Il dio vuoto

Il sistema dei Mercati, con la finanza speculativa che domina su tutto il mondo, si sta mangiando vive l’umanità e la  natura. Questo sistema opera ed è obbedito come un dio. Un dio vuoto, fatto di denaro che circola, si moltiplica o si  brucia e, circolando, rovina la vita delle persone e del mondo vivente. Eppure in questa emergenza disastrosa governi,  istituzioni, stampa e opinion-leaders continuano a pretendere che si faccia qualunque sacrificio per accontentare  l’infinita avidità dei Mercati. Anche i sindacati (in particolare la Cisl con un fervore incomprensibile) e i partiti del “centro-sinistra” restano docili all’incantamento e si uniscono al coro che intima di rassicurare i Mercati. Non fanno l’unica cosa che sarebbe loro responsabilità fare per il Paese: progettare e promuovere una cultura della giustizia  sociale e una politica di democratizzazione dell’economia che — attraverso un cammino arduo che dovrà coinvolgere  gli altri Paesi del mondo — permetta di uscire da questa gigantesca trappola per topi che è il capitalismo finanziario  globale. Se in un organismo alcune cellule cominciano a diventare cancerose, non è che le altre, per omologazione, si mettono a diventare malate pure loro. Al contrario, bisogna sviluppare le difese, resistere alla distruzione che vuole avanzare e attivare le forze di guarigione.

un vortice pericoloso

La trappola in cui siamo caduti, preparata da decenni di fede assoluta nel denaro e nel mercato, è sì un dispositivo  concreto e ubiquo, ma rimane pur sempre una costruzione culturale. Gli ostacoli che si frappongono alla liberazione,  alla sicurezza sociale, alla giustizia, a una società più umana e al rispetto della natura sono in primo luogo ostacoli di  ordine culturale, che riguardano la mentalità collettiva, la credulità, la malafede di alcuni e l’ottusa “buonafede” di  moltissimi. Le voci che con lucidità hanno studiato i totalitarismi del Novecento (da Horkheimer e Adorno a Foucault,  da Arendt a Girard) ci hanno avvertito: il sistema organizzativo che più minaccia la libertà umana e la vita comune,  quello più pericoloso per forza, capacità di sovranità e di ricatto, è il sistema economico. Oggi siamo presi nel vortice  del disastro permanente che esso causa senza riguardo per nessuno.

Che fare dunque ?

È evidente che serve urgentemente una risposta saggia, lucida, rigorosa, fatta di un accordo politico internazionale per  bbattere il potere dei Mercati e riportarlo sotto norme drastiche; per togliere potere di giudizio alle agenzie di  rating e demolire il mito della loro neutrale oggettività; per stabilire un assetto fiscale proporzionale alle ricchezze  effettivamente possedute; per tutelare il lavoro e i diritti di chi lavora, per garantire i servizi vitali e i beni comuni.  Questa politica deve essere intrapresa intanto su scala nazionale. Occorre che ogni governo e ogni Paese comincino a muoversi in questa direzione dando concretezza e credibilità alla possibilità di un nuovo patto internazionale. È ormai  chiaro che la famosa e attesa riforma delle Nazioni Unite non può essere una ristrutturazione interna di questo  organismo, ma è anzitutto un accordo inedito tra gli Stati del mondo per l’adesione comune alla democrazia intesa  anche come democrazia economica, in modo che il mercato non possa più essere una macchina a-umana impazzita che  roduce vittime ogni giorno. Una svolta del genere richiede una convergenza interculturale sulla visione comune di  una società umanizzata, equa, la cui logica ispiratrice non sia più quella che porta a scommettere sulla rovina di  quasi tutta l’umanità e della natura. Se questa è la prospettiva del cambiamento indispensabile a livello internazionale  — quanto mai difficile, delicata, lunga, ma pur sempre l’unica che abbiamo — rimane ancora, per ognuno di noi, nella  vita quotidiana, la domanda: che fare? La risposta dev’essere costruita con il contributo di molti e ognuno può dare un apporto prezioso. Io proporrei un piccolo decalogo.

un vero decalogo

1. Risvegliarsi, smettendo di consentire con questo sistema e rendendosi conto di quanto sia assurdo e violento.

2. Informarsi, sviluppare l’analisi critica e prendere la parola ovunque per aiutare gli altri a uscire dall’incantamento  del dio vuoto.

3. Agire, nelle scelte e nei comportamenti quotidiani, il più possibile secondo altri criteri, diversi da quelli del denaro, della competizione, dell’accumulazione. Questo significa privilegiare gli affetti, la solidarietà, gli  imperativi della giustizia, l’ospitalità, l’armonia, la cura per creature e relazioni, la bellezza, la fedeltà alla felicità vera.

4. Educare i figli testimoniando che il senso della vita esiste e non è il denaro, educandoli a un modo di esistere del  tutto alternativo alla stupidità dell’homo oeconomicus.

5. Creare o rafforzare nella vita di ogni giorno “zone franche” dove le persone, le relazioni, i doveri e i diritti, i sentimenti e gli affetti contano più del denaro, del potere e dell’interesse.

6. Ritrovarsi con altri (parenti, amici, vicini, persone che sono intenzionate a costruire la cultura della liberazione) per capire cause e conseguenze della crisi, per  trovare insieme comportamenti e stili di vita biofili e non necrofili.

7. Stabilire relazioni di amicizia, di reciprocità, di  giustizia con le vittime del sistema: poveri, migranti, mendicanti, licenziati, esuberi, irregolari e marginalizzati.

8 .   Agire nello spazio pubblico (nel proprio quartiere o comune, nella scuola, nei luoghi di lavoro, sui mezzi di informazione, nelle comunità o associazioni di cui si fa parte) facendo della giustizia, che allestisce condizioni di vita  umane per tutti, il metodo per prendere decisioni e per organizzare la convivenza sociale.

