Pubblicazione: l’analogia familiare della Trinità – Alessio Meloni

L’Autore illustra validità e limiti dell’analogia trinitaria della famiglia, assai ricorrente nel panorama teologico. La verità trinitaria suggerisce criteri di comportamento importanti per il progresso spirituale della famiglia e rappresenta una sorgente d’ispirazione per la pastorale familiare. Il volume evidenzia poi che il mistero trinitario offre apprezzabili indicazioni per l’organizzazione e la prassi di organismi collettivi classificabili come “famiglie” in senso lato: la compagine sociale, il corpo ecclesiale, la comunità religiosa.

 

 

Presentazione dei volumi

Novità editoriale: Studio teologico della spiritualità cristiana – Jesús Manuel García Gutiérrez

Jesús Manuel García Gutiérrez

Docente della Facoltà di Teologia

 

 

La presente proposta metodologica, fedele al solco tracciato dalla storia della letteratura teologico-spirituale, si colloca decisamente nell’ambito della teologia della vita cristiana, in dialogo intra e interdisciplinare con le scienze umane per dare un nuovo impulso all’attività evangelizzatrice di una “Chiesa in uscita” capace di abbracciare l’intera esistenza umana.

Lo stile di presentazione è correlato al pubblico di riferimento del presente volume: studenti e docenti interessati allo studio delle fonti della spiritualità cristiana. Ai primi cinque capitoli, che affrontano in modo ragionato la questione metodologica, seguono altri quattro che approfondiscono questioni specifiche: il rapporto tra santità e spiritualità; la lettura dei testi spirituali; il profilo del teologo della spiritualità e le prospettive della spiritualità. Le appendici conclusive sono strumenti pratici che concretizzano ciò su cui precedentemente si è ragionato.

 

SOMMARIO

PREFAZIONE

INTRODUZIONE

 

Capitolo primo

DELIMITAZIONE DEL CAMPO DI STUDIO ED EVOLUZIONE DEL METODO

Capitolo secondo

ASSI PORTANTI CHE EMERGONO DAL PERCORSO EVOLUTIVO DEL METODO

Capitolo terzo

LIVELLI DI COMPRENSIONE DEL METODO TEOLOGICO ESPERIENZIALE

Capitolo quarto

TAPPE DEL METODO TEOLOGICO ESPERIENZIALE

Capitolo quinto

APPLICAZIONE DEL METODO TEOLOGICO ESPERIENZIALE AL VISSUTO DI SANTITÀ

Capitolo sesto

COME LEGGERE I TESTI SPIRITUALI: PRINCIPI METODOLOGICI ED ERMENEUTICI

Capitolo settimo

STUDIO TEOLOGICO DELLA SPIRITUALITÀ E VISSUTO DI SANTITÀ

Capitolo ottavo

PROFILO DEL TEOLOGO DELLA SPIRITUALITÀ

Capitolo nono

PROSPETTIVE DELLO STUDIO TEOLOGICO DELLA SPIRITUALITÀ

 

APPENDICI

Appendice prima

ABBREVIAZIONI E SIGLE PIÙ UTILIZZATE NELLO STUDIO TEOLOGICO DELLA SPIRITUALITÀ

Appendice seconda

PRESENTAZIONE DEL PIANO DI LAVORO DI UNA TESI DI LICENZA IN TEOLOGIA SPIRITUALE

Appendice terza

MODELLO DI PRESENTAZIONE DI UNA PAGINA DELLA TESI

Appendice quarta

TIPOLOGIA DI PRESENTAZIONE CORRETTA DELLA BIBLIOGRAFIA DI UN LAVORO SCIENTIFICO

Appendice quinta

RATIO DI UN CORSO DI TEOLOGIA SPIRITUALE

Appendice sesta

GLOSSARIO

 

INDICE

San Domenico sul valore di una tranquilla preparazione prima di prendere grandi decisioni

La quantità e la durata del nostro lavoro futuro dipende dal carattere sviluppato e dalla formazione che portiamo nel processo.

Quando nacque San Domenico, sua madre ebbe una strana visione di suo figlio come un cane che teneva in bocca una torcia accesa. Si staccò da lei e diede fuoco al mondo. Se alla fine la sua visione si è avverata – San Domenico ha davvero cambiato il mondo – durante la sua giovinezza e nella prima età adulta non c’erano assolutamente segni che si realizzasse. Da ragazzo era insignificante e tranquillo. Gli piaceva leggere tranquillamente, non era né popolare né impopolare con gli altri ragazzi e mostrava una pietà normale, devota ma non eccessiva, quando si trattava di chiesa. Come altri bambini piccoli, fingeva di suonare la messa e, inoltre, era molto colpito dall’idea di diventare un monaco di clausura. Sembrava destinato a una vita tranquilla.

