Capire la situazione in Iran

La loro religione: lo sciismo Il termine sciita deriva da shi’a (= partito).
Sono seguaci di Alì, cugino e genero di Maometto.
Essi considerano i primi tre califfi usurpatori, perché Maometto designa Alì come suo successore; pertanto può essere imam (= califfo, ma anche teologo e giurista autorevole) solo un discendente di Maometto attraverso la figlia Fatima e suo marito Alì, dopo che Alì fu assassinato nel 661.
Nella dottrina sciita l’Imam è il capo della comunità, dotato dell’Isma cioè l’infallibilità e l’impeccabilità.
Al contrario, non ravvisano l’autorità della Sunna.
Per loro il Corano è il testo sacro immodificabile ed intoccabile, perché parola di Dio.
Essi formano la confessione islamica ufficiale dell’Iran, si dividono in ismailiti, imamiti e in altri gruppi minori.
Respingono la Sunna e professano dottrine segrete e misteriose.
Così, ad esempio, la setta sciita degli imamiti duodecimani ammette l’esistenza storica di 12 imam legittimi, discendenti maschili di Alì e Fatima, impeccabili, infallibili e unici interpreti della legge religiosa.
Il dodicesimo imam MUHAMMAD AL-MAHDI, scomparso nell’878, non sarebbe morto, ma occultato in un luogo misterioso, per ricomparire prima della fine del mondo.
La sua presenza attiva in mezzo ai fedeli avviene attraverso i dottori della legge (= mugtahidun), i più autorevoli dei quali in Iran sono gli ayatollah(e pare che Mahmud Ahmadinejad creda ciecamente nella sua prossima venuta, tanto che “progetta” un’ampia autostrada per accoglierlo: Cfr quotidiani italiani del 19- 20 giugno 2009)) La repubblica islamica La Rivoluzione iraniana del 1979 trasformò la millenaria monarchia persiana in una Repubblica Islamica la cui costituzione si ispira alla legge coranica, la sharia.
Khomeini, capo del consiglio rivoluzionario, assunse di fatto il potere, mentre gli uomini del vecchio regime venivano sommariamente processati e giustiziati a centinaia, il 30 marzo un referendum sancì la nascita della Repubblica Islamica dell’Iran con il 98% dei voti; vennero banditi bevande alcoliche, gioco d’azzardo e prostituzione, iniziarono le persecuzioni contro gli omosessuali e chiunque assumesse comportamenti non conformi alla sharia.
La nuova costituzione prevedeva l’esistenza parallela di due ordini di poteri: quello politico tradizionale rappresentato dal Presidente della Repubblica e dal Parlamento, a cui furono riservati compiti puramente gestionali, e quello di ispirazione religiosa affidato a una Guida Suprema (faqih) coadiuvata da un Consiglio dei Saggi (velayat-e faqih), cui fu demandato l’effettivo esercizio del potere e che riconosceva nell’Islam e non nelle istituzioni il vertice dello Stato(Teocrazia) Venne istituito anche un corpo di guardiani della rivoluzione (pasdaran).
Tra le prime decisioni del Consiglio ci fu l’avvio di massicce espropriazioni e nazionalizzazioni che cambiarono radicalmente la struttura economico-produttiva dell’Iran(M.
Emiliani, M.
Ranuzzi de’ Bianchi, E.
Atzori, Nel nome di Omar.
Rivoluzione, clero e potere in Iran, Bologna, Odoya, 2008).
I poteri in Iran: La Guida Suprema L’architettura istituzionale uscita dalla rivoluzione del 1979 è complessa.
Il punto di riferimento è la Guida Suprema, un religioso, che viene eletto dall’Assemblea degli Esperti, 86 religiosi, a loro volta prescelti a suffragio universale sulla base di liste preparate dal governo.
La Guida Suprema ha un incarico a vita, anche se può essere rimosso in casi eccezionali dall’Assemblea degli Esperti.
Essi hanno un mandato di otto anni, rinnovabile.
Il loro presidente è l’uomo più potente dopo la Guida Suprema ora è ancora Ali Khamenei.
Egli nomina metà dei 12 membri del Consiglio dei Guardiani (gli altri sono laici nominati dal Parlamento), una specie di Corte Costituzionale, che vigila sul rispetto delle regole e seleziona i candidati alla presidenza della Repubblica.
La Guida Suprema designa i comandanti delle forze armate, il capo supremo della Giustizia, i direttori di radio e tv, insedia il presidente della Repubblica dopo le elezioni.
Dopo la morte di Khomeini, nel 1989, la Guida Suprema è sempre stato Ali Khamenei.
Il presidente dell’Assemblea degli Esperti è il suo rivale Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, che comanda anche lo strategico Consiglio per il Discernimento del Sistema (ma è stato rimosso).
In sintesi, la Guida Suprema ha questi compiti: 1.
Delineare le politiche generali della Repubblica islamica dell’Iran, a seguito di consultazioni con il Consiglio nazionale di discernimento delle opportunità.
2.
Supervisione sulla corretta esecuzione delle politiche generali del sistema.
3.
Emanazione dei decreti per i referendum nazionali.
4.
Assunzione del comando supremo delle forze armate.
5.
Dichiarazioni di guerra e pace, e mobilitazione delle forze armate.
6.
Nomina, destituzione e accettazione delle dimissioni di: 1.
i fuqaha’ del consiglio dei Guardiani.
2.
la suprema autorità giudiziaria del paese.
3.
il capo della radio e televisione della Repubblica islamica dell’Iran.
4.
il capo dello stato maggiore.
5.
il comandante in capo del Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche.
6.
i comandanti supremi delle forze armate.
7.
Risolvere le differenze tra le tre armi delle forze armate e regolare le loro relazioni.
8.
Risolvere i problemi che non possono essere risolti con metodi convenzionali, attraverso il Consiglio nazionale delle emergenze.
9.
Firmare i decreti che formalizzano le elezioni popolari per il presidente della repubblica.
10.
Destituzione del presidente della repubblica, con dovuto riguardo agli interessi del paese, dopo che la Corte Suprema lo ha ritenuto colpevole della violazione dei suoi obblighi costituzionali, o dopo un voto dell’Assemblea Consultiva Islamica (il Majles) che ne certifica l’incompetenza in base all’articolo 89 della costituzione.
11.
Condonare o ridurre le sentenze degli incarcerati, all’interno dei criteri islamici, su raccomandazione del capo del sistema giudiziario.
Il capo può delegare parte dei suoi doveri e poteri ad altre persone.
I poteri dello Stato: il Presidente della Repubblica e il Parlamento.
Il Presidente della Repubblica, eletto ogni quattro, anni è il capo dell’esecutivo.
È la più alta carica istituzionale dopo la Guida Suprema.
Ha un ruolo di governo più che di rappresentanza.
Ha in mano la politica economica ed estera, presiede il consiglio dei ministri , ma non controlla le forze armate (che si richiamano alla Guida Suprema).
Mahmud Ahmadinejad, il primo laico dal 1981, è legato fortemente a Khamenei e ai religiosi conservatori.
Ha favorito gli interessi economici del corpo paramilitare dei Guardiani della Rivoluzione, soprattutto nel settore petrolifero, e moltiplicato per 15 i finanziamenti al Consiglio dei Guardiani.
Il Parlamento (Majles) ha 290 membri e conta poco.
Ma può costringere alle dimissioni un ministro.
I Guardiani della Rivoluzione e i Basiji.
I Guardiani della rivoluzione (o Pasdaran) sono uno dei due corpi delle forze armate, sotto un unico comando assieme alle forze regolari.
Ma di fatto bilanciano a favore dei religiosi l’esercito regolare (largamente confitto nella rivoluzione).
Hanno 125 mila uomini.
Il comandante è nominato da Khamenei, che ha consentito, assieme ad Ahmadinejad, la loro espansione nei settori economici statali: di fatto controllano un terzo del Pil.
I Basiji, o difensori degli oppressi, sono una milizia di volontari (una specie di pattuglia all’ennesima potenza).
L’organico è di 90 mila uomini, ma possono mobilitarne un milione.
Sono il braccio armato (di bastoni e coltelli) dei religiosi in caso di repressioni.
I riformisti e Mousavi.
I due uomini forti dell’assetto istituzionale sono la Guida Suprema Khamenei e il presidente dell’Assemblea degli Esperti Rafsanjani.
Entrambi hanno servito come presidenti della Repubblica e si sono costruiti una rete di consenso e di interessi economici.
Khamenei è legato ai Pasdaran e al clero più intransigente, Rafsanjani alle classi commerciali borghesi: ha fatto arricchire parecchi oltre a essersi arricchito.
Rafsanjani venne sconfitto da Ahmadinejad nel 2005, dopo che aveva servito per due mandati negli Anni Novanta.
Gli succedette Mohammad Khatami, la grande speranza dei riformatori.
Hossein Mousavi fu primo ministro tra il 1985 e il 1989, gli anni della guerra con l’Iraq, sotto la presidenza Khamenei.
Ma è poi passato nel campo dei riformatori, facendo riferimento a Khatami e allo stesso Rafsanjani.
Il ruolo degli studenti nelle proteste.
Il 70% della popolazione iraniana ha meno di 30 anni.
Gli universitari di Teheran rappresentano la fascia sociale più occidentalizzata e informata del Paese.
Nel 1999 scatenarono una rivolta repressa nel sangue (decine di morti, moltissimi scomparsi o messi a tacere con minacce).
Il loro obiettivo erano i conservatori e le loro restrizioni (specie nei costumi e nei diritti delle donne).
Presidente della Repubblica era il riformatore Khatami, che però non poteva seguire il programma troppo filo-occidentale degli universitari.
Infatti, prontamente fu tolto di mezzo e rimanere solamente una “bella figura” dell’apparato restrittivo ed indicibilmente oppressivo di qualsiasi giovanile richiesta come cantare, ballare, ritrovarsi in gruppi, truccarsi, liberi di vestire e sposare come si desidera…) Come e cosa succederà nello scacchiere regionale e internazionale.
Ahmadinejad ha ribaltato la politica di appeasement di Khatami con l’Occidente.
La sfida a Israele a gli Stati Uniti, in chiave interna, cementa il consenso tra i Pasdaran (dai quali proviene) le milizie, i religiosi, che a loro volta distribuiscono le prebende statali attraverso la rete di moschee con le loro appendici associative e di mutuo soccorso.
I finanziamenti a Hezbollah in Libano e Hamas a Gaza servono a tenere sotto pressione Israele.
