“Lascia perdere chi ti porta a mala strada” documentario su Don Puglisi

Martedì 3 luglio Rai1 trasmette un documentario con testimonianze inedite – tra cui quella del killer – su don Pino Puglisi, per il quale Be­nedetto XVI ha approvato il 28 giugno il decreto di riconoscimento del marti­rio in odio alla fede.

Un martire che parla in tv, che con pacatezza e fermezza chiede la scuola per il quartiere, s’indigna perché ci sono adolescenti che non sanno nemmeno mettere la firma e nel rione Brancaccio mancano i servizi es­senziali.
Fa un certo effetto sentir parlare don Pino Puglisi con la sua voce, in un video dei primi anni ’90. Lui, così allergico ai riflettori, lavorava nel silenzio del quo­tidiano, in una parrocchia di periferia, dove «in appena tre anni di attività ha innescato una rivoluzione culturale» ri­corda il cardinale Paolo Romeo, arcive­scovo di Palermo. Per questo è stato uc­ciso, racconta con un passamontagna sul viso Salvatore Grigoli, il killer reo­confesso del parroco di San Gaetano, ucciso a Brancaccio il 15 settembre 1993 e prossimo alla beatificazione.

La vitti­ma e il carnefice parlano con la loro vo­ce nel documentario Lascia perdere chi ti porta a mala strada , firmato dai regi­sti Pino Nano e Filippo Di Giacomo, che sarà trasmesso oggi su Rai1 alle 23.10 e che è stato presentato ieri a Palazzo del­le Aquile dal sindaco Leoluca Orlando, dal cardinale Romeo, dal suo ausiliare monsignor Carmelo Cuttitta, dal pro­curatore generale di Catanzaro, il pa­lermitano Santi Consolo, da Marco Si­meon, responsabile di Rai Vaticano, e A­lessandro Casarin, direttore della Tgr.
Una presentazione che cade proprio nell’anniversario di ordinazione sacer­dotale di don Puglisi, per il quale Be­nedetto XVI ha approvato il 28 giugno il decreto di riconoscimento del marti­rio in odio alla fede.

Filmati di reperto­rio, foto di famiglia, immagini girate da parrocchiani, testimonianze inedite, partendo dal lungo racconto che fa di quella sera l’assassino. Tra le testimo­nianze che lo speciale ripropone, quella di uno dei fratelli di don Pi­no, Francesco Puglisi («anche se lo faranno santo…a me manca da vent’anni il mio dolce fratello…») e di suor Carolina Iavazzo, braccio destro del sacerdote per tre anni. E ancora il filosofo Massimo Caccia­ri, il postulatore della causa di bea­tificazione, monsignor Vincenzo Bertolone, arcivescovo di Catanza­ro, che definisce l’impegno pastorale e umano di padre Puglisi «un monu­mento alla libertà». Uno speciale che il sindaco Orlando si impegna a diffondere nelle scuole pa­lermitane «perché possa raggiungere il maggior numero di persone. Ricorda­re don Pino Puglisi è un invito a guar­dare oltre le apparenze e a cogliere la meravigliosa normalità di un martire».

Avvenire, martedì 3 luglio 2012

Festival internazionale del cinema cattolico

“Un’occasione privilegiata per accogliere una domanda antropologica di senso che sale dal cuore di ogni uomo”.

Questa la definizione che mons. Franco Perazzolo, del Pontificio Consiglio della cultura, offre di “Mirabile dictu”, il festival internazionale del cinema cattolico la cui terza edizione (Roma, 2/5 luglio) .

Un festival, ha precisato mons. Perazzolo, che “offre la possibilità, in un momento così difficile, di una sosta per riflettere”. Nel corso del festival, indipendente e patrocinato dal Pontificio Consiglio della cultura, sarà scelto dalla giuria, presenziata dal card. Gianfranco Ravasi, il film vincitore tra i 1.124 che hanno concorso.

Obiettivo dell’iniziativa è “dare spazio a chi ha lo slancio di fare film che sviluppano storie e personaggi con valori positivi”, ha sottolineato Liana Marabini, presidente del festival. “I film cattolici – ha aggiunto – hanno vita molto dura nell’industria del cinema”: per questo “il festival si propone come un palcoscenico privilegiato”, ha detto Marabini.

La manifestazione è stata inaugurata lunedì 2 luglio col congresso internazionale “Cinema e nuova evangelizzazione”, patrocinato dal Pontificio Consiglio della cultura, che per 18 mesi toccherà, dopo Roma, dieci città in tutto il mondo.