Quando è andato all’Università di Palencia, era conosciuto come un giovane studioso e equilibrato. Intorno ai 25 anni fu ordinato sacerdote. Il suo incarico lo portò nel paese di Osma dove visse in un gruppo semimonastico di sacerdoti annesso a una parrocchia. Per nove anni Domenico visse con fratelli sacerdoti e seguì serenamente la regola di sant’Agostino. Era una vita pacifica e santa. Era una vita piuttosto insignificante.

Nella sua biografia di Dominic, Bede Jarrett osserva: “Questo sembra, forse, un inizio di carriera molto gentile, persino monotono…” Se fosse stato così che la sua vita avesse continuato a procedere, probabilmente sarebbe morto felice ma completamente sconosciuto.

Non è quello che è successo. Affatto. Oggi San Domenico è uno dei santi più famosi della sua epoca, spesso citato insieme a San Francesco. L’ordine religioso che ha fondato ha aderenti in tutto il mondo che si definiscono domenicani in suo onore.

Quello che è successo?

Ecco cosa è successo. Dopo i suoi anni tranquilli a Osma, Domenico divenne un predicatore itinerante. Lo ha fatto per 13 anni, andando di città in città. Durante questo periodo, il suo profilo pubblico è cresciuto ma non aveva ancora formato un ordine religioso. Ancora una volta, se avesse vissuto la sua vita come predicatore di circoscrizione, probabilmente sarebbe morto felice, ma il suo nome sarebbe sconosciuto oggi.

Iniziò il suo ordine religioso solo nell’anno 1216. Lo costruì per cinque anni – tutto qui. Un’esplosione di attività massiccia e ispirata. Cinque brevi anni e poi fu chiamato a casa dal suo Signore. Il suo ordine religioso gli sopravvisse e influenzò il corso della storia.

Ciò che mi ha sorpreso quando ho conosciuto la sua storia è che la stragrande maggioranza della vita di Dominic è stata spesa nella preparazione. Poi, in quella scelta unica, decisiva, quella che ha riversato tutte le sue energie in un’unica attività, ha trasformato la sua vocazione. Era una fioritura tardiva ma ha lasciato un’impronta duratura.

Preparazione tranquilla

Per tutta la vita sono stato impaziente. Voglio prendere decisioni rapidamente e agire subito. Non mi piace essere rallentato o sentirmi come se stessi perdendo tempo. Al lavoro, ho sempre voluto essere subito il capo. Volevo correre attraverso la mia educazione e uscire nel mondo reale. Ero sempre fuori di testa con il processo di formazione in seminario perché non vedevo l’ora di entrare in una parrocchia e farmi coinvolgere. Volevo passare a quello che consideravo il vero lavoro. Fino ad oggi, ho quasi zero capacità di attenzione per riunioni e lunghi processi decisionali. Per così tanto tempo ho considerato la risolutezza e la prontezza come virtù preminenti che ho trascurato l’importanza della pazienza e della calma preparazione.

La vita di San Domenico, però, rivela quanto sia importante restare a riposo e prepararsi adeguatamente. Forse ha iniziato più tardi del previsto, forse era persino frustrato e si sentiva come se la vita gli stesse passando accanto, ma una volta iniziato ha viaggiato veloce e lontano.

Nella sua biografia, Jarrett scrive: “È stato un momento cruciale per il santo che gli ha permesso di valutare la profondità del proprio carattere …” e che Dominico possedeva “una vita paziente e nascosta prima dell’inizio del ministero pubblico”.

Ripensando a tutti i momenti preparatori della mia vita – di solito i momenti in cui ero frustrato e impaziente – sono stati tutti di enorme aiuto per il mio sviluppo. I capi e i formatori che ho interrogato ne sapevano sempre più di me, le persone nelle riunioni che rallentano il processo con le domande, le tante persone che mi hanno insegnato a esaminare le questioni da più angolazioni. Soprattutto, quel tempo non è mai stato sprecato perché stavo sviluppando il personaggio. Come mostra la vita di Domenico, la quantità e la durata del nostro lavoro futuro dipende dal carattere sviluppato e dalla formazione che portiamo nel processo. Il successo è una questione di preparazione.

Come conclude Jarrett, “Solo un uomo che ha costruito con cura il suo personaggio può sperare un giorno di costruire il mondo”.

aleteia.org

Nessuno può salvarsi da solo. Ripartire dal Covid-19 per tracciare insieme sentieri di pace

Messaggio di sua santità Francesco per la LVI Giornata mondiale della pace

1° gennaio 2023

Nessuno può salvarsi da solo.
Ripartire dal Covid-19 per tracciare insieme sentieri di pace

«Riguardo poi ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; infatti sapete bene che il giorno del Signore verrà come un ladro di notte» (Prima Lettera di San Paolo ai Tessalonicesi 5,1-2).