Il nucleare è fonte di orgoglio nazionale e vasto consenso.
Ma Ahmadinejad si è avvicinato al Patto di Shanghai che unisce Russia, Cina e i Paesi dell’Asia centrale (in Tagikistan e Uzbekistan tra l’altro si parla largamente il persiano), ma ha anche stretto rapporti amichevoli con Afghanistan (altro Paese di lingua persiana) e Pakistan.
Il suo viaggio al vertice di Ekaterinburg ha suggellato questo nuovo asse che dovrebbe fornire sbocchi alle esportazioni e mettere a disposizione alta tecnologia Mahmud Ahmadinejad Nato con il nome di Mahmoud Saborjhian nel 1956 nel villaggio di Arādān, vicino Garmsar, figlio di un fabbro, si trasferì con la famiglia a Tehrān quando aveva un anno.
Il cognome di famiglia fu successivamente cambiato in Ahmadinejad, che significa “della razza di Maometto” ovvero “della razza virtuosa”.
E’ sesto e attuale Presidente della Repubblica islamica dell’Iran dal 3 agosto 2005.
E’ stato sindaco di Teheran dal 3 maggio 2003 fino al 28 giugno 2005, ed è un conservatore religioso; prima di diventare sindaco era un ingegnere civile e un professore all’Università Iraniana di Scienza e Tecnologia.
È stato eletto presidente dell’Iran il 24 giugno 2005, al secondo turno delle elezioni presidenziali, battendo il rivale, l’ex-presidente Ali Akhbar Hāshemi Rafsanjāni.
Aḥmadinejād ha spesso mandato segnali discordanti all’opinione pubblica internazionale circa i suoi progetti presidenziali.
Secondo alcuni osservatori negli Stati Uniti, questa linea sarebbe stata studiata per ottenere i consensi sia dei conservatori religiosi, sia delle classi meno agiate.
Il motto usato nella sua campagna elettorale fu: “è possibile e possiamo farlo”.
Nella sua campagna presidenziale ha avuto un approccio populista, con grande enfasi data dal suo semplice stile di vita.
Si è paragonato a Moḥammad ʿAli Rajāi — il secondo Presidente dell’Iran — dichiarazione che ha sollevato obiezioni da parte della stessa famiglia di Rajāi.
Aḥmadinejād sostenne di voler creare in Iran un “governo esemplare per i popoli del mondo”.
Si autodefinisce un “fondamentalista”, ovvero un politico che si ispira ai fondamenti dell’Islam e della originaria rivoluzione islamica in Iran.
Uno dei suoi obiettivi sarebbe quello di “mettere sulle tavole del popolo i profitti del petrolio”, ovvero quello di operare per una redistribuzione delle ricchezze derivanti dalla vendita del petrolio.
Ma non è stato così.
Si è invece espresso apertamente contro gli Stati Uniti d’America.
Ha inoltre dichiarato che le Nazioni Unite sono “unilateralmente schierate contro l’Islam” e si è chiaramente opposto al potere di veto che hanno i cinque Stati membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, dichiarando che “non è giusto che pochi Stati possano imporre il loro veto a decisioni di carattere globale.
Se un tale privilegio deve continuare ad esistere, allora deve essere esteso anche al mondo dell’Islam, la cui popolazione ha raggiunto quasi il miliardo e mezzo di persone”.
Egli é molto noto sin dal tempo della sua elezione come il protetto di Khāmenei.
Durante la conferenza internazionale Il mondo senza sionismo, nell’ottobre 2005, Mahmud Ahmadinejād, citando Āyatollāh Khomeyni (il vecchio leader supremo di Iran) ha detto: «…questo regime occupante Gerusalemme è destinato a scomparire dalla pagina del tempo…», con riferimento allo Stato di Israele (http://www.repubblica.it/2005/j/sezioni/esteri/moriente21/moriente21/moriente21.html).
L’inizio dell’avversione del governo iraniano nei confronti di quello israeliano e la messa della parola fine alle relazioni tra i due paesi vanno collocati nel periodo immediatamente successivo alla Rivoluzione islamica (detta anche “khomeinista”) del 1979.
In occasione del congresso della FAO svoltosi a Romail 3 giugno 2008ha ribadito le sue accuse contro Israele(http://www2.irna.ir/en/news/view/line-17/0806023503151017.htm), suscitando proteste di varie parti politiche in Italia e all’estero.
Non dimentichiamo poi discriminazioni amministrative per gli ebrei che vivono in Iran, come l’assegnazione delle case popolari, gli avanzamenti di carriera, ecc.) e quelle nel diritto penale e civile (la testimonianza in tribunale di un non-musulmano vale la metà di quella di un fedele islamico; se un non-musulmano si converte all’islam incamera l’intera eredità paterna, ecc.).
Molti cittadini iraniani di religione ebraica per sfuggire da questa situazione di emarginazione cercano di lasciare il paese attraverso l’ambasciata israeliana in Turchia (in Iran non ci sono rappresentanze diplomatiche israeliane o americane).
In Israele sono presenti circa 150,000 ebrei di origini persiane, i cosiddetti parsim.).
Durante la Conferenza internazionale sul razzismo denominata “Durban II” e tenutasi a Ginevra il 20 aprile 2009, fu proprio l’esordio dei lavori dell’assise dei delegati ONU che si sciolse in una plateale diserzione dei rappresentanti di alcuni Paesi occidentali (gli Stati Uniti, Israele, il Canada, l’Australia e l’Ita¬lia avevano già deciso di non partecipare alla Conferenza, anche quale effetto della prima conferenza di Durban del 2001 -Conferenza mondiale contro il razzismo- e delle ridotte garanzie offerte in sede di lavori preparatori nella seconda assise).
La pubblica accusa di Ahmadinejād contro Israele (senza citarlo direttamente) fu quella di aver consolidato un governo razzista in Medio Oriente dopo il 1945, utilizzando l’ “aggressione militare per privare della terra un’intera nazione, sotto il pretesto della sofferenza degli ebrei”, e invitando “immigrati dall’Europa, dagli Stati Uniti e dal mondo dell’Olocausto per stabilire un governo razzista nella Palestina occupata”.
Attualmente, egli ha avviato migliori relazioni con la Russia Però il suo non vive una buona situazione interna.
Nonostante Khomeini volesse instaurare una “democrazia islamica”, le milizie popolari del regime e i pasdaran esercitano uno stretto controllo sulla radio e sulla stampa.
Inoltre numerose dimostrazioni di studenti sono state represse.
Come se non bastasse, l’applicazione della legge islamica limita fortemente i diritti delle donne (ad esempio in un tribunale la testimonianza di una donna vale metà di quella di un uomo).
Le minoranze sono perseguitate (adesso perseguita i Curdi, dopo averli sostenuti contro Saddam.
Sotto il profilo economico, la politica di Ahmadinejad è stata finora fallimentare: a causa delle sanzioni, molti generi di prima necessità e beni di lusso scarseggiano.
A causa di ciò, l’inflazione,che al tempo dello Scià Reza Pahlavi era del 12-15% ora arriva al 25-30%.
I pasdaran ormai controllano in pieno la vita del paese; oltre a ispezionare il parlamento, verificano anche i costumi della gente; numerose ditte a loro legate hanno il monopolio degli appalti e delle commesse governative .
All’interno dei guardiani vi è anche una corruzione molto vasta, e molti di essi sono coinvolti nell’importazione clandestina di beni che non possono arrivare legalmente in Iran per via delle sanzioni.
La sua politica finanziaria è sotto attacco ed il presidente è accusato di aver condotto la Repubblica islamica alla rovina finanziaria.
Nel dicembre 2008, Ahmadinejad aveva annunciato che il suo governo aveva stabilito un piano di salvataggio che avrebbe consentito alle classi socio-economiche più deboli di rimettersi in piedi.
Inoltre, a causa del blocco degli scambi iraniani causati dai toni anti-occidentali e anti-israeliani del presidente, l’Iran, quarto estrattore di petrolio al mondo, raziona la benzina perché, vista la mancanza in patria di tecnologie adeguate alla lavorazione del pesante greggio iraniano, s’incontrano difficoltà non di poco conto nel farla raffinare all’estero(Cfr.
: :  Pier Luigi Petrillo, Iran, Il Mulino 2008 http://www.mulino.it/edizioni/foreign_rights/scheda_volume.php?isbnart=12603&id_sezione=815 M.
Emiliani, M.
Ranuzzi de’ Bianchi, E.
Atzori, Nel nome di Omar.
Rivoluzione, clero e potere in Iran, Bologna, Odoya, 2008 ISBN 978-88-6288-000-8.).
Mahmud Ahmadinejad, il piccolo uomo con il vestito grigio e l’aspetto tuttaltro che attraente che ha già governato l’Iran dal 1995 con mano di ferro, pare sia stato eletto come presidente di questo spettacolare Paese, per altri quattro anni.
Si grida ai brogli elettorali( può essere), si manifesta per strade e piazze, anche a costo di pagare con la vita.
L’occidente resta sconcertato di fronte ai tumulti, ai morti, alle inarrendevoli dimostrazioni di non accettazione dei risultati delle elezioni in Iran che vedono “confermato” dall’Autorità Suprema Khamenei, Mahmoud Ahmadinejad che di certo non raccoglie molte simpatie né nei Paesi più sviluppati del mondo, né tra gli stessi iraniani.
Infatti , dalla richiesta della guida suprema della Rivoluzione islamica iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei, di porre fine alle manifestazioni e di accettare i risultati delle elezioni «limpide e trasparenti, l’opposizione è tornata in piazza a Teheran e la tensione cresce con il passare dei minuti.
Non si sa come andrà a finire, anche per la semplice ragione che lì vige una ferrea teocrazia(Ali Khamenei, può essere paragonato al papa: le sue parole sono decisive ed intoccabili) e le nazioni fortemente democratiche non si permettono di avanzare critiche, non avendo un quadro completo e certo degli esiti.
Ma una cosa è sicura: sebbene siano stati chiusi con violenza molte vie di comunicazione con l’esterno; le coraggiose blogger( tante ragazze tutte in gamba e senza paura dello spauracchio del rigidismo sciita che proibisce qualsiasi innocente manifestazione, come cantare, ballare, mostrare il viso senza velo…), continuano a mantenere i contatti con Twitter, Facebook e altri social network che sicuramente , stavolta, hanno avuto un grande impatto su quello che sta succedendo nel loro paese.
Di fatto, i sostenitori di Mir Hossein Mousavi, il principale opponente di Mahmoud Ahmadinejad, si sono organizzati online per le elezioni dei giorni scorsi.