Info: www.mirabiledictu-icff.com (Fonte: Sir)

La missione del Festival
del Cinema International Catholic Festival è indipendente, ideato e realizzato da Liana Marabini, sotto l’alto patrocinio del Pontificio Consiglio della Cultura, e mira a mostrare la Chiesa da una nuova prospettiva:. glamour e tradizione allo stesso tempo, mirabile dictu (meraviglioso per Relate, in latino) è un luogo privilegiato di incontro per attori, registi e cineasti, raccolte dalla preoccupazione che possono avere per la storia ei valori del Chiesa. Il Presidente del Festival, Liana Marabini, è regista, produttore ed editore. Si consacra il suo lavoro alla storia della Chiesa, ed è particolarmente preoccupato per il linguaggio religioso e della comunicazione, qualcosa che emerge nei film che produce e dei 

libri che pubblica. Premi Il premio del festival, ” Il Pesce d’Argento ” (Il pesce d’argento, in italiano), si ispira al primo simbolo cristiano.

L’evento di apertura del Festival
di quest’anno, l’evento di apertura straordinaria del Festival sarà la prima italiana di un film notevole: Una donna di nome Maria
di Robert Hossein

Giovani e Media: un incontro sui “nativi digitali”

“Le giovani generazioni sono quelle che posseggono le chiavi d’accesso più dinamiche alla società digitale. La rivoluzione nell’uso dei media da parte dei giovani ha assunto i caratteri della moltiplicazione e dell’integrazione degli strumenti di informazione e comunicazione”;

“queste trasformazioni investono i processi di apprendimento e di istruzione, e hanno importanti ripercussioni sui comportamenti che i più giovani adottano, consapevolmente o meno, nel contatto e nell’utilizzo, spesso intensivo, delle tecnologie digitali”.

Di “Nativi digitali ed emergenza educativa. L’innovazione nell’apprendimento, il cambiamento nell’istruzione” si parlerà nel corso dell’incontro in programma domai, alla Camera dei deputati (ore 9), su iniziativa del Censis.

Interverranno, tra gli altri, il ministro dell’istruzione Francesco Profumo, Tonino Cantelmi, presidente dell’associazione italiana psicologi e psichiatri cattolici, il linguista Tullio De Mauro, i giornalisti Riccardo Luna e Luca De Biase.

Nel corso del convegno verrà presentata la ricerca Censis promossa dall’Assessorato alla cultura della Regione Calabria, che ha coinvolto 2.300 studenti delle scuole medie e superiori calabresi e 1.800 genitori.

da SIR 3-7-12

STUDI E RICERCHE

I media e la nuova generazione dei nativi digitali
Dalla Francia una ricerca sul rapporto tra informazione mainstream e nativi digitali

Ottobre 2010

Non credono ai politici, sono diffidenti verso i media tradizionali e mal sopportano i brand, considerati, letteralmente, i nemici da abbattere. Sono i cosiddetti i ‘nativi digitali’, ovvero giovani e giovanissimi (in media tra i 18 e i 24 anni) cresciuti a pane e tecnologia, persone che hanno sempre convissuto con il mouse accanto al cuscino e che considerano internet, videogiochi e social network parte integrante della propria vita.

Una nuova generazione, dunque, dalle cui scelte molto dipenderà del futuro del giornalismo e in particolare della carta stampata, considerato che il futuro dei giornali è largamente associato alle dinamiche di consumo dell’informazione da parte delle nuove generazioni. Come afferma Alan Mutter, infatti, il grande problema della stampa è costituito dal fatto che più del 50% dei lettori dei giornali è rappresentato da una popolazione progressivamente più anziana che, da un punto di vista demografico, corrisponde soltanto al 30% della popolazione. E a tale proposito recentemente una ricerca della società francese BVA ha offerto l’occasione per comprendere meglio quale sia il reale rapporto tra giovani e mezzi di comunicazione, come le nuove generazioni differiscono dall’audience tradizionale e quali siano i contenuti e le notizie su cui si focalizzano e le modalità attraverso le quali acquisiscono nuove conoscenze.

Lo studio si è basato su un campione di 100 ragazzi di età compresa tra i 18 e i 24 anni, ovvero quella fascia generazionale che dovrebbe coincidere appunto con i nativi digitali: ragazzi nati e cresciuti in un ambiente talmente condizionato dalla nuove tecnologie da lasciar presupporre condizionamenti tutt’altro che trascurabili sul piano dei riferimenti simbolici, culturali e,in senso più ampio, politico-sociali. Dalla ricerca, infatti, emerge come i giovani alfabetizzati a Internet abbiano rivisitato i propri modelli valoriali e culturali, lasciandosi definitivamente alle spalle vecchi schemi ideologici, categorie tradizionali così come le istituzioni di riferimento. Sistema politico e sistema dei media innanzitutto. A partire da un disconoscimento delle fonti informative generaliste fino alla messa in discussione dell’autorevolezza dei tradizionali opinion leader, questa nuova generazione digitale inizia a ragionare in termini di comunità, ovvero all’interno di quella network community caratterizzata non solo da specifici interessi e agende tematiche, ma anche da peculiari codici espressivi e linguistici.

Tra gli aspetti più criticati da parte di costoro va ricordato proprio il modello comunicativo sotteso ai media mainstream: un modello di trasmissione verticale, dall’alto verso il basso, nel quale i contenuti – testo scritto, immagini, video – sono trasmessi in modo pressoché immutato dalla fonte al destinatario, senza prevedere alcuna possibilità di feedback. Lo stesso Alan Mutter, infatti, evidenzia l’insofferenza dei giovani digitalizzati verso questo tipo di informazione – che include la stessa pubblicità tradizionale – che viene offerta loro in modo precostituito e non modificabile.

