Nessuno può salvarsi da solo. Ripartire dal Covid-19 per tracciare insieme sentieri di pace

Messaggio di sua santità Francesco per la LVI Giornata mondiale della pace

1° gennaio 2023

Nessuno può salvarsi da solo.
Ripartire dal Covid-19 per tracciare insieme sentieri di pace

«Riguardo poi ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; infatti sapete bene che il giorno del Signore verrà come un ladro di notte» (Prima Lettera di San Paolo ai Tessalonicesi 5,1-2).

1. Con queste parole, l’Apostolo Paolo invitava la comunità di Tessalonica perché, nell’attesa dell’incontro con il Signore, restasse salda, con i piedi e il cuore ben piantati sulla terra, capace di uno sguardo attento sulla realtà e sulle vicende della storia. Perciò, anche se gli eventi della nostra esistenza appaiono così tragici e ci sentiamo spinti nel tunnel oscuro e difficile dell’ingiustizia e della sofferenza, siamo chiamati a tenere il cuore aperto alla speranza, fiduciosi in Dio che si fa presente, ci accompagna con tenerezza, ci sostiene nella fatica e, soprattutto, orienta il nostro cammino. Per questo San Paolo esorta costantemente la Comunità a vigilare, cercando il bene, la giustizia e la verità: «Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri» (5,6). È un invito a restare svegli, a non rinchiuderci nella paura, nel dolore o nella rassegnazione, a non cedere alla distrazione, a non scoraggiarci ma ad essere invece come sentinelle capaci di vegliare e di cogliere le prime luci dell’alba, soprattutto nelle ore più buie.

2. Il Covid-19 ci ha fatto piombare nel cuore della notte, destabilizzando la nostra vita ordinaria, mettendo a soqquadro i nostri piani e le nostre abitudini, ribaltando l’apparente tranquillità anche delle società più privilegiate, generando disorientamento e sofferenza, causando la morte di tanti nostri fratelli e sorelle.

Spinti nel vortice di sfide improvvise e in una situazione che non era del tutto chiara neanche dal punto di vista scientifico, il mondo della sanità si è mobilitato per lenire il dolore di tanti e per cercare di porvi rimedio; così come le Autorità politiche, che hanno dovuto adottare notevoli misure in termini di organizzazione e gestione dell’emergenza.

Assieme alle manifestazioni fisiche, il Covid-19 ha provocato, anche con effetti a lungo termine, un malessere generale che si è concentrato nel cuore di tante persone e famiglie, con risvolti non trascurabili, alimentati dai lunghi periodi di isolamento e da diverse limitazioni di libertà.

Inoltre, non possiamo dimenticare come la pandemia abbia toccato alcuni nervi scoperti dell’assetto sociale ed economico, facendo emergere contraddizioni e disuguaglianze. Ha minacciato la sicurezza lavorativa di tanti e aggravato la solitudine sempre più diffusa nelle nostre società, in particolare quella dei più deboli e dei poveri. Pensiamo, ad esempio, ai milioni di lavoratori informali in molte parti del mondo, rimasti senza impiego e senza alcun supporto durante tutto il periodo di confinamento.

Raramente gli individui e la società progrediscono in situazioni che generano un tale senso di sconfitta e amarezza: esso infatti indebolisce gli sforzi spesi per la pace e provoca conflitti sociali, frustrazioni e violenze di vario genere. In questo senso, la pandemia sembra aver sconvolto anche le zone più pacifiche del nostro mondo, facendo emergere innumerevoli fragilità.

3. Dopo tre anni, è ora di prendere un tempo per interrogarci, imparare, crescere e lasciarci trasformare, come singoli e come comunità; un tempo privilegiato per prepararsi al «giorno del Signore». Ho già avuto modo di ripetere più volte che dai momenti di crisi non si esce mai uguali: se ne esce o migliori o peggiori. Oggi siamo chiamati a chiederci: che cosa abbiamo imparato da questa situazione di pandemia? Quali nuovi cammini dovremo intraprendere per abbandonare le catene delle nostre vecchie abitudini, per essere meglio preparati, per osare la novità? Quali segni di vita e di speranza possiamo cogliere per andare avanti e cercare di rendere migliore il nostro mondo?