Facebook, in particolare sta diventando uno strumento fondamentale nelle campagne elettorali: è diventato un modo per eludere i mass media controllati dallo stato, che ovviamente lì sostengono l’attuale amministrazione.
Attualmente Mousavi ha più di 36,000 amici su Facebook, grazie ai quali ha mobilitato i votanti al di sotto dei 30 anni, ossia circa il 50 per cento degli elettori.
I suoi sostenitori gli hanno inoltre creato una pagina Twitter e un canale su YouTube(Cfr.: quotidiani italiani del 20 giugno 2009 e ss.).
Non è- tuttavia- semplice per gli occidentali riuscire a districarsi in questo “groviglio” di feroce religiosità(lo sciismo), di ricchezza(petrolio e pistacchi), di povertà( la maggior parte del popolo vive con pochi euro).
La storia dell’Iran dalla fine dell’Ottocento a oggi, è – soprattutto- la storia dell’ascesa del potere religioso, il racconto della nascita di una teocrazia senza uguali nel mondo.
Il racconto delle repressioni, rivoluzioni, opportunità democratiche e derive tiranniche di un paese che mette a rischio gli equilibri mondiali, minacciando l’Occidente con lo sviluppo della tecnologia atomica nelle mani del fanatismo religioso.
Ma per capire qualcosa di più di questo Paese così lontano, ma così vicino a noi sia per la frequenza dei suoi molti cineasti a Venezia(Kiarostami, Makhmalbaf,…) che per artisti spesso presenti come tuttora alla 53.
ma Biennale d’arte, cercheremo di “riassumere” sinteticamente la loro storia.

IV Domenica di Avvento

IV DOMENICA DI AVVENTO   Lectio Anno c     Prima lettura: Michea 5,1-4a          Così dice il Signore: «E tu, Betlemme di Èfrata, così piccola per essere fra i villaggi di Giuda, da te uscirà per me  colui che deve essere il dominatore in Israele; le sue origini sono dall’antichità, dai giorni più remoti.
Perciò Dio li metterà in potere altrui, fino a quando partorirà colei che deve partorire; e il resto dei tuoi fratelli ritornerà ai figli d’Israele.
Egli si leverà e pascerà con la forza del Signore, con la maestà del nome del Signore, suo Dio.
Abiteranno sicuri, perché egli allora sarà grande fino agli estremi confini della terra.
Egli stesso sarà la pace!».
    v Il profeta Michea è un contemporaneo di Isaia (VIII secolo).
In questo passo egli dedica la sua attenzione non a Gerusalemme, ma a Betlemme, la città che ha dato i natali a Davide.
A distanza di anni i discendenti di Davide non hanno ancora assolto alla loro missione.
Occorre che venga un discendente particolare che darà origine a un nuovo inizio.
Da Betlemme infatti verrà il Salvatore, discendente di Davide.
     Il testo profetico non è esplicito, però lo diventa alla luce del NT e anche del vangelo odierno.
Il sussultare di Giovanni nel seno di sua madre alla presenza di un altro feto, si capisce se pensiamo alla identità di Gesù.
Egli viene profeticamente celebrato nella prima lettura.
     Il testo di Michea è un celeberrimo vaticinio messianico.
Il messia è il centro ideale e soggetto logico, anche se non sempre grammaticale.
Di Lui si esalta la patria, Betlemme/Efrata (dal nome di un clan di Efratei che si era stanziato a Betlemme): una modesta borgata assurge al ruolo di protagonista perché da essa «uscirà per me colui che deve essere il dominatore in Israele» (v.
1).
     I tempi non sono ancora maturi e, in attesa del grande evento, Israele sarà ancora alla mercé dei suoi nemici (cf.
v.
2).
Tra la profezia di Michea e la sua realizzazione si colloca la speranza, autentico motore della storia di Israele.
     La figura del Messia è caratterizzata come il pastore che «pascerà con la forza del Signore»: affiora un tema a largo spettro biblico (cf.
Ez 34; Gv 10).
La espressione «con la maestà del nome del Signore, suo Dio» suona un po’ barocca, ma serve all’autore a far capire che Dio si impegna personalmente; per noi è facile leggere tra le righe la divinità del Messia (cf.
v.
3).
     Il v.
4 conclude l’oracolo profetico e ne riassume il significato: la pax davidica fu effettivamente vissuta nei primi anni del regno di Salomone.
Ora la storia freme verso il futuro e colui che nascerà porterà la vera pace, lui chiamato «principe della pace» (Is 9,8).
  Seconda: Ebrei 10,5-10          Fratelli, entrando nel mondo, Cristo dice: «Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato.
Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato.
Allora ho detto: “Ecco, io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua volontà”».
Dopo aver detto: «Tu non hai voluto e non hai gradito né sacrifici né offerte, né olocausti né sacrifici per il peccato», cose che vengono offerte secondo la Legge, soggiunge: «Ecco, io vengo per fare la tua volontà».
Così egli abolisce il primo sacrificio per costituire quello nuovo.
Mediante quella volontà siamo stati santificati per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta per sempre.
       v La Bibbia ha sempre di mira una visione ‘olistica’ della realtà: la sola prospettiva biologica non basta a garantire la grandezza della vita.
Che a colui che doveva nascere fossero riconosciuti indiscussi segni di grandezza morale, lo avevano detto bene le due precedenti letture: sia la muta testimonianza di Giovanni o quella esplicita di Elisabetta, sia il messag-gio della profezia di Michea.
La presente lettura ha il merito di interpretare la piena consapevolezza del Messia e il suo totale ingaggio a favore dell’umanità.
     La lettera agli Ebrei parla della morte di Gesù servendosi del linguaggio cultuale dell’AT.
Gli ordinamenti cultuali antichi avevano funzione preparatoria e quindi transitoria.
Non era ancora giunto quanto Dio desiderava.
Poi arriva Cristo con l’offerta della sua vita.
L’Autore trova un prezioso parallelo nel Sal 40 che egli cita nel testo greco dei LXX.
     La pienezza della vita viene raggiunta con il dono della medesima, perché solo allora si tocca il vertice dell’amore di Dio («Ecco, io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua volontà») e dell’amore del prossimo («Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» Gv 15,13).
    Vangelo: Luca 1,39-45          In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta.
Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo.
Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo.
E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
       Esegesi      Troviamo ora insieme due donne, Elisabetta e Maria, che in precedenza Luca aveva presentato separatamente.
Se un filo di soprannaturale comunione le legava già prima, in quanto parte attiva del progetto amoroso di Dio, ora hanno l’opportunità di incontrarsi e di comunicare.
     Il brano si compone di due parti, introdotte da un quadro di riferimento cronologico-geografico: dopo l’evento dell’annunciazione, Maria si trasferisce dal nord (Nazaret) al sud (città di Giuda) (cf.
v.
39).
In tale contesto si colloca dapprima l’incontro delle due madri (vv.
40-45), quindi la preghiera di Maria, il Magnificat, nata in quell’occasione e per quell’occasione (vv.
45-48; in realtà continua fino al v.
55, ma il testo liturgico si interrompe prima).
Dal confronto delle due parti, vediamo che la prima è dominata dalla parola di Elisabetta, mentre la seconda dalla parola di Maria.
Due madri che, ciascuna a proprio modo, cantano un inno alla vita.
     Dopo la stupenda esperienza di Nazaret che la promuoveva a ruolo di ‘Madre di Dio’, Maria non appare una creatura beata in se stessa, isolata nella sua intimità divina, bensì un essere corporeo, fatto di concretezza, di sensibilità e di disponibilità.
Ella lascia la mistica tranquillità della sua casa e si mette in strada.
Non viene detto espressamente il motivo del viaggio; tutto lascia pensare che la causa sia da ricercare nell’annuncio angelico: Maria era stata informata che la parente Elisabetta era al sesto mese di gravidanza (cf.
v.
37).
Il fatto che ella si fermerà tre mesi, giusto il tempo perché il bambino possa nascere, permette di concludere che effettivamente Maria intenda recare aiuto alla futura mamma.
Ella si muove e va là dove la chiama l’urgenza di un bisogno.
«In fretta» esprime la sollecitudine di recare il giovanile aiuto all’anziana parente.
L’amore al prossimo, anche in questo caso, testimonia l’autenticità dell’amore a Dio.
     Non sono fornite indicazioni geografiche, se non un generico «verso la regione montuosa, in una città di Giuda».
Una tradizione del VI secolo identifica il luogo con Ein Karem, la cui scelta è forse dovuta alla bucolica serenità del luogo e al fatto di essere equidistante da Gerusalemme e da Betlemme.
A noi interessa rilevare lo spostamento da Nazaret, al nord, verso la Giudea, al sud, con un percorso di circa 150 Km che richiedeva circa tre giorni di cammino.
Da questo cammino, non privo di fatica e di disagi, verrà la possibilità di un incontro e quindi della lode.
Cammino, incontro e lode sono quindi i tre segmenti che costruiscono l’armonia di questo racconto.
     Maria si mette in cammino.
Grazie a lei anche Gesù, prima ancora di nascere, è in movimento verso gli altri, profetico anticipo della sua missione itinerante che intende portare a tutti la parola che aiuta e che salva.
Luca utilizza l’episodio per mettere alla luce quanto si era compiuto nell’intimità di Nazaret, che solo con il dialogo con un’interlocutrice poteva lasciare la sua segretezza e la sua dimensione individuale.
     La prima scena è dominata da Elisabetta e dalle sue parole; non va dimenticato che queste si sprigionano dal suo animo quando sono sollecitate da Maria.
Due eventi causano e spiegano tali parole.
Il primo, apparentemente ordinario, è l’ingresso di Maria nella casa di Zaccaria con il conseguente saluto rivolto a Elisabetta.
È una felice ‘provocazione’.
Il saluto origina il secondo evento, il sussulto del bambino di Elisabetta che sembra riconoscere la voce di Maria e, più ancora, sembra relazionarsi a colui che ella porta in grembo.
     L’incontro delle due madri è l’occasione per l’incontro dei due figli che portano in grembo, Giovanni e Gesù.
Su di loro riposa lo spessore teologico del brano.
Si instaura ancora a livello di feto quella dipendenza gerarchica, un misto di servizio incondizionato e di gioia piena, che caratterizzerà la vita di Giovanni.
Egli testimonierà: «Chi possiede la sposa è lo sposo; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo: Ora questa mia gioia è compiuta.
Egli deve crescere e io invece diminuire» (Gv 3,29-30).