1. Con queste parole, l’Apostolo Paolo invitava la comunità di Tessalonica perché, nell’attesa dell’incontro con il Signore, restasse salda, con i piedi e il cuore ben piantati sulla terra, capace di uno sguardo attento sulla realtà e sulle vicende della storia. Perciò, anche se gli eventi della nostra esistenza appaiono così tragici e ci sentiamo spinti nel tunnel oscuro e difficile dell’ingiustizia e della sofferenza, siamo chiamati a tenere il cuore aperto alla speranza, fiduciosi in Dio che si fa presente, ci accompagna con tenerezza, ci sostiene nella fatica e, soprattutto, orienta il nostro cammino. Per questo San Paolo esorta costantemente la Comunità a vigilare, cercando il bene, la giustizia e la verità: «Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri» (5,6). È un invito a restare svegli, a non rinchiuderci nella paura, nel dolore o nella rassegnazione, a non cedere alla distrazione, a non scoraggiarci ma ad essere invece come sentinelle capaci di vegliare e di cogliere le prime luci dell’alba, soprattutto nelle ore più buie.

2. Il Covid-19 ci ha fatto piombare nel cuore della notte, destabilizzando la nostra vita ordinaria, mettendo a soqquadro i nostri piani e le nostre abitudini, ribaltando l’apparente tranquillità anche delle società più privilegiate, generando disorientamento e sofferenza, causando la morte di tanti nostri fratelli e sorelle.

Spinti nel vortice di sfide improvvise e in una situazione che non era del tutto chiara neanche dal punto di vista scientifico, il mondo della sanità si è mobilitato per lenire il dolore di tanti e per cercare di porvi rimedio; così come le Autorità politiche, che hanno dovuto adottare notevoli misure in termini di organizzazione e gestione dell’emergenza.

Assieme alle manifestazioni fisiche, il Covid-19 ha provocato, anche con effetti a lungo termine, un malessere generale che si è concentrato nel cuore di tante persone e famiglie, con risvolti non trascurabili, alimentati dai lunghi periodi di isolamento e da diverse limitazioni di libertà.

Inoltre, non possiamo dimenticare come la pandemia abbia toccato alcuni nervi scoperti dell’assetto sociale ed economico, facendo emergere contraddizioni e disuguaglianze. Ha minacciato la sicurezza lavorativa di tanti e aggravato la solitudine sempre più diffusa nelle nostre società, in particolare quella dei più deboli e dei poveri. Pensiamo, ad esempio, ai milioni di lavoratori informali in molte parti del mondo, rimasti senza impiego e senza alcun supporto durante tutto il periodo di confinamento.

Raramente gli individui e la società progrediscono in situazioni che generano un tale senso di sconfitta e amarezza: esso infatti indebolisce gli sforzi spesi per la pace e provoca conflitti sociali, frustrazioni e violenze di vario genere. In questo senso, la pandemia sembra aver sconvolto anche le zone più pacifiche del nostro mondo, facendo emergere innumerevoli fragilità.

3. Dopo tre anni, è ora di prendere un tempo per interrogarci, imparare, crescere e lasciarci trasformare, come singoli e come comunità; un tempo privilegiato per prepararsi al «giorno del Signore». Ho già avuto modo di ripetere più volte che dai momenti di crisi non si esce mai uguali: se ne esce o migliori o peggiori. Oggi siamo chiamati a chiederci: che cosa abbiamo imparato da questa situazione di pandemia? Quali nuovi cammini dovremo intraprendere per abbandonare le catene delle nostre vecchie abitudini, per essere meglio preparati, per osare la novità? Quali segni di vita e di speranza possiamo cogliere per andare avanti e cercare di rendere migliore il nostro mondo?

Di certo, avendo toccato con mano la fragilità che contraddistingue la realtà umana e la nostra esistenza personale, possiamo dire che la più grande lezione che il Covid-19 ci lascia in eredità è la consapevolezza che abbiamo tutti bisogno gli uni degli altri, che il nostro tesoro più grande, seppure anche più fragile, è la fratellanza umana, fondata sulla comune figliolanza divina, e che nessuno può salvarsi da solo. È urgente dunque ricercare e promuovere insieme i valori universali che tracciano il cammino di questa fratellanza umana. Abbiamo anche imparato che la fiducia riposta nel progresso, nella tecnologia e negli effetti della globalizzazione non solo è stata eccessiva, ma si è trasformata in una intossicazione individualistica e idolatrica, compromettendo la garanzia auspicata di giustizia, di concordia e di pace. Nel nostro mondo che corre a grande velocità, molto spesso i diffusi problemi di squilibri, ingiustizie, povertà ed emarginazioni alimentano malesseri e conflitti, e generano violenze e anche guerre.

