Indica quale debba essere l’obiettivo di questo cambiamento: «Non soltanto cercare di arginare le perdite individuali o delle economie nazionali, ma darci nuove regole che assicurino a tutti la possibilità di vivere dignitosamente e di sviluppare le

proprie capacità a beneficio dell’intera comunità».

 

È sui giovani che insiste il pontefice. Sono stati loro i protagonisti della «primavera araba». Ricorda

il loro giustificato «malessere». Vittime della povertà e della disoccupazione, in assenza di

«prospettive certe» hanno lanciato – osserva – «quello che è diventato un vasto movimento di

rivendicazione di riforme e di partecipazione più attiva alla vita politica e sociale».

Su di un punto il pontefice insiste: il «rispetto della persona» che deve essere «al centro delle istituzioni e delle leggi». Per questo invoca «nuove regole che assicurino a tutti la possibilità di vivere dignitosamente

e di sviluppare le proprie capacità a beneficio dell’intera comunità».

 

i punti di crisi

È un appello al cambiamento radicale che per Ratzinger deve trovare le sue fondamenta nell’educazione offerta alle giovani generazioni. Torna così sui contenuti del suo messaggio per la Giornata mondiale della pace.

Rivendica il ruolo centrale della famiglia tradizionale, quella fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna. Così arriva a definire «lesive della famiglia» e

«minacciose della dignità umana e del futuro stesso dell’umanità» le leggi che finirebbero per

intaccarla. La sua è una condanna implicita, ma nettissima, verso quelle leggi che equiparano alla

famiglia le coppie di fatto. Esplicita è, invece, quella mossa alle «misure legislative che non solo

permettono, ma talvolta favoriscono l’aborto».

 

È la difesa dei valori non negoziabili: vita, famiglia,

educazione, libertà religiosa.

Nel suo discorso Benedetto XVI elenca anche gli scenari della crisi internazionale. Dalla drammatica situazione in Siria, per la quale auspica «una rapida fine degli spargimenti di sangue e

l’inizio di un dialogo fruttuoso tra gli attori politici, favorito dalla presenza di osservatori indipendenti», al difficile rapporto tra israeliani e palestinesi in Terra Santa, la situazione in Nigeria, dove la comunità cristiana da Natale è oggetto di violenze e persecuzioni da parte dei

fondamentalisti islamici.

Il Papa ha voluto ricordare il ministro pachistano Shahbaz Bhatti, «la cui infaticabile lotta per idiritti delle minoranze si è conclusa con una morte tragica». Non un caso isolato, ha aggiunto,

denunciando come i cristiani siano ancora «privati dei diritti fondamentali e messi ai margini della vita pubblica; in altri subiscono attacchi violenti. Talvolta, sono costretti ad abbandonare Paesi che

essi hanno contribuito a edificare. Torna a ribadire lo «spirito di Assisi» e invita i governi a percorrere «un cammino di giustizia, di pace e di riconciliazione, in cui i membri di tutte le etnie e

di tutte le religioni siano rispettati»

di Roberto Monteforte

in “l’Unità” del 10 gennaio 2012

 

La scuola italiana nell’annuario Istat

 

Annuario Istat, gli studenti in Italia aumentano, ma non alle superiori

 

Sono 8.968.063 gli studenti iscritti all’anno scolastico 2009/2010, circa 15.000 in più rispetto a quello precedente. Il tasso di scolarità si attesta ormai da qualche anno intorno al cento per cento per la scuola primaria e secondaria di primo grado, mentre subisce una modesta flessione per la secondaria di secondo grado, dal 92,7% del 2008/2009 al 92,3% del 2009/2010. Lo si legge nell’Annuario 2011 dell’Istat.

L’aumento della scolarizzazione ha prodotto, nel corso degli anni, un costante innalzamento del livello di istruzione della popolazione italiana: la quota di persone con qualifica o diploma di scuola secondaria superiore si attesta al 33,9%, mentre l’11,1% possiede un titolo di studio universitario. La selezione scolastica è più forte nelle scuole superiori dove, nel passaggio dal primo al secondo anno, la percentuale di alunni respinti è pari al 20,3%. Gli esami di terza media sono invece superati dalla quasi totalità degli studenti (99,5%), ma uno studente su tre non ottiene più della sufficienza nella votazione finale.

Quanto all’Università, i giovani iscritti per la prima volta all’università nell’anno accademico 2009/2010 sono circa 295.000, circa 1.200 in meno rispetto all’anno precedente (-0,4%), a conferma della flessione delle immatricolazioni iniziata nel 2004/2005 che ha riportato il numero delle nuove iscrizioni a un livello prossimo a quello rilevato alla fine degli anni Novanta.

La diminuzione riguarda i corsi di laurea del vecchio ordinamento (-25,9%) e quelli di durata triennale (-1,3%), mentre i corsi di laurea specialistica/magistrale a ciclo unico registrano un incremento del 6,5%. Nel complesso, la popolazione universitaria è composta da 1.799.395 studenti – valore sostanzialmente stabile rispetto all’anno precedente – con una mobilità territoriale piuttosto elevata.

La partecipazione agli studi universitari risulta particolarmente alta in Molise, Abruzzo, Basilicata: in queste regioni più di un residente di 19-25 anni su due è iscritto a un corso accademico. Le donne sono più propense degli uomini a proseguire gli studi oltre la scuola secondaria – le diplomate che si iscrivono a un corso universitario sono circa 68 su 100, i diplomati 58 – ma anche a portare a termine il percorso accademico: le laureate sono circa 22 ogni 100 venticinquenni contro i 15 laureati ogni 100 maschi della stessa età.