Al presente c’è una percezione che si riverbera in un sussulto di gioia.
Le due madri sono ‘arche sante’, ‘ostensori sacri’ di due esseri destinati l’uno a tratteggiare la via, l’altro ad essere lui stesso via.
La scena, pur dominata dalle due madri, ha il suo fulcro nella percezione che Giovanni ha di Gesù e nell’implicito riconoscimento della sua grandezza.
     Effettivamente le parole di Elisabetta documentano che lo spessore teologico attraversa i ‘concepiti’ più che le madri: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me?» (vv.
42-43).
Con una espressione semitica che equivale a un superlativo («fra le donne»), Maria viene celebrata per la sua funzione o carisma (essere «Madre del mio Signore») e per la sua adesione incondizionata a tale vocazione.
A lei vengono riservate una benedizione («benedetta tu») e una beatitudine («beata»).
     La benedizione è una formula tipica dell’AT, dove il verbo ebraico barak e il sostantivo derivato berakah si trovano ben 398 volte.
Secondo diversi studiosi, la radice ebraica brkh è collegata a berekh (= ginocchio) creando il nesso tra la benedizione e l’inginocchiarsi, tipico atto di adorazione e di omaggio alla divinità.
Nella Bibbia le benedizioni si dividono in ‘ascendenti’ quando celebrano Dio per qualche intervento (cf.
Sal 41,14) e ‘discendenti’ quando si invoca la potenza di Dio su qualcuno o su qualcosa (cf.
Nm 6,24-27) o quando è lo stesso Dio a benedire (cf.
Gn 1,28).
La benedizione è un dono che ha rapporto con la vita; possiamo affermare che la ricchezza fondamentale della benedizione è quella della vita e della fecondità: questo vale tanto per la terra, quanto per le persone (cf.
Dt 28,1-14).
Lo vediamo bene nel nostro passo, quando alla benedizione per Maria viene affiancata quella per il figlio: «e benedetto il frutto del tuo grembo!».
Maria viene celebrata proprio per la sua maternità.
Così la benedizione viene da Dio e a Lui ritorna ora sotto forma di invocazione e di preghiera; è un riconoscere quello che Lui ha fatto.
     La beatitudine del v.
45 la prima del vangelo di Luca, certifica l’adesione di Maria alla volontà divina.
Ella quindi non è solo destinataria privilegiata di un arcano disegno che la rende benedetta, ma pure persona responsabile che accetta e aderisce.
Maria non è una creatura che sa, ma una creatura che crede, perché si è aggrappata ad una parola nuda che ella ha rivestito di amore.
Ora Elisabetta le riconosce questo amore, espresso con «ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto», e la celebra come la prima di tutte le donne.
Maria va da Elisabetta per un servizio domestico, Elisabetta le restituisce il servizio liturgico della lode, riconoscendola benedetta come madre e beata come credente.
     Il ‘cantico di Elisabetta’ (cf.
vv.
42-45), dono dello Spirito, pubblicizza per il lettore e per il credente il mistero che Maria pensava affidato alla segretezza della sua intimità.
Non esiste rapporto autentico con Dio che non abbia la possibilità di diventare ‘pubblico’: questo è il concetto fondamentale di carisma e Maria ha in primis il carisma di essere la «madre del mio Signore», come le riconosce la parente.
L’incontro di due madri in attesa, diventa l’incontro del frutto che hanno in grembo; Giovanni percepisce la presenza del suo Signore ed esulta, esprimendo con il suo sussultare la gioia a contatto con la salvezza, che Maria potrà formalizzare nel canto che segue.
  Meditazione      «Grazie alla tenerezza e misericordia del nostro Dio, ci visiterà un sole che sorge dall’alto» (Lc 1,78).
Così aveva profetato Zaccaria nel suo cantico di lode per la nascita prodigiosa del figlio Giovanni.
Ora la visita di Dio si fa prossima; il suo volto si sta intessendo nel grembo di una vergine, Maria; colui che è chiamato «profeta dell’Altissimo», colui che andrà «innanzi al Signore a preparargli le strade» (Lc 1,76), già ne riconosce la presenza e ancora nel seno della madre, Elisabetta, esulta di gioia messianica.
La liturgia della IV domenica di Avvento ci orienta ormai al cuore del mistero: Dio non solo visita il suo popolo, ma sceglie di dimorare stabilmente in mezzo ad esso.
L’irruzione di Dio nella storia dell’umanità ha sempre qualcosa di inatteso e ogni visita di Dio opera una sorta di capovolgimento dei criteri e delle attese dell’uomo.
E così Dio sceglie uno sconosciuto villaggio della Palestina, Betlemme, «così piccolo per essere tra i villaggi di Giuda» per rivelare «colui che deve essere il dominatore di Israele», colui che «pascerà con la forza del Signore», colui che «sarà la pace» (cfr.
Mi 5,1-4).
Lo sguardo di Dio si posa, con infinita gratuità, su una povera ragazza di Nazaret, Maria; sarà lei a dare un corpo e un volto umano all’Emmanuele.
In Maria, il Figlio di Dio può dire: «Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato» (Eb 10, 5; citazione del Sal 40,7-9).
E così, fedele al suo amore per i piccoli, Dio rivela i primi frutti della sua visita all’umanità nell’incontro tra due donne che portano nel loro grembo la vita e che si accolgono l’un l’altra riconoscendo reciprocamente ciò che Dio ha operato in ciascuna di loro.
Maria ed Elisabetta, custodi del dono di Dio, diventano l’icona dell’umanità visitata dalla misericordia di Dio.
Attraverso il racconto di Luca, cerchiamo allora di cogliere la qualità di questo incontro e i frutti che da esso scaturiscono.                                               Anzitutto dobbiamo riconoscere che l’incontro tra Maria ed Elisabetta è una esperienza della forza della parola di Dio che agisce nella vita di chi sa accoglierla.
Elisabetta dirà a Maria: «Beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto» (Lc 1,45).
È questa la prima beatitudine: credere nell’efficacia della parola di Dio, poggiare la propria vita sulla fedeltà di Dio alla sua promessa come su di una roccia.
È ciò che permette al Signore di vivere ‘oggi’ nel credente che lo ascolta.
A chi proclamava la beatitudine e la gioia della maternità di Maria, Gesù risponderà proprio con questa prima e fondamentale beatitudine: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!» (Lc 11,28).
Ed è per questo che Maria ed Elisabetta non possono fare altro che rileggere tutta la loro esperienza alla luce della parola di Dio che permette una comprensione profonda dei segni di cui sono protagoniste, segni in cui si riconosce l’onnipotenza di Dio.
Ogni parola e ogni gesto di questo incontro portano impresso il sigillo della Scrittura trasformandosi così nell’abbraccio tra la Prima e la Seconda Alleanza, tra la promessa e il compimento.
Davvero solo la parola di Dio può permetterci di riconoscere quando il Signore ci visita e quali frutti ci porta.
               Alla luce della Scrittura, allora noi possiamo cogliere più in profondità il senso di questo incontro.
Esso non è solamente la commozione tra due donne per la gioia della loro maternità così straordinaria e singolare.
Il saluto di Maria (aspasmon, termine che ritorna tre volte) provoca qualcosa di speciale: in Elisabetta che «fu colmata di Spirito Santo» (v.
41) e nel bambino che portava in sé, che «ha sussultato di gioia nel suo grembo» (v.
44).
Lo Spinto santo e la gioia sono due doni tipicamente messianici segni della presenza e dell’incontro con il Signore che visita il suo popolo, doni che Maria ha riconosciuto in se con l’annuncio dell’angelo (cfr.
1, 28.35) e che ora comunica ad Elisabetta (quasi una eco di quella Parola da cui tutto ha avuto inizio e da cui tutto proviene).
Ed è significativo che lo spazio in cui questi doni sono comunicati è l’ascolto: «appena…
ebbe udito il saluto di Maria…
appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi…» (vv.
41.44).
È l’ascolto il luogo in cui si riconosce la presenza del Signore e in cui si accoglie la sua parola; e riconoscere la voce di Dio produce gioia e comunica lo Spirito.
Ci soffermiamo allora su questi due doni che scaturiscono dalla visita di Dio, di quel Dio portato nel grembo di Maria, come nell’arca dell’Alleanza, ad Elisabetta (che riconosce in Maria «la madre del mio Signore», v.
43).
            Alla presenza di Maria e alla voce del suo saluto, Elisabetta «fu colmata di Spirito Santo» (v.
42).
Colei che è «piena di grazia» e sulla quale lo Spirito Santo è sceso, diventa pneumatofora, portatrice di Spirito, capace di comunicare ad altri lo Spirito di Dio.
Ed è lo Spirito, accolto da Elisabetta attraverso l’ascolto della voce di Maria, a permettere di riconoscere la presenza di Dio in questo incontro.
Sembra quasi che Luca abbia voluto anticipare la Pentecoste, che narrerà poi in At 2,1-4 (in cui sarà ancora presente Maria insieme agli apostoli nella camera alta: At 1,13-14).
Elisabetta e Giovanni passano così dall’economia della legge a quella dello Spirito, quasi formando un nucleo iniziale di Chiesa.
                 La potenza dello Spirito Santo, comunicato da Maria, investe anche Giovanni nel grembo di sua madre e lo fa trasalire, saltare e danzare di gioia (vv.
41.44; chiara è l’allusione alla danza di Davide di fronte all’arca in 2Sam 6,14-16).
La gioia, di fatto, investe tutta la scena.
È una gioia ‘viscerale’, profonda, che, attraverso il dono dello Spirito, sgorga dal riconoscimento di una promessa attesa da secoli e che finalmente trova il suo compimento.
Ed è una gioia tanto più intensa quanto più lunga era stata l’attesa; una gioia vissuta dapprima nell’esultanza delle viscere e poi celebrata dal cuore e dalle labbra delle due donne.
In questa gioia, i Padri (in particolare Origene) hanno anche voluto sottolineare l’incontro e il riconoscimento dei due figli ancora nel grembo materno: colui che cammina davanti al Messia ne riconosce la presenza e lo testimonia, lo annuncia (euangelion) non con la voce di chi grida nel deserto, ma con la gioia comunicativa del bambino.
Giovanni prenderà coscienza di questa gioia quando dirà: «L’amico dello sposo, che è presente e lo ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo.
Ora questa mia gioia è piena» (Gv 3,29).
       La semplice gioia di un bambino non ancora nato e comunicata dalle labbra della madre compie il suo corso trovando spazio nel cuore di Maria.