9. Sviluppare nella manualità, nel pensiero, nella conoscenza, nelle relazioni un modo creativo di porsi e di fare,  perché ogni espressione di autentica creatività è in sé alternativa al sistema del dio vuoto, che si riproduce soffocando  le facoltà creative degli esseri umani.

10. Fare pressione in ogni modo nonviolento e costituzionale per spingere amministratori, istituzioni, partiti e  sindacati a onorare la loro responsabilità verso il bene comune, anziché fare i collaborazionisti con il Grande Ricattatore.
Sono tutti piccoli passi realizzabili ogni giorno. Di per sé non risolutivi, ma messi insieme ai passi di tanti sono capaci di  prire la strada del cambiamento lì dove ora sembra sussistere solo un muro invalicabile. E sono passi che servono a  non collaborare con un sistema che pratica, per via finanziaria, l’omicidio e la distruzione di ogni condizione della  felicità per cui siamo nati

in “Mosaico di pace” del novembre 2011

“C’è Dio nella malattia”


intervista a Gianfranco Ravasi, a cura di Andrea Tornielli

«La dimensione antropologica e teologica della malattia: Il Signore guarisce tutte le malattie (Salmo 103,3)».

È il tema  del convegno dell’Associazione medici cattolici italiani che si apre questa mattina al Centro congressi Assolombarda di  ilano. Dopo l’introduzione del professor Giorgio Lambertenghi Deliliers, la prima parte del convegno vedrà  confrontarsi Alessandro de Franciscis, Presidente del «Bureau Medicale» di Lourdes, la psicoterapeuta Paola Bassani e  padre Carlo Casalone, Superiore provinciale d’Italia dei gesuiti. Nella seconda parte si terranno le relazioni di Massimo  Cacciari (su «Malattia e male») e del cardinale Gianfranco Ravasi. Le conclusioni sono affidate al professor Alfredo  Anzani, della Pontificia accademia per la vita.

«Vengo invitato sempre più spesso a convegni medici: sta crescendo la consapevolezza che la malattia e il dolore sono  un tema globale e simbolico, non soltanto fisiologico. L’accompagnamento umano, psicologico, affettivo e spirituale è  tutt’altro che secondario. C’è bisogno di tornare a una concezione umanistica della medicina».

Il cardinale Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio consiglio per la cultura, è abituato a confrontarsi con chi non crede. Ma di fronte alla domanda drammatica sul perché della sofferenza e del dolore – tema del convegno organizzato  oggi a Milano dai Medici cattolici – non si rifugia nelle formule di rito.

Come risponde al quesito sul perché della malattia?
«La scrittrice americana Susan Sontag nel 1978 raccontò la sua esperienza di ammalata di cancro in un libro intitolato  “La malattia come metafora”. Definizione interessante: la malattia non è mai solo una questione biologica. Quando  siamo ammalati abbiamo bisogno di essere confortati, guardiamo alla vita in modo diverso, cambiano le priorità e se la  alattia si aggrava cambia la scala dei nostri valori. E anche chi non crede può arrivare a chiedere a Dio il perché di  quanto gli accade.
Comunque la prima risposta è semplice, logica e razionale».

Qual è la «razionalità» iscritta nella malattia?
«Il dolore è una componente della finitezza delle creature. Un dato che nella nostra società orgogliosa e tecnologica,  che qualcuno ha definito “post-mortale”, non si vuole accettare. Si occulta in tutti i modi la morte, o magari si insegue  la possibilità di vivere fino a 120 o 130 anni, continuando ad allontanare l’appuntamento. Dobbiamo invece avere il  coraggio di guardare in faccia malattia e morte come componenti dell’esistenza».

Una capacità che sembra perdersi in Occidente, ma che è ancora presente in altre culture…
«È vero. Quando ero in Iraq a fare degli studi archeologici, un giorno uno dei miei collaboratori locali mi invitò a casa  sua, così avrei potuto vedere suo padre che stava morendo. Ci andai e vidi quel vecchio adagiato al centro dell’unica  grande stanza della casa, con le donne che cucinavano da un lato e i bambini che giocavano dall’altro e che ogni tanto  si avvicinavano al nonno per toccargli la mano».

La coscienza della finitezza non basta a spiegare il dolore innocente, la malattia dei bambini,
la sorte che si accanisce con chi ha già sofferto.

«Il problema è la distribuzione del male. Resta drammatica quella pagina de “La peste” di Albert Camus, dove davanti  alla morte di un bambino si afferma: non posso credere a un Dio che permette questo. È l’eccesso del male. Qui ha inizio  a frontiera in cui si attestano le religioni con le loro  risposte, che non esauriscono il mistero. Nel Libro di  Giobbe, al culmine della disperazione umana, Dio parla e spazza via tutte le spiegazioni e i tentativi di razionalizzare. La  oluzione può essere solo meta-razionale, globale e trascendente e si trova nell’incontro con Dio».

La risposta del cardinale Ravasi?
«È quella cristiana, totalmente diversa dalle altre religioni. Perché nel cristianesimo è Dio stesso, in Cristo, che non  solo si piega verso di noi per spiegarci il significato della sofferenza, non solo in qualche caso guarisce grazie alla sua  onnipotenza con i miracoli, ma entra nella nostra umanità e prova tutto il dolore dell’uomo. Il dolore fisico, morale, la  paura, il silenzio del Padre. E alla fine anche la morte, che è la carta d’identità dell’uomo, non di Dio. Diventa un  cadavere, senza mai cessare di essere Dio, soffre tutta la sofferenza umana e vi depone un germe di trasfigurazione, che è la resurrezione, fecondando la nostra natura mortale».

