Chiesa e Università, cantieri di speranza

Aperte le iscrizioni al convegno nazionale di pastorale universitaria. Appuntamento a Roma l’8 e 9 marzo 2018

Fin dall’annuncio della XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sul tema: “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”, la pastorale universitaria si è lasciata interpellare e coinvolgere nelle diverse Diocesi e sedi universitarie. Un momento importante di riflessione e di confronto è stato offerto dal convegno nazionale di pastorale universitaria dello scorso anno, dedicato in modo specifico all’accompagnamento pastorale.

In tale direzione si muove anche il prossimo Convegno nazionale di pastorale universitaria, il cui titolo prende spunto da alcune parole di papa Francesco rivolte al mondo accademico (a Bologna, il 1 ottobre 2017), in cui l’Università è definita un “cantiere di speranza”. Lo stesso vale per le comunità cristiane che operano in essa e che fanno opera di discernimento e stringono collaborazioni con tutti.

L’appuntamento è per i giorni 8-9 marzo 2018 a Roma, presso l’Hotel Midas, e vede la collaborazione del Servizio nazionale per la pastorale giovanile della CEI.

L’invito è rivolto a tutti coloro che operano nella pastorale universitaria: direttori e collaboratori diocesani, cappellani universitari, collegi e residenze universitarie, associazioni, studenti e docenti.

In allegato il programma dei lavori e le note logistiche per l’iscrizione, che vanno effettuate entro il 31 gennaio 2018.

 

Religione a scuola: un’ora di libertà

Con piacevole sorpresa accogliamo la notizia della pubblicazione di una lettera da parte dei vescovi italiani a tutti gli insegnanti di religione cattolica. La lettera si riallaccia a una precedente, pubblicata a quasi 25 anni di distanza, che i vescovi esortano a riprendere in mano perché essa continua a conservare e custodire le caratteristiche di fondo dell’insegnamento nato con l’Accordo di revisione del Concordato del 1984.

I nodi essenziali dell’insegnamento della religione cattolica

Di quelle caratteristiche i vescovi italiani in questa nuova lettera riprendono alcuni aspetti che ritengono debbano meritare uno sguardo aggiornato visto il mutato contesto sociale e culturale. Primo nodo cruciale: l’Insegnamento di religione cattolica (IRC) rimane prezioso per tre soggetti: scuola stessa, società, comunità ecclesiale. Secondo nodo: il valore dell’IRC oggi vanta un profilo altamente scolastico pur avendo mantenuto la nota di confessionalità. Terzo nodo cruciale: se l’IRC è disciplina scolastica e confessionale al contempo e sa parlare ad intra e ad extra, sembra perfettamente attagliarsi in un’Italia ormai multi-religiosa e pluri-culturale.

Il patrimonio culturale del cattolicesimo è immenso e spesso mi fa tenerezza sentire a volte da parte di qualche alunno: «Prof, perché la religione ha un programma?». In una fase estremamente fluida della vita sociale – cito un passo della lettera – dal punto di vista etico e valoriale, l’IRC potrebbe offrire lo spessore adulto ed educativo adeguato di cui i ragazzi hanno bisogno. Ma è la dimensione storica, secondo me, la chiave sottolineata dai vescovi per illuminare le generazioni future. Essi insistono sull’importanza del fattore religioso nel dibattito pubblico per una società democratica matura.

Democrazia e complessità del fenomeno religioso

Credo che i nostri vescovi siano convinti che la vera democrazia è quella che garantisce tutte le libertà di scelta, in primis il principe delle libertà di scelta: la libertà religiosa. Lo studio delle religioni e/o delle componenti della dimensione religiosa dell’umano, che i vescovi sottolineano essere uno dei tratti caratteristici delle indicazioni scolastiche, non possono che favorire processi di incontro, di dialogo, di integrazione, quindi di democrazia.

Io in classe spesso uso la parola democrazia, ribadendo che l’ora di religione è l’ora della libertànon quella naturalmente di non far nulla, ma quella nella quale liberamente si è deciso di far qualcosa per sè stessi. E i ragazzi comprendono quello che voglio dire perché in essi è viva questa sensibilità per la libertà. Gli alunni, già dallo stesso inquadramento di non-obbligatorietà disciplinare della religione cattolica nell’ordinamento giuridico scolastico, se ben indirizzati dal docente a rifletterci su, possono apprendere la bellezza del fenomeno religioso, le sue aperture, le sue potenzialità ad una convivenza pacifica.

L’insegnante di religione e le comunità ecclesiali

Questo è il punto più utopico, e lo dico in senso alto e nobile e non in senso deleterio e rassegnato. I vescovi, in coerenza con la nota distintiva della confessionalità, con la peculiarità della figura di educatore credente che ne discende e che si pretende, con l’istituto dell’idoneità quale segno di riconoscimento di certe qualità in nome della comunità ecclesiale tutta, dedicano la terza ed ultima parte della lettera al rapporto tra IRC e comunità ecclesiale. Sono sincero: onore ed onere in quello che i vescovi asseriscono! L’IRC va ricollocato nel quadro dell’azione pastorale complessiva.

Ripeto perché non è cosa da poco: il mondo della scuola è un pezzo di mondo a cui la Chiesa non può più fare a meno di guardare se è vero, come è vero, che la realtà dove il parroco era pure l’insegnante è tramontata ormai da un pezzo. I vescovi ci chiamano ad un compito arduo: testimoniare e animare senza mai confondere missione evangelizzatrice e insegnamento scolastico, praticando il dialogo culturale nei confronti delle altre discipline e delle altre religioni. Ma ancor più interessante: tutto questo non rimane fuori dalla porta della parrocchia o del luogo dove un gruppo ecclesiale si riunisce. La competenza e l’esperienza vanno valorizzate dentro la comunità ecclesiale, in ogni settore di essa.

La famiglia, tra educazione cristiana e proposta di fede

Dal 31 maggio al 5 giugno 2017 si è svolto a Madrid il Congresso della Equipe Europea di Catechesi (EEC) sul tema La famiglia, tra educazione cristiana e proposta di fede. La sede dell’evento è stata il campus universitario La Salle (Calle de La Salle 10, 28013 Madrid), che ha ospitato 65 convegnisti, provenienti da 18 nazioni europee. Tradizionalmente, gli obiettivi del Congresso sono sostanzialmente tre: a) la riflessione su un tema rilevante e di attualità catechetica; b) il racconto di esperienze catechistiche qualificate; c) la scoperta della realtà sociale ed ecclesiale della nazione ospitante.

Offriamo ai nostri lettori le relazioni in lingua originale tenute al Congresso, nell’ordine in cui sono state presentate. Esse possono essere distinte in due grandi nuclei: una serie di relazioni sul tema della famiglia dal punto di vista filosofico, biblico e teologico pastorale; la descrizione di modelli di catechesi familiare realizzati in varie nazioni europee.

Il Congresso si è aperto nella serata del 31 maggio con i saluti del Provinciale dei Fratelli delle Scuole Cristiane, del Rettore dell’Università La Salle, del Responsabile per la catechesi della Conferenza Episcopale Spagnola.

La prima intensa giornata ha visto al mattino tre relazioni (S. Van den Bossche, J. Molinario, S. Currò) che hanno evidenziato alcune delle principali problematiche inerenti la famiglia, cui è seguito un intervento che ha affrontato il tema dal punto di vista socio-culturale-filosofico-antropologico (D. Foyer), con una breve relazione di risposta (C. Sa Carvalho). Nel pomeriggio sono state presentate due riflessioni su alcuni modelli di catechesi familiare applicati in Germania (A. Kaupp) e Polonia (A. Kicinski). In serata c’è stato un incontro con il card. di Madrid Carlos Osoro, che ha poi celebrato l’eucaristia.

La seconda mattinata si è aperta con una relazione che ha offerto una riflessione sui riferimenti alla famiglia nei recenti documenti del magistero papale (A. Avila), cui è seguita la presentazione dei modelli di catechesi familiare presenti nel giudaismo (V. Nehama) e nella realtà svizzera (F.-X. Amherdt). Il pomeriggio è stato allietato da una visita alla splendida città di Toledo.

Nella terza mattinata il tema è stato affrontato dal punto di vista biblico (Ch. Raimbault). In seguito sono stati presentati i modelli di catechesi familiare del Regno Unito (C. Dollard) e quello spagnolo dell’ADSIS (A. Delgado). Nel pomeriggio i convegnisti hanno potuto conoscere una realtà parrocchiale significativa e hanno partecipato alla Veglia di Pentecoste animata dai giovani di un’altra realtà parrocchiale. Una visita culturale alla capitale spagnola ha chiuso la giornata.