E diventa un canto, il Magnificat.
E in esso Maria riconosce la verità di tutto ciò che Elisabetta e il suo bambino le hanno detto.
Davvero il Signore l’ha visitata, l’ha riempita di Spirito Santo e di gioia: «Il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva» (1, 48).
             Come Maria, il credente che ha saputo riconoscere la visita di Dio nella sua vita attraverso quella parola che ha cercato di ascoltare, custodire, mettere in pratica, diventa missionario: capace di annunciare e comunicare il dono di Dio.
E il dono di Dio è la gioia nello Spirito Santo, la lieta notizia che è Gesù.
  Preghiere e Racconti   Andiamo fino a Betlem Andiamo fino a Betlem, come i pastori.
L’importante è muoversi.
Per Gesù Cristo vale la pena lasciare tutto: ve lo assicuro.
E se, invece di un Dio glorioso, ci imbattiamo nella fragilità di un bambino, con tutte le connotazioni della miseria, non ci venga il dubbio di aver sbagliato percorso.
Perché, da quella notte, le fasce della debolezza e la mangiatoia della povertà sono divenuti i simboli nuovi dell’onnipotenza di Dio.
Anzi, da quel Natale, il volto spaurito degli oppressi, le membra dei sofferenti, la solitudine degli infelici, l’amarezza di tutti gli ultimi della terra, sono divenuti il luogo dove egli continua a vivere in clandestinità.
A noi il compito di cercarlo.
E saremo beati se sapremo riconoscere il tempo della sua visita.
Mettiamoci in cammino, senza paura.
Il Natale di quest’anno ci farà trovare Gesù e, con lui, il bandolo della nostra esistenza redenta, la festa di vivere, il gusto dell’essenziale, il sapore delle cose semplici, la fontana della pace, la gioia del dialogo, il piacere della collaborazione, la voglia dell’impegno storico, lo stupore della vera libertà, la tenerezza della preghiera.
Allora, finalmente, non solo il cielo dei nostri presepi, ma anche quello della nostra anima sarà libero di smog, privo di segni di morte, e illuminato di stelle.
E dal nostro cuore, non più pietrificato dalle delusioni, strariperà la speranza.
(don Tonino Bello)   C’era una volta un lupo C’era una volta un lupo che viveva nei dintorni di Betlemme.
I pastori lo temevano e vegliavano l’intera notte per salvare le loro greggi.
C’era sempre qualcuno di sentinella, così il lupo era ogni volta più affamato, scaltro e arrabbiato.
Una strana notte, piena di suoni e luci, mise in subbuglio i campi dei pastori.
L’eco di un meraviglioso canto di angeli era appena svanito nell’aria.
Era nato un bambino, un piccino, un batuffolo rosa, roba da niente.
Il lupo si meravigliò che quei rozzi pastori fossero corsi tutti a vedere un bambino.
“Quante smancerie per un cucciolo d’uomo” pensò il lupo.
Ma incuriosito e soprattutto affamato com’era, li seguì nell’ombra a passi felpati.
Quando li vide entrare in una stalla si fermò nell’ombra e attese.
I pastori portarono dei doni, salutarono l’uomo e la donna, si inchinarono deferenti verso il bambino e poi se ne andarono.
L’uomo e la donna stanchi per le fatiche e le incredibili sorprese della giornata si addormentarono.
Furtivo come sempre, il lupo scivolò nella stalla.
Nessuno avvertì la sua presenza.
Solo il bambino.
Spalancò gli occhioni e guardò l’affilato muso che, passo dopo passo, guardingo, ma inesorabile si avvicinava sempre più.
Il lupo aveva le fauci socchiuse e la lingua fiammeggiante.
Gli occhi erano due fessure crudeli.
Il bambino però non sembrava spaventato.
“Un vero bocconcino” pensò il lupo.
Il suo fiato caldo sfiorò il bambino.
Contrasse i muscoli e si preparò ad azzannare la tenera preda.
In quel momento una mano del bambino, come un piccolo fiore delicato, sfiorò il suo muso in una affettuosa carezza.
Per la prima volta nella vita qualcuno accarezzò il suo ispido e arruffato pelo, e con una voce, che il lupo non aveva mai udito, il bambino disse: “Ti voglio bene, lupo”.
Allora accadde qualcosa di incredibile, nella buia stalla di Betlemme.
La pelle del lupo si lacerò e cadde a terra come un vestito vecchio.
Sotto, apparve un uomo.
Un uomo vero, in carne e ossa.
L’uomo cadde in ginocchio e baciò le mani del bambino e silenziosamente lo pregò.
Poi l’uomo che era stato un lupo uscì dalla stalla a testa alta, e andò per il mondo ad annunciare a tutti: “È nato un bambino divino che può donarvi la vera libertà! Il Messia è arrivato! Egli vi cambierà!”.
La venuta del Signore Noi aspettiamo il giorno anniversario della nascita di Cristo: il nostro spirito dovrebbe come slanciarsi, pazzo di gioia, incontro al Cristo che viene, tutto teso in avanti con un ardore impaziente, quasi incapace di contenersi e di sopportare ritardo…
Chiedo per voi, fratelli, che il Signore, prima di apparire al mondo intero, venga a visitarvi nel vostro intimo.
Questa venuta del Signore, sebbene nascosta, è magnifica, e getta l’anima che contempla nello stupore dolcissimo dell’adorazione.
Lo sanno bene coloro che ne hanno fatto l’esperienza; e piaccia a Dio che quelli che non l’hanno fatta ne provino il desiderio! (GUERRICO D’IGNY, Sermoni per l’avvento del Signore, II, 2-4).
  Quando Dio spera… …non è per lo spazio d’una notte che Dio spera contro speranza.
  Mendicante sconosciuto, instancabilmente percorri i lidi delle notti umane, ombra tra le ombre innumerevoli dei senza speranza.
Nella tua bocca muta si spengono i singhiozzi, ma tu vorresti gridare, anche tu, perché questo grido se ne vada, come un’eco diversa,                       come un richiamo nuovo, a confondersi con il lamento crescente, con le grida degli assetati di luce con il terribile silenzio dei pianti soffocati, e non resta che aprirsi al vuoto dei marosi grigi, all’alba che si accende non veduta.
Sul lido delle notti umane, sei il Dio senza voce.
Poiché la tua Parola fu detta in un giorno del tempo.
L’ hai pronunciata tutta,                             l’hai gridata sino alla fine, sino all’ultimo respiro del tuo Figlio.
Ma quando fu compiuta la tua Parola nella sua pienezza, per te, Dio, venne il tempo della speranza nuda, della speranza muta, della speranza contro ogni speranza.
  Preghiera della quarta domenica di Avvento Dio eterno, Dio sempre nuovo, inafferrabile, Dio di alleanza, Dio di libertà, dove adorarti? dove cercarti? dove attenderti? dove si annuncia la tua venuta? La tua Parola ci rassicuri, o Padre degli uomini, Dio della promessa, ora e sempre.
  Presenza imprevedibile, Dio di lunga pazienza, Signore dell’impossibile, noi non sappiamo ne l’ora ne il luogo della tua venuta.
Ma, sicuri che il tuo amore ci è dato per scoprire, per svelare, per generare, non cessiamo di pregarti: il tuo Spirito ci guidi alle opere del Regno, all’incontro con il tuo Figlio Gesù Cristo, nostro fratello e nostro Signore, per sempre.
(Nicole Berthet).
  * Per l’elaborazione della «lectio» di questa domenica, oltre al nostro materiale di archivio, ci siamo serviti di: – Temi di predicazione, Napoli, Editrice Domenicana Italiana, 1997-1998; 2002-2003; 2005-2006.
– COMUNITÀ MONASTICA SS.
TRINITÀ DI DUMENZA, La voce, il volto, la casa e le strade.
Tempo D’Avvento e Natale, Milano, Vita e Pensiero, 2009, pp.
68.
– La Bibbia per la famiglia, a cura di G.
Ravasi, Milano, San Paolo, 1998.
– Don Tonino Bello, Avvento e Natale.
Oltre il futuro, Padova, Messaggero, 2007.
   

Barack Obama parla agli studenti

So che per molti di voi questo è il primo giorno di scuola.
E per chi è all’asilo o all’inizio delle medie o delle superiori è l’inizio di una nuova scuola, così un minimo di nervosismo è comprensibile.
Immagino che tra voi ci siano dei veterani a cui manca solo un anno per concludere gli studi e quindi contenti.
E, non importa a quale classe siate iscritti, qualcuno tra voi probabilmente sta pensando con nostalgia all’estate e rimpiange di non aver potuto dormire un po’ di più stamattina.
So cosa vuol dire.
Quando ero giovane la mia famiglia visse in Indonesia per qualche anno e mia madre non aveva abbastanza denaro per mandarmi alla scuola che frequentavano tutti i ragazzini americani.
Così decise di darmi lei stessa delle lezioni extra, dal lunedì al venerdì alle 4,30 di mattina.
Ora, io non ero proprio felice di alzarmi così presto.
Il più delle volte mi addormentavo al tavolo della cucina.
Ma ogni volta quando mi lamentavo mia madre mi dava un’occhiata delle sue e diceva: «Anche per me non è un picnic, ragazzo».
Ora, io ho fatto un sacco di discorsi sull’istruzione.
E ho molto parlato di responsabilità.
Della responsabilità degli insegnanti che devono motivarvi all’apprendimento e ispirarvi.
Della responsabilità dei genitori che devono tenervi sulla giusta via e farvi fare i compiti e non lasciarvi passare la giornata davanti alla tv.
Ho parlato della responsabilità del governo che deve fissare standard adeguati, dare sostegno agli insegnanti e togliere di mezzo le scuole che non funzionano, dove i ragazzi non hanno le opportunità che meritano.
Ma alla fine noi possiamo avere gli insegnanti più appassionati, i genitori più attenti e le scuole migliori del mondo: nulla basta se voi non tenete fede alle vostre responsabilità.
Andando in queste scuole ogni giorno, prestando attenzione a questi maestri, dando ascolto ai genitori, ai nonni e agli altri adulti, lavorando sodo, condizione necessaria per riuscire.
Questo è quello che voglio sottolineare oggi: la responsabilità di ciascuno di voi nella vostra educazione.
Parto da quella che avete nei confronti di voi stessi.
Ognuno di voi sa far bene qualcosa, ha qualcosa da offrire.
Avete la responsabilità di scoprirlo.
Questa è l’opportunità offerta dall’istruzione.