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I settant’anni della editrice Elledici

Intervista con don Valerio Bocci

Oggi don Bosco sarebbe su Facebook

A don Bosco non sono mai mancati i colpi di genio. Se vivesse oggi, la prima cosa che farebbe, probabilmente, sarebbe quella di crearsi un profilo su Facebook per raggiungere i ragazzi poveri culturalmente, umanamente e spiritualmente di questo tempo. E di ispirazioni sante non sono mancate ai suoi successori, in particolar modo a don Pietro Ricaldone (1870-1951), chiamato “l’uomo delle grandi realizzazioni”. Dopo aver creato l’Ufficio catechistico centrale salesiano nel 1939 durante la seconda Guerra Mondiale, don Ricaldone lancia una sfida coraggiosa: nel 1941 fonda la Libreria della Dottrina Cristiana (Elledici), producendo sussidi didattici, testi e filmine, organizzando Giornate del catechismo e fortunati convegni a supporto della catechesi italiana.  E in occasione della festa dell’Immacolata – l’8 dicembre fu la data di nascita dell’editrice – il rettore maggiore dei salesiani, don Pascual Chávez, ha inviato un saluto al direttore generale di oggi, don Valerio Bocci, ricordando il prezioso servizio svolto dall’editrice “per la formazione dei catechisti, particolarmente d’Italia e non solo, e per il consolidamento della fede dei giovani”. Da quell’8 dicembre, commenta don Bocci, la Elledici “ha sempre mantenuto fede allo spirito di don Bosco. Fiumi di inchiostro versati in settant’anni anni per rendere l’unica e vera Parola del Signore sempre attuale e giovane al servizio della comunità cristiana”.

Dopo settant’anni, quali sono le sfide che un’editrice cattolica è chiamata ad affrontare?

Sono diverse e impegnative, dalle ideologiche alle economiche. La più urgente sembra oggi quella legata al diritto di cittadinanza nei luoghi e nei non-luoghi virtuali in cui si fa educazione o si genera cultura, soprattutto giovanile. In una stagione di pluralismo conclamato, un’editrice che si connota con i valori cristiani fatica a conquistare il diritto di parola. Il pericolo è di venire emarginata, o calcolata come una voce tra le tante, senza un vero peso specifico. Ma può piazzarsi bene se sa proporre coraggiosamente e professionalmente il suo messaggio, secondo il principio della duplice “fedeltà a Dio e all’uomo”, annunciata profeticamente negli anni Settanta dal Documento di Base per la Catechesi.

Qual è il contributo che l’editrice deve continuare a offrire per il bene della catechesi?

Rimanendo se stessa, vivendo e reinventando creativamente ciò che è iscritto nel suo Dna: la passione educativa che fu di don Bosco e che ha sempre declinato, con fantasia e competenza, nei progetti catechistici per tutte le età, a supporto dell’impegnativo servizio degli insegnanti di religione e dei catechisti.

Quali sono stati e continueranno a essere gli strumenti privilegiati adottati dall’editrice per veicolare la buona notizia del Vangelo?

È impossibile riassumere in poche battute anche solo i titoli che hanno fatto la storia dei primi settant’anni di un’editrice che spazia dall’educazione alla fede, dai sussidi catechistici a quelli liturgici, biblici, musicali (la diffusissima raccolta di canti de La Casa del Padre), del tempo libero, fino alle riviste e ai prodotti multimediali.

La Elledici e l’Italia: una storia nella storia. Cosa deve il Paese all’editrice di don Bosco?

L’editrice ha iniziato a pubblicare nel 1941 durante la guerra: l’obiettivo era di alimentare quei valori umani e cristiani che le bombe rischiavano di far sparire per sempre. Anno dopo anno è cresciuto un feeling particolare con le nuove generazioni che avevano bisogno di credere nuovamente nel futuro. Pensando a questi giovani sono stati lanciati i primi prodotti multimediali per la scuola e il catechismo: le storiche, per non dire famose, Filmine Don Bosco alle quali la mostra dei centocinquant’anni dell’Unità d’Italia di Torino ha riservato uno spazio commemorativo. Il successo editoriale di queste strisce accompagnate da un commento sonorizzato è stato bissato quasi subito dalla prima rivista audiovisiva in Italia, “Diagroup”, e con l’avvento di capolavori come Gesù di Nazareth di Zeffirelli, Gli Atti degli Apostoli di Rossellini e Mosè di De Bosio prodotti dalla Rai e diffusi in home video dalla Elledici.

In cosa si è poi distinta, la Elledici, oltre al settore multimediale?

Sicuramente per i libri di religione: Progetto Uomo, per esempio, il testo che, dopo La scoperta del Regno, ha formato generazioni di ragazzi. Poi per le diverse edizioni della Bibbia, a cominciare dall’originalissima TOB fino a La Parola del Signore, traduzione interconfessionale della Bibbia in lingua corrente, un autentico bestseller che ha superato abbondantemente le due milioni di copie vendute. L’altro settore del catalogo importante è dato dalle dieci riviste che spaziano dalla catechesi alla musica, in particolare Dossier Catechista che rappresenta tutt’oggi un caso editoriale con i suoi ottantamila catechisti abbonati, in compagnia delle testate giovanili Dimensioni Nuove e Mondo Erre.

Come riesce, la Elledici, a mantenersi sempre giovane anche a settant’anni?