L’ultimo giorno, oltre alla presentazione delle esperienze di catechesi familiare italiana (L. Meddi) e francese (P. Biaggi), ha visto i congressisti impegnati prevalentemente nell’individuazione dei temi per l’incontro successivo dell’EEC e nella valutazione dell’esperienza. La relazione di sintesi di E. Biemmi ha concluso le attività.

Momenti intensi di preghiera, di dialogo, di convivialità, di viaggi con intenti culturali hanno integrato la riflessione, offrendo opportunità di approfondimento della tematica e di migliore conoscenza tra i partecipanti e della realtà locale.

Il prossimo incontro si svolgerà dal 29 maggio al 3 giugno 2019. Il comitato centrale potrà scegliere tra Praga e Lviv come sede indicata dai congressisti.

 

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La famiglia, tra educazione cristiana e proposta di fede

Dio in programma. Scuola e religioni nell’Europa unita (1957-2017)

Dio in programma. Scuola e religioni nell’Europa unita (1957-2017)

Copertina flessibile – 23 mar 2017

di Flavio Pajer (Autore)

EUR 15,73

Copertina flessibile, 23 mar 2017

 

 

 

Così come gli Stati nazionali dell’Europa moderna si sono costruiti mediante laboriosi rapporti con i poteri religiosi delle Chiese, anche il processo di unificazione europea (giunto faticosamente al suo sessantennio) non ha potuto – e non può  – fare a meno dell’apporto delle religioni. Che oggi non è più; diplomatico o politico, ma educativo – a valenza culturale, civica, etica – offerto mediante una complessa tipologia di modelli di istruzione religiosa che da un paese all’altro, da una Chiesa all’altra, da un decennio all’altro, si rivelano come la cartina di tornasole di una società; europea prima maggioritariamente “cristiana”, poi via via secolarizzata e, infine, post-secolare. Il volume presenta una ricognizione sui sistemi educativi del continente, utile per rintracciare le fasi dell’evoluzione subita dagli insegnamenti in materia di religione, ma anche per individuare, oltre il mosaico dei modelli didattici, le ragioni delle politiche educative adottate da governi, Chiese, associazioni religiose e filosofiche e organismi dell’Europa unita, per negoziare, promuovere, gestire una “cultura religiosa” a misura della scuola pubblica, che deve educare alla nuova cittadinanza in contesti di multireligiosità.

 

Un’ora di religione per tutti

di Giovanni Santambrogio

 

Che ne è degli anni, più o meno concitati, di dibattito sulla laicità della scuola e la necessità di rivedere l’obbligatorietà dell’insegnamento della religione? In Italia significava marginalizzare l’”occupazione cattolica”. Sono bastati pochi decenni per ridimensionare la problematica e fare apparire quelle discussioni come archeologia. Da una preoccupazione ideologica – contenere l’influenza della Chiesa – si è passati al polo opposto: garantire l’identità religiosa della nuova popolazione scolastica. In mezzo a questi due estremi c’è un cambio d’epoca in cui le migrazioni hanno globalizzato le culture influendo sulla stessa secolarizzazione. L’Italia e, più in generale, l’Europa hanno compiuto un mutamento in tre tappe: dall’insegnamento concordatario (Stato- Chiesa) si è passati al pluralismo intra-cristiano (l’attenzione all’equilibrio tra cattolici, protestanti e ortodossi) per approdare al pluralismo interreligioso.

L’insegnamento della religione finisce d’essere una questione confessionale e di battaglia ideologica per diventare un punto imprescindibile nella formazione dello studente e di accesso alle culture: un rispetto delle identità, un ascolto delle diversità. Questioni che investono l’attenzione alla persona e, allo stesso tempo, costituiscono un fondamento della nuova convivenza, dove il riconoscimento dell’altro si fonda non solo sui diritti ma sul suo essere portatore di valori, di tradizioni, di riti, di una fede. Ciò che prima doveva stare fuori dalle aule, espressione di un privato e di una scelta individuale, ora trova cittadinanza all’interno dei sistemi educativi.

Flavio Pajer – autore di Dio in programma. Scuola e religioni nell’Europa unita (1957-2017), con prefazione di Luciano Pazzaglia – è riconosciuto come un autorevole esperto in materia di insegnamento della religione a scuola e di sistemi scolastici. Storico direttore della rivista «Religione e scuola», promossa dall’editrice Queriniana, ha rivestito cariche istituzionali in Italia e in Europa, dove è tuttora membro dell’Intereuropean Commission on Church and School. Alla luce di questa lunga esperienza ha scandagliato i mutamenti della ricezione religiosa e i cambiamenti nell’insegnamento della religione nelle diverse realtà della Ue. Dal suo saggio escono, oltre a un interessante confronto tra soluzioni didattiche, una storia della laicità e un racconto della scuola dove alla domanda religiosa è corrisposta, man mano, una differente risposta politica. Il libro molto documentato (con una ricca appendice di apparati) si presenta come un utile strumento per insegnanti, educatori e per chi si occupa di gestione di politiche scolastiche. La religione oggi torna a rivestire un ruolo centrale. Come affrontarla? Il rischio di manipolarla facendola diventare una “religione civile”, cioè un succedaneo della vecchia educazione civica, è forte.

Flavio Pajer, Dio in programma.
Scuola e religioni nell’Europa unita (1957-2017) , ELS La Scuola, Brescia, pagg. 240,€ 18,50

in “Il sole 24 Ore” del 2 aprile 2017

 

Europa: “Dio in programma”, insegnamento della religione a scuola nei diversi Stati Ue. Dialogo tra fede e cultura

14 aprile 2017 @ 17:09

“Dio in programma. Scuola e religioni nell’Europa unita (1957-2017)”: è uno dei contributi forniti da Els La Scuola (marchio dell’editrice Morcelliana) per una riflessione sull’integrazione europea in occasione del 60° dei Trattati di Roma. Il volume, curato da Flavio Pajer, intende interpretare “il ruolo importante, che hanno già avuto e avranno sempre più, scuola e religioni in una unione votata alla cooperazione pacifica, al rispetto della dignità umana, alla libertà, alla democrazia, alla solidarietà tra e i popoli europei”. “Così come gli Stati nazionali dell’Europa moderna – spiega l’editrice – si sono costruiti mediante laboriosi rapporti con i poteri religiosi delle Chiese, anche il processo di unificazione europea (giunto faticosamente al suo sessantennio) non ha potuto, e non può, fare a meno, in particolare, dell’apporto delle religioni”. Apporto che oggi “non è più diplomatico o politico, ma educativo – a valenza culturale, civica, etica – offerto mediante una complessa tipologia di modelli di istruzione religiosa che da un Paese all’altro, da una Chiesa all’altra, da un decennio all’altro, si rivelano come la cartina di tornasole di una società europea prima maggioritariamente cristiana, poi via via secolarizzata e, infine, post-secolare”.

Il volume illustra i rapporti tra l’insegnamento religioso, i diversi sistemi scolastici e il più generale contesto storico europeo “non in termini astratti, ma attraverso la ricostruzione storica di come tali rapporti si sono realizzati negli ultimi decenni, cogliendo le ragioni delle scelte di politica culturale e scolastica con cui Chiese, governi, organizzazioni religiose e filosofiche, orientamenti pedagogici, istituzioni accademiche, organismi europei hanno via via contribuito a regolare la presenza della religione a scuola”. Come scrive nella presentazione lo storico dell’educazione e delle istituzioni scolastiche Luciano Pazzaglia, “l’insegnamento religioso, se è raccomandabile che abbia anche una funzione sociale, deve, prima di tutto aiutare gli studenti a rendersi conto che la religione ha dimensioni e identità sue proprie e che le norme religiose non possono essere scambiate con quelle civili né, tanto meno, con quelle giuridiche”. Flavio Pajer è professore di Pedagogia e didattica delle religioni.

Preso da: http://agensir.it/quotidiano/2017/4/14/europa-dio-in-programma-insegnamento-della-religione-a-scuola-nei-diversi-stati-ue-dialogo-tra-fede-e-cultura/

 


Dettagli prodotto

  • Copertina flessibile: 235 pagine
  • Editore: Morcelliana (23 marzo 2017)
  • Collana: Saggi
  • Lingua: Italiano
  • ISBN-10: 8837230729
  • ISBN-13: 978-8837230722
  • Peso di spedizione: 277 g

SEMINARIO DI STUDIO

Educazione Religiosa nell’Istituto di Catechetica: un percorso storico.

riflessioni

Obiettivo del Seminario: raccogliere l’eredità del lavoro sviluppato dall’Istituto di Catechetica (ICa) nel campo della Pedagogia religiosa e collocarlo in un nuovo orizzonte, che serva da cornice per la progettazione futura.