Magari sapete scrivere bene, abbastanza bene per diventare autori di un libro o giornalisti, ma per saperlo dovete scrivere qualcosa per la vostra classe d’inglese.
Oppure avete la vocazione dell’innovatore o dell’inventore, magari tanto da saper mettere a punto il prossimo i Phone o una nuova medicina o un vaccino, ma non potete saperlo fino a quando non farete un progetto per la vostra classe di scienze.
Oppure potreste diventare un sindaco o un senatore o un giudice della Corte suprema ma lo scoprirete solo se parteciperete a un dibattito studentesco.
Non è solo importante per voi e per il vostro futuro.
Che cosa farete della vostra possibilità di ricevere un’istruzione deciderà il futuro di questo Paese, nulla di meno.
Ciò che oggi imparate a scuola domani sarà decisivo per decidere se noi come nazione sapremo raccogliere le sfide che ci riserva il futuro.
Avrete bisogno della conoscenza e della capacità di risolvere i problemi che imparate con le scienze e la matematica per curare malattie come il cancro e l’Aids e per sviluppare nuove tecnologie ed energie e proteggere l’ambiente.
Avrete bisogno delle capacità di analisi e di critica che si ottengono con lo studio della storia e delle scienze sociali per combattere la povertà e il disagio, il crimine e la discriminazione e rendere la nostra nazione più corretta e più libera.
Vi occorreranno la creatività e l’ingegno che vengono coltivati in tutti i corsi di studio per fondare nuove imprese che creeranno posti di lavoro e faranno fiorire l’economia.
So che non è sempre facile far bene a scuola.
So che molti di voi devono affrontare sfide tali da rendere difficile concentrarsi sui compiti e sull’apprendimento.
Mi è successo, so com’è.
Mio padre lasciò la famiglia quando avevo due anni e sono stato allevato da una madre single che lottava ogni girono per pagare i conti e non sempre riusciva a darci quello che avevano gli altri ragazzi.
Spesso sentivo la mancanza di mio padre.
A volte mi sentivo solo e pensavo che non ce l’avrei fatta.
Non ero sempre così concentrato come avrei dovuto.
Ho fatto cose di cui non vado fiero e sono finito nei guai.
E la mia vita avrebbe potuto facilmente prendere una brutta piega.
Ma sono stato fortunato.
Ho avuto un sacco di seconde possibilità e l’opportunità di andare al college e alla scuola di legge e seguire i miei sogni.
Qualcuno di voi potrebbe non godere di questi vantaggi.
Può essere che nella vostra vita non ci siano adulti che vi appoggiano quanto avete bisogno.
Magari nelle vostre famiglie qualcuno ha perso il lavoro e il denaro manca.
O vivete in un quartiere poco sicuro, o avete amici che cercano di convincervi a fare cose sbagliate.
Ma, alla fine dei conti, le circostanze della vostra vita – il vostro aspetto, le vostre origini, la vostra condizione economica e familiare – non sono una scusa per trascurare i compiti o avere un atteggiamento negativo.
Non ci sono scuse per rispondere male al proprio insegnante, o saltare le lezioni, o smettere di andare a scuola.
Non c’è scusa per chi non ci prova.
Il vostro obiettivo può essere molto semplice: fare tutti i compiti, fare attenzione a lezione o leggere ogni giorno qualche pagina di un libro.
Potreste decidere di intraprendere qualche attività extracurricolare o fare del volontariato.
Potreste decidere di difendere i ragazzi che vengono presi in giro o che sono vittime di atti di bullismo per via del loro aspetto o delle loro origini perché, come me, credete che tutti i bambini abbiano diritto a un ambiente sicuro per studiare e imparare.
Potreste decidere di avere più cura di voi stessi per rendere di più e imparare meglio.
E in tutto questo, spero vi laviate molto le mani e ve ne stiate a casa se non state bene in modo da evitare il più possibile il contagio dell’influenza quest’inverno.
Qualunque cosa facciate voglio che vi ci dedichiate.
So che a volte la tv vi dà l’impressione di poter diventare ricchi e famosi senza dover davvero lavorare, diventando una star del basket o un rapper, o protagonista di un reality.
Ma è poco probabile, la verità è che il successo è duro da conquistare.
Non vi piacerà tutto quello che studiate.
Non farete amicizia con tutti i professori.
Non tutti i compiti vi sembreranno così fondamentali.
E non avrete necessariamente successo al primo tentativo.
È giusto così.
Alcune tra le persone di maggior successo nel mondo hanno collezionato i più enormi fallimenti.
Il primo Harry Potter di JK Rowling è stato rifiutato dodici volte prima di essere finalmente pubblicato.
Michael Jordan fu espulso dalla squadra di basket alle superiori e perse centinaia di incontri e mancò migliaia di canestri durante la sua carriera.
Ma una volta disse: «Ho fallito più e più volte nella mia vita.
Ecco perché ce l’ho fatta».
Nessuno è nato capace di fare le cose, si impara sgobbando.
Non sei mai un grande atleta la prima volta che tenti un nuovo sport.
Non azzecchi mai ogni nota la prima volta che canti una canzone.
Occorre fare esercizio.
Con la scuola è lo stesso.
Può capitare di dover fare e rifare un esercizio di matematica prima di risolverlo o di dover leggere e rileggere qualcosa prima di capirlo, o dover scrivere e riscrivere qualcosa prima che vada bene.
La storia dell’America non è stata fatta da gente che ha lasciato perdere quando il gioco si faceva duro ma da chi è andato avanti, ci ha provato di nuovo e con più impegno e ha amato troppo il proprio Paese per fare qualcosa di meno che il proprio meglio.
È la storia degli studenti che sedevano ai vostri posti 250 anni fa e fecero una rivoluzione per fondare questa nazione.
Di quelli che sedevano al vostro posto 75 anni fa e superarono la Depressione e vinsero una guerra mondiale.
Che combatterono per i diritti civili e mandarono un uomo sulla Luna.
Di quelli che sedevano al vostro posto 20 anni fa e hanno creato Google, Twitter e Facebook cambiando il modo di comunicare.
Così, vi chiedo, quale sarà il vostro contributo? Quali problemi risolverete? Quali scoperte farete? Il presidente che verrà di qui a 20, 50 o 100 anni cosa dirà che avrete fatto per questo Paese? Le vostre famiglie, i vostri insegnanti e io stiamo facendo di tutto per fare sì che voi abbiate l’istruzione necessaria per saper rispondere a queste domande.
Mi sto dando da fare per garantirvi classi e libri e accessori e computer, tutto il necessario al vostro apprendimento.
Ma anche voi dovete fare la vostra parte.
Quindi da voi quest’anno mi aspetto serietà.
Mi aspetto il massimo dell’impegno in qualsiasi cosa facciate.
Mi aspetto grandi cose, da ognuno di voi.
Quindi non deludeteci, non deludete le vostre famiglie, il vostro Paese e voi stessi.
Rendeteci orgogliosi di voi.
So che potete farlo.

Le nuove regole di valutazione

Giro di vite sull’ammissione alla maturità, superbravi alla media in via d’estinzione e docenti di religione che dopo lo stop del Tar Lazio ritornano in pista per l’attribuzione del credito scolastico.
Con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del decreto del presidente della Repubblica numero 122, il Regolamento sulla Valutazione degli alunni è legge.
Un provvedimento che conferma una serie di cambiamenti introdotti già quest’anno (come i voti numerici sin dalla scuola primaria e il voto di condotta) ma che contiene almeno tre importanti novità.
La prima, che susciterà certamente polemiche, è quella sui docenti di religione, recentemente estromessi dal Tar Lazio dal computo del credito.
Il regolamento non tiene affatto conto della sentenza e siccome ha valore di legge a tutti gli effetti potrebbe “sanare” definitivamente la questione relativa ai crediti e rendere superfluo anche il ricorso al Consiglio di stato annunciato dal ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini.
Se così fosse la frequenza della religione cattolica potrebbe garantire agli alunni che se ne sono avvalsi, alla stessa stregua di altre attività anche extrascolatiche, un punticino di credito in più.
Il tutto, a partire dai prossimi esami di riparazione di settembre e a discrezione dei singoli collegi dei docenti.
In questo modo, le insistenti pressioni dei vescovi sul ministero dell’Istruzione, con buona pace di coloro che hanno sostenuto a gran voce la laicità dello Stato e dell’istruzione pubblica, avrebbero ottenuto il risultato sperato.
E l’impegno della Gelmini sarebbe stato mantenuto.
Altra novità che è destinata a fare discutere è la stretta, peraltro annunciata, sull’ammissione agli esami di stato della scuola secondaria superiore.
Dal prossimo mese di giugno, per essere ammessi alla maturità occorrerà avere almeno 6 in ogni disciplina.
Cosicché un buon voto in condotta o in educazione fisica non servirà a colmare lacune e brutti voti in altre materie.
Già quest’anno, con l’introduzione soft della media del 6 per l’ammissione, il numero di “caduti” prima delle prove d’esame è cresciuto del 25 per cento.
E l’ulteriore stretta rischia di decimare gli aspiranti agli esami.
Novità in vista anche per la scuola media.
Dal prossimo anno scolastico, il voto finale degli esami di licenza scaturirà da un conteggio matematico: la media aritmetica dei voti conseguiti all’ammissione, nelle singole prove scritte (tre o quattro), nelle prove Invalsi (i due test di italiano e matematica) e nel colloquio.
Tanto per avere un’idea, quest’anno i licenziati con dieci decimi sono stati quasi otto su 100.
Ma dalla prossima tornata avere il massimo dei voti diventerà quasi impossibile, perché basta avere soltanto quattro 9 e per il resto tutti 10 per vedersi sfuggire il diploma con 10.
E per i più bravi le commissioni avranno a disposizione anche la lode.
(20 agosto 2009) Pubblicato in Gazzetta ufficiale il decreto del presidente della Repubblica.
La normativa non tiene conto della recente sentenza del Tar del Lazio.
Nelle nuove regole di valutazione i prof di religione daranno i crediti.
Per l’ammissione alla maturità servirà la sufficienza in tutte le materie.
All’esame di terza media sarà quasi impossibile ottenere il massimo dei voti.

Cultura e Religione: Unità 3

Schema  Per introdurci 1.
L’esperienza
            Elaborazione.              Battiato: E ti vengo a cercare – integrazioni degli Autori  Stella – Venditti – integrazioni dei collaboratori OF:   L’alunno apprende ad interpretare nelle suggestioni che gli vengono dalla natura         o nelle intuizioni che attraversano la propria esistenza una presenza misteriosa che le alimenta.
