Chiesa e Islam in Italia. Incontro e dialogo

È uscito il libro edito dal Centro editoriale dehoniano, tanto atteso dalla Chiesa italiana, sinora priva di indicazioni chiare su come rapportarsi con l’Islam per incontrarsi e, soprattutto, per dialogare con serenità, nella concretezza e senza sincretismi.
Il testo è stato curato da Antonio Angelucci (ecclesiasticista e comparatista delle religioni), Maria Bombardieri (sociologa), Antonio Cuciniello e Davide Tacchini (islamologi e arabisti). È frutto del lavoro di anni dell’Ufficio Ecumenismo e Dialogo interreligioso (UNEDI) della Conferenza Episcopale Italiana che, attraverso il “Gruppo di interesse sull’Islam”,– composto da teologi, giuristi, sociologi, islamologi e arabisti delle maggiori università pontificie e italiane – parte effettiva di tale Ufficio, ha, dapprima, elaborato alcune schede on line ad uso pastorale e, in un secondo momento, rielaborandole, arricchendole ed aggiornandole, ha definito “su carta” alcune linee che trovano una certa ufficialità grazie anche alla prefazione del Presidente della CEI, S.E.R. Card. Gualtiero Bassetti e alla postfazione del Presidente dell’UNEDI, Mons. Ambrogio Spreafico e del suo Direttore (fino a dicembre 2018), Don Cristiano Bettega.
Nel libro si affrontano temi caldi e si danno spunti che saranno utili a diocesi e parrocchie, associazioni di volontariato, ecc. La prima parte fornisce i parametri di base necessari per la comprensione dell’Islam in Italia (contributi di: Antonio Angelucci, sulle organizzazioni musulmane italiane; Davide Tacchini, sulla figura dell’imam; Alessandro Ferrari e Vittorio Ianari, sulla visita alle moschee). La seconda dà alcune indicazioni per convivere in fraternità tra cristiani e musulmani (contributi di Antonio Cuciniello, su scuola e musulmani; Augusto Negri, sui musulmani in oratorio; Ignazio De Francesco, sui musulmani in carcere e in ospedale). La terza parte aiuta ad interpretare l’Islam nel quotidiano (contributi di Antonio Cuciniello e Massimo Rizzi, sulle regole alimentari e le feste islamiche; Maria Bombardieri, sulla questione delle immagini nell’Islam; Stefano Paternoster, sull’elemosina e sull’attenzione ai poveri nell’Islam). La quarta e ultima parte, infine, non dimentica il tema oggi attualissimo e scottante dell’accoglienza e della solidarietà (contributo di Massimo Ambrosini).
Il lavoro viene, ora, rilanciato dal nuovo Direttore dell’UNEDI, Don Giuliano Savina che, forte dell’esperienza di dialogo interreligioso promosso al Refettorio Ambrosiano di Milano, da lui fondato, ripropone col “Gruppo di interesse sull’Islam” il percorso profetico di incontro e dialogo interreligioso fortemente chiesto da Papa Francesco e dai suoi predecessori.
L’obiettivo è continuare a mettere in dialogo Chiesa e Islam in Italia.

Con la famiglia paolina, una settimana tutta da vivere

Per portare la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali all’attenzione di un pubblico sempre più ampio, stimolare la riflessione sul tema e creare spazi di condivisione allargata le Paoline e i Paolini organizzano la Settimana della Comunicazione.

In tutta Italia, vengono organizzate una serie di iniziative pastorali e culturali – convegni, concorsi, laboratori, attività nelle librerie Paoline e San Paolo, video proiezioni, eventi musicali, spettacoli e molto altro – che coinvolgono giornalisti e operatori della comunicazione, personalità del mondo ecclesiastico, artisti e personaggi del mondo dello spettacolo.

Grande attenzione viene riservata al mondo della scuola: insegnanti, studenti, educatori e genitori, diventano i protagonisti di concorsi a tema, giochi e laboratori creativi, partecipano agli spettacoli e alle video proiezioni, vengono chiamati a realizzare happy book, testi, video e giornalini. Perché la comunicazione è dialogo, è ascolto, è innovazione, è creatività.

Quest’anno la 14° edizione della Settimana della Comunicazione si tiene dal 26 maggio al 2 giugno.

Ecco tutti gli eventi in calendario.