Il Seminario volle anche fare memoria di don Zelindo Trenti, professore all’ICa, ad un anno dalla sua morte.

Il Seminario si  è svolto il pomeriggio del 17 marzo 2017 dalle ore 15.00 alle ore 19.00 nella sala Artemide Zatti.

Parteciparono una sessantina di persone, professori e studenti.

Dopo il saluto del Rettore, don Mauro Mantovani, e la presentazione dei lavori da parte del prof. Miroslaw Wierzbicki, fu dato spazio a tre contributi.

–  Sergio CIcatelli  tratteggiò: “L’evoluzione dell’insegnamento della Religione in Italia dal Concordato del 1984”. Servi a delineare il contesto in cui ebbe da lavorare l’ICa: contesto complesso, evolutivo, segnato dalla chiara distinzione dell‘insegnamento di religione cattolica (IRC) dalla catechesi ed insieme dalla riforma scolastica con nuovi programmi delle discipline (Indicazioni), il che ha portato ad un profondo rinnovamento epistemologico, didattico e metodologico della  stessa scuola di religione.

– Cesare Bissoli, professore emerito dell’ICa, ebbe a svolgere: “L’attività dell’ICa nel campo della pedagogia religiosa”. Evidenziò i tratti salienti dell’IRC proposto dall’Istituto, rievocando il contributo specifico di Roberto Giannatelli per la scuola elementare e media e di Zelindo Trenti per la scuola ora denominata secondaria superiore. Per il lavoro svolto nel campo dell’IRC, l’ICa si è guadagnata la stima sia ella Chiesa (CEI) che dallo stato (MIUR) promuovendo una serie di iniziative di avanguardia in tale campo.

– Salvatore Currò, parlando delle “Coordinate del pensiero sulla  religione nell’ICa” mise in luce l’eredità specificamente di Zelindo Trenti con la sua pedagogia ermeneutica, grazie a cui la questione del senso si pone al centro del discorso religioso, dove per senso si intendono le domande di umanità che si elevano dall’esperienza. Debitamente educate alla luce di quell’umanesimo che è la visione cristiana della vita, permettono di realizzare una religione per l’uomo.

– Una quarta relazione, dopo un debito intervallo, è spettata al prof. José Luis Moral che ha parlato del “Presente e futuro del  rapporto  educazione e religione nell’ICa”. La sua fu una sintesi del lavoro portato avanti nel triennio, che ora viene a terminare, incentrato sul binomio “Religione e cittadinanza”.

Seguì un dialogo con i relatori in cui diventò perno di discussione la ’pedagogia ermeneutica’, ossia come la questione centrale debba essere una rinnovata attenzione alla dimensione umana del giovane (studente) per aiutarlo a capire quanto sia umana la dimensione religiosa.

Il Seminario si concluse con  la celebrazione dell’Eucaristia in suffragio del nostro collega Don Trenti. Presiedette la celebrazione il direttore della comunità San Tommaso, Don F. Krason, attorniato da diversi concelebranti. 

In una valutazione di insieme si possono segnare queste indicazioni. 

– L’attenzione al passato storico permette di sentirsi dotati di una eredità preziosa, tanto più in un ambito come quello dell’IR complesso e controverso ed insieme così vivace e vitale. L’ICa non chiede nessuna medaglia, ma sente in coscienza di aver lavorato molto per un divenire corretto della disciplina religione nella scuola di tutti. Tale impegno continua, vuole continuare in misura aggiornata. 

– La collocazione dell’insegnamento della religione in ambito italiano richiede che il profilo dell’IR  si configuri secondo la visione globale di scuola di questo paese, conoscendo a fondo l’identità e le metodologie adeguate, tanto più che nelle iniziative formative la maggioranza, se non la totalità dei partecipanti, sono docenti di religione italiani.

– La dimensione religiosa è dimensione di umanità: ecco il nodo centrale del valido IRC. Non va dimenticato il contributo originale apportato a tale scopo dalla comprensione cristiana di religione.

– L’IRC non può essere scuola di formule dottrinali, sia teologiche che filosofiche, ma del ‘fenomeno-fatto’ umano aperto all’oltre, al trascendente, attraverso un processo culturale che coinvolge tutta la persona: ragione, cuore, azione, accettando per questo di confrontarsi con un mondo pluralista, sia culturale che religioso.

Un uomo (un giovane) può seguire e interessarsi di una proposta religiosa, se la proposta religiosa si interessa in maniera comprensibile dell’uomo (del giovane)

Cesare Bissoli

 

LE ATTIVITA’ DELL’ICA NEL CAMPO DELLA PEDADOGIA RELIGIOSA 

Cesare Bissoli

La mia esposizione fa sintesi di un’ampia esperienza da corredare con fonti specifiche.

A. Versante epistemologico- strutturale

 

1. Si può dire che l’IR è nato con l’ICA nel curriculo di catechetica, non come ramo distinto, ma come modulo di questa, una catechesi nella scuola, tale essendo la legislazione concordataria del 1929 fino al rinnovamento degli accordi concordatari del 1984. In verità in tale sessantennio   maturò una lenta evoluzione verso l’autonomia delle due parti, distinzione che oggi -inizio del II Millennio- tende, almeno in fase teorica, ad una separazione, superando il Concordato, avendo come soggetto responsabile non più la Chiesa, ma la Scuola in quanto tale, per cui non si parlerebbe più di IRC, ma di IR con svariati profili. Ma è chiaro che questo processo è ancora in divenire non senza resistenze e inadempienze dove vige la norma concordataria. Data dunque la simbiosi tra catechesi e IRC (voluta anzitutto dai Dicasteri vaticani), l’IR esistette fin dall’inizio nell’ICA come disciplina confessionale, come IRC.

Ma qui va notata una peculiarità. Siccome l’ICA è stato inserito -il che è originale e in sé fecondo- non nella Facoltà di Teologia, ma nella Facoltà di Scienze dell’Educazione, anche l’IRC, se non per un intrinseco motivo proprio, fece subito parte della FSE. Ma purtroppo, in questa collocazione, per sé adeguata, non godette di un approfondimento interdisciplinare continuo salvo in qualche momento specifico come dirò qui sotto. Però resta  vero che la riflessione sull’IRC nell’ICA non fu bloccata al “si è sempre fatto così”[1]. L’IRC sotto la guida di Roberto Giannatelli formato nell’ACR, specializzato in didattica alla scuola di Don Calonghi, poté valorizzare per l’IRC delle risorse della didattica. È merito suo l’introduzione del metodo del curricolo nell’IRC (scuola media). Dopo di lui, si spense progressivamente ogni interesse per la scuola primaria e media. La dimensione didattica non fu valorizzata nell’IRC nella secondaria superiore che iniziava il suo percorso di pedagogia ermeneutica sotto la guida di Zelindo Trenti (didattica diventata oggi scopo primario a cura di R. Romio).

L’IRC non fu dunque mai col-laborato tanto meno co-gestito da nessun altro curricolo della FSE e visto piuttosto con disinteresse perché già tanto -si diceva- funzionava bene.

Ma come sopra accennavo, non mancarono opportune scosse a livello epistemologico che poi purtroppo si spensero. La prima scossa avvenne in relazione ai nuovi accordi concordatari che si stavano preparando (assieme alla riforma globale della scuola e dunque anche dei nuovi programmi di religione). Sull’onda dei dialoghi inter-ideologici tra gli anni ‘70 e ‘80, organizzati dalla FSE, la FSE fece un Seminario di studio all’Hotel Ritz proponendo il superamento della confessionalità  con una disciplina Religione a base culturale.[2] Più avanti a proposito della Riforma della scuola primaria la FSE aderì alla proposta AIMC di dare per titolo “Fatti e fenomeni religiosi”. Ma l’interesse della FSE si fermò lì. L’IRC è in ICA, è in sua totale gestione (al tempo del Dipartimento l’IRC fu sempre considerato affare della FSE-ICA), senza negare, ma anzi riaffermandoli, utili incontri in vista di qualche Convegno o pubblicazioni, specie di ricerche sul campo (v. sotto). Come del resto ancora oggi sta facendo. Di qui un campo epistemologico scoperto. Nell’ultimo triennio l’ICA ha assunto la prospettiva nuova nel binomio di “educazione e cittadinanza”. Ad onore del vero, come già ebbi a dire, una riflessione teorica dal titolo di “ermeneutica esistenziale” fu elaborata da Trenti per la secondaria superiore.