Questo però non cancella e il dolore né la domanda. Anche per chi crede.
«Gesù Cristo, il Figlio di Dio non è venuto a cancellare il dolore, tant’è vero che lo ha vissuto. Ma lo ha assunto su di sé  e trasfigurato con il germe dell’infinito, che è preludio d’eternità per noi. Il cristianesimo è una religione fieramente  carnale e vicina al dramma di chi soffre – al contrario di tante altre religioni – perché per i cristiani Dio è diventato un  uomo ed è morto in croce. I cristiani, come attesta la nascita degli ospedali, hanno sempre avuto questa attenzione  verso i malati, perché credono in un Dio che è stato sofferente, ha conosciuto la morte ed è risorto».

Il suo dicastero ha organizzato di recente un convegno dedicato alle staminali adulte, via alternativa all’uso di quelle embrionali. Chiesa e scienza si possono ritrovare insieme?
«L’utilizzo delle cellule embrionali sta ottenendo risultati minimi rispetto a quelli ottenuti con le staminali adulte: si  cancella così il luogo comune che ci attribuisce la responsabilità di non voler alleviare le sofferenze di tanti malati.  Proprio le staminali adulte, che non hanno alcuna controindicazione di tipo etico, stanno portando risultati  incoraggianti in campo oncologico, e contro il Parkison e l’Alzheimer».

 

in “La Stampa” del 26 novembre 2011

Una scuola dove nessuno vuole andare ad insegnare

NAPOLI Alla scuola Viviani ci sono 27 cattedre libere ma nessuno ci vuole andare ad insegnare. Già, perché la Viviani non si trova in una zona “normale” ma al Parco verde di Caivano, un quartiere popolare in provincia di Napoli che di verde ha solo il nome ed è ritenuto un fortino della criminalità organizzata. E i professori si rifiutano di andare.

UNA PRESIDE CHE RESISTE

A chi chiede spiegazioni alla preside Eugenia Carfora scopre che qui, la preside, fa anche l’insegnante, la segretaria e la bidella. Perché neanche il personale non docente ci vuole venire a lavorare. La segreteria è chiusa a chiave, dall’inizio dell’anno sono senza amministrativi. Quando arriviamo a scuola troviamo solo 7 docenti su 34 e un numero impressionante di professori in malattia. Per la stessa cattedra di Italiano sono arrivati a pagare fino a 8 docenti. Ma neanche il tempo di sedersi dietro alla cattedra e si sono messi tutti in malattia. Gli altri in graduatoria, invece, rifiutano l’incarico. Al Provveditorato agli studi di Napoli dicono che hanno le mani legate, questa è la normativa e per le zone a rischio non è prevista alcuna eccezione. «Sono arrivata da appena 5 mesi – dice la dirigente Luisa Franzese -. Prometto che alla prima occasione farò visita al Parco Verde” di Caivano». Nel frattempo, un giro in questa scuola di frontiera lo abbiamo fatto noi. In classe ci sono pochissimi banchi. L’evasione scolastica è al 49 %. Nel quartiere gli adolescenti rappresentano manovalanza per la criminalità organizzata. Peri i genitori la scuola è l’ultimo dei pensieri. Ogni famiglia ha almeno un parente in carcere. Quei pochi alunni che frequentano sono quelli che la preside preleva ogni mattina di casa in casa, andando a bussare alle porte di questo quartiere che altri evitano persino di attraversare con la macchina. Ma non tutti hanno gradito. Anzi, quasi subito è partita la contestazione nei suoi confronti.

«BANCHI RUBATI E PISTOLE IN AULA»– Al suo primo giorno di scuola la Carfora trovò tutto sottosopra. Nemmeno i banchi in aula c’erano. Di notte qualcuno li rubava e poi li rivendeva. In una delle aule trovarono nascoste persino delle pistole. «A molti non va a genio la preside perché è un tipo tosto – dicono alcune mamme nel quartiere -. Noi sappiamo solo che senza la sua determinazione i nostri figli a quest’ora starebbero in mezzo alla strada. Senza contare che prima che arrivasse lei questa scuola sembrava uno scantinato: puzzava di urina e c’erano topi ovunque. Lei s’è rimboccata le maniche e l’ha ripulita da cima a fondo». Giorni fa la preside lanciò un appello: «Non abbandonate la mia scuola nelle mani della criminalità». Hanno risposto centinaia di prof da tutta Italia, che qui verrebbero ad insegnare per davvero. Ma per il ministero ci sono le graduatorie da rispettare e sulla carta non c’è distinzione tra fannulloni e docenti. Da mesi scrive al ministero dell’Istruzione chiedendo una diversa procedura per l’assegnazione del personale nelle scuole a rischio. Nessuna risposta. Al suo fianco si è ritrovata solo la parte sana del quartiere, magari minoritaria, ma che ha voglia di cambiare e spera che arrivi qualcuno a dare man forte alla dirigente di ferro. Ma per il momento sono arrivate solo minacce e insulti, compresa una pagina su facebook dal titolo eloquente: «Ti odiamo a morte preside!». Firmato: Parco Verde.

Antonio Crispino21 novembre 2011

 


Allegati

 

 


Scienza e cura della vita: educazione alla democrazia

 

VIII convegno nazionale delle associazioni locali Scienza&Vita

 

Pubblichiamo stralci della lectio magistralis del cardinale arcivescovo di Genova e presidente della Conferenza episcopale italiana che il 18 novembre scorso ha aperto a Roma “Scienza e cura della vita: educazione alla democrazia”, VIII convegno nazionale delle associazioni locali Scienza&Vita. Alla tavola rotonda, moderata dal direttore di “Avvenire” Marco Tarquinio, hanno partecipato gli onorevoli Angelino Alfano, Pier Luigi Bersani, Pier Ferdinando Casini, Roberto Maroni

 