Mentre, da una parte, la pandemia ha fatto emergere tutto questo, abbiamo potuto, dall’altra, fare scoperte positive: un benefico ritorno all’umiltà; un ridimensionamento di certe pretese consumistiche; un senso rinnovato di solidarietà che ci incoraggia a uscire dal nostro egoismo per aprirci alla sofferenza degli altri e ai loro bisogni; nonché un impegno, in certi casi veramente eroico, di tante persone che si sono spese perché tutti potessero superare al meglio il dramma dell’emergenza.

Da tale esperienza è derivata più forte la consapevolezza che invita tutti, popoli e nazioni, a rimettere al centro la parola «insieme». Infatti, è insieme, nella fraternità e nella solidarietà, che costruiamo la pace, garantiamo la giustizia, superiamo gli eventi più dolorosi. Le risposte più efficaci alla pandemia sono state, in effetti, quelle che hanno visto gruppi sociali, istituzioni pubbliche e private, organizzazioni internazionali uniti per rispondere alla sfida, lasciando da parte interessi particolari. Solo la pace che nasce dall’amore fraterno e disinteressato può aiutarci a superare le crisi personali, sociali e mondiali.

4. Al tempo stesso, nel momento in cui abbiamo osato sperare che il peggio della notte della pandemia da Covid-19 fosse stato superato, una nuova terribile sciagura si è abbattuta sull’umanità. Abbiamo assistito all’insorgere di un altro flagello: un’ulteriore guerra, in parte paragonabile al Covid-19, ma tuttavia guidata da scelte umane colpevoli. La guerra in Ucraina miete vittime innocenti e diffonde incertezza, non solo per chi ne viene direttamente colpito, ma in modo diffuso e indiscriminato per tutti, anche per quanti, a migliaia di chilometri di distanza, ne soffrono gli effetti collaterali – basti solo pensare ai problemi del grano e ai prezzi del carburante.

Di certo, non è questa l’era post-Covid che speravamo o ci aspettavamo. Infatti, questa guerra, insieme a tutti gli altri conflitti sparsi per il globo, rappresenta una sconfitta per l’umanità intera e non solo per le parti direttamente coinvolte. Mentre per il Covid-19 si è trovato un vaccino, per la guerra ancora non si sono trovate soluzioni adeguate. Certamente il virus della guerra è più difficile da sconfiggere di quelli che colpiscono l’organismo umano, perché esso non proviene dall’esterno, ma dall’interno del cuore umano, corrotto dal peccato (cf. Vangelo di Marco 7,17-23).

5. Cosa, dunque, ci è chiesto di fare? Anzitutto, di lasciarci cambiare il cuore dall’emergenza che abbiamo vissuto, di permettere cioè che, attraverso questo momento storico, Dio trasformi i nostri criteri abituali di interpretazione del mondo e della realtà. Non possiamo più pensare solo a preservare lo spazio dei nostri interessi personali o nazionali, ma dobbiamo pensarci alla luce del bene comune, con un senso comunitario, ovvero come un «noi» aperto alla fraternità universale. Non possiamo perseguire solo la protezione di noi stessi, ma è l’ora di impegnarci tutti per la guarigione della nostra società e del nostro pianeta, creando le basi per un mondo più giusto e pacifico, seriamente impegnato alla ricerca di un bene che sia davvero comune.

Per fare questo e vivere in modo migliore dopo l’emergenza del Covid-19, non si può ignorare un dato fondamentale: le tante crisi morali, sociali, politiche ed economiche che stiamo vivendo sono tutte interconnesse, e quelli che guardiamo come singoli problemi sono in realtà uno la causa o la conseguenza dell’altro. E allora, siamo chiamati a far fronte alle sfide del nostro mondo con responsabilità e compassione. Dobbiamo rivisitare il tema della garanzia della salute pubblica per tutti; promuovere azioni di pace per mettere fine ai conflitti e alle guerre che continuano a generare vittime e povertà; prenderci cura in maniera concertata della nostra casa comune e attuare chiare ed efficaci misure per far fronte al cambiamento climatico; combattere il virus delle disuguaglianze e garantire il cibo e un lavoro dignitoso per tutti, sostenendo quanti non hanno neppure un salario minimo e sono in grande difficoltà. Lo scandalo dei popoli affamati ci ferisce. Abbiamo bisogno di sviluppare, con politiche adeguate, l’accoglienza e l’integrazione, in particolare nei confronti dei migranti e di coloro che vivono come scartati nelle nostre società. Solo spendendoci in queste situazioni, con un desiderio altruista ispirato all’amore infinito e misericordioso di Dio, potremo costruire un mondo nuovo e contribuire a edificare il Regno di Dio, che è Regno di amore, di giustizia e di pace.