Di certo, avendo toccato con mano la fragilità che contraddistingue la realtà umana e la nostra esistenza personale, possiamo dire che la più grande lezione che il Covid-19 ci lascia in eredità è la consapevolezza che abbiamo tutti bisogno gli uni degli altri, che il nostro tesoro più grande, seppure anche più fragile, è la fratellanza umana, fondata sulla comune figliolanza divina, e che nessuno può salvarsi da solo. È urgente dunque ricercare e promuovere insieme i valori universali che tracciano il cammino di questa fratellanza umana. Abbiamo anche imparato che la fiducia riposta nel progresso, nella tecnologia e negli effetti della globalizzazione non solo è stata eccessiva, ma si è trasformata in una intossicazione individualistica e idolatrica, compromettendo la garanzia auspicata di giustizia, di concordia e di pace. Nel nostro mondo che corre a grande velocità, molto spesso i diffusi problemi di squilibri, ingiustizie, povertà ed emarginazioni alimentano malesseri e conflitti, e generano violenze e anche guerre.

Mentre, da una parte, la pandemia ha fatto emergere tutto questo, abbiamo potuto, dall’altra, fare scoperte positive: un benefico ritorno all’umiltà; un ridimensionamento di certe pretese consumistiche; un senso rinnovato di solidarietà che ci incoraggia a uscire dal nostro egoismo per aprirci alla sofferenza degli altri e ai loro bisogni; nonché un impegno, in certi casi veramente eroico, di tante persone che si sono spese perché tutti potessero superare al meglio il dramma dell’emergenza.

Da tale esperienza è derivata più forte la consapevolezza che invita tutti, popoli e nazioni, a rimettere al centro la parola «insieme». Infatti, è insieme, nella fraternità e nella solidarietà, che costruiamo la pace, garantiamo la giustizia, superiamo gli eventi più dolorosi. Le risposte più efficaci alla pandemia sono state, in effetti, quelle che hanno visto gruppi sociali, istituzioni pubbliche e private, organizzazioni internazionali uniti per rispondere alla sfida, lasciando da parte interessi particolari. Solo la pace che nasce dall’amore fraterno e disinteressato può aiutarci a superare le crisi personali, sociali e mondiali.

4. Al tempo stesso, nel momento in cui abbiamo osato sperare che il peggio della notte della pandemia da Covid-19 fosse stato superato, una nuova terribile sciagura si è abbattuta sull’umanità. Abbiamo assistito all’insorgere di un altro flagello: un’ulteriore guerra, in parte paragonabile al Covid-19, ma tuttavia guidata da scelte umane colpevoli. La guerra in Ucraina miete vittime innocenti e diffonde incertezza, non solo per chi ne viene direttamente colpito, ma in modo diffuso e indiscriminato per tutti, anche per quanti, a migliaia di chilometri di distanza, ne soffrono gli effetti collaterali – basti solo pensare ai problemi del grano e ai prezzi del carburante.

Di certo, non è questa l’era post-Covid che speravamo o ci aspettavamo. Infatti, questa guerra, insieme a tutti gli altri conflitti sparsi per il globo, rappresenta una sconfitta per l’umanità intera e non solo per le parti direttamente coinvolte. Mentre per il Covid-19 si è trovato un vaccino, per la guerra ancora non si sono trovate soluzioni adeguate. Certamente il virus della guerra è più difficile da sconfiggere di quelli che colpiscono l’organismo umano, perché esso non proviene dall’esterno, ma dall’interno del cuore umano, corrotto dal peccato (cf. Vangelo di Marco 7,17-23).

5. Cosa, dunque, ci è chiesto di fare? Anzitutto, di lasciarci cambiare il cuore dall’emergenza che abbiamo vissuto, di permettere cioè che, attraverso questo momento storico, Dio trasformi i nostri criteri abituali di interpretazione del mondo e della realtà. Non possiamo più pensare solo a preservare lo spazio dei nostri interessi personali o nazionali, ma dobbiamo pensarci alla luce del bene comune, con un senso comunitario, ovvero come un «noi» aperto alla fraternità universale. Non possiamo perseguire solo la protezione di noi stessi, ma è l’ora di impegnarci tutti per la guarigione della nostra società e del nostro pianeta, creando le basi per un mondo più giusto e pacifico, seriamente impegnato alla ricerca di un bene che sia davvero comune.

Per fare questo e vivere in modo migliore dopo l’emergenza del Covid-19, non si può ignorare un dato fondamentale: le tante crisi morali, sociali, politiche ed economiche che stiamo vivendo sono tutte interconnesse, e quelli che guardiamo come singoli problemi sono in realtà uno la causa o la conseguenza dell’altro. E allora, siamo chiamati a far fronte alle sfide del nostro mondo con responsabilità e compassione. Dobbiamo rivisitare il tema della garanzia della salute pubblica per tutti; promuovere azioni di pace per mettere fine ai conflitti e alle guerre che continuano a generare vittime e povertà; prenderci cura in maniera concertata della nostra casa comune e attuare chiare ed efficaci misure per far fronte al cambiamento climatico; combattere il virus delle disuguaglianze e garantire il cibo e un lavoro dignitoso per tutti, sostenendo quanti non hanno neppure un salario minimo e sono in grande difficoltà. Lo scandalo dei popoli affamati ci ferisce. Abbiamo bisogno di sviluppare, con politiche adeguate, l’accoglienza e l’integrazione, in particolare nei confronti dei migranti e di coloro che vivono come scartati nelle nostre società. Solo spendendoci in queste situazioni, con un desiderio altruista ispirato all’amore infinito e misericordioso di Dio, potremo costruire un mondo nuovo e contribuire a edificare il Regno di Dio, che è Regno di amore, di giustizia e di pace.