Sfruttando le potenzialità del web, l’interattività e la multimedialità innanzitutto, i media tradizionali dovrebbero invece puntare ad innovare il loro modo di fare comunicazione, coinvolgendo i giovani – nativi digitali ma non solo – e provando ad andare incontro alle loro esigenze. La tesi sostenuta da Mutter, infatti, è che i giornali dovrebbero smettere di considerare soltanto il lettore di riferimento già acquisito, ovvero quel bacino di utenti fidelizzati e affezionati ad una serie di valori e scelte editoriali stabili. E provare a sperimentare strade innovative, utili ad avvicinare il pubblico dei giovani.

Non tutti però sono d’accordo con una posizione, come appunto quella di Mutter, che considera i nativi digitali inesorabilmente distanti dalle precedenti generazioni. Bennett, Maton e Kervin, in un lavoro pubblicato nel 2008 dal British Journal of Educational Technology e titolato: The ‘digital natives’ debate: A critical review of the evidencesostengono che le differenze generazionali in fondo non siano poi così marcate. Prima di tutto perché se è vero che i ragazzi vivono immersi nella tecnologia, il loro reale utilizzo è ancora molto tradizionale (scrittura, e-mail, navigazione web). In secondo luogo perché la produzione di contenuti dal basso, user genereted, è in realtà un fenomeno ancora marginale, limitato e le differenze di skills all’interno della generazione giovanile sono le stesse esistenti tra le diverse generazioni.

Va qui evidenziato che i tre autori si spingono anche oltre, sostenendo come, alla base di queste visioni eccessivamente “avveniristiche”, vi siano gli stessi mezzi di comunicazione: riproponendo il concetto di moral panic (Cohen, 1972) Bennett, Maton e Kervin ritengono come questo fenomeno dei nativi digitali, pur restando in realtà privo di evidenze scientifiche, sia di fatto amplificato ed enfatizzato dai media e persino da parte del mondo accademico.

Il dibattito, come spesso accade in queste circostanze, è in realtà aperto e lontano dall’essere risolto. A conclusione di questa riflessione possiamo osservare che certamente i nativi digitali, sia attuali che futuri, si caratterizzeranno sempre più per un approccio alle fonti informative più rapido, immediato e orizzontale. Se poi tale atteggiamento sia destinato a tradursi in un incremento della superficialità ai danni dell’approfondimento, e in un’accentuazione delle differenze con le generazioni precedenti, molto dipenderà anche dalle risorse di partenza di ciascun soggetto. Risorse legate alla collocazione sociale dei giovani e al loro livello di istruzione innanzitutto: fattori, entrambi, destinati a riflettersi nella competenza all’uso di Internet, e cioè nella capacità di non restare vittime del caos della Rete, riuscendo, per contro, a sfruttarla per ottenere informazioni, conoscenza e relazioni sociali, utili al miglioramento della propria posizione di partenza.

UN VIDEO

I giovani e le nuove tecnologie. Un’indagine sui “nativi digitali”

Come usano Internet? A quanti anni hanno imparato a navigare? Qual è il social network più utilizzato? Preferiscono la televisione o Internet? Sono alcune delle domande dell’indagine che ha coinvolto 852 studenti delle scuole superiori del Trentino realizzata da Silvia Gherardi e Manuela Perrotta dell’Università di Trento nell’ambito del progetto “LiveMemories” coordinato dalla Fondazione Bruno Kessler e finanziato dalla Provincia autonoma di Trento. Nello spotlight di questo mese le risultanze dello studio che ha permesso di indagare abitudini e interessi dei “Native speakers” delle tecnologie digitali.


Non c’è futuro senza famiglia

L’Italia sta scoprendo in grave ritardo che i dati sulla situazione delle famiglie sono allarmanti. A emergere non è soltanto la difficile situazione economica che molti nuclei familiari stanno affrontando in questi ultimi anni; ancora più compromessa è la dinamica relazionale che vede sempre più confusi i più giovani e sempre più disillusi gli adulti.

Che cosa sta succedendo? Succede che quasi metà dei giovani italiani, tra i 25 e i 34 anni, vive  ancora con i genitori. Succede che solo 1 coppia su 3 in Italia ha figli (vent’anni fa era 1 coppia su 2). Succede che diminuiscono i matrimoni, aumentano i divorzi e si diffondono forme “nuove” di convivenza: single con single, single con figli, nuclei allargati.

La questione economica è certamente importante. Molti commentatori la usano diffusamente per spiegare questi dati. Ma c’è molto di più: a causare queste condizioni è una distorsione del senso stesso di famiglia, che è tutta antropologica. L’emancipazione della donna è diventata lotta contro il maschio ed emancipazione della maternità.