 

2. Qualche altro dato seguendo il corso storico. La partecipazione dell’ICA all’IR inteso sempre come IRC, è stata portata avanti nel curricolo di catechetica ma in misura sempre più distinta, con la scelta di un approccio culturale all’IRC e alla non identificazione con la catechesi perfezionando e divulgando tale scelta in tutta Italia. Notevole fu la collaborazione con la CEI (fino agli anni ‘90 vigeva in essa un Ufficio unico per la catechesi e IRC) che ebbe in ICA sia per la catechesi sia per l’IRC il proprio referente di livello universitario, godendo così il nostro Istituto di alta stima e senza condizionamenti, invitati a tenere Corsi di aggiornamento sulla natura di IRC e per i docenti di religione, a livello nazionale.

 

3. L’ICA partecipò all’interpretazione ed attuazione degli accordi concordatari, collaborò pure alla riforma della scuola da Luigi Berlinguer a Stefania Giannini, partecipò pure in misura diretta alla stesura dei vari programmi di religione (oggi Indicatori nazionali) e al loro commento. Alcuni dell’ICA furono e sono membri della Consulta CEI per l’IRC. L’ICA fu pure partecipe della Consulta nazionale per la scuola cattolica.

 

B. Versante operativo-organizzativo

 

4. Le persone professionali furono R. Giannatelli, dedito -assieme a Don Gianetto- alla componente didattica, J. Gevaert a quella antropologica, U. Gianetto alla dimensione storica, Bissoli a quella biblica con l’istituzione di una cattedra apposita. Con altri docenti italiani ed esteri chiamati di volta in volta. Fu scelta assai positiva la formazione e collaborazione di un team di esperti tra cui nominiamo Marcella Pomponi come leader per le medie, e Margherita Dragoni ed équipe W la vita per le elementari. Così come Trenti con la sua équipe per la secondaria superiore.

 

6. Costante fu la cura di un’ampia base sperimentale a Roma e in Italia. Ossia un certo numero di insegnanti applicava in classe i criteri di docenza proposti dall’ICA, criteri elaborati nelle medie in un progetto dal titolo di Progetto uomo (Giannatelli e Marcella), idem per la scuola elementare, radunati anche qui in un progetto dal titolo W la Vita (Bissoli, Margherita).

 

7. Da qui l’origine di volumi per l’IRC con il titolo del progetto. Essi ebbero la diffusione italiana più grande fino a quando si pervenne alla libera composizione di libri di testo: Progetto uomo per le medie G-M); Religione e vangelo oggi in Italia ancora per le medie (Gianetto): è il testo migliore tra quanti fin qui stampati per questo tipo di scuola. Per la secondaria superiore, vanno nominati la serie di volumi a cura di Trenti-Lever-Maurizo che mirano ad un’accurata base culturale dei contenuti religiosi. Religione e cultura è il titolo del volume.

 

8. Altra caratteristica, che continua anche oggi, è l’offerta di Convegni di studio periodici lungo l’anno ed estivi per insegnanti italiani, sia qui all’UPS (Seminario di studio di autunno, Corso per docenti in primavera) sia come Corso estivo, a Colfosco, Corvara, Val di Fassa (Trenti) dagli anni ‘80 fino ad oggi. Abbondante era allora il finanziamento da parte della CEI-Miur.

 

9. La condizione universitaria dell’ICA in particolare con l’Istituto di sociologia favorì ben quattro

ricerche sociologiche nazionali sulla religione nella scuola, diversificate negli obiettivi, godendo di alta stima.

 

C. Linee di tendenza

 

10. Ricerca di dialogo a livello internazionale sulla pedagogia religiosa, in particolare con docenti universitari di Religionspädagogik (tra loro G. Stachel) e incontro biennale (in Germania e in Italia fin dagli anni ‘70 al 2011). Viaggi annuali europei di studio (Germania, Francia, Spagna, Paesi Bassi, Malta…) e nazionali (Milano, Torino, Verona…) anche sul versante IRC. Iscrizione e partecipazione al Forum europeo di insegnamento religioso.

 

11. Attenzione specifica fu sempre data alla conoscenza dettagliata dei nuovi programmi (oggi ‘Indicazioni nazionali’) di religione cattolica sul molteplice versante teologico, antropologico, biblico, storico e storico degli effetti, filosofico, pedagogico-didattico; si è curata la comprensione e possibile attuazione nel contesto scolastico italiano. Chiaramente questa impostazione non era e non è trasportabile tal quale ma semmai come modello nell’IR del curriculo accademico.

 

12. Linea di tensione fu sempre di adempire ad un compito di fedeltà spiegando l’IRC come è proposto alla Chiesa italiana a docenti italiani andando oltre a una comprensione dottrinalista (dogmatica), curando un’attenzione antropologica di un Dio per l’uomo, badando alle fonti  anzitutto biblica, elaborando una didattica più creativa, favorendo un dialogo sulle domande di senso e l’apertura ad una domanda di fede, avvertendo, ma non ancora iniziando un IR nel pluralismo religioso e interculturale.

 

D. Elementi da considerare  

           

13. Diretta attenzione anche all’insegnamento di religione come religione cattolica, almeno là dove accade (Italia, Germania, Spagna, Paesi dell’Est…) soprattutto laddove l’insegnamento è rivolto a docenti di religione italiani (Convegni per altro finanziati dal MIUR). Motivi: per un obbligato rispetto del dispositivo; perché molti docenti ne sanno ben poco materialmente e ancora meno quanto alla dinamica interna; perché gli attuali programmi (indicazioni nazionali) determinano intrinsecamente un dialogo aperto al pluralismo disciplinare, culturale (filosofico). Arricchendo così in concretezza il quadro più ampio di religione-educazione fin qui condotto. Chiaramente i programmi di religione (italiani) vanno letti e capiti nell’ambito della complessa Riforma in atto della scuola (v. Cicatelli).

 

14. Attenzione alla elaborazione di modelli didattici, da validare con forme di sperimentazione sul campo (seminari, tirocini), giungendo a produzione di pubblicazioni (articoli, libri, libri di testo).

 

15. I docenti di religione (italiani) necessitano ancora di forte approfondimento non solo pedagogico, ma anche teologico, biblico, storico, didattico, metodologico…

 

16.Riprendere attenzione alla scuola primaria e secondaria di primo grado.

 

17. Disporre all’interno dell’ICA di una équipe di professori e team di collaboratori (esperti di altre discipline, docenti di religione), sempre meglio aggiornati e preparati.

 



[1] L’Azione Cattolica e diversi Centri (salesiano, paolino, scuole cristiane…) prima e al seguito del Vaticano smossero le acque per un IRC distino da catechesi (c. di San Pio X). In ciò coinvolsero l’ICA e di fatto lo riconobbero Ventro-guida fino al 1984 (e dopo), in forza di pubblicazioni (articoli e testi scolastici).   

[2] Facoltà Scienze dell’Educazione, Dibattito sull’insegnamento della religione, PAS-Verlag, Zürich 1972. V. anche L’educazione religiosa in tempo di transizione culturale-pedagogica, in “Orientamenti Pedagogici” 47 (2000), n.3. 

 

Coordinate del pensiero sulla religione nell’ICa

Alcune nozioni-chiave: esperienza – ermeneutica – trascendenza

Salvatore Currò

 

Premessa

Mi concentro sul pensiero di Zelindo Trenti, giacché stiamo facendo memoria del primo anniversario della sua morte e giacché l’apporto da lui dato all’ICa è stato fondamentale. Cercherò di richiamare i nuclei portanti del suo pensiero. Lo faccio senza preoccupazioni di completezza ma basandomi soprattutto sulla mia amicizia personale con Zelindo e sui tanti confronti di cui ho beneficiato.

Propongo un breve percorso che ruota attorno a tre nozioni-chiave del suo pensiero: esperienza, ermeneutica e trascendenza. Lo faccio in modo schematico e riportando alcuni passaggi dei suoi testi. Concluderò evidenziando qualche criticità, alludendo a possibili ulteriori sviluppi, ma, in fondo, sulla stessa traiettoria da lui aperta.

 

  1. La prospettiva educativa dell’esperienza.

    Un elemento portante del pensiero di Trenti è l’indicazione forte che l’educazione religiosa e la catechesi, soprattutto quando si rivolgono agli adolescenti e ai giovani, sono chiamate a un cambio di prospettiva: dalla centralità della proposta alla centralità della persona, della sua esperienza e del suo progetto di vita. Non si tratta del semplice passaggio da una proposta dottrinale a una proposta esistenziale. Non si tratta nemmeno di tener viva la dimensione esperienziale della proposta cristiana. C’è di più. Si tratta di un rovesciamento di prospettiva. 

  2. Ciò implica un ripensamento dell’obiettivo stesso che non può essere pensato in termini di integrazione fede-vita. Il contesto culturale attuale richiede di pensare l’obiettivo in termini di dare pienezza all’esperienza. 

    Scrive Trenti:

    «La prima verifica da fare riguarda l’obiettivo stesso della pastorale e della catechesi: l’integrazione fede-vita.