Nel condividere queste riflessioni, auspico che nel nuovo anno possiamo camminare insieme facendo tesoro di quanto la storia ci può insegnare. Formulo i migliori voti ai Capi di Stato e di Governo, ai Responsabili delle Organizzazioni internazionali, ai Leaders delle diverse religioni. A tutti gli uomini e le donne di buona volontà auguro di costruire giorno per giorno, come artigiani di pace, un buon anno! Maria Immacolata, Madre di Gesù e Regina della Pace, interceda per noi e per il mondo intero.

Dal Vaticano, 8 dicembre 2022

Francesco

Potenzialità e limiti nel “dire Dio” oggi in Italia e oltre… L’apporto delle scienze e le provocazioni per il sapere teologico

Cecilia Costa*

SOMMARIO
L’articolo presenta una riflessione articolata e documentata sulle provocazioni e sulle sollecitazioni che le scienze sociali possono offrire alle altre scienze, in particolare alle scienze teologiche e alla catechetica. L’osservazione attenta dei fenomeni sociali, senza estromettere quelli che riguardano la dimensione religiosa dell’uomo e “Dio” nella percezione che l’individuo e la società di fatto elaborano, risulta imprescindibile per cogliere il senso della realtà e della storia che viviamo. A sua volta, in un contesto pluralistico e complesso che spinge alla transdisciplinarità, le scienze sociali possono ricevere degli apporti dalle altre scienze, accogliendo l’invito a interessarsi di temi di confine come la lettura del “religioso” e il “dire Dio oggi”, senza preclusioni ideologiche, senza venir meno al doveroso tenore di onestà intellettuale.

 

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C&E 7(2) – 02. Costa

 

► PAROLE CHIAVE
Dio; Interdisciplinarità; Religiosità; Scienze sociali; Teologia.

 

 

Cecilia Costa è Ordinario di Sociologia dei processi culturali presso il Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di Roma Tre

 

 

 

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“Dire Dio” ai margini della vita e in un tempo di incertezze”

Canonizzato Artemide Zatti, salesiano laico e infermiere

Il 9 ottobre 2022 papa Francesco ha canonizzato – accanto a mons. Giovanni Battista Scalabrini – Artemide Zatti (1880-1951). Infermiere e farmacista, questo laico salesiano ha passato la vita al servizio dei malati e dei poveri in Patagonia.

Papa Francesco vede in sant’Artemide Zatti il «buon Samaritano» della pagina evangelica. È quanto ha dichiarato ai membri della famiglia salesiana in vista della sua canonizzazione:

Il Buon Samaritano ha trovato in lui un cuore, delle mani e una passione, soprattutto per i piccoli, i poveri, i peccatori, gli ultimi.

Nel suo discorso egli ha enfatizzato la devozione totale dell’infermiere e farmacista per i poveri, nonché la sua fervente fede, che irradiava l’amore di Dio nei luoghi che visitava.

Artemide Zatti, di origine italiana, emigrò in Argentina con la propria famiglia all’età di 17 anni. Si installarono a Bahia Blanca, piccola città a sud di Buenos Aires, nel nord della Patagonia argentina. Spesso Artemide ha accompagnato il proprio parroco, don Carlo Cavalli, un salesiano, nella visita ai malati. Osservando la sua dedizione e la sua profonda fede, don Carlo gli fece leggere una vita di Don Bosco. Toccato dall’esempio del prete e coinvolto dalla lettura, scelse di diventare salesiano.

A 20 entrò in seminario, ma contrasse la tubercolosi occupandosi di un giovane prete malato. Padre Evasio Garrone, che lo curò, invitò Artemide a pregare Maria Ausiliatrice per la propria guarigione, e gli suggerì di formulare un voto: «Se ti guarisce, dedicherai tutta la vita ai malati». Artemide promise e guarì. Rinunciò al sacerdozio per meglio assicurare la vocazione di infermiere presso i malati. Divenne frate laico l’11 gennaio 1908, e fece la professione perpetua l’8 febbraio 1911.