Quale miglior modo per emanciparsi dalla maternità che equiparare rapporti aperti alla vita e fecondi a rapporti infecondi? L’indifferenza sessuale (teoria del gender) è il nuovo nome dell’infecondità. In tempi difficili le famiglie numerose erano per i padri e le madri una chiara risposta comunitaria alla crisi, una risposta di fiducia nella propria forza di generare ed educare una prole in grado di lavorare, migliorare la qualità della vita, “risollevare” la famiglia nell’ascensore sociale. Un figlio era come messaggio di salvezza e di riconciliazione del mondo.

Oggi i dati dell’Istat ci dicono che l’ascensore sociale è bloccato, anzi, volge inevitabilmente verso il basso. Le coppie sono scoraggiate a fare figli perché non credono di poter garantire loro una vita “dignitosa”. La poca fiducia in se stessi, un certo egoismo che si sviluppa nei momenti di difficoltà e tensione, l’incapacità di reagire e pensare ad un futuro diverso: ecco i veri fattori che scoraggiano a “fare famiglia”. I figli, quelli da fare o quelli già fatti, sono le prime vittime di tutto questo.

Un Paese a crescita zero che non sa più dialogare con i giovani e sacrifica sull’altare del relativismo le nuove forze che rinnovano una società e la fanno crescere. Si diffonde la cultura “gender” che nega la differenza sessuale e promuove nei dibattiti televisivi, nelle telenovelas, nelle sit-com, nelle fiction e nelle pubblicità l’indifferenza sessuale.

Allo stesso tempo sempre più spesso i media ci fanno assistere a vere e proprie parodie delle famiglie “tradizionali”, mostrando contesti familiari plastificati e senza tensioni, da sogno, che sono in contrasto con le fisiologiche difficoltà che tutte le famiglie normali vivono nel loro contesto quotidiano. È una sorta di “anti-genesi”, una vera “ferita antropologica”.

In questo contesto diventa necessario anteporre l’ecologia delle relazioni umane a tutte le nostre priorità. Per salvare l’uomo stesso e il senso del suo stare nel mondo. È un lavoro lungo che trova un valido supporto nella Dottrina Sociale della Chiesa. Basta ricordare il beato Giuseppe Toniolo, a cui la sezione di Agorà di questo numero è interamente dedicata. Infatti, vi si  riportano le relazioni svolte nel Laboratorio DSC dedicato alla beatificazione di questo straordinario protagonista del cattolicesimo sociale.

Toniolo esprime bene la sintesi tra famiglia, lavoro e festa nel essere insieme padre, docente universitario, autentico campione di solidarietà sociale. Aspetti tutti riassunti in una tenera lettera mandata ad un suo allievo, nel 1879, in cui Toniolo così scriveva: “Ci sono degli amori che deprimono e che dissipano; altri che sospingono all’operosità buona e proficua. Le auguro quei conforti veri e inestimabili, che accompagnano sempre il connubio cristiano, e di cui io (contro i miei meriti) feci e faccio esperimento”.

Unire dunque: famiglia, lavoro e impegno sociale. Ancora oggi ci sono moltissime strozzature alla capacità lavorativa delle famiglie, soprattutto delle donne. Basti pensare al grave ritardo in cui ci troviamo, rispetto alle economie più avanzate, nella presenza capillare e diffusa di asili nido che possano permettere alle madri di armonizzare la vita lavorativa e quella familiare (ad oggi quasi una madre su tre abbandona il lavoro dopo la nascita del primo figlio).

Come avvertiva, nel 2004, l’allora Presidente Ciampi: “una società evoluta non può rinunciare né all’impegno pubblico della donna, né al suo ruolo di madre. Le culle vuote sono il vero problema della società italiana”.

Proposte concrete possono trovarsi, così come è stato fatto nel recente rapporto “La famiglia in Italia” dell’Osservatorio nazionale sulla famiglia. Il rapporto individua diversi strumenti per mettere insieme famiglia e lavoro: locali e spazi dei luoghi di lavoro dedicati ai figli, l’uso dei congedi genitoriali, gli aiuti alle famiglie che si prendono cura degli anziani non autosufficienti, i sostegni alle famiglie fragili (con minori in tutela o a rischio di allontanamento, in cui i genitori sono separati/divorziati, famiglie migranti).

A questi vanno aggiunti il rilancio del modello economico-sociale che è l’impresa familiare e di quello cooperativo tra più famiglie che lo stesso Toniolo amava richiamare nei suoi studi. Sono punti essenziali, se si vuole parlare di “politiche familiari” così come intese nella letteratura scientifica utilizzata nelle rilevazioni OCSE: politiche destinate a creare e ricollocare risorse per i nuclei famigliari e per i figli a carico.

Bisogna rendere amici della famiglia il lavoro, la scuola, l’ospedale, il negozio, i centri per gli anziani. Bisogna tornare al family mainstreaming contro le pressioni della cultura gender. Bisogna ritornare ad un pensiero globale sulla famiglia e abbandonare definitivamente l’attuale pensiero frammentato sulle “famiglie” che, incapace di fare sintesi, crea divisioni e trincee.