 

Il festival

Il Festival della Comunicazione è un “focus” collegato alla Settimana della Comunicazione, che si svolge a livello locale, con il sostegno dell’Ufficio Nazionale della Comunicazioni Sociali, il Servizio Nazionale del Progetto Culturale, la Segreteria per la Comunicazione e il Pontificio Consiglio della Cultura. Ogni anno viene organizzato in una Diocesi diversa, con l’intento di coinvolgere in maniera attiva tutta la Chiesa e far emergere le tante valide risorse del territorio. Nascono, così, iniziative originali, molto sentite e partecipate, che spesso rimangono come patrimonio locale ben oltre la durata del Festival.

Nel 2019 la Diocesi che accoglie il Festival è quella di Chioggia, in Veneto.

Fabio Geda – Raccontare il mondo, educare il mondo

30 maggio 2019 – dalle 19:00 alle 21:00 presso Università Salesiana – Aula II
Piazzale dell’Ateneo Salesiano, 1 Roma

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Per il quarto appuntamento del ciclo Come un libro aperto Grande come una città incontra Fabio Geda. Dal viaggio di Enaiatollah Akbari dall’Afghanistan all’Italia di Nel Mare ci sono i Coccodrilli a «Un uomo con un piede nel sogno e uno nella realtà», il Don Giovanni Bosco protagonista del suo ultimo libro, la scrittura è per Fabio Geda un modo per indagare le passioni che da sempre lo accompagnano, tra impegno civile, volontariato e lavoro educativo. In Il demonio ha paura della gente allegra. Di don Bosco, di me e dell’educare (Solferino editore, 2019), tra ricostruzione storica, narrazione e reportage, un unico filo luminoso lega le battaglie di don Bosco e le disavventure dell’autore, educatore alle prese con adolescenti difficili delle periferie, sempre alla ricerca di forme più efficaci di integrazione. Un racconto sulla passione per il dialogo tra generazioni e l’importanza di un’educazione che parta dall’abitare la relazione con i ragazzi.

Fabio Geda (Torino, 1972), dopo l’esordio con Per il resto del viaggio ho sparato agli indiani (Instar, 2007) – in finale al Premio Strega e giudicato Miglior Esordio dalla redazione di Radio Tre Fahrenheit –, pubblica L’esatta sequenza dei gesti (Instar, 2008), con il quale vince il Premio Grinzane Cavour e il Premio dei lettori di Lucca. Di nuovo finalista al Premio Strega con Nel mare ci sono i coccodrilli. Storia vera di Enaiatollah Akbar (Baldini & Castoldi, 2010), nel 2011 esce per Transeuropa La bellezza nonostante. Nel 2014 esce per Einaudi Se la vita che salvi è la tua e, nello stesso anno, il reportage su Tokio Itadakimasu per Edt. Nel 2019 pubblica Il demonio ha paura della gente allegra. Di don Bosco, di me e dell’educare per Solferino editore. Oltre che con la Scuola Holden e il Salone del Libro di Torino, collabora con diversi quotidiani e settimanali nazionali.

 

Per approfondimenti: [http://fabiogeda.it/]

info: grandecomeunacitta@gmail.com
accessibilità – non sono presenti barriere architettoniche
linee ATAC – http://www.atac.roma.it
fermata Pian di Sco – linea 88
fermata Vimercati – linee 80, 90, 93, 350

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“Droghe e dipendenze: un ostacolo allo sviluppo umano integrale”

“Analizzare attuali criticità e trovare nuove e appropriate strategie alla lotta contro le droghe e il crescente sviluppo delle dipendenze”. Questo l’obiettivo della Conferenza internazionale promossa e organizzata dal Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale in Vaticano, che si è tenuta dal 29 novembre al 1° dicembre scorsi sul tema: “Droghe e dipendenze: un ostacolo allo sviluppo umano integrale”.

Punto di partenza dell’iniziativa è stato l’ultimo Rapporto mondiale sulle droghe, dal quale emerge che su 250 milioni di persone che nel 2015 hanno fatto uso almeno una volta di droga, 29,5 milioni soffrono di disturbi legati a tale consumo. Durante i lavori, c’è stato un aggiornamento sulle dipendenze, a partire dalle forme di tossicodipendenza classiche, come l’eroina e la cocaina, che hanno contrassegnato il mercato della droga fin dai suoi esordi, per arrivare alle nuove dipendenze, come le sostanze psicoattive e le pastiglie che vengono offerte dentro e fuori le discoteche. Si è passati poi ad analizzare il gioco d’azzardo e le dipendenze telematiche, forme di dipendenza sempre più diffuse e che richiedono tipologie di intervento particolari.