Da allora dedicò la propria vita ai malati, e specialmente ai più poveri, curandoli gratuitamente e facendo chilometri per recarsi al loro capezzale. «Una delle grandi caratteristiche di Zatti era la compassione che aveva per la gente», ha dichiarato ad i.Media Pierluigi Cameroni, postulatore generale per le cause dei santi della famiglia salesiana:

Anzitutto perché accoglieva i poveri in ospedale, ma anche perché – con la sua ben nota bicicletta – si faceva il giro di tutta la città per andare a trovare i poveri, quelli che non potevano recarsi da lui, quelli che non avevano medicine.

Vedere Cristo nei malati

Artemide Zatti vide il Signore sofferente in ciascuno dei malati affidati a lui. Diceva letteralmente alla religiosa incaricata della gestione infermieristica: «Prepari per favore un letto a un Gesù di 12 anni». Oppure: «Ha per caso un paio di scarpe per un Gesù di 30 anni?». Prima che lo facesse il Papa, per via di questa leggendaria compassione già tutti lo chiamavano “il Buon Samaritano”.

ZATTI

Si dedicò totalmente all’ospedale San José de Viedma. Nel 1913 ne assunse la responsabilità, divenendone vice-direttore, amministratore e infermiere-capo. Nel 1915 divenne direttore dell’ospedale San José e due anni più tardi, presa una licenza da infermiere professionista, divenne direttore della farmacia. Morì il 15 marzo 1951 per un cancro al pancreas.

Il prodigio che ha sbloccato la sua ascesa agli altari ha avuto luogo nel 2016 nelle Filippine: un uomo, vittima di un grave incidente vascolare cerebrale ma troppo povero per farsi operare in ospedale, ha recuperato totalmente la salute grazie alle preghiere del fratello, salesiano, al beato Artemide Zatti. «Anche in questo miracolo, direi che abbia voluto aiutare uno privo di mezzi», sottolinea Pierluigi Cameroni.

Le guarigioni miracolose non sono il solo “àmbito di competenza” del nuovo santo: papa Francesco ha invitato a considerare che Artemide Zatti è anche un potente intercessore per le vocazioni, e lo ha fatto raccontando un’esperienza personale, occorsagli quando era Provinciale dei Gesuiti di Argentina.

Gli affidai la richiesta al Signore di sante vocazioni alla vita consacrata laica, per la Compagnia di Gesù: dal momento in cui abbiamo cominciato a pregare per la sua intercessione, il numero dei giovani coadiutori è aumentato in maniera significativa.

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

Mathilde De Robien – i.Media per Aleteia – pubblicato il 10/10/22

Bisogno di paternità

Si dice che la nostra è una società senza padri e per questo Papa Francesco, con la Lettera apostolica “Patris Corde” scritta  in occasione del 150° anniversario della dichiarazione di San Giuseppe, quale patrono della Chiesa universale, rimette al centro l’esercizio e il compito della paternità.  Egli offre l’occasione di volgere lo sguardo su colui che, insieme a Maria  ha custodito, amato, educato, protetto Gesù “con cuore di padre” compiendo l’opera  salvifica di Dio.

Oggi c’è estremo bisogno di paternità, ma la cultura, lo stile di vita, la rendono difficile da vivere appieno; non è possibile pensare l’educazione cristiana separatamente dall’educazione umana perché la questione del padre non tocca solamente la famiglia, ma la società intera e la vita della Chiesa. Molti giovani di oggi, credono in una falsa idea di autonomia che induce a concepirsi come un “io” completo in sé stesso, sottovalutando l’indispensabilità della relazione e del dialogo. L’utilizzo dei social ,specie in questo  tempo di pandemia, di certo, amplifica questa condizione, riducendo la relazione a qualcosa di molto superficiale che impedisce relazioni autentiche. Negli ultimi decenni il rifiuto dell’autorità e l’esaltazione dell’autonomia,  hanno causato un imponente spontaneismo senza fondamento e senza meta, aumentando le difficoltà nei rapporti  generazionali che senza dubbio richiedono sempre più tempo e pazienza affinchè i figli possono imparare a vivere imitando i propri genitori.  Spesso viene enfatizzata la dimensione materna, mentre appare più debole e marginale quella paterna, tuttavia è importante riconoscere quanto sia determinante la responsabilità educativa di entrambi, anche nei casi in cui essi decidano di attuare una separazione coniugale, senza sconvolgere la loro responsabilità genitoriale, salvaguardando il pieno diritto dei propri figli di avere una madre e un padre che con la loro diversità e  reciprocità  continuano a sostenerli e ad accompagnarli nella loro crescita.