Se i tentativi di eliminare l’aut-aut lavoro o famiglia sono primi passi utili a risolvere alcune criticità nel breve periodo, non si deve trascurare l’aspetto spirituale e relazionale delle famiglie, aspetto ben più complesso, almeno in apparenza. Ad essere trascurata è l’importanza di strumenti molto semplici che sanno mettere insieme famiglie e comunità e che necessitano di un urgente ritorno nel panorama sociale.

Il primo e più immediato modo per stare insieme è la festa. Festa è stata il VII Incontro delle Famiglie, tenutosi a Milano dal 30 maggio al 3 giugno, che ha visto partecipare famiglie da tutto il pianeta in un contesto di gioia, dialogo e spiritualità che non si vedeva da molto tempo.

Famiglie, lavoro e festa. Tutto insieme, senza nessuna scelta di priorità che esclude il resto. Lo stesso Benedetto XVI, nella lettera di introduzione a questo grande evento, così si è espresso: “Il lavoro e la festa sono intimamente collegati con la vita delle famiglie: ne condizionano le scelte, influenzano le relazioni tra i coniugi e tra i genitori e i figli, incidono sul rapporto della famiglia con la società e con la Chiesa. La Sacra Scrittura (cfr Gen 1-2) ci dice che famiglia, lavoro e giorno festivo sono doni e benedizioni di Dio per aiutarci a vivere un’esistenza pienamente umana.”

L’aver visto molte famiglie insieme ha ridato un forte rinnovamento di speranza. Si fanno così avanti nuove forme di collaborazioni: famiglie giovani che si danno una mano e fanno comunità, comunità parrocchiali che organizzano corsi post-matrimoniali per supportare e aiutare le coppie nei loro momenti più critici, la riscoperta del racconto, della testimonianza di vita nell’educazione dei figli. La rinascita della fratellanza e del rispetto, il ritorno alla dimensione sociale del nucleo familiare che scopre, piano piano, di non essere più un’isola.

La festa è un fattore di reciproca riconciliazione che non va più messo in secondo piano. Attualissima è la lezione del Vangelo nella parabola del figliol prodigo, in cui la festa diventa il momento che sancisce il ritorno del figlio “perduto” nella casa del padre che, nel rispetto di quella che è la sussidiarietà, lo aveva lasciato partire. Ammazzare il vitello grasso, vestirsi dell’abito più bello, l’anello più prezioso. Onorare, santificare le feste e stare insieme.

Stare in famiglia, in fondo, non è altro che riscoprire e ritrovare la capacità di amare: se stessi, i propri familiari, gli altri. La famiglia quale segno d’amore per la società. La Dottrina Sociale ce lo ricorda a chiare lettere: “La famiglia, comunità naturale in cui si esperimenta la socialità umana, contribuisce in modo unico e insostituibile al bene della società.

La comunità familiare, infatti, nasce dalla comunione delle persone: La “comunione” riguarda la relazione personale tra l’“io” e il “tu”. La “comunità” invece supera questo schema nella direzione di una “società”, di un “noi”. La famiglia, comunità di persone, è pertanto la prima “società” umana.”(Compendio DSC, 213).

A Milano, davanti a oltre un milione di persone, il Papa ha incoraggiato e sostenuto non il paradigma della famiglia da cartolina, ma quella che vive concretamente la realtà sociale e subisce tutti i drammi della crisi, delle incomprensioni, delle separazioni. Va letta così l’attenzione particolare dedicata ai divorziati, di cui Benedetto XVI coglie tutta la sofferenza.

Nella sua Omelia di Domenica 3 giugno, davanti ad una folla oceanica, il Papa ha ricordato alle famiglie: “Nella misura in cui vivrete l’amore reciproco e verso tutti, diventerete un Vangelo vivo, una vera Chiesa domestica”. Immancabile anche un richiamo alla necessità di “armonizzare i tempi del lavoro e le esigenze della famiglia, la professione e la maternità, il lavoro e la festa.”

La festa milanese ha mostrato che il cuore della società sono le relazioni tra persone e non l’individualismo né lo statalismo. Lo ha mostrato concretamente in variegate forme e senza stare sulla difensiva. Il Vangelo e la DSC ci salvano dagli “svuotamenti sociali”, dal consumismo che diventa illusoria ragione escatologica e da un assistenzialismo che annulla la partecipazione democratica.

Oltre un secolo fa Giuseppe Toniolo ricordava ai cattolici il loro ruolo di protagonisti per costruire una società migliore. Nel 1886 Toniolo così diceva: “I cattolici dovranno combattere da una parte l’economia individualista e liberista e dall’altra l’economia panteista o il socialismo di Stato. Solo per virtù di tali principi essi riusciranno a salvare ad un tempo le ragioni della libertà individuale privata e quelle del progresso del corpo sociale: ragioni oggidì alternamente compromesse da un liberalismo che dissolve e da una statolatria che soffoca e uccide.”