Le varie forme di dipendenza ci raccontano l’estrema fragilità della nostra società [ha spiegato Nicolò Pisanu, presidente dell’Istituto superiore universitario di scienze psicopedagogiche e sociali “Progetto Uomo” (Ipu) della Federazione italiana delle comunità terapeutiche (Fict)]. Il loro aumento è dovuto alla poca educazione alla resilienza e ai pochi messaggi proattivi. Alla radice c’è l’ondata lunga del consumismo che ormai è diventata una filosofia di vita, orientata al piacere immediato, alla reiterazione del desiderio di tipo narcisistico e solipsistico. Un cocktail micidiale che trova un terreno fertile anche nella povertà culturale e nella povertà concreta che si registrano in momenti di crisi economica e lavorativa come quello che stiamo attraversando, soprattutto in un bacino di utenza, come quello italiano, dove ci sono due milioni di giovani che non lavorano né studiano, i cosiddetti Neet.

Puoi leggere qui il discorso di papa Francesco ai partecipanti alla Conferenza…

“Esercizi di comunicazione. Visione, strategia e tecnica di Community Building”

“Esercizi di comunicazione. Visione, strategia e tecnica di Community Building” è il corso di alta specializzazione promosso da Centro culturale San Paolo (Ccsp), Center for Generative Communication (Cfgc) dell’Università di Firenze (nella foto il direttore Luca Toschi) e Polo Universitario “Città di Prato”.

Il progetto, spiega don Ampelio Crema, presidente del Ccsp, in un’intervista per il sito del Copercom, “si prefigge anche l’obiettivo di creare una rete tra realtà ecclesiali e laiche attente al mondo della comunicazione per dar vita a una nuova figura professionale più che mai urgente nelle nostre realtà”. Quindi “formare una figura professionale capace di ideare e progettare strategie di comunicazione orientate a costruire Comunità di interessi, obiettivi e pratiche che rafforzino l’identità e gli obiettivi di associazioni, organizzazioni, imprese, istituzioni, oratori, parrocchie”. In questo modo, osserva don Crema, “si promuove un nuovo modello comunicativo che sappia coniugare il raggiungimento concreto degli obiettivi, nei tempi necessari, con i valori che intende sostenere e rafforzare”. Questo è “il Community Building: mettere a disposizione le competenze di un gruppo di lavoro, costituito ad hoc, per creare insieme una comunità formativa che ha l’obiettivo di praticare in diversi contesti reali i risultati di un processo di costruzione della conoscenza”.

Ogni partecipante al corso presenta un proprio progetto di comunicazione (personale, di una associazione, di un gruppo di associazioni…) e viene aiutato da un tutor ad applicare nel suo progetto di comunicazione di partenza quanto scopre nel corso.

Al momento, già varie realtà hanno partecipato in primavera agli incontri di programmazione del corso (Focsiv, Movimento dei Focolari, Noi Associazione, Sermig…) e altre stanno dando il proprio appoggio a questo progetto formativo in varie forme.

Il corso inizierà il 17 novembre e durerà sei mesi. Le lezioni si svolgeranno nel fine settimana, anche in e-learning. Sono previsti cinque incontri formativi in presenza che, si svolgeranno a Firenze e a Roma. Si rilascerà un attestato di partecipazione a coloro che porteranno a termine il progetto individuale (valutato da un Comitato tecnico-scientifico), oltre ad aver frequentato almeno il 70% delle ore di lezione in presenza. Il corso è di 120 ore. Ci si può iscrivere entro il 28 ottobre.

Info

Internet: strumento e (s)oggetto di ricerca educativa)

Il Seminario, di cui vi metto in allegato il testo, vorrebbe far riflettere sul fatto che il web non è solo uno strumento o un mezzo di comunicazione e nemmeno una banca dati, ma anche un modo di fare ricerca, che non è senza ricadute sia per ciò che pensiamo e su come leggiamo la condizione giovanile, ma anche  i problemi etici riguardanti come prospettiamo la nostra vita e la vita dei giovani, perché il web ci impone le sue logiche , ci delimita e incanala la conoscenza, ci evidenzia valori preferenziali, ci fa  brillare modelli  di comportamento funzionali  e insinua  prospettive di futuro, tutt’altro che neutre.