Viviamo in una società in cui immaturità e infantilismo sono molto diffusi tra i giovani, procurando una forma di “adolescenza prolungata” non solo per mancanza di lavoro ma per la difficoltà a compiere scelte definitive. La fedeltà e la stabilità, più che come un valore attraente sono viste come un peso troppo grande per loro,  tanto da preferire, ad esempio, la convivenza piuttosto che il matrimonio. Si osserva anche un’ inversione dei ruoli: non sono più i figli a dover imparare dai genitori e a ricevere da loro norme e insegnamenti, ma al contrario,  sono gli adulti che si conformano ai criteri e ai comportamenti dei figli, cercando in questo modo di ottenere la loro approvazione. Questo certamente non consente un sano rapporto di responsabilità individuale. Se il padre è assente, è più probabile che insorgano insicurezze e frustrazioni, incapacità del giovane di pervenire alla stima di sé, a riconoscere e a elaborare i desideri più profondi. Il padre, in tutte le culture, ha  il compito importante di porre e riconoscere  limiti  e norme che accompagnano e orientano il cammino, in un clima di affetto e di fiducia; a  cercare un equilibrio  tra fermezza e tenerezza, tuttavia solo chi ha compiuto questo lavoro su sé stesso può aiutare altri a farlo.

L’anno dedicato a San Giuseppe potrebbe essere un’ottima occasione di approfondire seriamente tale figura di padre come indispensabile nella crescita armonica e nella educazione dei figli, che tanto oggi sembrano soffrire di punti di riferimento educativi affabili e consapevoli. Insomma  fare il padre, sentirsi padre ed essere padre predispongono un processo di costruzione della paternità legata alla relazione con i figli e le madri,  recuperando dei modelli autorevoli a cui ancorare il proprio agire educativo e formativo, affinché non si cada né nell’autoritarismo e né nel permissivismo. Disponibile a crescere nel tempo come padre, modulando gradualmente la sua funzione in conformità ai nuovi bisogni educativi manifestati dai figli in particolare e dalla famiglia nel complesso. I figli non hanno bisogno di un padre perfetto, ma umano, che non abbia paura dimostrare le proprie fragilità, che non si faccia portatore di un sapere assoluto,  ma che dia un senso alla vita. Un padre testimone che cammina accanto ai figli, anche a distanza in modo da sorreggerli nella fatica di crescere; sale della vita che silenziosamente le dà un senso, ma è anche luce che sprona, che crea, che costruisce e allo stesso tempo abita il mondo. La testimonianza paterna è di amore, di sostegno, di forza, tralcio a cui la vite deve aggrapparsi per crescere. Affidiamo a San Giuseppe le famiglie con la speranza che seguendo il suo esempio impariamo a fare spazio nella nostra vita e a fidarci della volontà di Dio Padre che è amore sconfinato per ciascuno dei suoi figli.

sr. M. Rosa Lorusso

bollettino del santuario della madonna del carmine di Montefalcone maggio 2021

Insieme sulla stessa barca

Uscire a seminare: questa l’idea di un gruppo di amici che in questo passaggio storico così difficile vuole offrire le sensibilità, le idee, le riflessioni di uno sguardo credente a chi voglia lasciarsi interrogare dallo stravolgimento determinato dalla pandemia del Covid-19.

Uscire a seminare: nei campi della coscienza e dell’intelligenza delle cose, per condividere il desiderio di scendere in profondità nei giorni che viviamo, guardandoli alla luce del Vangelo come esperienza, certo dolorosa ma autentica, dell’umano.

Uscire a seminare: una lettera, un sussidio per il Triduo pasquale, un instant-book, materiali che sono semplici suggerimenti per allargare e arricchire una riflessione sull’oggi che non può essere solitaria ma deve farsi costruzione del sentire del Popolo di Dio che si scopre parte dell’umanità e del pianeta di cui abbiamo la responsabilità.

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A Roma la marcia “RESTIAMO UMANI”

La Marcia “Restiamo Umani”, partita da Trento il 20 giugno, Giornata Mondiale del Rifugiato, arriverà a Roma, con una camminata finale, sabato 19 ottobre. La marcia concluderà ufficialmente in Piazza San Pietro domenica 20 ottobre, Giornata Missionaria Mondiale.
Come in tutte le tappe importanti, invitiamo tutti/e a partecipare, sabato 19 ottobre, alla cammianata conclusiva di quest’azione di pace promossa ed organizzata contro il clima di odio e di paura che stiamo vivendo nel nostro Paese.
Chi vuole può partecipare a tutto il programma dell’ultimo giorno di camminata effettiva. Raccomandiamo ed invitiamo a partecipare al corteo cittadino per percorrere insieme gli ultiimi 3 km dal Circo Massimo a Piazza San Pietro.