Durante la festa delle Famiglie, Benedetto XVI si è rivolto ai politici per riscoprire, insieme, il senso di uno Stato per i cittadini. Egli ha ricordato, nel suo incontro con le autorità, che per lo Stato “appare preziosa una costruttiva collaborazione con la Chiesa, senza dubbio non per una confusione delle finalità e dei ruoli diversi e distinti del potere civile e della stessa Chiesa, ma per l’apporto che questa ha offerto e tuttora può offrire alla società con la sua esperienza, la sua dottrina, la sua tradizione, le sue istituzioni e le sue opere con cui si è posta al servizio del popolo.”

Ancora una volta si ribadisce che la tradizione della Chiesa e la DSC possono guidarci nella riscoperta di quello che è il senso del nostro stare insieme con gli altri. Non ci dà ricette, né semplici liste di priorità. Ci fornisce una bussola, dei principi su cui fondare l’agire del cristiano e degli uomini di buona volontà.

Una bussola i cui punti cardinali sono principio-persona, sussidiarietà, solidarietà, bene comune. La famiglia è la sintesi più potente di questi cardini, l’orizzonte verso cui politica, impegno sociale, lavoro culturale, devono tornare a guardare se il futuro lo si vuole costruire e non soltanto declamare.

di Claudio Gentili, Direttore de “La Società”

ROMA, martedì, 26 giugno 2012 (ZENIT.org) –

Giovani e sport3. Le figure educative

 

Roma – Via Aurelia 468, 23 giugno 2012

La comunità cristiana offre il suo contributo e sollecita quello di tutti perché la società diventi sempre più terreno favorevole all’educazione. Favorendo condizioni e stili di vita sani e rispettosi dei valori, è possibile promuovere lo sviluppo integrale della persona, educare all’accoglienza dell’altro e al discernimento della verità, alla solidarietà e al senso della festa, alla sobrietà e alla custodia del creato, alla mondialità e alla pace, alla legalità, alla responsabilità etica nell’economia e all’uso saggio delle tecnologie.
Ciò richiede il coinvolgimento non solo dei genitori e degli insegnanti, ma anche degli uomini politici, degli imprenditori, degli artisti, degli sportivi, degli esperti della comunicazione e dello spettacolo.
(dagli Orientamenti pastorali dell’episcopato italiano per il decennio 2010-2020)
La partecipazione al Cantiere è gratuita.

Sono a perte le iscrizioni online
Bozza di Programma

 

 

Migrazione e nuova evangelizzazione

Migrazioni e nuova evangelizzazione: questo il tema scelto dal Santo Padre Benedetto XVI per la 98a Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato che sarà celebrata domenica 15 gennaio 2012.

 

MESSAGGIO PER LA GIORNATA MONDIALE DEL MIGRANTE E DEL RIFUGIATO 2012

 

L’Italia ha vissuto lo scorso anno il drammatico esodo dal Nord Africa, che ha coinvolto, però, persone di diversi altri Paesi africani e asiatici. L’esperienza ha dimostrato la necessità di un piano europeo, oltre che nazionale, che garantisca l’esigibilità del diritto d’asilo, ma anche l’organicità di un’accoglienza che si trasformi in una forma di protezione internazionale.

L’Italia da Paese di passaggio per i rifugiati – che per tanti anni la Migrantes ha gestito con il Centro romano di Via delle Zoccolette – si è trasformato in Paese anche di residenza dei richiedenti asilo e rifugiati (oltre 50.000). Per questa ragione, la tutela dei richiedenti asilo e rifugiati non può essere legata alla provvisorietà dei proventi dell’8 per mille destinati dai cittadini allo Stato o alle risorse della Protezione civile nell’emergenza, ma deve prevedere un fondo strutturale che valorizzi anche, e in maniera sussidiaria, la rete dei servizi che il mondo ecclesiale, associativo, cooperativo e del volontariato ha creato in questi anni. Senza un piano, ogni sbarco rischia di diventare un’emergenza e non aiutare l’opinione pubblica a leggere correttamente un fenomeno, quello dei richiedenti asilo, generato da 23 guerre in atto nel mondo e dalle molte persecuzioni politiche e religiose che coinvolgono ancora purtroppo oltre il 70% della popolazione mondiale: in Mali come nel Sudan e in Nigeria, come dimostrano i fatti drammatici di questi giorni.La Migrantes, rinnovata nel suo Statuto dai Vescovi italiani, è chiamata ad essere in ogni regione e diocesi un luogo in cui la mobilità e le migrazioni, con le persone e famiglie diverse coinvolte (oltre gli immigrati e i rifugiati, gli emigrati, la gente dello spettacolo viaggiante, i rom e i sinti), siano riconosciuti come luoghi su cui ripensare la città e la comunità cristiana, le politiche e la pastorale.