Il segreto ce lo svela don Bosco: vivendo con e per i giovani! Da loro ci arrivano tanti stimoli per non restare indietro, per continuare a comunicare con i lettori prestando attenzione alle sensibilità del momento. Anche per questa ragione, la Elledici è sbarcata on line prima con un sito web, poi su facebook, presentando quotidianamente le sue offerte formative a ragazzi, giovani ed educatori che navigano alla ricerca di materiali e risposte non scontate. E, anteprima assoluta nel campo editoriale, la sinergia con Animagiovane, una cooperativa specializzata nella formazione degli animatori dei centri giovanili, oratori, gruppi che vogliono operare con competenza sul territorio.

di Antonio Carriero

(©L’Osservatore Romano 8 dicembre 2011)

Rapporto CENSIS sulla scuola italiana

Censis: a scuola meno abbandoni ma uno su quattro non si diploma

 

In Italia diminuiscono gli abbandoni scolastici, però è ancora lontano l’obiettivo europeo di giungere nel 2020 ad una media del 10% di ‘early school leavers’ cioè gli abbandoni prematuri della scuola. Non solo. Tra i giovani che si iscrivono alle superiori solo il 75% dei 19enni riesce a raggiungere il diploma. E’ quanto emerge dal 45° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese del Censis.

Nel 2010 la quota di giovani 18-24enni in possesso della sola licenza media e non più inseriti in percorsi formativi è scesa dal 19,2% al 18,8%, con varia intensità in tutte le aree del Paese, ad eccezione del Centro che rimane però l’area dove tale indicatore è  più contenuto (14,8%).

Restano però numerosi i punti critici e le discontinuità di intervento che rendono non lineari i risultati degli interventi di prevenzione e contrasto al fenomeno della dispersione scolastica. Sono soprattutto gli studenti delle isole maggiori a distinguersi per una profonda disaffezione ai percorsi scolastici e formativi. Ad esempio in Sicilia, dove gli ‘early school leavers’ sono più di un quarto dei 18-24enni residenti.

Inoltre, rileva il Rapporto, non sembra essere stato ancora adeguatamente affrontato il fenomeno laddove ha maggiore intensità, ovvero nel primo e, in misura minore, nel secondo anno delle superiori. Tra il 2006-2007 e il 2009-2010 la quota di abbandoni del percorso scolastico entro il biennio si è ampliata, passando dal 15,6% al 16,7%, in misura maggiore negli istituti professionali.

Ulteriore elemento di disomogeneità è rappresentato dalla maggiore o minore sinergia tra i soggetti istituzionali e non impegnati nel contrasto dei fenomeni di disagio giovanile.

E un altro fattore di complessità è rappresentato dal fatto che abbandoni e irregolarità sono sovente la conseguenza di un fenomeno pià ampio di disaffezione allo studio, determinato anche dalla carenza di prospettive di lavoro e da incerte traiettorie di vita futura.

Secondo il 54,4% dei dirigenti scolastici tra i propri allievi prevale la propensione a continuare negli studi, ma spesso senza un progetto di vita e di lavoro. Un ulteriore 45,1% osserva che i propri studenti non sembrano essere del tutto consapevoli delle reali difficoltà del mondo esterno alla scuola.

E’ semmai il disorientamento rispetto a un futuro incerto e precario, probabilmente aggravato dal perdurare della crisi economica, che nelle nuove generazioni può offuscare la riflessione rispetto al proprio percorso futuro.




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Censis: Italia ultima in Europa per l’occupazione dei laureati
Si interrompe la crescita dell’educazione degli adulti, l’istruzione tecnica non soddisfa le esigenze delle imprese

 

Il Rapporto Censis presentato oggi non si limita a dare una fotografia della scuola, ma esamina diffusamente tutto il mondo del lavoro, trattando di università, delle relazioni tra formazione e lavoro, e dell’educazione degli adulti.

Per quello che riguarda l’università, in Italia trova lavoro il 76,6%, dei laureati e il Belpaese si piazza all’ultimo posto tra i Paesi europei: la media Ue è dell’82,3%. Inoltre, difficilmente i giovani sono chiamati a coprire ruoli di responsabilità in tempi brevi, iniziando i percorsi professionali, nella maggioranza dei casi, al di sotto delle loro competenze: il 49,2% dei laureati 15-34enni e il 46,5% dei diplomati al primo impiego risultano sottoinquadrati. Sul fronte della mobilità transnazionale, poi, la partecipazione italiana necessita per il Censis di essere agevolata: il 12,1% dei giovani di età compresa tra 15 e 35 anni che dichiarano di aver soggiornato all’estero per istruzione e formazione è al di sotto della media europea (15,4%) di oltre 3 punti percentuali: valore ben lontano dal 27,8% e dal 23,6% di austriaci e svedesi.

Riguardo invece all’istruzione degli adulti, si è interrotto il trend di sia pur moderata crescita, attestandosi nel 2009 al 6% e risalendo debolmente l’anno successivo al 6,2, a fronte di una media europea del 9,1 nel 2010 e della soglia del 15% posta dalla strategia Europa 2020. L’istruzione degli adulti sembra essere relegata a un ruolo sempre più marginale: la relativa voce di spesa è diminuita di 72 punti percentuali passando dai 16 milioni di euro del 2009 ai 4,4 del 2011.