In questo senso si accentua l’aspetto gnoseologico-epistemologico ,vale a dire “come” e “cosa”  conosciamo; quanto incide la mediazione-Web nella ricerca, e nella riflessione, nell’apprestamento di strategie metodologiche e operative, in educazione, in terapia, in didattica, in catechetica, ecc.…?

convegno OP

«L’istruzione è lo strumento più potente per cambiare il mondo»

Quali sono i fattori chiave per un buon lavoro? Roberto Rossini, presidente delle Acli, snocciola a velocità supersonica le indicazioni dei 30 tavoli dove venerdì è stato affrontato l’argomento. Niente commenti, non tocca a lui farne né vuole sottrarre spazio alla discussione che seguirà. Fattori chiave, dunque. Sono otto: costruire reti locali, valorizzare il territorio, alternanza scuola-lavoro, rapporto tra le generazioni, orientamento, formazione continua, etica del lavoro, internazionalità. Poi cinque idee: senso civico e cittadinanza attiva, consumo responsabile, responsabilità delle comunità cristiane, lavoro manuale e intellettuale da comprendere assieme, informarsi e informare. Infine sette suggerimenti alla politica: potenziare le politiche attive del lavoro, favorire l’alternanza scuola-lavoro, semplificare la burocrazia, appalti limpidi, riforme, parità scolastica e part-time alla fine della vita lavorativa. La sintesi estrema di Rossini è collegare: teoria a pratica, talento a mestiere, formazione a lavoro.

Il neoliberismo rampante, la globalizzazione, le tecnologie, le leggi, le riforme attese e quelle disattese. Tutto importante, tutto da considerare. Ma alla fine a contare è la persona. L’uomo. Con la sua capacità di sognare, desiderare, inventare. Hanno competenze diverse gli ospiti diretti da Claudio Gentili, membro del Comitato scientifico delle Settimane. Alberto De Toni, rettore dell’Università di Udine, è ingegnere e professore; Johnny Dotti è un educatore ed imprenditore sociale, amministratore delegato di On; tanto misurato il primo, quanto rutilante il secondo. Paola Vecchina è presidente di Forma e si occupa di IeFP (istruzione e formazione professionale) e Giorgio Vittadini è presidente della Fondazione Sussidiarietà, lei ‘precede’ il lavoro, lui ci sta dentro. Diversi nelle esperienze e nel linguaggio, ma uniti negli esiti. Sono piante di varia specie che crescono e traggono nutrimento nello stesso terreno, in armonia.

Vittadini afferma convinto: «La formazione non deve fornire soltanto nozioni ma educare una personalità », perché oggi per lavorare meglio – gli studiosi lo garantiscono – servono «grinta, scrupolosità, stabilità emotiva, spirito di collaborazione, amicizia», tutte qualità squisitamente umane. Gentili riassume: «Mettere insieme la tecnica con un ideale di uomo». Vecchina ribadisce: «Buone leggi sì, ma occorrono soprattutto soggetti che nella libertà sappiamo assumersi dei rischi ». Dotti, che ha l’oratorio nel cuore ma anche al centro di nuovi processi produttivi, invita i ragazzi, ma soprattutto gli adulti che li vorrebbero tenere al guinzaglio, alla libertà e al rischio, «altrimenti produciamo acefali privi del coraggio di vivere». Enuncia le virtù necessarie all’impresa: «Coraggio, fortezza, giustizia, temperanza». E invita a un’alleanza tra adulti, che «autorizzino vere esperienze di libertà (e di impresa) negli oratori», e i minorenni: «Se in oratorio non avessi fatto la raccolta degli stracci, mai sarei diventato un imprenditore ». Avere un’idea educativa, è il mantra di Dotti.

De Toni gli fa eco citando Nelson Mandela: «L’istruzione è lo strumento più potente per cambiare il mondo». Bella frase che fa vibrare le corde del cuore, o anche concreto programma politico? De Toni sembra convinto: «Tre sono gli obiettivi di un percorso di istruzione: acquisire capacità critiche, imparare a imparare, imparare per un mestiere». E ribadisce: «In azienda, al centro dei processi di cambiamento sono gli uomini ». E la tecnologia? «La fanno gli uomini». Vittadini punta forte sulla parola desiderio: «Solo l’uomo che desidera è capace di reale invenzione e cambiamento ». E Vecchina annuisce: «Si riparte dal desiderio e dalla conciliazione di apparenti opposti». Il cerchio si chiude con De Toni: «Il gap strutturale tra le risorse (scarse, insufficienti) e i problemi (grandi, enormi) si colma facendo entrare in campo l’uomo. Lui, l’uomo, marca la differenza. Loro, gli uomini e le organizzazioni».