ARTICOLI CORRELATI:

Una pastorale migratoria per una Chiesa “differente”

 

 

 

 

 

Mons. Giancarlo Perego, Direttore generale Migrantes

 

 

 

 

 

L’ urgenza di promuovere con nuova forza e rinnovate modalità l’evangelizzazione oggi è favorita dalle migrazioni, che “hanno abbattuto le frontiere” e favorito l’incontro. Questa coniugazione stretta tra migrazioni e nuova evangelizzazione è il tema centrale del Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2012.

 

 

 

 

 

S.E. Mons. Antonio Maria Vegliò Presidente Pontificio Consiglio Pastorale Migranti e Itineranti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Bertone: “Per il mondo che soffre per la mancanza di pensiero”

Il cardinale Bertone spiega perché è importante che le università cattoliche siano coinvolte nella nuova evangelizzazione.

 

Da: (ZENIT.org)

Riprendiamo la Lectio magistralis tenuta dal cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, al Collegium Maius della Pontificia Università “Giovanni Paolo II” di Cracovia, in Polonia, dove gli è stato conferito un dottorato honoris causa. Il testo integrale della Lectio è stato pubblicato sul sito de L’Osservatore Romano.

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di Tarcisio Bertone

Permettetemi di rivolgere un cordiale saluto a tutti i presenti; ai Signori Cardinali e Vescovi, in particolare Sua Eccellenza Monsignor Józef Kowalczyk, Primate della Polonia, e Sua Eccellenza Monsignor Celestino Migliore, Nunzio Apostolico. 
Saluto con deferenza le illustri Autorità civili e militari e i membri del Corpo Diplomatico. 
La mia gratitudine va in special modo al Gran Cancelliere, Sua Eminenza Cardinale Stanislaw Dziwisz, al Rettore Magnifico Monsignore Professore Wladyslaw Zuziak e all’intero Senato Accademico di questa Pontificia Università Giovanni Paolo II. 
Sono lieto della presenza dei Rettori degli Atenei e Istituti di Studi Superiori della Polonia, e specialmente di Cracovia, dei Decani delle Facoltà Teologiche della Polonia. 
Vi ringrazio in anticipo per l’ascolto di questa mia esposizione che ha come titolo “Il ruolo delle Università Cattoliche nell’opera della Nuova Evangelizzazione”.

L’articolo continua …

ARTICOLI CORRELATI:

SABATO 9 GIUGNO 2012. Le Università Cattoliche e la Nuova Evangelizzazione

Giovani e famiglia secondo un’indagine

Il 60% dei giovani italiani, anche nell’attuale situazione di crisi, “punta sulla famiglia”, pensa che essa “tiene, non rinuncia a pensare di poter formare una propria famiglia”, e la vede costituita mediamente da due figli o più. Solo il 9,2% dei ragazzi e il 6,2% delle ragazze pensa di non avere figli. Questa, in sintesi, la fotografia che emerge dai primi risultati della ricerca “Giovani e famiglia”, avviata dall’Istituto Giuseppe Toniolo di studi superiori e da un team di docenti dell’Università Cattolica avvalendosi di Ipsos per la raccolta dei dati. L’indagine, resa nota oggi mentre è in corso il VII Incontro mondiale delle famiglie, ha riguardato un universo di 9 mila giovani tra i 18 e i 29 anni. 

Forte “desiderio” di famiglia. I risultati diffusi in data odierna si riferiscono al primo “sottocampione” di 2.400 interviste. Con riferimento ai dati sul “desiderio di famiglia e di figli”, i ricercatori osservano: “Se questi giovani fossero semplicemente aiutati a realizzare i propri progetti di vita, la denatalità italiana diventerebbe un problema superato”. Lo conferma la percentuale di coloro che sostengono che “in assenza di impedimenti e costrizioni” vorrebbero avere “tre o più figli” (più del 40%). Per oltre il 60% degli intervistati “la famiglia è la cellula fondamentale della nostra società e si fonda sul matrimonio”; solo l’11.6% è in disaccordo con questa tesi, si legge nell’indagine. Le relazioni tra genitori e figli “sono sempre molto forti nel nostro Paese”, e “non solo per motivazioni di natura economica”. La famiglia, oltre al sostegno materiale, “fornisce anche supporto emotivo” e costituisce “un punto di riferimento stabile e affidabile”. Di fronte a un futuro incerto la famiglia d’origine rappresenta una “fondamentale certezza”.

Il più a lungo possibile. Ampiamente riconosciuto il ruolo della famiglia nel raggiungimento di importanti traguardi esistenziali. Oltre l’80% degli intervistati afferma che la propria esperienza familiare gli è stata di aiuto “nel coltivare le sue passioni e nell’affermarsi nella vita”; oltre l’85% rivela che la famiglia rappresenta un sostegno nel perseguire i propri obiettivi. In Italia inoltre, a differenza che nella maggior parte dei Paesi europei, il 61,95% dei giovani considera “un fatto normale” continuare a vivere con i propri genitori anche dopo i 25 anni; il 27,38% lo definisce “un piacere”. Solo il 6% lo mette in relazione a “problemi economici”. La maggioranza degli intervistati pensa di poter contare su un aiuto concreto anche dopo avere lasciato la casa d’origine. Oltre il 90% ritiene che verrà aiutato nell’accudimento di eventuali figli; oltre l’80% per l’acquisto della casa. Il 54,51% pensa di poter contare anche su una “integrazione regolare del reddito”. Per i ricercatori, “questa disponibilità all’aiuto da un lato è senz’altro positiva, dall’altro può produrre effetti ambivalenti sul giovane e sulla sua responsabilizzazione nelle scelte di vita”.