Nel condividere queste riflessioni, auspico che nel nuovo anno possiamo camminare insieme facendo tesoro di quanto la storia ci può insegnare. Formulo i migliori voti ai Capi di Stato e di Governo, ai Responsabili delle Organizzazioni internazionali, ai Leaders delle diverse religioni. A tutti gli uomini e le donne di buona volontà auguro di costruire giorno per giorno, come artigiani di pace, un buon anno! Maria Immacolata, Madre di Gesù e Regina della Pace, interceda per noi e per il mondo intero.

Dal Vaticano, 8 dicembre 2022

Francesco

Potenzialità e limiti nel “dire Dio” oggi in Italia e oltre… L’apporto delle scienze e le provocazioni per il sapere teologico

Cecilia Costa*

SOMMARIO
L’articolo presenta una riflessione articolata e documentata sulle provocazioni e sulle sollecitazioni che le scienze sociali possono offrire alle altre scienze, in particolare alle scienze teologiche e alla catechetica. L’osservazione attenta dei fenomeni sociali, senza estromettere quelli che riguardano la dimensione religiosa dell’uomo e “Dio” nella percezione che l’individuo e la società di fatto elaborano, risulta imprescindibile per cogliere il senso della realtà e della storia che viviamo. A sua volta, in un contesto pluralistico e complesso che spinge alla transdisciplinarità, le scienze sociali possono ricevere degli apporti dalle altre scienze, accogliendo l’invito a interessarsi di temi di confine come la lettura del “religioso” e il “dire Dio oggi”, senza preclusioni ideologiche, senza venir meno al doveroso tenore di onestà intellettuale.

 

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C&E 7(2) – 02. Costa

 

► PAROLE CHIAVE
Dio; Interdisciplinarità; Religiosità; Scienze sociali; Teologia.

 

 

Cecilia Costa è Ordinario di Sociologia dei processi culturali presso il Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di Roma Tre

 

 

 

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“Dire Dio” ai margini della vita e in un tempo di incertezze”

Canonizzato Artemide Zatti, salesiano laico e infermiere

Il 9 ottobre 2022 papa Francesco ha canonizzato – accanto a mons. Giovanni Battista Scalabrini – Artemide Zatti (1880-1951). Infermiere e farmacista, questo laico salesiano ha passato la vita al servizio dei malati e dei poveri in Patagonia.

Papa Francesco vede in sant’Artemide Zatti il «buon Samaritano» della pagina evangelica. È quanto ha dichiarato ai membri della famiglia salesiana in vista della sua canonizzazione:

Il Buon Samaritano ha trovato in lui un cuore, delle mani e una passione, soprattutto per i piccoli, i poveri, i peccatori, gli ultimi.

Nel suo discorso egli ha enfatizzato la devozione totale dell’infermiere e farmacista per i poveri, nonché la sua fervente fede, che irradiava l’amore di Dio nei luoghi che visitava.

Artemide Zatti, di origine italiana, emigrò in Argentina con la propria famiglia all’età di 17 anni. Si installarono a Bahia Blanca, piccola città a sud di Buenos Aires, nel nord della Patagonia argentina. Spesso Artemide ha accompagnato il proprio parroco, don Carlo Cavalli, un salesiano, nella visita ai malati. Osservando la sua dedizione e la sua profonda fede, don Carlo gli fece leggere una vita di Don Bosco. Toccato dall’esempio del prete e coinvolto dalla lettura, scelse di diventare salesiano.

A 20 entrò in seminario, ma contrasse la tubercolosi occupandosi di un giovane prete malato. Padre Evasio Garrone, che lo curò, invitò Artemide a pregare Maria Ausiliatrice per la propria guarigione, e gli suggerì di formulare un voto: «Se ti guarisce, dedicherai tutta la vita ai malati». Artemide promise e guarì. Rinunciò al sacerdozio per meglio assicurare la vocazione di infermiere presso i malati. Divenne frate laico l’11 gennaio 1908, e fece la professione perpetua l’8 febbraio 1911.

Da allora dedicò la propria vita ai malati, e specialmente ai più poveri, curandoli gratuitamente e facendo chilometri per recarsi al loro capezzale. «Una delle grandi caratteristiche di Zatti era la compassione che aveva per la gente», ha dichiarato ad i.Media Pierluigi Cameroni, postulatore generale per le cause dei santi della famiglia salesiana:

Anzitutto perché accoglieva i poveri in ospedale, ma anche perché – con la sua ben nota bicicletta – si faceva il giro di tutta la città per andare a trovare i poveri, quelli che non potevano recarsi da lui, quelli che non avevano medicine.

Vedere Cristo nei malati

Artemide Zatti vide il Signore sofferente in ciascuno dei malati affidati a lui. Diceva letteralmente alla religiosa incaricata della gestione infermieristica: «Prepari per favore un letto a un Gesù di 12 anni». Oppure: «Ha per caso un paio di scarpe per un Gesù di 30 anni?». Prima che lo facesse il Papa, per via di questa leggendaria compassione già tutti lo chiamavano “il Buon Samaritano”.