Nella gabbia invisibile del narcisismo

“Siamo tutti consapevoli della delicatezza dell’argomento in gioco, così come delle visioni diverse che spesso si confrontano, tanto da essere considerata – la vita umana – uno di quegli argomenti “divisivi” di cui è meglio non parlare, come se l’ordine sociale, basato sulla giustizia, potesse reggersi sull’ingiustizia che deriva dal non affrontare ciò che fondamentale, consapevoli che, storicamente, “se non abbiamo fatto abbastanza nel mondo, non è perché siamo cristiani, ma perché non lo siamo abbastanza” (Cei, La Chiesa Italiana e le prospettive del Paese, 1981, n. 13).
Tutti ci rendiamo conto che siamo dentro ad una crisi internazionale che non risparmia nessuno, e che nessuno, nel mondo, può atteggiarsi da supponente maestro degli altri. I grandi problemi dell’economia e della finanza, del lavoro e della solidarietà, della pace e dell’uso sostenibile della natura, attanagliano pesantemente persone, famiglie e collettività, specialmente i giovani. Su questi versanti, che declinano la cosiddetta “etica sociale”, la sensibilità e la presenza della Chiesa sono da sempre sotto gli occhi di tutti. Fanno parte del messaggio cristiano come inderogabile conseguenza: “Chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1 Giovanni, 4, 20). ? una rete che si avvale di risorse provvidenziali e di quell’amore gratuito che nessuna legge può garantire poiché l’amore viene dal cuore e dall’Alto.
Ma oggi dobbiamo puntare la nostra attenzione sulla vita umana nella sua nudità: è evidente che gli aspetti citati fanno parte dell’esistenza concreta di ogni persona, ma essi non devono oscurare la vita nei momenti della sua maggiore fragilità e quindi di più pericolosa esposizione. Per questo credo sia inevitabile allargare, seppur brevemente, l’orizzonte per poter meglio affrontare il tema della vita umana nella sua assoluta indisponibilità o, se si vuole, sacralità. Per poter parlare di qualcosa, infatti, bisogna innanzitutto chiederci se esiste qualcosa fuori di noi. E, se esiste, possiamo conoscerla? Oppure siamo dentro ad una realtà unicamente costruita dal soggetto pensante, siamo alle prese solo con le nostre opinioni individuali, senza una presa diretta sulla realtà oggettiva? È il problema antico ma non scontato della conoscenza. Come rispondere? Dando fiducia al mondo e all’uomo! La conoscenza, infatti, parte da un atto positivo, di fiducia: fa appello al senso comune, all’esperienza universale. È più naturale, logico, istintivo, porre questo atto di fiducia oppure sfiduciare l’universo? È dunque un atto di sintonia, di comunione preriflessa con il mondo il punto di partenza del nostro rapportarci con il mondo, non il rinchiuderci nel sospetto e nel dubbio metodico e universale che – forse con aria di profonda intelligenza – accusa di fanatismo chi affermi che la verità esiste ed è conoscibile. La storia umana della conoscenza – nonostante grovigli a volte sofferti – corre sostanzialmente su questo filo e testimonia che, ogni qualvolta lo scetticismo si è imposto, gli esiti personali e sociali non sono stati più felici.
Il figlio di questo atteggiamento è lo scetticismo che genera inevitabilmente quel nulla di significato e di valore, quello svuotamento della vita e del mondo che già Nietzsche aveva annunciato. In realtà egli lo fa derivare dalla dichiarata “morte di Dio”, ma quando la ragione viene cancellata dall’orizzonte, anche la fede si indebolisce: “Cerco Dio! cerco Dio! Dove se n’è andato Dio? – gridò – ve lo voglio dire! Siamo stati noi ad ucciderlo: voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto? Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino all’ultima goccia? Che mai facemmo a sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov’è che si muove ora? Dov’è che ci muoviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla?” (Nietzsche, La gaia scienza, Mondadori 1971, pagg. 125-126). Il nichilismo di senso e di valori nasce da una visione materialista dell’uomo e del mondo, e si alimenta allo spettro ridente del consumismo che porta a concepire l’esistenza come una spasmodica spremitura di soddisfazioni e godimenti fino all’estremo. Ma ben presto – lo vediamo nella cronaca – ne deriva una immane svalutazione della vita. Essa non è più custodita dal sigillo della sacralità e così quando non è più gradita o risulta faticosa la si vorrebbe eliminare.
Oggi si tende a pensare che, sul piano dell’etica, ognuno è costruttore di ciò che per lui, soggettivamente, ha importanza e significato; che il nostro compito è quello di comporre i diversi, a volte opposti, valori; che l’importante – quando va bene – è disturbare gli altri il meno possibile. Ma non esiste qualcosa a cui l’uomo possa rifarsi nella sua conoscenza e quindi adeguarsi raggiungendo così la verità? È fuori dubbio che non pochi di quelli che chiamiamo valori appartengono alla sfera della soggettività individuale e sociale. Ma è tutto solo così? Non esiste nulla di oggettivo in grado di essere metro della verità morale, che possa regolare, normare i miei comportamenti? Di solito, fino ad un certo punto di questo ragionare tutti si è concordi, ma quando entra in gioco la questione del “valido per tutti”, allora si accende una spia e sorge in noi una trincea difensiva quasi si sentisse in pericolo la propria libertà individuale, nervo sensibile dell’anima moderna.
Se l’uomo si realizza attraverso l’esercizio della propria libertà (in actu exercito), bisogna chiederci se qualunque forma di esercizio realizza la persona oppure no. A ben vedere, come qualunque agire non si qualifica da sé ma è qualificato da ciò verso cui tende – camminare per fare una passeggiata non è lo stesso che camminare per andare a fare una rapina – così la libertà, se per un verso è valore in se stesso in quanto è condizione di responsabilità, per altro verso non è la sorgente della bontà morale. Il fatto che un atto sia una mia scelta non qualifica l’agire come buono, vero, giusto.
Inoltre, non bisogna dimenticare che la bontà e il male morale non sono astrazioni lontane alle quali sacrificare gli uomini nei loro desideri individuali; il bene è tale perché mi fa crescere come persona mentre il male mi diminuisce nella mia umanità. Oggi la tendenza diffusa è rendere la libertà individuale un valore assoluto, sciolto non solo da vincoli e norme ma anche indipendente dalla verità di ciò che sceglie; in tale modo però essa si rivolta contro l’uomo e perde se stessa, diventa prigioniera di se stessa come ogni personalità narcisista. Ecco perché il Signore Gesù ricorda che la verità libera la libertà e rende libero l’uomo. Oggi vi è una certa allergia per ciò che si presenta come assoluto, cioè oggettivo, universale e definitivo: sembra di sentirsi come in una gabbia insopportabile. Ma, dobbiamo chiederci, qual è la vera prigione: l’assolutismo di una libertà individualista o l’assolutezza della verità?”.