Un capitolo a parte merita merita l’ultima riforma del sistema scolastico italiano, che sembra aver dato nuovo slancio agli istituti tecnici che, supportati anche da un attivo interessamento da parte della rappresentanza imprenditoriale, registrano nel corrente anno scolastico un incremento dello 0,4% di iscrizioni al primo anno rispetto al 2010-2011 (dati riferiti alla sola scuola statale).

Il rinnovato appeal non si estende agli istituti professionali, che nello stesso periodo hanno perso ben il 3,4% di neoiscritti, a favore soprattutto dei percorsi liceali. Le annuali rilevazioni del Sistema informativo Excelsior sui fabbisogni professionali delle imprese italiane evidenziano, al contrario, come per le figure professionali assimilabili a quelle formate negli istituti professionali e/o nel circuito della formazione professionale di base ci sia una richiesta tutto sommato interessante e come nel 2011, rispetto al 2010, le richieste di personale con la sola qualifica professionale siano aumentate, passando dall’11,7% al 13,5%.

L’offerta di percorsi triennali di IeFp (Istruzione e Formazione professionale) non sembra riuscire a colmare questa lacuna, almeno in termini quantitativi. I giovani che si rivolgono a questo tipo di percorsi costituiscono solo il 6,7% del totale degli iscritti al secondo ciclo di istruzione, pari a circa 38.000 studenti. Mentre in Germania e in Austria il 95% dei giovani di età compresa tra i 15 e i 35 anni ritiene che i percorsi professionalizzanti possano costituire un’opzione interessante, in Italia tale posizione è espressa solo dal 50%, il valore più basso di tutta l’area.




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Nasce Eurypedia, banca dati sull’educazione

 

 

Ha pochi giorni di vita, ma si annuncia come un servizio molto utile per tutti quelli, addetti ai lavori e non, che sono interessati alla scuola.

Eurypedia – espressione di European Schoolnet – già nel nome suggerisce la propria vocazione enciclopedica e settoriale.

Si tratta, nel complesso, di una banca dati incentrata sulla raccolta sistematica e aggiornata di tutto quello che concerne i sistemi educativi sia dei Paesi europei sia di tutte le altre nazioni coinvolte solitamente nelle rilevazioni internazionali. Il servizio è disponibile principalmente in inglese, ma anche, in alcuni casi, in altre lingue.

E’ possibile reperire informazioni per nazione oppure per argomento o per ordine di scuola. Sono disponibili informazioni anche sulle iniziative in corso e sulle politiche scolastiche nazionali, sui finanziamenti assegnati ai diversi progetti.

Si può consultare un glossario delle abbreviazioni e delle parole chiave e, nella bibliografia, sono raccolte le fonti consultate.

L’ambiente è di immediata lettura, con una simbolizzazione studiata per orientare con certezza chi naviga nel sito, raggiungibile attraverso il link : http://eacea.ec.europa.eu/education/eurypedia






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Rapporto sulla scuola in Italia 2011

 

La scuola media è davvero l’anello debole della scuola italiana. Lo suggeriscono le rilevazioni internazionali, secondo le quali gli studenti italiani sono quelli che patiscono la più profonda flessione dei propri risultati di apprendimento nel passaggio dalle scuole elementari alla media, come pure la cattiva reputazione che la secondaria di primo grado oggi gode presso l’opinione pubblica, le famiglie e nello stesso mondo della scuola. Lo confermano nuove ricerche realizzate dalla Fondazione Agnelli e rese pubbliche nel suo Rapporto sulla scuola in Italia 2011.

Il Rapporto sulla scuola in Italia 2011 è stato presentato oggi a Roma dal direttore della Fondazione, Andrea Gavosto, presso la sede degli Editori Laterza, per i cui tipi il volume sarà in libreria ai primi di dicembre. Alla presentazione hanno partecipato Alessandro Laterza (amministratore delegato Laterza), Maria Sole Agnelli e John Elkann (presidente e vicepresidente della Fondazione Agnelli).

Il Rapporto mette in luce come sia proprio alle scuole medie che esplodono in modo drammatico i divari di apprendimento determinati dall’origine socio-culturale degli studenti, che invece le scuole elementari riescono a contenere con successo. La probabilità di essere in ritardo alla fine delle medie da parte di uno studente figlio di genitori con licenza media è quattro volte superiore a quella del compagno figlio di genitori laureati, quella di uno studente straniero nato all’estero e scolarizzato in Italia è addirittura venti volte superiore a quella di un italiano. I divari sociali di apprendimento che nascono alle medie rischiano di compromettere il percorso scolastico, specialmente degli studenti di origine più svantaggiata. Questi divari e ritardi diventano, infatti, irrecuperabili alle superiori, generando la grave piaga dell’abbandono, mettendo a rischio il futuro di troppi ragazzi e, in definitiva, privando il Paese di risorse umane preziose in una fase storica così difficile e incerta.

Il Rapporto rivela, inoltre, che gli insegnanti della scuola media sono i più anziani (età media, oltre 52 anni, con moltissimi concentrati nella fascia intorno ai 58 anni) e i meno soddisfatti della loro preparazione complessiva, oltre a essere coinvolti nel più vorticoso turnover di cattedre di tutta la scuola italiana: 35 docenti di scuola media su 100 non insegnano l’anno dopo nella stessa scuola, con le prevedibili conseguenze negative per la continuità didattica dei loro allievi.