Vittadini ricorda: «Il capitale umano ha un collegamento diretto con il Pil. Le banche, le tasse, il debito… questi, ci ripetono, sarebbero i veri protagonisti. Ma è provato che se migliora l’istruzione, il Pil aumenta. Lo raccontano in modo evidente i percorsi recenti di Singapore, Taiwan, Cina… Per crescere, il primo modo è puntare con decisione su istruzione e formazione professionale». E consente a Gentili di concludere: «Il lavoro va messo al centro dei processi formativi; occorrono maggiori investimenti per il diritto di ricevere una buona formazione professionale; a partire dalle periferie e sapendo che saranno le minoranze creative a fare la storia».

Umberto Folena

Avvenire, 29 ottobre 2017

Quello che i media non dicono…

Il quarto numero del 2017 di “Vita e Pensiero”, bimestrale di cultura e dibattito dell’Università Cattolica, propone una interessante riflessione della sociologa Chiara Giaccardi.

“Più che allungare l’elenco delle cose non dette, come guerre dimenticate o povertà abbandonate, che pure sono doverose da portare in primo piano – sostiene l’autrice – serve un nuovo sguardo. Tre sollecitazioni, che indicano altrettante direzioni per andare oltre la parzialità”.

Ecco l’incipit del testo.

Our lives begin to end the day / we become silent about things that matter («Le nostre vite cominciano a finire il giorno in cui stiamo zitti di fronte alle cose che contano»), scriveva Martin Luther King. Purtroppo le nostre bocche sono invece piene di cose che non contano. O che inquinano. Illazioni, hate speech, fake news. Un rumore di fondo che corrode la capacità delle parole di significare, di far camminare verso obiettivi comuni, di denunciare ciò che va cambiato e lavorare insieme per il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo. Lo stesso dibattito sulla cosiddetta “post-verità” nel suo avvitarsi su reciproci rimbalzi di responsabilità tra media tradizionali e social media tradisce questa afasia, questo vociare risentito che ha perso il contatto con la vita, prima ancora che con la verità. Lo scriveva Walter Benjamin all’inizio del Novecento: non siamo più capaci di tenere l’informazione “cucita” alla vita vissuta e impregnata della sua saggezza, così come del suo lato “epico”, del tutto degno di essere raccontato e celebrato. Come è facile trascurare ciò che esce dalle maglie degli interessi politici ed economici! Anche quando si parla di cose che dovrebbero contare molto di più nell’agenda dei media, poi, se ne parla male. L’attenzione, quando c’è, è affetta da “orientalismo” – preziosa categoria politica e culturale coniata da Edward Said per definire il modo in cui (nelle arti, nei libri di storia, nell’informazione) parliamo dell’altro: dello straniero, del lontano, dell’altro “esotico”…

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“Comunicazione e missione”, dieci anni dopo

“L’impegno educativo sul versante della nuova cultura mediatica dovrà costituire negli anni a venire un ambito privilegiato per la missione della Chiesa”. Si conclude così il n. 51 di Educare alla vita buona del Vangelo, testo degli Orientamenti pastorali della Chiesa italiana per il decennio in corso. Poco prima, dopo aver ricordato che “la comunità cristiana guarda con particolare attenzione al mondo della comunicazione come a una dimensione dotata di una rilevanza imponente per l’educazione”, i nostri vescovi rinviano alla necessaria “alleanza fra i diversi soggetti che tale impresa educativa richiede”.
Su questo sfondo intendiamo riprendere in mano il Direttorio Comunicazione e missione, a dieci anni dalla sua pubblicazione. L’obiettivo che ci muove non è certo una celebrazione fine a se stessa, quanto quello di aiutarci a capire come continuare a comunicare il Vangelo nella cultura mediale, valorizzando percorsi e iniziative pastorali che possano tradurre quell’orizzonte in prassi operative.
Con questo spirito venerdì 12 dicembre a Roma (presso la Domus Pacis, Via Torre Rossa, 94) si incontreranno tutti i responsabili diocesani e regionali delle comunicazioni sociali, per un momento di studio e riflessione.
Il programma sarà aperto alle 15 dal saluto del Segretario generale, Mons. Nunzio Galantino; un primo intervento – per ritornare alla freschezza degli anni in cui il Direttorio è stato messo a punto – è stato affidato a Mons. Claudio Giuliodori; un secondo, mirato ad una disamina del presente con lo sguardo aperto al futuro che ci attende, curato da Mons. Domenico Pompili, in qualità di direttore dell’Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali; seguirà una tavola rotonda, moderata da d. Ivan Maffeis, con i direttori dei media  della CEI – Paolo Ruffini, Lucio Brunelli, Domenico Delle Foglie e Marco Tarquinio – che si confronteranno sulla comunicazione della Chiesa nell’era della convergenza mediale.  La conclusione è prevista per le ore 18.
L’incontro è collocato all’interno della due giorni “in presenza” dei corsisti Anicec per la formazione degli animatori della cultura e della comunicazione, figura sulla quale il Direttorio investe sia sotto il profilo culturale che pastorale.