(©L’Osservatore Romano 20 novembre 2011)

 

 

Il Card. Bagnasco a “Scienza & Vita”
Se la vita rimane miracolo indisponibile

“Dalla responsabilità e dai modi di affronto della vita nei suoi vari momenti si ha una prima e decisiva misura del livello umano della convivenza”. La Lectio Magistralis del Card. Angelo Bagnasco ha aperto venerdì 18 novembre a Roma l’ottavo Convegno nazionale dell’Associazione Scienza & Vita.
Punto cruciale, ha ricordato il Presidente della CEI, è “se la libertà individuale abbia o non abbia qualcosa di più alto a cui riferirsi e a cui obbedire” e che ne fonda l’assoluta indisponibilità.

file attached 2011.11.18 Relazione Scienza e Vita.doc

 


Le competenze dei quindicenni europei

 

Verso Lisbona 2020: il punto su Matematica

 

Sono stati pubblicati nei giorni scorsi, a cura della Commissione europea, due rapporti che raccolgono gli esiti delle ultime rilevazioni internazionali relative alle competenze dei 15enni europei in scienze e in matematica.

Androulla Vassiliou, commissario europeo per l’istruzione, la cultura, il multilinguismo e la gioventù, nell’introduzione al volume dedicato alla matematica, sottolinea l’importanza strategica per i giovani di una solida cultura in questo campo, non solo per rispondere ad un interesse personale, ma anche per un utile impiego nel lavoro e nella vita quotidiana.

Il rapporto prende in considerazione l’impatto delle modalità di insegnamento della matematica nei diversi sistemi scolastici, anche con l’intenzione di suggerire una migliore diffusione di buone pratiche a sostegno dei percorsi di insegnamento.

L’Europa assiste ad una costante diminuzione di studenti nelle facoltà matematiche, scientifiche e tecnologiche, oltre al permanere di un annoso squilibrio nel numero di studenti e studentesse frequentanti questo tipo di facoltà.

L’attuale crisi finanziaria rafforza il convincimento che sia di cruciale importanza un’attenzione e una cura crescenti per l’istruzione scientifica e matematica che permetta alle giovani generazioni di affrontare le problematiche future con un sicuro bagaglio di conoscenze.

Il volume ricorda che le rilevazioni internazionali, fin dal 2009, hanno indicato per i 15enni europei scarse competenze matematiche e stabilito, per il 2020, una riduzione nel numero dei ragazzi insufficientemente preparati di almeno il 15%.


tuttoscuola.com venerdì 18 novembre 2011

 

 

Verso Lisbona 2020: il punto sulle Scienze

 

Tra le più recenti pubblicazioni della Commissione europea, va considerata quella che raccoglie in un complesso organico le rilevazioni sulle competenze in Scienze dei 15enni dei 31 Paesi europei solitamente coinvolti nelle rilevazioni internazionali.

L’insegnamento scientifico fa parte delle competenze chiave che debbono possedere i giovani cittadini europei, tuttavia lo studio evidenzia come solo 8 Paesi abbiano delle strategie didattiche nazionali complessive per la promozione di questa disciplina.

Pochi inoltre sono i Paesi che pongono in essere politiche specifiche per equilibrare la percentuale di studenti e studentesse coinvolti negli studi scientifici o per incoraggiarli ad abbracciare carriere scientifico – tecnologiche.

Di contro, si rileva che due terzi dei Paesi che hanno partecipato alle rilevazioni indicano vari soggetti specializzati a livello nazionale in grado di organizzare formazione, aggiornamento per insegnanti e iniziative dedicate agli studenti.

Per quanto riguarda la didattica, tutti i Paesi, Italia compresa, iniziano ad insegnare Scienze con un approccio integrato e multidisciplinare, salvo poi, durante la scuola secondaria di secondo grado declinare l’insegnamento scientifico per singole discipline come la chimica o la biologia.

Un approccio ancora forse troppo strettamente disciplinaristico è presente, in molti casi, anche all’università dove gli studenti hanno maggiore libertà nello scegliere i soggetti all’interno dei programmi di studi.

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tuttoscuola.com venerdì 18 novembre 2011

 

La sapienza della croce: Seminario di studio

Pontificia Università Lateranense – Cattedra Gloria Crucis

Seminario di studio

Martedì, 13 Dicembre 2011



LA SAPIENZA DELLA CROCE

COME RISPOSTA ALLA DOMANDA DI SENSO

 

Sessione mattutina


Moderatore: Prof. Lubomir Zak, vice decano della Facoltà di Teologia

Ore 9, Saluto del Prorettore della Pontificia Università Lateranense, mons. Patrick Valdrini,

Delegato dell’Università per le Aree di Ricerca e le Cattedre Autonome.

Presentazione del Prof. Fernando Taccone cp, Direttore della Cattedra

ore 9,30           Relazione: LA RICERCA DI SENSO E IL MESSAGGIO DELLA CROCE NELL’ANTROPOLOGIA CONTEMPORANEA: aspetto teologico, Sua Ecc. Mons. Ignazio Sanna, Arcivescovo di Oristano.