Occorre affrontare presto e con energia questa profonda crisi della scuola media, che da molti anni ha smarrito la propria identità e il senso della sua missione (non riuscendo a essere efficace, ma nemmeno equa). Occorre ridarle una missione chiara (essere più efficace, innanzitutto perché più equa) aggiornando le sua offerta pedagogica e didattica, attraverso (1) un forte orientamento alla personalizzazione dell’insegnamento da realizzarsi attraverso un’estensione del tempo scuola con una vera “scuola del pomeriggio”; (2) maggiore attenzione alla progettazione comune degli insegnanti; (3) un arricchimento della “cassetta degli attrezzi” dei docenti che permetta loro soluzioni didattiche che integrino o sostituiscano la lezione frontale (ad es. il cooperative learning); (4) una valorizzazione pedagogica del modello dell’istituto comprensivo (e del curricolo verticale), diffusosi e oggi generalizzato quasi esclusivamente per ragioni di contenimento dei costi, ma di cui le ricerche della Fondazione indicano una evidente superiorità dal punto di vista degli apprendimenti; (5) una seria riflessione nazionale sul tema dell’essenzializzazione delle materie. Perseguendo queste priorità, sarà possibile rendere la scuola secondaria di primo grado più adatta alle esigenze di allievi preadolescenti, nel pieno di una delicata transizione dal punto di vista cognitivo, psicologico e relazionale.

Una scuola media rinnovata, più efficace e insieme più equa, deve essere uno degli obiettivi di politica scolastica fondamentali nel prossimo futuro, a cui dedicare attenzione e investimenti. La prima condizione per realizzarlo è approfittare della finestra di opportunità offerta dal prossimo pensionamento di decine di migliaia di insegnanti delle medie per realizzare un serio e profondo rinnovamento del corpo docente, attraverso soluzioni di reclutamento (chiamata diretta o concorso) orientate in modo specifico alla secondaria di primo grado, che permettano di verificarne l’effettiva preparazione sul piano disciplinare come su quello pedagogico-didattico, quest’ultimo in particolare oggi assai carente.

 

Scarica dal sito la sintesi del Rapporto e una selezione della rassegna stampa.

Files:
Rapporto_Scuola_2011_-_Sintesi.pdf
Fondazione Agnelli

 

 

 

La Fondazione Agnelli boccia la scuola media

 

Viene presentato oggi pomeriggio a Roma il nuovo ‘Rapporto sulla scuola in Italia 2011’ della Fondazione Agnelli alla presenza, tra gli altri, del ministro dell’Istruzione Francesco Profumo, di Maria Sole Agnelli e di John Elkann, rispettivamente presidente e vicepresidente della Fondazione Agnelli.

Il Rapporto, curato dal direttore della Fondazione Andrea Gavosto, boccia senza mezzi termini la scuola media italiana. Le comparazioni internazionali mostrano che gli studenti italiani alla fine della scuola media sono quelli che registrano la più profonda flessione dei propri risultati di apprendimento rispetto a quelli conseguiti al termine della scuola elementare.

L’indagine evidenzia che gli insegnanti della scuola media risultano i più anziani (età media oltre 52 anni) e i meno soddisfatti della loro preparazione, oltre a essere coinvolti nel più vorticoso giro di cattedre di tutta la scuola italiana: 35 docenti di scuola media su 100 non insegnano l’anno dopo nella stessa scuola, a scapito della continuità didattica dei loro allievi.

Ed è durante la scuola media che esplodono in modo drammatico i divari di apprendimento determinati dall’origine socio-culturale degli studenti (la probabilità di essere in ritardo alle medie per un ragazzo nato all’estero è quasi 20 volte superiore che per un italiano), e gli effetti di questa profonda crisi della scuola media si ripercuotono in modo preoccupante sul proseguimento degli studi.

Che fare? La Fondazione propone, intanto, di rafforzare il tempo pieno nella scuola media e, in prospettiva, di cogliere “l’opportunità offerta dal prossimo pensionamento di decine di migliaia di insegnanti delle medie per realizzare un serio e profondo rinnovamento del corpo docente, attraverso soluzioni di reclutamento (chiamata diretta o concorso) orientate in modo specifico alla secondaria di primo grado, che permettano di verificarne l’effettiva preparazione sul piano disciplinare come su quello pedagogico-didattico, quest’ultimo in particolare oggi assai carente”.






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Scuola media come anello debole?


Che la scuola media (o, più correttamente, secondaria di prima grado) sia l’anello debole del sistema scolastico, come emerge dal Rapporto monografico della Fondazione Agnelli, è un dato confermato dal Partito Democratico, che, per voce della Responsabile Scuola Segreteria Francesca Puglisi , concentra l’attenzione sul delicato aspetto relativo alla dispersione scolastica: “E’ vero, come denuncia il rapporto della Fondazione Agnelli, la drammatica dispersione scolastica che – come ci chiede l’Europa – dobbiamo dimezzare entro il 2020, inizia nella scuola dei preadolescenti. Quelle teste così veloci, i cosiddetti nativi digitali, che dimostrano bisogni sempre più precoci, che a casa navigano in rete, troppo spesso sono costretti a vivere e a studiare in una scuola che assomiglia a una cartolina dell’800 fatta di cattedre, banchi e lunghe ore di lezione frontale”.