    Dove la catechesi tende a tale integrazione, parte da un presupposto sempre meno evidente nell’adolescente di oggi. La fede potrebbe essere assente dalla sua vita. Perciò l’integrazione può forse interpretare il momento iniziale di un processo di secolarizzazione, quando si delineano le prime incrinature che compromettono una solidarietà della fede con la vita tacitamente e ovviamente presagita.

    Ma ormai la nostra situazione è diversa: per molti giovani non si tratta più di scoprire un rapporto e una solidarietà minacciata, ma di recuperare e rifondare la propria fede.

    Il recupero, se avviene, passa attraverso una considerazione prioritaria dell’esperienza che possiamo definire laica, almeno nel senso che significato e valore si sono cercati e riconosciuti a prescindere dal dato religioso. La religione può essere accettata solo se rispettosa di tale autonomia: la promuove e la garantisce.

    Per cui, più che l’integrazione fra due momenti complementari dell’esperienza, è in gioco la verità e la pienezza dell’esperienza, cui la fede deve dimostrarsi parte integrante e insostituibile.

    In altre parole, bisogna mostrare – e forse dimostrare – che una fede è irrinunciabile per un’esperienza umana pienamente realizzata e che la scelta cristiana propone una fede singolarmente sollecitante e proporzionata alla maturazione della persona» (Giovani e proposta cristiana. Saggio di metodologia catechetica per l’adolescenza e la giovinezza, Elle Di Ci, Leumann, 1985, pp. 65-66) .

    E ancora:

«Nella proporzione in cui l’educazione religiosa sposa la logica ermeneutica bisogna prendere atto che cambia l’obiettivo dell’educazione alla fede: non l’assimilazione integrale della dottrina, ma la ragione – la passione – che orienta il progetto di vita del giovane diventa l’asse portante dell’intero processo educativo» (La fede dei giovani. Linee di un progetto di maturazione alla fede dei giovani, Elledici, Leumann, 2003, p. 148).

D’altra parte, la persona (la soggettività) è a perno della riflessione pedagogica attuale. La religione stessa quindi è provocata sul versante del senso. Si tratta di verificare se essa può essere riferimento importante o addirittura  irrinunciabile per il progetto di vita.

«La persona nella sua singolarità e progettualità è decisamente a perno della riflessione pedagogica attuale. Il richiamo alla religione si giustifica in questa prospettiva, per l’apporto che vi offre, per l’orizzonte che vi apre.

Di sua natura nell’esperienza religiosa lo stesso concentrarsi sulla soggettività proprio della sensibilità contemporanea non costringe entro l’armatura angusta dell’individualità, ma presagisce ed esplora l’orma e il richiamo d’una presenza trascendente, fonte ultima di pienezza umana, che all’origine è vocazione e chiamata e solo successivamente risulta compito e impegno.

La religione sembra così provocata dal silenzio proprio dove la persona cerca “l’orientamento e il senso sia della quotidianità come della globalità della propria esperienza”.

Precisamente dove il significato situato e il senso totale si frammentano o addirittura si dissolvono la religione è chiamata in causa, non tanto per se stessa, quando per una sottesa ricerca di identità che urge soprattutto nell’età giovanile.

È proprio in quanto la religione fa riferimento ad un orizzonte trascendente e definitivo si accredita quale il riferimento irrinunciabile, forse risolutivo, fra i tanti che il contesto propone, oltre la ridda delle interferenze, delle ambiguità e delle contraddizioni.

[…]. Infatti nel riferimento più o meno esplicito e consapevole alla valenza “secolare” ed “esistenziale”, la religione viene restituita alla sua verità e alla sua funzione prioritaria di fermento orientativo dell’esperienza anche consueta, fino a situarsi nei casi in cui è vissuta con piena disponibilità quale “asse portante dell’intero progetto esistenziale”» (La fede dei giovani, p. 43).

«[In sintesi] La sfida che si delinea sembra portarsi sul rapporto che la religione è in grado di instaurare con il progetto esistenziale. “Al cuore dell’educazione attuale sta la realizzazione del singolo”. La religione quale ruolo vi gioca? In ambito educativo non è l’analisi della religione in sé, ma la verifica del suo apporto umanizzante.

Allora le domande orientative sono due:

– quale parte ha la religione nell’esperienza individuale e collettiva?

– come si innerva nei dinamismi che promuovono il progetto personale e la consapevolezza culturale?» (La fede dei giovani, p. 45).

Se nell’educazione tradizionale l’accento è posto sulla dottrina e su Dio, oggi l’accento va posto sull’esperienza e sull’uomo.

«“Concentrare l’attenzione sull’esistenza piuttosto che sulla dottrina” è una scelta che si è andata imponendo in tutte quelle elaborazioni che hanno privilegiato la consapevolezza e l’adesione interiore piuttosto che la conoscenza oggettiva o la pratica concreta. […].

«“Nell’educazione tradizionale” il presupposto di ogni considerazione educativa era l’affermazione di Dio; dato oggettivo da cui poteva ragionevolmente discendere tutta una gamma di considerazioni consequenziali, anche esigenti e rigorose […].

“In un procedimento esistenziale” il primo interesse non è centrato su Dio, ma sull’uomo. L’affermazione di Dio può risultare ineccepibile, ma non interessa (Sartre). La traccia su cui incamminarsi non è quella di Dio: è quella alternativa, che interpreta l’uomo; non tanto nell’affermazione di esistenza, evidente e scontata, quando nella ricerca di significato, tutto da esplorare.

Optare per un procedimento esistenziale è dunque cambiare radicalmente la rotta; è portarsi su un versante diverso e alternativo rispetto alla tradizione. Immaginare che si tratti di accentazioni e di ritocchi nel solco della tradizione è illusorio» (La fede dei giovani, pp. 110-111).

 

2. Una proposta nel segno dell’ermeneutica.

Lo spostamento di baricentro sull’esperienza non deve portare ad una rinuncia propositiva; al contrario, richiede di essere ancora più propositivi, ma di una propositività  ermeneutica. Si tratta di favorire un graduale ma deciso approfondimento dell’esperienza attraverso una proposta che deve caratterizzarsi ermeneuticamente.

La proposta cristiana deve guadagnarsi credibilità sul terreno dell’esperienza (credibilità esistenziale).

D’altra parte, non si può scavalcare il senso dell’essere soggetti, dell’appropriazione dei valori e delle proposte.

«I contenuti, anche quelli definitivi della tradizione, le verità della fede, non costituiscono l’ultimo obiettivo dell’educazione. Rappresentano la condizione, magari decisiva, perché la persona si confronti con i dati di fede e li faccia propri. Ma è esattamente tale appropriazione che la costituisce “credente”; che cambia il suo orizzonte di vita» (La fede dei giovani, p. 140).

La tradizione ha (solo) forza orientativa. Può offrire indicazioni preziose ma… è come un cantiere a cui attingere per la realizzazione di un progetto.

«La tradizione perde in autorevolezza normativa; acquista in forza orientativa» (La fede dei giovani, p. 141).

«La tradizione non costituisce il senso da trasmettere. Può offrire indicazioni preziose e criteri importanti di ricerca e di elaborazione del senso: si può dire, con un’immagine efficace, che la tradizione non offre un deposito di verità da trasmettere; costituisce un cantiere incomparabilmente ricco, cui attingere per la realizzazione di un progetto, ambizioso o modesto che sia, comunque non delegabile al passato» (La fede dei giovani, p. 143).

Il procedimento ermeneutico parte dalla domanda. È a partire dalla domanda che si giustifica il ricorso alla tradizione.

«Il procedimento ermeneutico parte dal soggetto, dalla domanda che gli si impone, da identificare con chiarezza.

È sulla domanda che si giustifica e si definisce il ricorso alla tradizione, alla ricerca anche attuale: queste non vengono rivisitate per se stesse, ma in vista della risposta; cosicché nel ritorno sulla persona, nella novità che la ricerca le ha consentito, si chiude “il circolo ermeneutico”» (La fede dei giovani, 146).

L’approfondimento dell’esperienza è esigente, implica un coinvolgimento graduale ma radicale. L’incontro con Dio implica apertura radicale.

«Mai come nel rapporto con Dio si rende evidente l’esigenza di totalità. Non è lecito andare all’incontro riservandosi un retroterra, per quanto piccolo, che risulti quasi estrema risorsa e un ultimo approdo: Dio non può non costituire l’ultimo approdo» (La fede dei giovani, p. 113).

In questo cammino diventa essenziale l’attenzione al linguaggio. Trenti, sulla scia di Heidegger e di Gadamer, sa che il linguaggio non è un fatto strumentale. Noi abitiamo il linguaggio. Il linguaggio religioso è contesto e possibilità di accogliere risorse di senso e di apertura a Dio.