 

Dialogo


ore 11,00         Intervallo

ore 11,30         Comunicazione: Approccio biblico al tema: Dal silenzio alla parola della croce nell’epistolario paolino: ragioni e conseguenze, Antonio Pitta, docente alla Pontificia Università Lateranense

Comunicazione: Approccio patristico al tema, La ‘ricerca di senso’ e il messaggio della Croce. L’approccio patristico, da Giustino a Origene, S.E.Mons. Enrico dal Covolo sdb,  Rettore magnifico della PUL.

 

Dialogo


ore 13.00        Pausa pranzo, è disponibile la mensa universitaria.

Sessione pomeridiana

ore 15.00         Relazione: LA RICERCA DI SENSO E IL MESSAGGIO DELLA CROCE NELL’ANTROPOLOGIA CONTEMPORANEA: aspetto filosofico-culturale, Mons. Prof. Antonio Livi, Pontificia Università Lateranense

 

Dialogo


ore 16,15         Intervallo

ore 16,45         Tavola rotonda con esperienze a confronto e dialogo

Grazia Maria Costa, Preside della Scuola Edi.S.I., Istituto Edith Stein: Momenti di  fatica e di rimotivazione nella Vita Consacrata.

Chiara Amirante, fondatrice Nuovi orizzonti: Vivere la gioia nella sofferenza.

P. Eligio Gelmini ofm, fondatore Mondo X, “Sono forse io il responsabile di mio  fratello”

ore 18.00        Fine lavori

Futuro dell’umanità

Tutti vorrebbero conoscere il futuro dell’ umanità. È più di una semplice curiosità o di un sfizio dell’ immaginazione. Si tratta di un bisogno arcano, da sempre nascosto nel profondo delle aspirazioni di ciascuno. Gli strumenti statistici e le analisi della società, tuttavia, riescono oggi, malgrado l’ invalicabilità del limite, a dirci qualcosa su come sarà probabilmente il mondo di domani. O, almeno, come potrebbe presentarsi la condizione di vita sulla Terra, se i parametri attuali rimanessero costanti. Cosa evidentemente insicura. È questo l’ argomento dell’ importante rapporto di quest’ anno del Fondo dell’ Onu per la popolazione. Il quadro che emerge sul futuro dell’ umanità appare veramente molto interessante. Intanto si conferma un dato del presente che riguarda il censimento complessivo. Dal 31 ottobre il nostro pianeta ha 7 miliardi di abitanti, un miliardo in più rispetto a 12 anni fa e 6 rispetto all’ Ottocento. Fin qui abbiamo a che fare non con le previsioni ma con una constatazione di base. L’ aumento demografico si consolida. Tanto che, se i tassi di crescita resteranno gli attuali, gli inquilini della Terra toccheranno nel 2100 la quota di 15 miliardi. Ma sappiamo anche che la tendenza attuale – come è già avvenuto prima – decrescerà nel futuro. Una prima riflessione s’ impone e riguarda la distribuzione degli incrementi che coinvolgono l’ emisfero nord in modo sensibilmente inferiore rispetto a quello centrale e meridionale. Nell’ Europa Occidentale ci sono oggi 170 abitanti per chilometro quadro. Nell’ Africa subsahariana 70. Maa nessuno viene in mente di affermare che in Europa ci sono troppe persone. Le ragioni macrodemografiche sono ovviamente complesse, coinvolgendo sia gli atteggiamenti economici che le identità culturali. In ogni caso il ritmo di aumento delle natalità, con il concorso effettivo della vita media, connesso con l’ invecchiamento occidentale, contribuirà di sicuro ad una forma di mescolamento migratorio inevitabile. Il documento delle Nazioni Unite, tuttavia, guarda soprattutto alle probabili modalità di configurazione dell’ ordine sociale dell’ avvenire. Si è registrato una costante intensificazione della mobilità, non soltanto da Paese a Paese, ma anche tra i diversi continenti. E, cosa abbastanza significativa, un processo di urbanizzazione crescente che si realizzerà in modo massiccio nei prossimi 40 anni. Qui si indica già un campo su cui attivare politiche adeguate, viste le tendenze all’ accentramento di popolazione di vasta scala nelle città. D’ altronde, il ruolo politico delle grandi metropoli sta diventando sempre più consapevolmente un perno del processo d’ integrazione democratica. Qui s’ incontrano demografia e cultura democratica. Il rapporto dà, però, in modo esplicito alcune indicazioni chiare sui giovani, cui è riconosciuto un potenziale enorme a causa del fatto che la metà della popolazione mondiale sarà composta da persone con meno di cinquant’ anni. Poiché l’ 80% proverrà da continenti in via di sviluppo, puntare su istruzione, salute e occupazione è interesse unanime. Stesso discorso anche per la condizione femminile che appare addirittura, tra le righe del resoconto, un elemento chiave per il bene comune dell’ umanità. L’ emancipazione del genere femminile, in costante accentuazione, garantirà insieme all’ acquisizione di un ruolo e di un’ identità specifica delle donne, un protagonismo fondamentale nell’ educazione delle successive generazioni. Due osservazioni di straordinaria rilevanza devono essere accompagnate a questi fatti. In primo luogo la constatazione, valida a livello globale, che non è possibile uno sviluppo complessivo dell’ umanità senza che le dinamiche spontanee siano supportate da interventi precisi e razionali che garantiscano equità nell’ accesso alle risorse. Questo primo punto è imprescindibile per scongiurare catastrofi umanitarie ed esiti negativi in termini di miseria e di impossibile sopravvivenza, specialmente nei Paesi cerniera che hanno rapidamente accesso a tassi di crescita significativi. In secondo luogo, come emerge con chiarezza nelle conclusioni del rapporto, è insensato lavorare su progetti neo-malthusiani di controllo e limitazione delle nascite perché le crisi non verranno certo dall’ aumento della popolazione, ma dalle diseguaglianze culturali, ambientali ed economiche che possono insinuarsi. Per adesso, anzi, è una costante la crescita economica legata alla crescita demografica. Investire in politiche sociali, senza più territori determinati e chiusi, significa trasferire inevitabilmente a livello planetario l’ applicazione di certe prerogative etiche un tempo affidate agli Stati nazionali. Intervenire laddove gli sprechi sono estenuanti, pianificare un controllo degli investimenti, vuol dire garantire un’ espansione dell’ umanità in un mondo vivibile tendenzialmente e senza problemi da tutti. Appare, in tal senso, impossibile non guardare alla famiglia come soggetto sociale privilegiato nel permettere educazione, salute e formazione etica civilizzatrice della prole. Si deve riconoscere, insomma, che solo nel tessuto domestico si formano le categorie etiche fondamentali e si constata la pratica dell’ equa dignità tra i sessi, nonché la fiducia nel grado di umanizzazione che s’ intende diffondere a livello intergenerazionale. Dà comunque soddisfazione, per una volta, intravedere un quadro complessivo in cui non è la crescita di umanità ma la diminuzione d’ immoralità a minacciare il futuro. Un futuro, conviene precisare, che o è umano o non esiste. E per questo può pensarsi anche nel segno dell’ ottimismo.