Puglisi ritorna poi sulla scarsità di risorse destinate alla scuola: “La vera riforma epocale che serviva alla scuola italiana l’abbiamo già fatta e si chiama “autonomia scolastica”, che ha bisogno di risorse economiche e umane stabili per poter progettare insieme agli insegnanti, ai dirigenti scolastici le innovazioni didattiche che servono per catturare quelle teste così veloci. Scuole aperte il pomeriggio, come propone la fondazione, è anche una delle nostre proposte. I nostri figli devono poter fare a scuola tutto ciò che oggi a scuola non si può fare: studiare da soli o in compagnia, trovare i libri che a volte a casa non hanno, i computer per fare le ricerche, i laboratori per unire al sapere il saper fare, ma anche fare musica e sport. E’ l’idea di una scuola moderna che può nascere dal basso, diffondendo le buone pratiche didattiche che in alcune scuole autonome c’è già. Servono certamente investimenti nelle infrastrutture tecnologiche per le scuole e nella formazione in servizio degli insegnanti“.

I risultati del Rapporto della Fondazione Agnelli trovano d’accordo anche il generale della Cisl scuola Francesco Scrima: “È vero, la scuola media è l’anello più debole del nostro sistema di istruzione, anche perché rivolta ad una delle fasce di età più critiche. Un suo rilancio richiede un investimento straordinario di risorse e di idee”.

I tagli al personale e l’assenza di un progetto moderno di istruzione hanno fortemente penalizzato le medie, bruciando quanto di buono fatto alle elementari, sia in termini di apprendimento dei ragazzi che di equità sociale – aggiunge Scrima –. È dimostrato a livello internazionale che dalla crisi economica si esce grazie a investimenti sul capitale umano e dunque sull’istruzione. Ecco perché noi diciamo che è necessario che il governo Monti ridia alla scuola la centralità che merita nell’azione politica. Per la scuola media, in particolare, rilanciamo la nostra proposta di una revisione complessiva del modello didattico e organizzativo che consenta, valorizzando l’autonomia scolastica e la libertà di insegnamento, di creare una scuola accogliente, equa e democratica, motore di sviluppo per i ragazzi e per il Paese”.






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Rassegna Stampa:

Il_Sole_24_Ore_29.11.2011.pdf
La_Repubblica_29.11.2011.pdf
Avvenire_29.11.2011.pdf
La_Stampa_29.11.2011_bis.pdf

 

 

La “Carta dei doveri dei bambini e degli adolescenti”,

Bambini e adolescenti soggetti di diritti, ma anche di doveri

 

È stata presentata presso la Regione Calabria la “Carta dei doveri dei bambini e degli adolescenti”, nata da un protocollo di intesa fra Regione, Ufficio scolastico regionale e Osservatorio sui Diritti dei Minori.

L’iniziativa, che pone la Calabria all’avanguardia in tema di tutela dei minori, evidenzia la necessità di riequilibrare diritti e doveri dei cittadini, a prescindere dall’età e senza venir meno al dovere della tutela del minore. Tuttavia, è necessario che i più giovani divengano consapevoli che non si possono rivendicare i diritti senza rispettare i doveri.

L’Assessore Regionale alla Cultura Mario Caligiuri nel presentare la Carta ha precisato che “si tratta di un’iniziativa rivoluzio­na­ria sul piano culturale, che pone l’accento sul terreno della responsabilità, non solo verso i minori, che hanno anch’essi delle responsabilità sociali, ma anche verso i genitori e gli educatori, dando priorità alla sfera dei doveri. Responsabilizzare bambini e adolescenti sui doveri verso la società significa stimolare la capacità di rivendicazione consapevole dei propri diritti e, dunque, del rispetto della legalità”.

La Carta vuole mettere in evidenza come anche per i più giovani si debba e si possa parlare di doveri come quello di studiare, e non solo rivendicare il diritto allo studio, o di corrispondere ai propri doveri nei confronti della famiglia.

La Carta dei doveri, nata in Calabria, rappresenta tuttavia un’idea che vuole porsi come un ausilio educativo fondamentale per genitori e docenti.

Fra le iniziative idonee a farla conoscere si vuole –  ha dichiarato Francesco Mercurio, direttore dell’Ufficio scolastico regionale per la Calabria – avviare un’attività di formazione del personale docente individuando le azioni concrete da mettere in atto per il raggiungimento degli obiettivi dell’iniziativa che abbiamo concordato con la Regione e l’Osservatorio sui diritti dei minori anche per introdurre un nuovo modo per educare i bambini alla legalità”.

 




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Ripensare l’integrazione degli immigrati

“Il presidente ha ragione bisogna ripensare la legge o siamo destinati al declino”:

intervista ad Andrea Riccardi, a cura di Marco Ansaldo.

 

«Sì, il presidente Giorgio Napolitano ha ragione: c’è la possibilità di riprendere in mano le politiche sull’immigrazione. E dunque occorre ripensare la legge sulla cittadinanza. Perché l’integrazione è un tema centrale di quest’epoca. Lo  faremo, allora, nell’interesse del Paese, della generazione dei bambini immigrati e delle loro famiglie».
Per Andrea Riccardi è un periodo davvero intenso. Citato pubblicamente ieri dal capo dello Stato per l’importanza del nuovo ministero che gli è stato affidato, ma anche elogiato da un ministro del passato governo (Gianfranco Rotondi, il  quale ha detto che lo storico della Chiesa e fondatore della Comunità di Sant’Egidio «ha una bella storia personale»), sa  di avere dietro di sé anche l’attenzione del Vaticano e dello stesso Pontefice, che lo conosce bene e lo stima. Riccardi  allora si schernisce, e si dice ancora «scombussolato» per la chiamata del premier Mario Monti a partecipare al nuovo esecutivo in un ruolo chiave, benché senza portafoglio. E tuttavia «felice» per la nuova avventura.
Lo incontriamo mentre esce dal suo ministero, a Roma, a Largo Chigi.