PROGRAMMA ARRIVO DELLA MARCIA, SABATO 19 OTTOBRE
– 9.30: partenza dalla Stazione FS di Albano Laziale, seguendo la Via Appia Antica (tutta pedonale) fino al Circo Masimo
– 15.30: arrivo al Circo Massimo, punto di ritrovo/appuntamento per il corteo cittadino
– 16.30: partenza del corteo cittadino dal Circo Massimo verso Piazza San Pietro.

PS: domenica 20 ottobre, appuntamento in Via della Conciliazione per entrare in Piazza San Pietro e partecipare all’Angelus di Papa Francesco.

 

MARCIA “RESTIAMO UMANI” – INFO IMPORTANTI

1) Progetto: https://www.marciarestiamoumani.org/…/MarciaRestiamoUmaniPr…

2) Tappe e date: https://www.marciarestiamoumani.org/…/MarciaRestiamoUmaniTa…

3) Lettera a Papa Francesco e petizione: https://www.change.org/p/fermiamo-questo-clima-di-paura-e-d…

4) Raccolta fondi: https://www.facebook.com/donate/576116806244656/

5) Magliette online: https://worthwearing.org/…/marcia-resti…/marciarestiamoumani

6) Per adesioni e contatti: marciarestiamoumani@gmail.com

“Scegli la vita”. Accompagnare la vocazione tra vizi e virtù

“Sussidio in uscita ad ottobre”. Scegli la vita. È la scoperta della propria vocazione. «La tua vocazione – infatti – ti orienta a tirare fuori il meglio di te» (FRANCESCO, Christus vivit, 257). Scegliete, allora! «Datevi al meglio della vita!» (ChV 143).

N.B. Il sussidio sarà disponibile da ottobre, puoi intanto ordinarlo inviando una mail a: vocazioni@chiesacattolica.it

Scegli la vita. Forse il titolo del Sussidio di quest’anno può sembrare ad effetto, a qualcuno potrà sembrare scontato o ancora uno slogan che vuole accattivare il potenziale lettore. Niente di tutto questo, la questione è seria e molto concreta.

Scegliere la vita è una cosa che facciamo o non facciamo molto più spesso di quanto possiamo immaginare. Non si tratta infatti di scegliere ciò che ci piace, o ciò che ci richiama il gusto della vita, ma di scegliere le cose che ci fanno bene, che sostengono e alimentano la vita che è in noi, evitando ciò che ci danneggia, che intristisce o svilisce il nostro cuore. Fin qui possiamo ancora essere tutti d’accordo. La questione si complica quando riflettiamo su cosa significhi “vita”, su quale criterio usare per riconoscere ciò che ci fa bene e ciò che ci fa male. Ponendo la questione in altri termini: come discernere? Forse abbiamo dentro ancora un’altra domanda inespressa: Perché discernere? Magari siamo già soddisfatti della vita che viviamo, potremmo anche essere impegnati attivamente in iniziative belle e positive, che dicono la nostra disponibilità ad aiutare il prossimo, che esprimono e attuano valori e ideali.

Il punto però è un altro, anche noi infatti siamo figli di questa epoca e ne siamo segnati, nel bene e nel male. Nel nostro tempo ad esempio, una questione che viene messa in ombra perché magari ritenuta obsoleta, è proprio quella del discernimento, della lotta spirituale: contrastare i nostri vizi, dominare le passioni, rafforzare virtù quali l’umiltà o la castità, comprendere la cosa giusta da fare e avere il coraggio di farla… o di non farla se ciò è sbagliato. Diciamocelo francamente, molte di queste cose suscitano perplessità anche in molti cristiani che pure vivono una fede solida e genuina. Il percorso che proponiamo in questo sussidio vuole riscoprire non solo il valore e l’importanza di queste realtà, ma ribadirne l’attualità!

Si, chi vuole seguirci scoprirà che basta ridefinire il linguaggio, ritrovare il significato di un termine, riflettere su tante piccole o grandi cose che facciamo quotidianamente, per renderci conto che ci siamo dentro, chi siamo dipende anche da come scegliamo di affrontare quel nostro limite che ci porta ad essere deboli in quella situazione, a non saperci gestire in un’altra, a mancare il bersaglio in un’altra ancora. Viceversa scopriremo la bellezza e il gusto di rafforzare le nostre virtù, impareremo che il bene fa bene e da gioia, sapremo dire con parole nuove cose che appartengono ad una saggezza antica, ma solida e collaudata.