Il linguaggio religioso, poi, non è tale quando ha Dio come contenuto. Esso si estende a tutta l’esistenza, evoca il mistero della vita e la presenza di Dio nelle vicende della vita.

«Il linguaggio non è religioso solo perché e in quanto parla di Dio: può esplorare l’intero orizzonte dell’esperienza umana, di suoi interessi, delle sue provocazioni; è per lo più in quest’orizzonte che si muove. La Bibbia offre a proposito un affresco grandioso: vicende epiche ed episodi apparentemente insignificanti ne riempiono le pagine. […] Per sé, quindi, ogni argomento può essere oggetto di discorso religioso» (La religione come disciplina scolastica. La scelta ermeneutica, Elle Di Ci, Leumann, 1990, p. 183).

Il senso del linguaggio religioso è che la proposta di fede trovi una profonda sintonia o connivenza nell’esperienza del giovane. L’educazione, di fatto, lavora su questa sintonia…

«L’attuale ricerca sul linguaggio può offrire indicazioni preziose: consente di riconsiderare la proposta evangelica sulla base di un itinerario interiore, da perseguire per “progressiva approssimazione”; che scava contemporaneamente nella sensibilità del giovane e nella verità della proposta, fino a scoprirvi una certa sintonia.

La resa di un giovane al “consumismo” non è totale: gli rimane un margine di insoddisfazione, di noia, di stanchezza che gli consentono di prendere le distanze e rendersi disponibile a scelte alternative; a sua volta la radicale povertà cui il vangelo richiama trova spunti di connivenza, di nostalgia nell’interiorità stessa del giovane: c’è dunque un margine di compatibilità da cui muovere e su cui fare forza per dilatare progressivamente la “sintonia” fra il giovane e il richiamo delle beatitudini.

Proprio “quel margine di compatibilità” è la base che può fondare un processo educativo sensato, il cui sviluppo non è naturalmente garantito: è almeno preparato e propiziato. […].

L’incontro del giovane con l’ideale evangelico suppone che la parola di Dio vi trovi una segreta connivenza. Scovare tale connivenza e dilatarla è esattamente compito dell’educazione. […].

In altre parole: più un giovane, incontrando la proposta evangelica la sente significativa e la fa sua, tanto più chiara e consapevole gli risulta la propria identità e si profila una singolare dialettica fra giovane e proposta evangelica; questa si rivela man mano in grado di offrire prospettive convincenti allo stesso progetto di vita che il giovane va faticosamente perseguendo» (La fede dei giovani, p. 163. Sul tema de linguaggio si veda anche la seconda parte di Opzione religiosa e dignità umana, Armando, Roma, 2010).

 

3. La trascendenza come struttura ultima dell’esistenza

L’esperienza è strutturalmente aperta alla trascendenza (questo è il motivo di fondo del libro Esperienza e trascendenza, Elle Di Ci, Leumann, 1982).

Le tracce della trascendenza nell’esperienza assumono tanti nomi: ricerca, attesa, presagio, provocazione, inquietudine, invocazione; anche: meraviglia, sorpresa.

Queste espressioni sono come delle piste di esplorazione delle profondità della vita. Sono espressioni molto valorizzate in Opzione religiosa e dignità umana, Armando, Roa, 2010, soprattutto la prima parte).

Nel fondo si dà una possibile alleanza tra l’uomo e Dio, anzi una segreta alleanza c’è già. 

È un’alleanza nel segno dell’incontro tra la ricerca-attesa di compimento e l’offerta della pienezza. È un’alleanza nel segno della comprensione del senso vivere. Si tratta di una comprensione esistenziale, ma si tratta pur sempre di comprensione.

È proprio questa centralità della comprensione e del senso, cioè del soggetto cercatore di senso, che pone dei problemi e che spinge a ulteriori approfondimenti.

 

Conclusione: alcune criticità e alcuni possibili approfondimenti lungo la stessa traiettoria.

Trenti è consapevole di alcune possibili critiche, in particolare due: quella relativa al primato di Dio e quella relativa alla lunghezza del percorso esistenziale da lui proposto.

La resistenza più profonda, riguardo alla formulazione dell’obiettivo centrato sul progetto esistenziale, si riferisce al primato di Dio. Ma, secondo Trenti, si onora davvero il primato di Dio, quando si mette al centro l’uomo e il percorso esistenziale. D’altra parte, la Bibbia stessa attesta il primato di una illuminazione di Dio per l’esistenza. La sproporzione poi tra la parola di Dio e l’esistenza è mantenuta nel circolo ermeneutico.

«La resistenza più profonda muove dal presupposto che Dio è il protagonista, che a lui spetta l’iniziativa: che di conseguenza l’annuncio è iscritto nel suo intervento. E questo primo intervento è individuato nella formula dottrinale o nella parola della scrittura.

È il presupposto da demolire: la stessa scrittura è elaborazione progressiva e finalmente luminosa di esperienze interiori di grande intensità religiosa che hanno fermentato il vissuto dei grandi maestri di spirito, e che la Bibbia ha raccolto.

Dio ha parlato prima che nelle scritture nell’anima di quegli uomini religiosi da cui sono nate le scritture. È quindi attraverso l’illuminazione della loro esistenza concreta che si è espresso. Proprio l’esistenza illuminata dall’azione misteriosa dello spirito è all’origine della rivelazione.

La stessa parola rivelata è precisamente illuminazione dell’esistenza. È nello spessore dell’esistenza personale, nella sua singolarità irrepetibile che Dio parla: le scritture e l’elaborazione razionale che ne hanno dato la riflessione teologica e la formulazione educativa la presuppone. Senza questa premessa che crea per così dire lo spazio di risonanza come direbbe la filosofia del linguaggio, la parola rivelata e la sua elaborazione razionale non avrebbero neppure modo di essere percepite e tanto meno accolte.

Il primato di Dio non viene meno quando lo si presagisce e lo si esplora fino a darvi accenti umani intelligibili. […].

Del resto non è neppure in discussione la sproporzione fra il presagio dell’uomo e la parola di Dio che lo interpreta: anzi, in un corretto procedimento ermeneutico è obbligante la novità della proposta e la sua sproporzione con l’esperienza del soggetto; è appunto tale esperienza che sarà messa a confronto per venir modificata e rinnovata.

Ed è scontato in ambito pedagogico che tanto più risulterà efficace la proposta quanto più saprà essere proporzionata e… “sorprendente”. L’intera pedagogia dell’apprendimento muove da presupposti ermeneutici; e se non bastasse, la riflessione sul linguaggio è lì per dirci che la comprensione e l’accoglienza di ogni nuovo contenuto di pensiero suppone una certa “fusione di orizzonti” per cui il soggetto è o entra in sintonia con quanto gli si propone.

Resta l’impressione che le resistenze si radichino in un fraintendimento del procedimento ermeneutico: quasi che tutto il processo di maturazione avvenga in un percorso chiuso del soggetto su se stesso.

A mio parere il presupposto è un altro e forse più tenace, fondato su consuetudini inveterate di “trasmissione” della fede. Per cui l’obiettivo è mandare a memoria e più recentemente trasmettere le verità della fede – traditio -.

Così si dimentica che la trasmissione delle verità della fede non è fine a se stessa ma è mirata al cambiamento – alla conversione – della persona. (La fede dei giovani, 148-149).

La seconda resistenza, come si diceva, è legata al fatto che si tratta di un cammino educativo «lungo, sinuoso, tutt’altro che garantito» (La fede dei giovani, 149).

Trenti risponde a questa critica mettendo in luce l’illusorietà di proposte troppo affrettate o addirittura fondamentaliste, che, alla lunga distanza, si rivelano poco incisive. La lunghezza del percorso, poi, esige un accompagnamento continuo caratterizzato da una logica educativa, in certo senso, costringente e provocatoria rispetto alla fedeltà alle esigenze dell’esperienza stessa.

Ma la critica più forte, a mio parere, che si può fare a Trenti, è sul concetto di esperienza e sulla centralità della conoscenza e della ricerca di senso nella comprensione del soggetto. (Bisogna tener conto che il retroterra filosofico di Trenti è quello della fenomenologia, di Max Scheler in particolare, della filosofia dell’esistenza, di Marcel in particolare).

Non bisognerebbe risalire (con l’aiuto di altre fenomenologie, ad es. quella di Merleau-Ponty, ma non solo), dall’interno stesso dell’esperienza (del soggetto), al sensibile, all’affettivo, al corporeo? Prima che conoscente e in ricerca di senso, il soggetto non è il legato-agli-altri, l’interpellato, il responsabile, l’estraneo a se stesso?