Il presidente della Repubblica ha parlato di «assurdità e follia» per il fatto che i figli degli immigrati nati in Italia non siano cittadini italiani. È uno dei temi centrali del suo ministero. Che cosa ne pensa?
«Mi sembra che il capo dello Stato abbia dato – per la seconda volta nel giro di pochi giorni – un contributo al  ripensamento dell’identità italiana. Ponendo l’accento sull’importanza di sapere chi siamo e dove andiamo. Un argomento decisivo».


Perché?

«Intanto perché giunge nell’anniversario dei 150 anni dell’unità d’Italia. Proprio quest’anno i giovani hanno potuto  riscoprire le loro radici, direi con un orgoglio maturo».


E poi?

«Perché ha posto il problema dei nuovi italiani e fatto cenno alla legge che porta il suo nome, la Turco-Napolitano del  1998, che segnala un percorso per stabilizzare gli stranieri, seguendo una logica che va dal momento dell’emergenza a quello della stabilizzazione del fenomeno».

Però oggi le prospettive sono diverse.
«Sì, lo sono perché ora abbiamo un popolo di bambini che sono figli di immigrati. I nati in Italia giuridicamente  stranieri superano il mezzo milione. E i minori residenti sono quasi un milione.
Insomma, parlano l’identica lingua, vedono i medesimi paesaggi, vivono la stessa storia, sono legati al nostro mondo.  Senza di loro l’Italia sarebbe più vecchia e con minori capacità di sviluppo».


Qual è la sua intenzione allora?

«Occorre ripensare la legge sulla cittadinanza. Questo proprio perché abbiamo fiducia nella nostra identità. Che è forte  e al tempo stesso flessibile. Capace di integrare».

Un obiettivo ambizioso. Ma non vede dei rischi?
«Io piuttosto vedo convergere in questo progetto, come nelle grandi scelte della politica, l’identità nazionale con  l’interesse nazionale. E anche con l’interesse dei soggetti in questione, cioè i bambini e le loro famiglie».

In quanto fondatore di Sant’Egidio è un argomento a lei caro. Non si attirerà però delle critiche?
«Veramente, e lo dico in modo assolutamente modesto, sono anni che auspico che questo tema sia trattato in modo  ragionevole, legale, e soprattutto umano. Prima di ricevere questo incarico avevo già deciso di parlare di integrazione. Lo faccio ora a maggior ragione».

E dal punto di vista storico come lo considera?
«Credo che il tema dell’immigrazione sia importante tanto quanto la questione dei confini nell’Otto- Nocevento. E  andrebbe affrontato perciò in modo preveggente, freddo e ragionevole».

Si dice che l’Italia abbia una società invecchiata, se non addirittura sclerotizzata. Ma è davvero così?
«Beh, sul tema dell’immigrazione ci si gioca sul serio il futuro, e la possibilità di acquisire nuove energie. L’integrazione  è un passaggio importante. Gli stranieri ringiovaniscono il Paese. È una grande possibilità per il domani. E per tutti i cittadini italiani».

Napolitano ieri ha ricordato il significato della sua nomina a ministro, citando «l’integrazione nella società e nello Stato italiano». Un invito chiaro a puntare su questo aspetto?
«Io sono grato che Napolitano abbia fatto cenno al mio ministero. Anzi confesso che non sono ancora abituato a  pronunciare questa parola, sono ancora fresco di nomina. Ma credo che rappresenti un segnale per affrontare la questione in modo non partigiano».

 

Documentazione

 

Sabato 19 novembre 400 persone hanno partecipato alle prime ‘Assises nationales de la diversité culturelle’ a Parigi. La giornata, fatta di conferenze e di laboratori, organizzata da ‘Témoignage chrétien’ e ‘Salamnews’, si è conclusa con un appello per una società interculturale.

 

Una scuola dove nessuno vuole andare ad insegnare

NAPOLI Alla scuola Viviani ci sono 27 cattedre libere ma nessuno ci vuole andare ad insegnare. Già, perché la Viviani non si trova in una zona “normale” ma al Parco verde di Caivano, un quartiere popolare in provincia di Napoli che di verde ha solo il nome ed è ritenuto un fortino della criminalità organizzata. E i professori si rifiutano di andare.

UNA PRESIDE CHE RESISTE

A chi chiede spiegazioni alla preside Eugenia Carfora scopre che qui, la preside, fa anche l’insegnante, la segretaria e la bidella. Perché neanche il personale non docente ci vuole venire a lavorare. La segreteria è chiusa a chiave, dall’inizio dell’anno sono senza amministrativi. Quando arriviamo a scuola troviamo solo 7 docenti su 34 e un numero impressionante di professori in malattia. Per la stessa cattedra di Italiano sono arrivati a pagare fino a 8 docenti. Ma neanche il tempo di sedersi dietro alla cattedra e si sono messi tutti in malattia. Gli altri in graduatoria, invece, rifiutano l’incarico. Al Provveditorato agli studi di Napoli dicono che hanno le mani legate, questa è la normativa e per le zone a rischio non è prevista alcuna eccezione. «Sono arrivata da appena 5 mesi – dice la dirigente Luisa Franzese -. Prometto che alla prima occasione farò visita al Parco Verde” di Caivano». Nel frattempo, un giro in questa scuola di frontiera lo abbiamo fatto noi. In classe ci sono pochissimi banchi. L’evasione scolastica è al 49 %. Nel quartiere gli adolescenti rappresentano manovalanza per la criminalità organizzata. Peri i genitori la scuola è l’ultimo dei pensieri. Ogni famiglia ha almeno un parente in carcere. Quei pochi alunni che frequentano sono quelli che la preside preleva ogni mattina di casa in casa, andando a bussare alle porte di questo quartiere che altri evitano persino di attraversare con la macchina. Ma non tutti hanno gradito. Anzi, quasi subito è partita la contestazione nei suoi confronti.