ZATTI

Si dedicò totalmente all’ospedale San José de Viedma. Nel 1913 ne assunse la responsabilità, divenendone vice-direttore, amministratore e infermiere-capo. Nel 1915 divenne direttore dell’ospedale San José e due anni più tardi, presa una licenza da infermiere professionista, divenne direttore della farmacia. Morì il 15 marzo 1951 per un cancro al pancreas.

Il prodigio che ha sbloccato la sua ascesa agli altari ha avuto luogo nel 2016 nelle Filippine: un uomo, vittima di un grave incidente vascolare cerebrale ma troppo povero per farsi operare in ospedale, ha recuperato totalmente la salute grazie alle preghiere del fratello, salesiano, al beato Artemide Zatti. «Anche in questo miracolo, direi che abbia voluto aiutare uno privo di mezzi», sottolinea Pierluigi Cameroni.

Le guarigioni miracolose non sono il solo “àmbito di competenza” del nuovo santo: papa Francesco ha invitato a considerare che Artemide Zatti è anche un potente intercessore per le vocazioni, e lo ha fatto raccontando un’esperienza personale, occorsagli quando era Provinciale dei Gesuiti di Argentina.

Gli affidai la richiesta al Signore di sante vocazioni alla vita consacrata laica, per la Compagnia di Gesù: dal momento in cui abbiamo cominciato a pregare per la sua intercessione, il numero dei giovani coadiutori è aumentato in maniera significativa.

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

Mathilde De Robien – i.Media per Aleteia – pubblicato il 10/10/22

Bisogno di paternità

Si dice che la nostra è una società senza padri e per questo Papa Francesco, con la Lettera apostolica “Patris Corde” scritta  in occasione del 150° anniversario della dichiarazione di San Giuseppe, quale patrono della Chiesa universale, rimette al centro l’esercizio e il compito della paternità.  Egli offre l’occasione di volgere lo sguardo su colui che, insieme a Maria  ha custodito, amato, educato, protetto Gesù “con cuore di padre” compiendo l’opera  salvifica di Dio.

Oggi c’è estremo bisogno di paternità, ma la cultura, lo stile di vita, la rendono difficile da vivere appieno; non è possibile pensare l’educazione cristiana separatamente dall’educazione umana perché la questione del padre non tocca solamente la famiglia, ma la società intera e la vita della Chiesa. Molti giovani di oggi, credono in una falsa idea di autonomia che induce a concepirsi come un “io” completo in sé stesso, sottovalutando l’indispensabilità della relazione e del dialogo. L’utilizzo dei social ,specie in questo  tempo di pandemia, di certo, amplifica questa condizione, riducendo la relazione a qualcosa di molto superficiale che impedisce relazioni autentiche. Negli ultimi decenni il rifiuto dell’autorità e l’esaltazione dell’autonomia,  hanno causato un imponente spontaneismo senza fondamento e senza meta, aumentando le difficoltà nei rapporti  generazionali che senza dubbio richiedono sempre più tempo e pazienza affinchè i figli possono imparare a vivere imitando i propri genitori.  Spesso viene enfatizzata la dimensione materna, mentre appare più debole e marginale quella paterna, tuttavia è importante riconoscere quanto sia determinante la responsabilità educativa di entrambi, anche nei casi in cui essi decidano di attuare una separazione coniugale, senza sconvolgere la loro responsabilità genitoriale, salvaguardando il pieno diritto dei propri figli di avere una madre e un padre che con la loro diversità e  reciprocità  continuano a sostenerli e ad accompagnarli nella loro crescita.

Viviamo in una società in cui immaturità e infantilismo sono molto diffusi tra i giovani, procurando una forma di “adolescenza prolungata” non solo per mancanza di lavoro ma per la difficoltà a compiere scelte definitive. La fedeltà e la stabilità, più che come un valore attraente sono viste come un peso troppo grande per loro,  tanto da preferire, ad esempio, la convivenza piuttosto che il matrimonio. Si osserva anche un’ inversione dei ruoli: non sono più i figli a dover imparare dai genitori e a ricevere da loro norme e insegnamenti, ma al contrario,  sono gli adulti che si conformano ai criteri e ai comportamenti dei figli, cercando in questo modo di ottenere la loro approvazione. Questo certamente non consente un sano rapporto di responsabilità individuale. Se il padre è assente, è più probabile che insorgano insicurezze e frustrazioni, incapacità del giovane di pervenire alla stima di sé, a riconoscere e a elaborare i desideri più profondi. Il padre, in tutte le culture, ha  il compito importante di porre e riconoscere  limiti  e norme che accompagnano e orientano il cammino, in un clima di affetto e di fiducia; a  cercare un equilibrio  tra fermezza e tenerezza, tuttavia solo chi ha compiuto questo lavoro su sé stesso può aiutare altri a farlo.