L’esperienza, poi, non è attraversata da una sorta di contromovimento, da un appello, da una chiamata, da un richiamo di responsabilità per l’altro, da momenti di rottura? Il senso dell’esperienza non è in una sorta di resa, di rottura dell’esperienza stessa? Il senso dell’umano non è nella rottura della progettualità o nel contromovimento che attraversa la progettualità?

Queste domande aprono la strada, forse, ad ulteriori approfondimenti, esigiti dall’attuale contesto culturale ed educativo. Ma si tratta di approfondimenti, pur significativi, che si pongono sulla stessa traiettoria tracciata da Trenti.

Per lavorare su questi approfondimenti, si richiede, come si è accennato, un confronto serio con le attuali fenomenologie della corporeità, del dono, della responsorialità, dell’estraneità dell’identità, ecc. Si richiede, poi, una presa in carico radicale dell’ispirazione della Rivelazione nel percorso esistenziale: non si tratta tanto di andare incontro alla Rivelazione, ma piuttosto di lasciarsi attraversare da essa o di modularsi su di essa. Si richiede, infine, un dialogo aperto e profondo tra scienze umane e teologia, in modo tale che la riflessione sull’umano possa aprirsi più radicalmente al riconoscimento delle tracce di Rivelazione e la teologia possa trovare il terreno dei vissuti (l’esperienza) come luogo teologico, luogo già abitato da Dio.

 

Alcune foto del seminario:

 

 

“LA SCUOLA APRE MENTE E CUORE ALLA REALTÀ?”

Convegno dal titolo “LA SCUOLA APRE MENTE E CUORE ALLA REALTÀ?” che si terrà il prossimo 15 novembre a Milano, presso la sede dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e in video collegamento in altre città italiane. Il Convegno desidera riprendere i contenuti che Papa Francesco ha consegnato al mondo della scuola il 10 maggio u.s. in piazza san Pietro e si rivolge a tutti coloro che a vario titolo operano nella scuola.
 

Ricostruire l’umanità della religione

L’orizzonte educativo dell’esperienza religiosa

Un libro per ripensare il senso della religione nella vita e nell’educazione. L’opera di José Luis Moral apre una nuova tappa nello studio del rapporto tra l’educazione e la religione – è più specificamente nella riflessione sull’«IRC – che porta avanti l’«Istituto di Catechetica» (Facoltà di Scienze dell’Educazione – Università Pontificia Salesiana di Roma). Si tratta di un primo passo, al quale seguirà una nuova pubblicazione: «Incontrare Gesù. L’orizzonte educativo dell’esperienza religiosa cristiana».

Leggere: («Introduzione» e «Sommario» del libro)

Acquistare: LAS

La Chiesa per la scuola.

Laboratorio nazionale a Roma dal 3 al 4 maggio

Venerdì 3 e sabato 4 maggio si svolge a Roma, presso l’Ergife Palace Hotel (via Aurelia, 619), il laboratorio nazionale “La Chiesa per la scuola”, prima tappa di un percorso di sensibilizzazione sulle tematiche della scuola e della formazione professionale, promosso dalla Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana.
 
Il percorso punta a coinvolgere la comunità ecclesiale e tutta la società in una riflessione sull’importanza della scuola come ambiente educativo, nel quadro degli orientamenti pastorali per il decennio in corsoEducare alla vita buona del Vangelo.
 
L’obiettivo di questo primo incontro è fare il punto su alcuni nodi centrali della scuola e della formazione professionale, che sono stati riassunti attraverso otto parole chiave: educazione, insegnanti, generazioni, Europa, alleanza educativa, comunità, autonomia, umanesimo.
Attorno a questi concetti chiave si svolge il confronto, stimolato da un sussidio che accompagna i gruppi di studio e che è scaricabile sul sito dell’Ufficio Nazionale per l’educazione, la scuola e l’università.
 
Venerdì 3 maggio i lavori sono aperti alle ore 11.00 di venerdì dall’intervento di S.Em.za il Card. Angelo Bagnasco, Arcivescovo di Genova e Presidente della CEI, cui seguono quelli di Andrea Gavosto, Direttore della Fondazione Agnelli, di Elisa Manna, Responsabile delle politiche culturali del Censis, e di Marco Tibaldi, Docente di filosofia e storia nei licei a Bologna. Il pomeriggio è interamente dedicato ai lavori di gruppo.
 
Alle ore 7.30 di sabato 4 maggio, S.E. Mons. Mariano Crociata, Segretario Generale della CEI, presiede la celebrazione della S. Messa, cui segue la condivisione, in assemblea plenaria, dei risultati dei lavori di gruppo.
 
La conclusione dei lavori è affidata a S.E. Mons. Gianni Ambrosio, Presidente della Commissione Episcopale per l’educazione cattolica, la scuola e l’università.
 

 

Percorsi didattici alternativi: “I bambini sono spugne!”

Crescente complessità della vita alla quale concorre anche la tecnologia? Sempre più ampie e trasversali competenze richieste per entrare nel mondo del lavoro? Anche l’universo scuola non può rimanere incolume a tutto questo. Così le classiche ore divise per materie stanno cadendo nel dimenticatoio, i programmi finiscono necessariamente per integrarsi fra loro e l’interdisciplinarietà diventa la nuova parola d’ordine. Ma tutto questo, evidentemente, nel passaggio dal teorico al pratico non è per nulla semplice. Lo sforzo richiesto agli insegnanti è cresciuto e cresce in modo esponenziale. Alcuni, alquanto pioneristicamente, propongono idee nuove e risposte concrete: per un vero e proprio nitido segnale di aggiornamento. Fra questi il Prof. Nicola Rosetti propone un percorso a dir poco particolare: “la catechesi della bellezza”. Se è vero che sin dall’albore dei tempi l’arte e la bellezza hanno tradotto in immagini l’idea della fede, in una qualche forma di trascendenza divina, questo connubio può tentare di spiegare la religione o quantomeno renderla un po’ più accessibile ai nostri ragazzi. Lo abbiamo intervistato.

Prof. Nicola Rosetti, quanto è difficile insegnare religione ai ragazzi? Quale è la sfida/reticenza più grande che questo insegnamento incontra nelle nostre scuole oggi?

Io non parlerei di una difficoltà specifica dell’insegnamento della religione, perché il discorso religioso, la curiosità tipica di ogni uomo e in particolare dei più giovani e non ultimo il fascino proprio della figura di Gesù continua ad attrarre gli alunni. L’insegnamento religioso patisce gli stessi problemi delle altre discipline su un doppio versante: dalla parte di chi insegna e dalla parte di chi riceve l’insegnamento. Per  i primi, cioè per gli insegnanti, il grande problema è quello della riduzione a piccoli burocrati del sapere. Una burocrazia sempre più opprimente li impegna e li distoglie, ovviamente contro la loro volontà, da quello che dovrebbero e vorrebbero fare e cioè formare i ragazzi. Dall’altra parte, gli alunni ricevono molti stimoli e per loro la scuola è diventato sempre più un impegno fra i tanti e non quello principale. Contrariamente a quello che comunemente si pensa, la crisi non è di risorse (che comunque sicuramente potrebbero essere maggiori!) ma culturale. Questa dunque è a mio avviso la vera sfida del momento: far tornare la scuola alla sua vocazione originaria.

Ci può spiegare come organizza una “catechesi della bellezza” in teoria e in pratica?

Il termine “catechesi” non deve trarre in errore i lettori! Il compito dell’insegnante di religione nella scuola non è quello di iniziare alla fede, questo è compito appunto della catechesi. Ho voluto tuttavia chiamare questo modo di impostare le lezioni “catechesi della bellezza” perché sono convinto che solo attraverso la conoscenza dei contenuti della fede si può apprezzare fino in fondo un’opera d’arte di carattere religioso. Allo stesso tempo, un quadro che rappresenta una scena sacra, attraverso l’immagine, riesce a spiegare la fede meglio di un discorso: temi come quelli della grazia e del libero arbitrio sarebbero pesanti e di difficile comprensione anche per un adulto, ma ecco che se magari si mostra ai bambini “La vocazione di San Matteo” di Caravaggio, tutto è più semplice! La luce che proviene dal Cristo rappresenta il suo amore per ogni uomo (grazia) e infatti tutti i personaggi seduti al tavolo sono illuminati, ma solo uno, Matteo, risponde attivamente alla chiamata (libero arbitrio). Una volta osservata l’immagine e spiegato il significato, si può chiedere ai bambini di disporsi nello stesso modo in cui sono disposti i personaggi nel dipinto, oppure si può chiedere loro di adattare il quadro secondo un’altra visione religiosa, come ad esempio quella luterana.

Da dove arriva o deriva la sua idea di utilizzare il connubio tra bello artistico e fede?