2.
L’intepretazione
           Cielo: Eliade             Notte stellata: Van Gog – integrazioni degli Autori                    Stonehenge   – integrazioni dei collaboratori  3.
Suggestioni per un progetto
            Vado in cerca di Dio: Slamo 42              Per un bilancio – integrazioni degli Autori  Salmo 92             Il Signore rende stabile il mondo – integrazioni dei collaboratori 4.
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L’esperienza
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L’intepretazione
           Cielo: Eliade             Notte stellata: Van Gog – integrazioni degli Autori                    Stonehenge   – integrazioni dei collaboratori  3.
Il progetto
            Vado in cerca di Dio: Slamo 42              Per un bilancio – integrazioni degli Autori  Salmo 92             Il Signore rende stabile il mondo – integrazioni dei collaboratori 4.
Integrazioni proposte nel testo – integrazioni degli Autori – integrazioni dei collaboratori 5.
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VI domenica di Pasqua

Per l’elaborazione della «lectio» di questa domenica – oltre al nostro materiale di archivio, ci siamo serviti di: – Temi di predicazione, Napoli, Editrice Domenicana Italiana, 2002-2003; 2005-2006- .
– Comunità monastica Ss.
Trinità di Dumenza, La voce, il volto, la casa e le strade.
Quaresima e tempo di Pasqua, Milano, Vita e Pensiero, 2008-2009, pp.
71.
– La Bibbia per la famiglia, a cura di G.
Ravasi, Milano, San Paolo, 1998.
– Enzo BIANCHI, Il pane di ieri, Torino, Einaudi, 2008, 53-54 – C.M.
MARTINI, Incontro al Signore risorto.
Il cuore dello spirito cristiano, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2009.
LECTIO – ANNO B Prima lettura: Atti 10,25-27.34-35.44-48 Avvenne che, mentre Pietro stava per entrare [nella casa di Cornelio], questi gli andò incontro e si gettò ai suoi piedi per rendergli omaggio.
Ma Pietro lo rialzò, dicendo: «Alzati: anche io sono un uomo!».
Poi prese la parola e disse: «In verità sto rendendomi conto che Dio non fa pre-ferenze di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga».
Pietro stava ancora dicendo queste cose, quando lo Spirito Santo discese sopra tutti coloro che ascoltavano la Parola.
E i fedeli circoncisi, che erano venuti con Pietro, si stupirono che anche sui pagani si fosse effuso il dono dello Spirito San-to; li sentivano infatti parlare in altre lingue e glorifi-care Dio.
Allora Pietro disse: «Chi può impedire che siano battez-zati nell’acqua questi che hanno ricevuto, come noi, lo Spirito Santo?».
E ordinò che fossero battezzati nel nome di Gesù Cristo.
Quindi lo pregarono di fermarsi alcuni giorni.
Il brano che leggiamo risulta da tre piccoli ritagli di quel grande affresco che è il cap.
10 degli Atti.
Consigliamo di rileggere tutto il cap.
10 nella sua interezza.
Siamo ad un mo-mento decisivo del cammino missionario della Chiesa primitiva: la conversione di Corne-lio assume dimensione emblematica dell’apertura della predicazione al mondo pagano.
— «Si gettò ai suoi piedi per rendergli omaggio» (v.
25).
Di fronte ai prodigi e ad un essere su-periore che si ritiene celeste, il mondo pagano reagisce con atteggiamento di adorazione.
Così capita anche a Paolo e Barnaba, a seguito di un miracolo, a Listra (At 14,11-15).
— «Alzati…» (v.
26).
La predicazione cristiana è sempre attenta ad evitare l’equivoco che si può creare sulla persona degli apostoli, chiarendo che non sono esseri celesti e superiori, ma uomini come gli altri.
Coerente con tale chiarimento, Pietro conversa con il centurione con familiarità, allargando l’incontro con le molte persone che sono in quella casa (v.
27).
— «Dio non fa preferenze di persone» (vv.
34-35).
È l’inizio del discorso di Pietro: non è sol-tanto citazione dell’AT (vedi Dt 10,17; Sp 6,8; Sir 35,5), ma ammirata constatazione che tro-va riscontro nei fatti che Pietro sta vivendo: il privilegio di ricevere la parola di Dio non appartiene più esclusivamente al popolo ebraico.
È l’inizio del cammino universale della predicazione cristiana, dell’annuncio della salvezza.
— «Accoglie chi lo teme e pratica la giustizia» (v.
35).
Allargata a tutti i popoli, la misericor-dia di Dio non esige che due disposizioni negli uomini ai quali si rivolge: a) timore e ri-spetto intimo di Dio riconosciuto come unico e onorato nella propria coscienza; b) pratica della giustizia, ossia di una profonda onestà nei doveri naturali.
— «Lo Spirito Santo discese sopra tutti…» (vv.
44-48).
Il racconto che segue è indicato come la «pentecoste dei pagani».
Lo stesso Pietro sottolinea che «questi che hanno ricevuto, come noi, lo Spirito Santo» (v.
47).
Questi pagani, senza seguire le usanze giudaiche, e senza alcuna particolare preparazione, ricevono lo Spirito Santo: ciò dimostra — come rileva l’apostolo Pietro — che sono già pronti per ricevere il battesimo (v.
47).
L’effetto carismatico, prodotto nei pagani dalla discesa dello Spirito Santo, è simile a quello ricevuto dagli apostoli nella prima pentecoste: consiste nel fatto di esprimersi in lingue nuove e nel lodare Dio in modo e-statico (v.
46).
In entrambi gli aspetti è da vedere la unificazione della famiglia umana nel dono delle lingue e della preghiera, questa volta anche nel mondo pagano.
Seconda lettura: 1Giovanni 4,7-10 Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio.
Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore.
In questo si è manifestato l’amore di Dio in noi: Dio ha man-dato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui.
In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha man-dato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati.
In uno sviluppo parenetico (cioè di carattere prevalentemente esortativo) pressocché parallelo a quello della II Lett.
di domenica scorsa, la Prima Epistola di Giovanni insiste sulla necessità, per i cristiani, di avere una fede autentica ed un vero amore (4,7;5,4), con la probabile intenzione di stigmatizzare l’insorgere di alcune eresie nella chiesa primitiva.
Senza vero amore non c’è vera fede, e viceversa.
Il brano di oggi si colloca esattamente al-l’inizio di tale sviluppo.
Tre le affermazioni fondamentali contenute nella nostra lettura: — Prima: Dio non è conoscibile se non attraverso la via dell’amore (vv.
7-8).
Perché? Dio è amore, in senso operativo, cioè ogni sua attività è mossa da amore.
Ne derivano due con-seguenze che si possono esprimere in termini positivi e negativi: solo chi ama è nato da Dio (v.
7), solo chi ama i fratelli «conosce», cioè mostra di avere un’esperienza vera e pro-fonda di Dio.
Di fatto, l’assenza di amore rende impossibile ogni comunicazione e comu-nione con Dio (v.
8).
Per S.
Agostino la conoscenza dello stesso mistero trinitario non av-viene se non attraverso un movimento di amore.
— Seconda: non c’è prova più evidente che Dio è mosso da amore, che il fatto della ve-nuta del Figlio Unigenito nel mondo, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui (v.
9).
«Unigenito»: questo titolo attribuito al Figlio ha due valenze: a) è sinonimo di amato, dilet-to, oggetto di amore unico, e in tal caso sottolinea la grandezza del dono di Dio, mandan-dolo nel mondo; b) sottolinea l’unicità del Figlio di Dio come rivelatore del Padre; egli è l’unico che veramente possa rivelarci il volto del Padre: «Nessuno conosce il Padre se non il Figlio…» (Mt 11,27).
— Terza: caratteristica dell’amore divino è che previene l’amore dell’uomo; non aspetta di essere amato per amore.
Non siamo stati noi ad amare Dio, (v.
10) anzi noi abbiamo tradito il suo amore col peccato.
Ma egli ha preso per prima l’iniziativa e ha mandato il suo Figlio in funzione di espiare, cioè offrire il sacrificio, per i nostri peccati.
Vangelo: Giovanni 15,9-17 In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come il Pa-dre ha amato me, anche io ho amato voi.
Rimanete nel mio amore.
Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore.
Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli al-tri come io ho amato voi.
Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici.
Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando.
Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi.
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda.
Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».
Esegesi Il brano evangelico odierno costituisce l’immediato seguito del vangelo di domenica scorsa (vv.
1-8), ed in certo senso ne è l’illustrazione in termini parenetici.
Il brano è costi-tuito grosso modo da due sezioni che fanno capo a due parole-chiave: la parola «amore» e la parola «amici».
Chiariamo il senso di queste due parole fondamentali su cui il nostro brano è costruito: «amore» e «amico»: — amore (in gr.
agapō) a differenza di altri verbi che implicano reciprocità e scambio, se si appli-ca a Dio, indica un movimento di amore assolutamente gratuito e illimitato (vedi II Lettura).
La fonte è divina e eterna: come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi (v.
9), comunicandosi agli uomini nel tempo.
Abbiamo così una serie di anelli che costituiscono tutti essenzial-mente il senso dell’agape cristiano: Padre-Figlio-discepoli e discepoli tra loro.
La compara-zione: rimanete nel mio amore, come io rimango nell’amore del Padre (cf.
v.
10) non indica solo un rapporto esemplare o di imitazione.
Il come indica la natura e il fondamento stesso dell’amore cristiano, che sgorga ed è alimentato dall’amore trinitario.
Perciò l’espressione «nel mio amore», pur potendosi intendere nel senso dell’amore dei discepoli per Gesù, è pe-rò più coerente intenderlo come amore di Gesù per i discepoli.
Concepito così, tale amore va fino al sacrificio di sé, come lo è stato per quello di Gesù (v.
13); — amicizia, amico (in gr.
philos).
Nei rapporti umani, l’amicizia si stabilisce tra due per-sone che sono sullo stesso piano.
Questo è vero per l’amicizia di Gesù per i discepoli, se si tiene però conto che è lui ad elevarci dal livello di schiavi (doulos) a quello di amici.
La dif-ferenza, come spiega il Signore, va capita nella prospettiva della comunicazione: tra servo e padrone non c’è comunicazione, perché abitualmente il padrone non fa sapere, e quindi non comunica al servo quello che fa e perché lo fa (v.
15).
Gesù invece comunica e rivela ai discepoli quello che ha «udito» dal Padre, cioè li rende partecipi della sua relazione intima e filiale col Padre (v.