L’anno dedicato a San Giuseppe potrebbe essere un’ottima occasione di approfondire seriamente tale figura di padre come indispensabile nella crescita armonica e nella educazione dei figli, che tanto oggi sembrano soffrire di punti di riferimento educativi affabili e consapevoli. Insomma  fare il padre, sentirsi padre ed essere padre predispongono un processo di costruzione della paternità legata alla relazione con i figli e le madri,  recuperando dei modelli autorevoli a cui ancorare il proprio agire educativo e formativo, affinché non si cada né nell’autoritarismo e né nel permissivismo. Disponibile a crescere nel tempo come padre, modulando gradualmente la sua funzione in conformità ai nuovi bisogni educativi manifestati dai figli in particolare e dalla famiglia nel complesso. I figli non hanno bisogno di un padre perfetto, ma umano, che non abbia paura dimostrare le proprie fragilità, che non si faccia portatore di un sapere assoluto,  ma che dia un senso alla vita. Un padre testimone che cammina accanto ai figli, anche a distanza in modo da sorreggerli nella fatica di crescere; sale della vita che silenziosamente le dà un senso, ma è anche luce che sprona, che crea, che costruisce e allo stesso tempo abita il mondo. La testimonianza paterna è di amore, di sostegno, di forza, tralcio a cui la vite deve aggrapparsi per crescere. Affidiamo a San Giuseppe le famiglie con la speranza che seguendo il suo esempio impariamo a fare spazio nella nostra vita e a fidarci della volontà di Dio Padre che è amore sconfinato per ciascuno dei suoi figli.

sr. M. Rosa Lorusso

bollettino del santuario della madonna del carmine di Montefalcone maggio 2021

Insieme sulla stessa barca

Uscire a seminare: questa l’idea di un gruppo di amici che in questo passaggio storico così difficile vuole offrire le sensibilità, le idee, le riflessioni di uno sguardo credente a chi voglia lasciarsi interrogare dallo stravolgimento determinato dalla pandemia del Covid-19.

Uscire a seminare: nei campi della coscienza e dell’intelligenza delle cose, per condividere il desiderio di scendere in profondità nei giorni che viviamo, guardandoli alla luce del Vangelo come esperienza, certo dolorosa ma autentica, dell’umano.

Uscire a seminare: una lettera, un sussidio per il Triduo pasquale, un instant-book, materiali che sono semplici suggerimenti per allargare e arricchire una riflessione sull’oggi che non può essere solitaria ma deve farsi costruzione del sentire del Popolo di Dio che si scopre parte dell’umanità e del pianeta di cui abbiamo la responsabilità.

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A Roma la marcia “RESTIAMO UMANI”

La Marcia “Restiamo Umani”, partita da Trento il 20 giugno, Giornata Mondiale del Rifugiato, arriverà a Roma, con una camminata finale, sabato 19 ottobre. La marcia concluderà ufficialmente in Piazza San Pietro domenica 20 ottobre, Giornata Missionaria Mondiale.
Come in tutte le tappe importanti, invitiamo tutti/e a partecipare, sabato 19 ottobre, alla cammianata conclusiva di quest’azione di pace promossa ed organizzata contro il clima di odio e di paura che stiamo vivendo nel nostro Paese.
Chi vuole può partecipare a tutto il programma dell’ultimo giorno di camminata effettiva. Raccomandiamo ed invitiamo a partecipare al corteo cittadino per percorrere insieme gli ultiimi 3 km dal Circo Massimo a Piazza San Pietro.

PROGRAMMA ARRIVO DELLA MARCIA, SABATO 19 OTTOBRE
– 9.30: partenza dalla Stazione FS di Albano Laziale, seguendo la Via Appia Antica (tutta pedonale) fino al Circo Masimo
– 15.30: arrivo al Circo Massimo, punto di ritrovo/appuntamento per il corteo cittadino
– 16.30: partenza del corteo cittadino dal Circo Massimo verso Piazza San Pietro.

PS: domenica 20 ottobre, appuntamento in Via della Conciliazione per entrare in Piazza San Pietro e partecipare all’Angelus di Papa Francesco.