Lavorando con i bambini della scuola primaria, comunemente detta elementare, ho sempre dovuto ricercare un linguaggio semplice, accessibile e diretto e nulla è così comunicativo come un’immagine. Direi che quindi tutto è nato per praticità. Durante la mia esperienza lavorativa a Roma, mi sono accorto che i bambini non conoscono per nulla la città in cui vivono. Pertanto nelle mie lezioni cerco di usare il più possibile opere d’arte che poi posso fare ammirare ai miei alunni dal vivo. Si tratta di fare un raccordo fra fede, arte e le ricchezze che il territorio offre. Nel mio lavoro cerco di ispirarmi ad un dipinto di El Greco che nella sua semplicità mi ha sempre affascinato. Si tratta di un “ritratto” dell’evangelista Luca che mostra all’osservatore il vangelo aperto; sulla pagina di sinistra si vede un passo del vangelo, mentre su quella di destra è dipinta una Madonna che regge in braccio Gesù Bambino. Ho scelto questa immagine come sintesi del mio lavoro perché non faccio altro che abbinare a ogni passo biblico che propongo ai miei alunni un’immagine artistica che lo visualizzi e lo spieghi. In tutta onestà posso dire che di mio c’è ben poco! Il mio è soprattutto un lavoro di “collage”!

Che tipi di riscontri (commenti, pensieri, idee … ) incontra presso i ragazzi e/o presso i loro genitori usando questo suo metodo? Ci racconti un episodio che le è rimasto impresso.

Non bisogna sottovalutare l’intelligenza, la curiosità e il desiderio di conoscere dei bambini, anzi forse noi adulti, spesso stanchi e annoiati da tutto, dovremmo prendere esempio da loro! Non bisogna avere paura di proporre agli alunni molti contenuti perché i bambini sono “spugne”! Io per esempio non mi faccio nessun problema a portare classi di alunni di terza elementare in visita ai Musei Vaticani! Propongo questa attività didattica al termine dell’anno scolastico, come coronamento di un percorso che abbiamo svolto durante tutto l’anno. I bambini sono sempre molto entusiasti perché finalmente, dopo un anno di intenso lavoro, possono vedere dal vivo quello che hanno studiato in classe! Quando ci troviamo ai Musei Vaticani non prendiamo una guida, ma ogni bambino fa da guida agli altri! Diciamo che è una vera e propria interrogazione sul posto: io faccio le domande sui dipinti che vediamo e un bambino alla volta risponde, in modo tale che tutti  siano coinvolti. A questo tipo di uscite partecipano anche i genitori che si possono rendere conto del tipo di attività che abbiamo svolto in classe durante l’anno. I genitori partecipano sempre molto volentieri, anche perché per molti di loro è la prima occasione per ammirare le meraviglie di Roma. Quest’anno mi ha colpito la visita a Santa Maria Maggiore. Il custode mi ha chiesto se i bambini potessero essere interessati a vedere dei paramenti liturgici cinquecenteschi. Ero molto scettico sulla cosa perché la ritenevo più adatta per un gruppo di sacerdoti o di religiosi piuttosto che per dei bambini, e più per non rispondere con un  “no” che per altro ho acconsentito. Con mio grande stupore, quando il custode ha aperto gli armadi dove erano contenuti i paramenti, dai bambini si è levato un grosso “OHHH” di meraviglia. Quegli abiti finemente decorati, insoliti, di foggia preconciliare li ha enormemente colpiti. Questo per dire che non bisogna avere paura nel proporre contenuti che a prima vista potrebbero sembrare “pesanti”.

Chiudiamo con una domanda personale. Cos’è quindi “la bellezza” secondo la sua esperienza? È più un modo, per noi uomini, per avvicinarci a capire un poco Dio o più un modo di Dio per scendere al nostro livello, parlando una lingua che noi conosciamo, e farsi capire?

Credo che si possa parlare di due vie complementari. Dio è bellezza, l’uomo è bellezza, l’arte è il ponte che li lega. È impressionante come l’uomo, volendo catturare in immagini la gloria di Dio finisce anche per glorificare se stesso attraverso il talento artistico. Mi permetta di terminare con le parole del grande scrittore inglese G.K. Chesterton che, in polemica con la bruttezza di certe produzioni artistiche moderne ha descritto a mio avviso in modo magistrale cosa deve essere una vera opera d’arte: “Non basta che un monumento popolare sia artistico, come uno schizzo a carboncino. Deve sorprendere, deve essere sensazionale nel senso più alto della parola, deve rappresentare l’umanità, deve parlare per noi alle stelle, deve proclamare al cospetto del cielo che, una volta stilato il catalogo più lungo e più nero di tutti i nostri crimini e di tutte le nostre follie, restano ancora alcune cose di cui gli uomini non devono vergognarsi”.

(Intervista tratta dal sito Mediapolitika)

Quale documento per valutare l’Insegnamento della Religione Cattolica?

Siamo a febbraio e in questo periodo molte famiglie stanno prendendo visione delle pagelle scolastiche per vedere i risultati dei propri figli. Anche se apparentemente può sembrare scontato, è utile sottolineare l’importanza che questo documento ha, sia per la formazione degli alunni che per le aspettative dei genitori. È così importante che ogni eventuale variazione di modelli precedentemente adottati deve passare al vaglio del Collegio dei Docenti, la massima autorità scolastica di un istituto, subito dopo quella del Dirigente Scolastico.

Quello che qui ci interessa analizzare è la scheda di valutazione per l’Insegnamento della Religione Cattolica (IRC) e per l’Attività Alternativa (AA).

Per avere una visione completa di quello che stiamo per descrivere, facciamo un passo indietro. All’atto di iscrizione le famiglie sono chiamate a scegliere, mediante un primo modello, se intendono avvalersi o meno dell’IRC. Solo a coloro che scelgono di non avvalersi dell’IRC viene fornito un secondo modello, dove i genitori dovranno specificare cosa intendano far fare ai loro figli. Le opzioni, valide per tutti gli alunni delle scuole di ogni ordine e grado, sono 4: si può scegliere di far frequentare l’attività alternativa che deve essere impartita e valutata da un docente; c’è la possibilità di svolgere uno studio individuale senza docente (tale attività non richiede valutazione); si può chiedere di studiare con l’assistenza di un insegnante (anche tale attività non va valutata) o si può addirittura scegliere di uscire dall’istituto.

Da quanto appena detto si evince che solo l’IRC e l’AA vadano valutate. A tal proposito, molte scuole hanno scelto di adottare una scheda di valutazione “bivalente”, valida cioè sia per chi si avvale dell’IRC sia per gli alunni che frequentano l’AA. Questo modello però, a nostro giudizio, non rispetta la reale collocazione dell’IRC all’interno dell’ordinamento scolastico così come il legislatore l’ha previsto.

Infatti il genitore che riceve tale documento di valutazione in mano percepisce, in maniera erronea, che l’IRC e l’AA siano sullo stesso piano, ma le cose non stanno così. Vediamo perché.

– L’IRC è una vera e propria materia al pari delle altre. La scuola è obbligata a proporre l’IRC, mentre, se ad esempio nessuno la scegliesse, non è obbligata ad organizzare l’AA.

– Per insegnare l’IRC c’è bisogno di una specifica laurea in scienze religiose o in teologia, mentre non esiste nessuna laurea in AA.

– Di conseguenza, non esiste nessuna classe di concorso per l’AA.

– L’IRC ha dei programmi nazionali, mentre il programma dell’AA viene approvato all’inizio dell’anno scolastico dal Collegio dei Docenti, solo se ci sono famiglie che ne facciano richiesta per i loro figli.

Alla luce di quanto detto, sembra anche illogica la scelta del metro di valutazione riportato sul fondo della pagella: giudizi sintetici per l’IRC (OTTIMO, DISTINTO, BUONO, SUFFICIENTE, NON SUFFICIENTE) e voti numerici, come si usa per le altre materie, per l’AA (10,9,8,7,6,5).

In altri istituti si è invece scelto di inserire la valutazione dell’AA insieme alle altre materie. Ma se l’IRC, che è una materia, viene valutata su una scheda a parte, perché la la valutazione dell’AA, che non è una materia, deve trovare posto accanto alle altre materie? Anche questa scelta ci sembra quindi immotivata e illogica.

Per valutare l’IRC e l’AA, l’unico modo corretto e rispondente alla vigente normativa scolastica ci sembra il seguente: si devono redigere due distinti documenti, uno da consegnare alle famiglie degli alunni che si avvalgono dell’IRC e un altro per le famiglie degli alunni che seguono l’AA.

(Articolo tratto da Àncora Online, il settimanale della Diocesi di San Benedetto del Tronto)

Per approfondimenti o informazioni: www.nicolarosetti.it