 

Repubblica

02 novembre 2011 

Halloween, la notte dei relativisti «Un rito che non ci appartiene»

 

L’anatema di due cardinali: snatura le feste della Chiesa.

 

Halloween nemica delle feste cattoliche di Ognissanti e della Commemorazione dei Defunti? Il dilemma si ripresenta da anni ad ogni fine ottobre.
Ma nel 2011 una differenza c’è. Riguarda la durezza con cui l’Arcidiocesi di Bologna del cardinale Carlo Caffarra ha  parlato di «brutta resa al relativismo dilagante», con tanto di nota sull’edizione bolognese di Avvenire, per la  manifestazione organizzata in piazza Re Enzo a base di zucche da intarsiare per Halloween dalla Coldiretti, associazione  di area cattolica. La curia invita a usare le zucche «per la vellutata o il ripieno dei tortelli». A Torino l’arcivescovo  Cesare Nosiglia rincara la dose: «La prossima festa dei Santi e la commemorazione dei fedeli defunti, tanto care alla tradizione anche familiare del popolo cristiano, da anni sono contaminate da Halloween. Tale festa non ha nulla a che  vedere con la visione cristiana della vita e della morte e il fatto che si tenga in prossimità delle feste dei santi e del  suffragio ai defunti rischia sul piano educativo di snaturarne il messaggio spirituale, religioso, umano e sociale che  questi momenti forti della fede cristiana portano con sé. Halloween fa dello spiritismo e del senso del macabro il suo  centro ispiratore».
Vincenzo Pace, docente di Sociologia della religione all’università di Padova, replica con una riflessione ottimista ma  che consegna un dubbio alla Chiesa: «Halloween non ha affatto soppiantato quella di Tutti i Santi. Il culto che la base  cattolica riserva proprio ai Santi è tuttora solidissimo. Io vivo a Padova e vedo cosa avviene ogni giorno alla Basilica di  ant’Antonio. La tradizione del pellegrinaggio perdura così come, ripeto, non conosce crisi il culto dei Santi. Direi  che resiste più della figura dello stesso Papa…». Affermazione interessante, visto che viene da un sociologo della religione. Pace respinge anche il nodo del relativismo: «Ricordo che le stesse figure dei santi sono relative, ciascuno ha il proprio “ambito” in cui esercita, secondo i credenti, una influenza».
Pippo Corigliano, scrittore (il suo «Preferisco il Paradiso» edito da Mondadori ha superato le 20 mila copie), per  uarant’anni responsabile delle relazioni esterne dell’Opus Dei, si schiera con i vescovi: «Hanno ragione, Halloween è  una moda importata dall’America che, come tutte le mode, inducono alla superficialità. La bonomia buongustaia  bolognese fa capolino anche in questo caso perché la nota della Curia invita a usare le zucche per i tortellini o per la  “vellutata”…». Detto questo, aggiunge Corigliano, «le feste di Tutti i Santi e della Commemorazione dei defunti sono comunque momenti sanamente inquietanti perché inducono a riflettere sull’aldilà. È bene ricordare che Gesù è stato  chiaro: esiste la vita eterna e l’immagine che usa più di frequente per illustrarla è quella del banchetto, cioè una  riunione di famiglia e di amici in cui si mangia e si sta bene assieme». Dunque una festa… «Un modo per far capire che  in Dio staremo bene e non ci mancherà nulla. Sarà come mangiare dei tortellini di zucca e anche meglio. In tutta Italia  si confezionano i dolci dei morti sotto forme molto svariate. L’importante è imitare Gesù nel suo amare tutti, altrimenti  ci sarebbe anche l’inferno col suo “pianto e stridore di denti”. Ma speriamo che l’argomento non ci riguardi».
Più problematico Brunetto Salvarani, teologo e critico letterario, impegnato nel dialogo interreligioso, direttore della  collana Emi «Parole delle fedi»: «Ritengo che il problema sia più ampio della questione legata ad Halloween e a una  possibile accusa di relativismo. C’è una questione di omologazione del tempo. Fino agli anni immediatamente  successivi alla Seconda guerra mondiale, in Italia gran parte dei credenti erano anche praticanti e, attorno alle  parrocchie, scandivano il tempo della propria vita con le festività». E ora, professor Salvarani? «Tutto diverso.
La pratica nelle chiese è quella che vediamo. Assistiamo a una sorta di nomadismo culturale, religioso e spirituale che  denota una trasformazione complessiva. Occorre porsi il problema se talune festività cattoliche abbiano perso la forza  di “parlare” ai fedeli».
Cosa dovrebbe fare il mondo cattolico? «Ci viene offerta un’occasione per stare dentro questa trasformazione, per  intercettarne i dati eventualmente positivi. La mutazione non dovrebbe vedere la Chiesa cattolica come semplice  spettatrice, se non addirittura come parte ostile. In una contingenza simile, non si può stare l’un contro l’altro armati».

in “Corriere della Sera” del 31 ottobre 2011

“Occupare Wall Street”

Il Vaticano sulle barricate

Alla vigilia del G-20 la Santa Sede invoca un’autorità politica universale che governi l’economia. Per cominciare, chiede che sia introdotta una tassa sulle transazioni finanziarie

 

A sentire padre Thomas J. Reese, professore alla Georgetown University di Washington e già direttore del settimanale dei gesuiti di New York, “America”, il documento rilasciato oggi dalla Santa Sede “è non solo più a sinistra di Obama: è più a sinistra anche dei democratici liberal ed è più vicino alle vedute del movimento ‘Occupare Wall Street’ che di qualsiasi membro del congresso americano”.