Soprattutto però, faremo questo nell’ottica di un cammino che porta il passo della nostra vocazione. Le nostre virtù e i nostri vizi infatti, ci dicono molto di noi, ci aiutano a conoscerci nella concretezza, ci danno le coordinate per definire dove possiamo andare, dove vogliamo andare, dove ci sentiamo chiamati ad andare!

Non temiamo allora di attraversare la foresta che può essere il nostro cuore, imparando a conoscere di quali piante possiamo nutrirci e quali sono velenose. Sulla nostra pelle abbiamo già avuto il piacere o il dispiacere di incontrarne alcune. Se abbiamo provato invidia, ci saremo accorti da soli di quanto ci faccia male, ma forse non abbiamo considerato l’antidoto della carità. Forse abbiamo fatto esperienza che la mitezza ci ha permesso di risolvere felicemente una questione che sarebbe invece diventata ingestibile se ci fossimo lasciati prendere dall’ira. Forse considerando queste cose alla luce della preghiera, nell’ascolto della Parola, nel confronto con i nostri fratelli e le nostre sorelle, ci apparirà più chiaro il disegno di Dio per noi, sentiremo più vicino il suo amore, impareremo a camminare con gioia ed umiltà. Accettare che nel nostro cuore convivono vizi e virtù, e che è necessario lottare per imparare a scegliere queste ultime, per essere chi siamo veramente, per poter sentire che in noi abita la vita, è il primo passo per la vittoria.

L’alfabeto verde di papa Francesco. Salvare la Terra e vivere felici

È stato definito “nuovo umanesimo”, è il pensiero espresso da papa Francesco nell’Enciclica Laudato si’, emanata nel 2015. La prima enciclica di Francesco si è rivelata famosa prima ancora di essere divulgata: la ragione è tutta di natura politica. Nel 2015 si è infatti svolto un negoziato decisivo per l’avvenire del pianeta: la conferenza sull’ambiente e le conseguenze del cambiamento climatico tenutasi a Parigi. Laudato si’ non è quindi un titolo scelto a caso dal Papa, ma una citazione tratta dal Cantico delle creature, testo che oggi diventa quasi il manifesto di un ambientalismo cristiano, di una visione alternativa del mondo, riflettendo così, nel modo più immediato e visibile da tutti, il valore profetico di un messaggio, di un testo poetico, che diventa di nuovo attuale. Da tutto questo parte la riflessione dell’autrice che ha visto tra le righe dell’Enciclica alcune parole chiave, divenute oggi, a quasi quattro anni dalla pubblicazione, di un’attualità rimbombante. Risparmio energetico, rispetto del pianeta e dei suoi abitanti, impegno, sostenibilità, inquinamento, lotta all’indifferenza: è la “presa di coscienza ambientalista” (cfr P.G. Pagano) a noi contemporanea.
L’autrice
Franca Giansoldati vive e lavora a Roma ed è vaticanista del quotidiano Il Messaggero. Nel 2013 ha vinto il Premio Internazionale di Giornalismo di Ischia per il migliore reportage sull’elezione di papa Francesco. Si occupa di temi legati alla religione da oltre vent’anni. Ha scritto, con Marco Tosatti, Apocalisse. La profezia di papa Wojtyla (2003), Il Demonio in Vaticano. I Legionari di Cristo e il caso Maciel (2014) e La marcia senza ritorno. Il genocidio armeno (2015).

L’alfabeto verde di papa Francesco. Salvare la Terra e vivere felici
Autrice: Franca Giansoldati
Edizioni San Paolo
Pagine: 128,
Prezzo: € 15