«BANCHI RUBATI E PISTOLE IN AULA»– Al suo primo giorno di scuola la Carfora trovò tutto sottosopra. Nemmeno i banchi in aula c’erano. Di notte qualcuno li rubava e poi li rivendeva. In una delle aule trovarono nascoste persino delle pistole. «A molti non va a genio la preside perché è un tipo tosto – dicono alcune mamme nel quartiere -. Noi sappiamo solo che senza la sua determinazione i nostri figli a quest’ora starebbero in mezzo alla strada. Senza contare che prima che arrivasse lei questa scuola sembrava uno scantinato: puzzava di urina e c’erano topi ovunque. Lei s’è rimboccata le maniche e l’ha ripulita da cima a fondo». Giorni fa la preside lanciò un appello: «Non abbandonate la mia scuola nelle mani della criminalità». Hanno risposto centinaia di prof da tutta Italia, che qui verrebbero ad insegnare per davvero. Ma per il ministero ci sono le graduatorie da rispettare e sulla carta non c’è distinzione tra fannulloni e docenti. Da mesi scrive al ministero dell’Istruzione chiedendo una diversa procedura per l’assegnazione del personale nelle scuole a rischio. Nessuna risposta. Al suo fianco si è ritrovata solo la parte sana del quartiere, magari minoritaria, ma che ha voglia di cambiare e spera che arrivi qualcuno a dare man forte alla dirigente di ferro. Ma per il momento sono arrivate solo minacce e insulti, compresa una pagina su facebook dal titolo eloquente: «Ti odiamo a morte preside!». Firmato: Parco Verde.

Antonio Crispino21 novembre 2011

 


Allegati

 

 


Le competenze dei quindicenni europei

 

Verso Lisbona 2020: il punto su Matematica

 

Sono stati pubblicati nei giorni scorsi, a cura della Commissione europea, due rapporti che raccolgono gli esiti delle ultime rilevazioni internazionali relative alle competenze dei 15enni europei in scienze e in matematica.

Androulla Vassiliou, commissario europeo per l’istruzione, la cultura, il multilinguismo e la gioventù, nell’introduzione al volume dedicato alla matematica, sottolinea l’importanza strategica per i giovani di una solida cultura in questo campo, non solo per rispondere ad un interesse personale, ma anche per un utile impiego nel lavoro e nella vita quotidiana.

Il rapporto prende in considerazione l’impatto delle modalità di insegnamento della matematica nei diversi sistemi scolastici, anche con l’intenzione di suggerire una migliore diffusione di buone pratiche a sostegno dei percorsi di insegnamento.

L’Europa assiste ad una costante diminuzione di studenti nelle facoltà matematiche, scientifiche e tecnologiche, oltre al permanere di un annoso squilibrio nel numero di studenti e studentesse frequentanti questo tipo di facoltà.

L’attuale crisi finanziaria rafforza il convincimento che sia di cruciale importanza un’attenzione e una cura crescenti per l’istruzione scientifica e matematica che permetta alle giovani generazioni di affrontare le problematiche future con un sicuro bagaglio di conoscenze.

Il volume ricorda che le rilevazioni internazionali, fin dal 2009, hanno indicato per i 15enni europei scarse competenze matematiche e stabilito, per il 2020, una riduzione nel numero dei ragazzi insufficientemente preparati di almeno il 15%.


tuttoscuola.com venerdì 18 novembre 2011

 

 

Verso Lisbona 2020: il punto sulle Scienze

 

Tra le più recenti pubblicazioni della Commissione europea, va considerata quella che raccoglie in un complesso organico le rilevazioni sulle competenze in Scienze dei 15enni dei 31 Paesi europei solitamente coinvolti nelle rilevazioni internazionali.

L’insegnamento scientifico fa parte delle competenze chiave che debbono possedere i giovani cittadini europei, tuttavia lo studio evidenzia come solo 8 Paesi abbiano delle strategie didattiche nazionali complessive per la promozione di questa disciplina.

Pochi inoltre sono i Paesi che pongono in essere politiche specifiche per equilibrare la percentuale di studenti e studentesse coinvolti negli studi scientifici o per incoraggiarli ad abbracciare carriere scientifico – tecnologiche.

Di contro, si rileva che due terzi dei Paesi che hanno partecipato alle rilevazioni indicano vari soggetti specializzati a livello nazionale in grado di organizzare formazione, aggiornamento per insegnanti e iniziative dedicate agli studenti.

Per quanto riguarda la didattica, tutti i Paesi, Italia compresa, iniziano ad insegnare Scienze con un approccio integrato e multidisciplinare, salvo poi, durante la scuola secondaria di secondo grado declinare l’insegnamento scientifico per singole discipline come la chimica o la biologia.

Un approccio ancora forse troppo strettamente disciplinaristico è presente, in molti casi, anche all’università dove gli studenti hanno maggiore libertà nello scegliere i soggetti all’interno dei programmi di studi.

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tuttoscuola.com venerdì 18 novembre 2011