In effetti, il documento diffuso lunedì 24 ottobre dal pontificio consiglio della giustizia e della pace invoca niente meno che l’avvento di un “mondo nuovo” che dovrebbe avere il suo cardine in una autorità politica universale.

L’idea non è inedita. Era già stata evocata nell’enciclica “Pacem in terris” di Giovanni XXIII, del 1963, ed è stata rilanciata da Benedetto XVI nell’enciclica “Caritas in veritate” del 2009, al paragrafo 67.

La “Caritas in veritate”, però, diceva molto altro e molto di più e l’auspicio di un governo mondiale della politica e dell’economia non ne era sicuramente il centro.

Qui invece, l’intero documento ruota attorno a questa idea, richiamata fin dal titolo:

> “Per una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale nella prospettiva di un’autorità pubblica a competenza universale”

Quanto di utopico e quanto di realistico ci sia, nell’invocazione di tale governo supremo del mondo, è fatto intravedere dal generale disordine che le cronache dell’attuale crisi economica e finanziaria ci descrivono ogni giorno.

All’ambito del realistico e del praticabile appartiene però uno specifico elemento di innovazione auspicato dal documento: la tassazione delle transazioni finanziarie, altrimenti detta “Tobin tax”.

Il documento dedica ad essa poche righe. E si sa che la proposta è contrastata da forti e argomentate obiezioni. Come pure si sa che la sostengono economisti famosi, quali Joseph Stiglitz e Jeffrey Sachs.

Ma nel presentare il documento alla stampa, la Santa Sede ha deciso di schierarsi con grande risolutezza a favore della “Tobin tax”. Non solo chiedendo di “riflettervi”, come si legge nel documento, ma rispondendo punto per punto alle obiezioni e mostrandone la praticabilità e l’utilità già nell’immediato.

Questa apologia della “Tobin tax” è stata affidata all’economista Leonardo Becchetti, professore all’Università di Roma “Tor Vergata”. Ed egli ha svolto il suo compito con precisione e con ricchezza di dati:

> “L’aspetto positivo delle crisi…”

Sul tavolo dei capi di governo del G-20, che si riuniranno a Cannes, in Francia, il 3 e 4 novembre prossimi, ci sarà dunque questa netta presa di posizione della Santa Sede a favore dell’introduzione della “Tobin tax”, il cui gettito “potrebbe contribuire alla costituzione di una riserva mondiale per sostenere le economie del paesi colpiti dalle crisi”.

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POST SCRIPTUM – Per una critica del documento da parte di un grande economista, vedi in “Settimo cielo”:

> Il professor Forte boccia il temino targato Bertone

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una grammatica ‘esistenziale’ per imparare le lingue

una proposta del prof. Bertagna:

 

Secondo recenti ricerche l’85 per cento dei ragazzi italiani tra i 17 e i 23 anni sostiene di sapere l’inglese. E’ una percentuale alta, simile a quella dichiarata dai coetanei tedeschi e polacchi, e più elevata di quella dei giovani spagnoli e francesi.

E’ ben noto tuttavia che alla conoscenza cosiddetta ‘scolastica’ dell’inglese non corrisponde affatto una effettiva padronanza della lingua, e se ne hanno continue riprove in varie circostanze e a vari livelli. Non per nulla le scuole private di lingua inglese sono assai frequentate, e molto diffusi sono anche i corsi in autoistruzione, Cd, video cassette e lezioni online.

Ma perché la scuola italiana, a differenza di quella di altri Paesi, si attesta su livelli di apprendimento – o meglio di padronanza – così modesti?

Secondo Giuseppe Bertagna, che affronta il problema in una intervista a ilsussidiario.net, la ragione di fondo dell’inconsistenza dell’inglese ‘scolastico’ deriva dal fatto che in Italia si è attuata una “politica delle lingue basata più sull’utilità che sulla formatività delle lingue”, mentre “le persone non vivono solo di utilità, ma innanzitutto di verità”, nel senso che “se l’apprendimento della lingua straniera, come qualsiasi altro contributo di insegnamento, non trova un senso proprio nelle motivazioni e nell’interesse di chi apprende, ha vita breve”. Perciò, se si vuole risolvere il problema, “la lingua straniera deve diventare una verità esistenziale, una modalità di rapporto col mondo”.

Ma la scuola non ce la può fare da sola, come l’esperienza insegna. Perciò occorrerebbe varare un piano per incrementare e stimolare, d’intesa con le famiglie, tutte le occasioni di apprendimento esterne alla scuola, dai viaggi agli stage alla Tv e agli altri media. In questo modo “la scuola ricaverebbe spunti per la sua analisi critico-riflessiva, facendo grammatica non solo formale ma esistenziale”.

A ben riflettere la strategia suggerita da Bertagna per l’inglese – una sorta di curricolo integrato tra scuola ed extrascuola – trova punti di analogia e motivazioni non diverse anche per quanto riguarda l’apprendimento delle e attraverso le tecnologie dell’informazione e comunicazione. I ragazzi imparano a usarle, e con quale facilità e rapidità!, perché così soddisfano un loro bisogno esistenziale prima ancora che subire una ‘materia’ scolastica…




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