Messaggio del Santo Padre Francesco per la III Giornata Mondiale dei Poveri

In occasione della festa di S. Antonio di Padova è stato reso noto il Messaggio per la prossima Giornata Mondiale dei Poveri, la terza, che quest’anno sarà celebrata domenica 17 novembre sul tema “La speranza dei poveri non sarà mai delusa”.
“Incontriamo ogni giorno – si legge nel testo – famiglie costrette a lasciare la loro terra per cercare forme di sussistenza altrove; orfani che hanno perso i genitori o che sono stati violentemente separati da loro per un brutale sfruttamento; giovani alla ricerca di una realizzazione professionale a cui viene impedito l’accesso al lavoro per politiche economiche miopi; vittime di tante forme di violenza, dalla prostituzione alla droga, e umiliate nel loro intimo. Come dimenticare, inoltre, i milioni di immigrati vittime di tanti interessi nascosti, spesso strumentalizzati per uso politico, a cui sono negate la solidarietà e l’uguaglianza? E tante persone senzatetto ed emarginate che si aggirano per le strade delle nostre città?”.
“Si è giunti perfino a teorizzare e realizzare – prosegue il testo – un’architettura ostile in modo da sbarazzarsi della loro presenza anche nelle strade, ultimi luoghi di accoglienza. Vagano da una parte all’altra della città, sperando di ottenere un lavoro, una casa, un affetto…”.
“Si possono costruire tanti muri e sbarrare gli ingressi per illudersi di sentirsi sicuri con le proprie ricchezze a danno di quanti si lasciano fuori – afferma poi Papa Francesco – ma non sarà così per sempre. Il giorno del Signore, come descritto dai profeti (cfr Am 5,18; Is 2-5; Gl 1-3), distruggerà le barriere create tra Paesi e sostituirà l’arroganza di pochi con la solidarietà di tanti. La condizione di emarginazione in cui sono vessati milioni di persone non potrà durare ancora a lungo”.
Dopo un ricordo grato della figura di Jean Vanier, “un grande apostolo dei poveri”, il Santo Padre invita tutti a mettere “da parte le divisioni che provengono da visioni ideologiche o politiche” e a fissare “lo sguardo sull’essenziale che non ha bisogno di tante parole, ma di uno sguardo di amore e di una mano tesa”.
“A volte – conclude il Messaggio – basta poco per restituire speranza: basta fermarsi, sorridere, ascoltare. Per un giorno lasciamo in disparte le statistiche; i poveri non sono numeri a cui appellarsi per vantare opere e progetti. I poveri sono persone a cui andare incontro: sono giovani e anziani soli da invitare a casa per condividere il pasto; uomini, donne e bambini che attendono una parola amica. I poveri ci salvano perché ci permettono di incontrare il volto di Gesù Cristo”.

A commento del Messaggio Mons. Francesco Soddu, Direttore di Caritas Italiana, ha rilasciato una dichiarazione per CEInews.

“CER” 7: Modernità e cambio epocale

«Oggi non viviamo soltanto un’epoca di cambiamenti ma un vero e proprio cambiamento d’epoca» (Veritatis gaudium, 3): siamo più che convinti dell’affermazione, ma forse non vogliamo assumerne ancora tutte le conseguenze, né tanto meno accettare che il comportamento delle persone sia anzitutto guidato dalla visione culturale o dalla comprensione della realtà propria del gruppo al quale appartengono. Ad ogni modo, un mondo scompare e ne sta emergendo un altro senza che, per la sua costruzione, vi sia un modello prestabilito; i cristiani poi abbiamo un problema in più: eravamo gli artefici principali del disegno che sta dileguandosi e – quasi spontaneamente – non solo ci resistiamo a lasciarlo, ma non possiamo credere che sfugga anche a noi l’immagine del mondo che si deve costruire.

È la cultura a determinare in grande misura le nostre idee e i nostri comportamenti: lo si può affermare tanto nel caso di chi l’accetta come di chi invece l’attacca. Ecco perché il cambio epocale comporta logicamente un certo disorientamento generale del pensiero e della condotta, mentre si cerca di attivare tutti i processi d’interpretazione necessari per arrivare a una comprensione in grado di orientarci nella ricostruzione culturale in atto. Questo libro intende sitarsi in tale ottica interpretativa, con il vivo desiderio di raggiungere l’obiettivo espresso nel sottotitolo: mostrare alcune «prospettive culturali e teologiche contemporanee». È però nel titolo, «Modernità e cambio epocale», la chiave dell’analisi, in quanto è proprio alla modernità che si deve attribuire l’assalto e demolizione del sistema più o meno fisso dei valori e delle finalità che credevamo possedere. In ogni caso, per comprendere il nostro presente, dobbiamo partire dall’Illuminismo moderno che, senza dubbio, costituisce la rivoluzione più significativa del mondo occidentale; in simile impresa, ancora risultano illuminanti le parole di I. Kant che invitano a uscire dallo stato di minorità: «Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza!».

 

José Luis Moral è Professore Ordinario di «Pedagogia religiosa» nella Facoltà di Scienze dell’Educazione (Università Pontificia Salesiana di Roma), già professore di Pastorale Giovanile, Direttore dell’Istituto Superiore di Teologia «Don Bosco» di Madrid e della rivista «Misión Joven». Alcune pubblicazioni nell’ambito della pastorale giovanile: Giovani senza fede?; Giovani, fede e comunicazione; Giovani e Chiesa; Pastorale Giovanile. Sfida cruciale per la prassi cristiana (2018). Con la «Las» ha pubblicato: Ricostruire l’umanità della religione (Roma 2014), L’incontro con Gesù di Nazaret (Roma 2016), Cittadini nella Chiesa, cristiani nel mondo (2017).

 

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