 

MARCIA “RESTIAMO UMANI” – INFO IMPORTANTI

1) Progetto: https://www.marciarestiamoumani.org/…/MarciaRestiamoUmaniPr…

2) Tappe e date: https://www.marciarestiamoumani.org/…/MarciaRestiamoUmaniTa…

3) Lettera a Papa Francesco e petizione: https://www.change.org/p/fermiamo-questo-clima-di-paura-e-d…

4) Raccolta fondi: https://www.facebook.com/donate/576116806244656/

5) Magliette online: https://worthwearing.org/…/marcia-resti…/marciarestiamoumani

6) Per adesioni e contatti: marciarestiamoumani@gmail.com

“Scegli la vita”. Accompagnare la vocazione tra vizi e virtù

“Sussidio in uscita ad ottobre”. Scegli la vita. È la scoperta della propria vocazione. «La tua vocazione – infatti – ti orienta a tirare fuori il meglio di te» (FRANCESCO, Christus vivit, 257). Scegliete, allora! «Datevi al meglio della vita!» (ChV 143).

N.B. Il sussidio sarà disponibile da ottobre, puoi intanto ordinarlo inviando una mail a: vocazioni@chiesacattolica.it

Scegli la vita. Forse il titolo del Sussidio di quest’anno può sembrare ad effetto, a qualcuno potrà sembrare scontato o ancora uno slogan che vuole accattivare il potenziale lettore. Niente di tutto questo, la questione è seria e molto concreta.

Scegliere la vita è una cosa che facciamo o non facciamo molto più spesso di quanto possiamo immaginare. Non si tratta infatti di scegliere ciò che ci piace, o ciò che ci richiama il gusto della vita, ma di scegliere le cose che ci fanno bene, che sostengono e alimentano la vita che è in noi, evitando ciò che ci danneggia, che intristisce o svilisce il nostro cuore. Fin qui possiamo ancora essere tutti d’accordo. La questione si complica quando riflettiamo su cosa significhi “vita”, su quale criterio usare per riconoscere ciò che ci fa bene e ciò che ci fa male. Ponendo la questione in altri termini: come discernere? Forse abbiamo dentro ancora un’altra domanda inespressa: Perché discernere? Magari siamo già soddisfatti della vita che viviamo, potremmo anche essere impegnati attivamente in iniziative belle e positive, che dicono la nostra disponibilità ad aiutare il prossimo, che esprimono e attuano valori e ideali.

Il punto però è un altro, anche noi infatti siamo figli di questa epoca e ne siamo segnati, nel bene e nel male. Nel nostro tempo ad esempio, una questione che viene messa in ombra perché magari ritenuta obsoleta, è proprio quella del discernimento, della lotta spirituale: contrastare i nostri vizi, dominare le passioni, rafforzare virtù quali l’umiltà o la castità, comprendere la cosa giusta da fare e avere il coraggio di farla… o di non farla se ciò è sbagliato. Diciamocelo francamente, molte di queste cose suscitano perplessità anche in molti cristiani che pure vivono una fede solida e genuina. Il percorso che proponiamo in questo sussidio vuole riscoprire non solo il valore e l’importanza di queste realtà, ma ribadirne l’attualità!

Si, chi vuole seguirci scoprirà che basta ridefinire il linguaggio, ritrovare il significato di un termine, riflettere su tante piccole o grandi cose che facciamo quotidianamente, per renderci conto che ci siamo dentro, chi siamo dipende anche da come scegliamo di affrontare quel nostro limite che ci porta ad essere deboli in quella situazione, a non saperci gestire in un’altra, a mancare il bersaglio in un’altra ancora. Viceversa scopriremo la bellezza e il gusto di rafforzare le nostre virtù, impareremo che il bene fa bene e da gioia, sapremo dire con parole nuove cose che appartengono ad una saggezza antica, ma solida e collaudata.

Soprattutto però, faremo questo nell’ottica di un cammino che porta il passo della nostra vocazione. Le nostre virtù e i nostri vizi infatti, ci dicono molto di noi, ci aiutano a conoscerci nella concretezza, ci danno le coordinate per definire dove possiamo andare, dove vogliamo andare, dove ci sentiamo chiamati ad andare!

Non temiamo allora di attraversare la foresta che può essere il nostro cuore, imparando a conoscere di quali piante possiamo nutrirci e quali sono velenose. Sulla nostra pelle abbiamo già avuto il piacere o il dispiacere di incontrarne alcune. Se abbiamo provato invidia, ci saremo accorti da soli di quanto ci faccia male, ma forse non abbiamo considerato l’antidoto della carità. Forse abbiamo fatto esperienza che la mitezza ci ha permesso di risolvere felicemente una questione che sarebbe invece diventata ingestibile se ci fossimo lasciati prendere dall’ira. Forse considerando queste cose alla luce della preghiera, nell’ascolto della Parola, nel confronto con i nostri fratelli e le nostre sorelle, ci apparirà più chiaro il disegno di Dio per noi, sentiremo più vicino il suo amore, impareremo a camminare con gioia ed umiltà. Accettare che nel nostro cuore convivono vizi e virtù, e che è necessario lottare per imparare a scegliere queste ultime, per essere chi siamo veramente, per poter sentire che in noi abita la vita, è il primo passo per la vittoria.