Cambiare si può. Com’è difficile dire «no slot»

Per i ludopatici è un problema riuscire a starne alla larga. Per i baristi è difficile separarsene. Gli uni perché malati di gioco; gli altri perché messi all’angolo da condizioni contrattuali che prevedono penali stratosferiche: anche 250 euro per ogni giorno di spegnimento dell’apparecchio in anticipo rispetto alla scadenza dei contratti. Abbastanza per scoraggiare. Nonostante questo il fronte no-slot cresce.

Ma a volte, dietro un sì o un no alle scommesse, possono nascondersi altri interessi. Sospetti su cui a Milano lavorano i carabinieri, dopo che nella notte di capodanno la Caffetteria Marchionni ha subito l’esplosione di due bombe carta che ne hanno danneggiato l’ingresso. L’anno scorso l’attività era stata rilevata regolarmente dai nuovi proprietari che, per prima cosa, hanno rispedito ai noleggiatori gli apparecchi da gioco. Italo e Maria, i due titolari, provano a smorzare i toni: «Purtroppo dobbiamo convivere anche con questi inconvenienti ma, sicuramente, non sono queste “stupidate” a darci preoccupazione». 

Come dire che chiunque sia stato, quello non è un posto in cui spadroneggiare. Non è una risposta da poco. Angela Fioroni, di Legautonomie Lombardia, non si è molto sorpresa di quanto successo nel locale del quartiere milanese di Bruzzano, periferia Nord nella quale si muovono con una certa disinvoltura le nuove leve della ’ndrangheta: «Abbiamo avuto notizie di intimidazioni prima di togliere le slot – racconta Fioroni –, ma sarebbe la prima volta che questo accade dopo». Segno che chi decide di restituire al mittente gli apparecchi rischia di mettersi nei guai.

«Se non mangiamo noi non mangia nessuno». Sono frasi come queste a rivelare cosa ci sia, talvolta, dietro alla spietata concorrenza tra noleggiatori di videopoker e slot-machine. Gli investigatori le hanno ascoltate alcuni mesi fa in Molise e poi di nuovo in Campania e nel Lazio. Dalle parti di Campobasso è stata scoperta un’organizzazione che pretendeva di sostituire le macchinette già attive nei vari locali con quelle delle proprie agenzie di noleggio. In alcuni casi la minaccia veniva supportata anche da una precedente azione di “disturbo”, un avvertimento che serviva a mettere in guardia i commercianti. Nelle carte dell’inchiesta ci sono intercettazioni eloquenti: «Poi te la porto una macchinetta – dice uno degli indagati ad una delle vittime – e digli che se lui non rompe le scatole a me io non le rompo a lui».

Nel centro di Pavia c’è un bar con le slot spente. Il titolare ha fatto una certa fatica a convincere i concessionari a portarle via. «Hanno promesso che entro febbraio – riferisce il barista che preferisce restare anonimo – verranno a riprendersele». Non è stato facile, e non solo per i mille euro di percentuale sugli incassi che gli apparecchi gli assicuravano ogni mese. «Ma grazie alla legge regionale con cui la giunta si impegna a proteggere i baristi e le ricevitorie che vogliono dismettere le slot-machine, abbiamo trovato l’occasione per chiudere per sempre con questo incubo».

A Crespi D’Adda (Bergamo) Angela e Frank Labat, gestori de “Il villaggio Café”, hanno raccontato di aver fatto con le slot un tentativo tre anni fa, durato circa 6 mesi: «Abbiamo potuto avere esperienza diretta della dipendenza generata da queste macchinette». Il contratto, per loro fortuna, non era vincolante, e quando hanno visto la gente del piccolo borgo rovinarsi hanno preso una decisione: «Più volte ci sono state riproposte le slot machine, o i “gratta e vinci”, o prodotti di questo genere, ma la nostra risposta è invariabilmente no».

 
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