Processi di compensazione più che di trasformazione. La famiglia d’origine viene intesa dai giovani come “luogo in cui ciascuno può esprimere se stesso” (d’accordo con questa affermazione il 39,7%; abbastanza d’accordo il 47,3%). Due intervistati su tre la ritengono un “luogo di apprendimento primario” sia delle modalità di relazione con il contesto sociale, sia dal punto di vista normativo, cioè delle “regole da rispettare”. Per oltre la metà la famiglia si configura come “rifugio dal mondo”. “Questi dati – commenta Alessandro Rosina (Università Cattolica) – sono di estremo interesse e ci mostrano come le generazioni adulte si muovano con modalità molto diverse all’interno della famiglia e della società: nella famiglia danno vita a un luogo dove ciascuno può dire come la pensa e aprirsi agli altri, nella società danno vita a luoghi di sfiducia per fuggire dai quali i giovani vanno a ‘rifugiarsi’ in famiglia”. Per Rosina, quindi, “la dinamica di scambio tra famiglia e società” si conferma basata su “processi di scissione e compensazione anziché su processi di trasformazione”. “Prolungando gli aspetti protettivi”, conclude, i genitori “compensano l’ingiustizia del sociale che inconsapevolmente contribuiscono a produrre”.

da: SIR 31/05/12

Il card. Angelo Scola su crisi economica e dottrina sociale della Chiesa

Di fronte alla grave crisi dell’occupazione e alla necessità di rilanciare lo sviluppo, è ancora adeguato quel caposaldo della dottrina sociale della Chiesa che parla della centralità del soggetto del lavoro come fondamento del primato del lavoro sul capitale?

con questa domanda, ieri (17 maggio), ha aperto il suo intervento il card. Angelo Scola, arcivescovo di Milano, nell’ultima serata del ciclo “Dalla crisi economica alla speranza affidabile”, organizzato da Fondazione “Milano Famiglie 2012” e “Gruppo 24 Ore” in preparazione al VII Incontro mondiale delle famiglie (www.family2012.com).

Tema della serata: “Nuove politiche sociali e di lavoro per la sostenibilità della famiglia”. All’incontro hanno partecipato anche Donatella Treu, amministratore delegato del “Gruppo 24 Ore”, e Tiziano Treu, vicepresidente XI Commissione Lavoro del Senato.

È seguita la tavola rotonda “Nuovi modelli di lavoro nella famiglia oggi”, con Michele Tito Boeri del Dipartimento economia dell’Università Bocconi di Milano, Alberto Quadrio Curzio, docente emerito di economia politica all’Università Cattolica di Milano, Giovanni Maria Vian, direttore de “L’Osservatore Romano”, e Marco Vitale, economista.

Scarica gli interventi:

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Giornata Nazionale dei beni culturali ecclesiastici

Alle 10 di questa mattina, la relazione di S.E. Mons. Mariano Crociata, Segretario Generale della Conferenza Episcopale Italiana, sul tema “La conoscenza del patrimonio ecclesiastico”, apre la XIX Giornata Nazionale dei beni culturali ecclesiastici, in programma a Roma presso il Centro Congressi di via Aurelia 796.

“Il restauro di un luogo di culto può essere come una porta che si schiude su un mondo affascinante e tutto da scoprire. Per i sacerdoti, perché scoprono cose nuove, alle quali forse non erano stati sufficientemente preparati negli anni della loro formazione. Per gli architetti, perché ogni restauro è un’esperienza nuova, una lezione nel corso della quale c’è sempre da imparare, sia sul piano tecnico che sul piano umano, ad esempio nel cogliere le aspettative della comunità committente. Per i funzionari delle Soprintendenze, perché possono cogliere meglio la ricchezza della teologia. Per i fedeli, perché vengono aiutati dai lavori di restauro a rintracciare, nelle consuete mura entro cui pregano da anni, le vestigia di quanti li hanno preceduti nella proclamazione della lode a Dio e nell’esercizio della carità cristiana.

Non va poi dimenticato che la presenza di una chiesa fa riferimento a una quantità di persone che interagiscono profondamente fra di loro e che si riconoscono nell’appartenenza all’unico Dio in Cristo. Queste persone si identificano come comunità cristiana. Un edificio di culto, quindi, non è mai un fatto privato o la conseguenza di un’azione individuale, bensì è generato da presupposti di carattere ecclesiale e va ad arricchire le dinamiche relazionali sociali nel territorio in cui si situa”.

Scarica il : testo dell’intervento