15).
Inoltre, sul piano dell’amicizia umana, ognuno è e si sente autore delle scelte che fa, e non stabilisce le finalità che l’altro deve raggiungere.
Nell’amicizia con Gesù non è così: non i discepoli hanno scelto lui, ma lui ha scelto loro — elevandoli al suo livello — con iniziati-va gratuita e sovrana (v.
16), e li ha scelti con un preciso scopo: assegnare loro una missio-ne (portare frutto) stabile e duratura (v.
16).
Meditazione Nei cosiddetti «Discorsi di addio» (Gv 13-17), che la liturgia ci fa leggere in queste do-meniche del tempo pasquale, Gesù con insistenza invita i discepoli a rimanere in lui, nella sua Parola, nel suo amore.
Sembra che nell’imminenza della sua passione, la ragione del turbamento di Gesù non sia tanto il destino che lo attende, e che peraltro egli vive nella prospettiva del ritorno al Padre (cfr.
ad esempio Gv 13,1; 16,28), quanto il turbamento stes-so che gli eventi produrranno sui suoi discepoli.
«Ecco, viene l’ora, anzi è già venuta, in cui vi disperderete ciascuno per conto suo e mi lascerete solo; ma io non sono solo, perché il Pa-dre è con me» (Gv 16,32).
Il rischio a cui i discepoli vengono esposti dall’ora di Gesù è la dispersione; Gesù vivrà la sua ora per trasformare la dispersione in una nuova e più stabi-le comunione.
«Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12,32), come il chicco di grano che muore per non rimanere solo, ma per produrre molto frutto (cfr.
12,24).
Uno dei frutti che nella sua morte il chicco produce è proprio il comandamento nuovo del quale Gesù parla nel brano evangelico di oggi, e che è al centro anche della se-conda lettura tratta dalla prima lettera di san Giovanni apostolo.
«Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi» (Gv 15,12).
Che l’amore sia un comandamento probabilmente ci sorprende non poco.
Sia-mo ormai abituati a una concezione dell’amore alla stregua del «va’ dove ti porta il cuore», dimenticando che l’amore non è solo movimento spontaneo del desiderio, ma insepara-bilmente un impegno consapevole e responsabile della libertà.
C’è poi una seconda diffi-coltà, forse più grave della prima, che non ci consente di capire bene la parola di Gesù: in-tendere il comandamento solo alla stregua di un ordine da eseguire, di una parola da os-servare esteriormente.
Più ampia e vitale è la prospettiva del Signore e per comprenderla appieno non dobbiamo dimenticare il suo orizzonte pasquale.
L’amore di cui qui si parla è infatti l’amore più grande di chi dona la vita per i propri amici.
Ed è proprio questo amore più grande che consente di vivere il comandamento più grande, quello dell’amore per Dio e per il prossimo (cfr.
Mt 22,33-40 e par.).
Gesù dona la vita ai suoi amici non semplicemente perché lo sono già, ma per renderli tali.
Ancora una volta ribadisce che il suo è l’amore di chi muore per non rimanere solo, ma per farci passare dall’inimicizia all’amicizia, dalla so-litudine alla comunione.
«Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fat-to conoscere a voi.
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga» (15,15-16).
Proprio donando la sua vita per noi Gesù ci sceglie, ci trasforma donandoci un nome nuovo, quello di ‘amici’, e ci con-sente di portare frutto: un frutto analogo a quello che lui stesso produce attraverso il suo morire nella terra, il frutto cioè di chi sa rimanere in questo amore che gratuitamente ha ri-cevuto (non voi avete scelto me, mai io ho scelto voi) e lo rende fecondo nella reciprocità delle relazioni (che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati).
Gesù ci rende amici non chiamandoci più servi perché ci fa conoscere tutto ciò che ha udito dal Padre, ci fa conoscere Dio e il suo mistero, diversamente dal servo che «non sa quello che fa il suo padrone» (v.
15).
Come ascoltiamo nella seconda lettura, «chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio.
Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore» (1Gv 4,7- 8).
Ciò che ci consente di passare dalla servitù all’amicizia, dalla schiavitù alla figliolanza, è proprio conoscere il Padre e il suo amore.
Gesù ci rende parte-cipi di quanto lui stesso ha udito dal Padre, in altri termini della relazione che sussiste tra lui e il Padre: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi.
Rimanete nel mio amo-re.
Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore» (Gv 15,9-10).
L’amore gratuito di Dio, che ci precede e che Gesù ci fa conoscere donando la sua vita per noi, fonda la nostra possibilità di amarci, vincendo in noi il male e il peccato.
«In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati» (lGv 4,10).
Questa è la particolarità del comandamento di Gesù: è ‘nuovo’ non solo a motivo del suo contenuto, ma della sua stessa dinamica.
Non è un ordine da eseguire o una parola cui obbedire.
Piuttosto è una parola cui prestare fede.
È un comandamento come consegna di sé: non comanda di fare qualcosa, ma di accogliere ciò che Gesù ha fatto per noi, donando la vita per i suoi amici.
Gesù muore nell’amore e il comandamento viene dato perché i di-scepoli possano rimanere in questo amore, accogliendo e custodendo nella loro vita la sua efficacia.
«Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore» (v.
10).
Osserva-re il comandamento non esige di fare qualcosa, ma di accogliere, custodire e rimanere in ciò che Gesù ha già fatto per noi: rimanete nel mio amore, egli ci dice, in quell’amore in cui io ho consegnato la mia vita perché anche voi possiate consegnarvi gli uni gli altri, vincen-do la vostra solitudine e dispersione, il vostro turbamento e la vostra paura.
La missione del discepolo consisterà allora anzitutto nel rimanere in questo amore e nel testimoniarlo: tale infatti è il frutto che egli, andando, deve portare (v.
16).
In questa luce diviene allora eloquente la conclusione della prima lettura, da Atti 10.
Pietro, dopo aver annunciato Gesù Cristo e impartito il battesimo, accetta l’invito di rimanere alcuni giorni nella casa di Cornelio, un pagano, superando così le rigide norme di purità della Legge mosaica.
Questo rimanere nella stessa casa è il sigillo dell’opera evangelizzatrice: rivela in-fatti che il vangelo donato e accolto crea relazioni nuove, consentendo di rimanere nel co-mandamento nuovo, frutto della Pasqua di Gesù.
Abitare nella casa dell’amore Questa è una singolare metafora dell’amore.
L’amore non è soltanto un sentimento passeggero.
È uno spazio in cui si può rimanere.
Gesù, tuttavia, indica anche la condizione per rimanere nell’amore: «Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore» (Gv 15,10).
Non possiamo godere da soli dell’amore di Dio.
Dobbiamo continuare a farlo scorrere verso gli altri.
Altrimenti ristagna.
E allora lo spazio d’amore, in cui si può abitare tanto bene, crolla.
L’amore di Gesù non prende, come fa spesso il nostro, ma dà.
È puro dono.
A un amo-re del genere, che lascia liberi e si dona, che muore per noi e scorre senza confini per noi, aneliamo nel profondo del nostro cuore.
Di fronte al Cristo crocifisso percepiamo che siamo incapaci di vero amore.
Il nostro amore si mescola spesso al desiderio di avere l’altro tutto per noi, di riuscire a possederlo.
Vogliamo tenerlo stretto, in modo che non ci lasci mai più.
E non ci accorgiamo di come gli togliamo la possibilità di evolversi, di diventare interamente se stesso.
Spesso vogliamo essere noi a plasmare la persona amata e comprimerla nella forma che ci sembra amabile.
Il gesto della croce esprime il contrario: ci lascia liberi, ci invita a farci abbracciare, ma ci lascia anche andare, affinché possiamo percorrere in libertà il nostro cammino.
(Anselm Grün, Apri il tuo cuore all’amore, Brescia, Queriniana, 2005, 19-20).
Rimanete nel mio amore «Rimanete nel mio amore» (Gv 15,10).
In che modo ci rimarremo? Ascolta quanto segue: «Se osservate i miei comandamenti», dice il Signore, «rimarrete nel mio amore» (i-bi).
È l’amore che ci fa osservare i comandamenti, oppure è l’osservare i comandamenti che fa nascere l’amore? Ma chi può mettere in dubbio che l’amore precede l’osservare i coman-damenti? Chi non ama non ha motivo di osservare i comandamenti.
Dicendo: «Se osserve-rete i miei comandamenti rimarrete nel mio amore», il Signore non vuole indicare l’origine dell’amore, ma la prova.
Come se dicesse: Non crediate di poter rimanere nel mio amore se non osservate i miei comandamenti; potrete rimanervi solo se li osserverete.
Questa sarà la prova che rimanete nel mio amore, se osserverete i miei comandamenti.
Nessuno quindi si illuda di amare il Signore, se non osserva i suoi comandamenti, perché lo amiamo in quan-to osserviamo i suoi comandamenti, e quanto meno li osserviamo tanto meno lo amiamo.
Anche se dalle parole: «Rimanete nel mio amore» non appare chiaro di quale amore egli stia parlando, se di quello con cui amiamo lui o di quello con cui egli ama noi, possiamo però dedurlo dalla frase precedente.
Egli aveva detto: «Anch’io ho amato voi», e subito dopo ha aggiunto: «Rimanete nel mio amore».
Si tratta dunque dell’amore che egli nutre per noi.
E allora che cosa significa: «Rimanete nel mio amore», se non: rimanete nella mia grazia? E che cosa significa: «Se osserverete i miei comandamenti rimarrete nel mio amo-re», se non che voi potete avere la certezza di essere nel mio amore, cioè nell’amore che io vi porto, se osserverete i miei comandamenti? Non siamo dunque noi che prima osservia-mo i comandamenti di modo che egli venga ad amarci, ma il contrario: se egli non ci a-masse, noi non potremmo osservare i suoi comandamenti.
Questa è la grazia che è stata rivelata agli umili, mentre è rimasta nascosta ai superbi.
(AGOSTINO DI IPPONA, Commento al vangelo di Giovanni 82,3, NBA XXIV, p.
1248).
Credo Credo in un Dio che non si nasconde dentro ad un mistero che non mi seduce con un miracolo e che non mi opprime con la sua autorità.
Credo in un Dio che non mi chiede di rinunciare alla mia libertà, che mi pone di fronte alla scelta del bene e del male, che non accetta compromessi, ma che benedice la follia di chi lo segue.
Credo in un Dio che non fa della sua potenza persuasione, che non rimette a posto le cose dall’alto, che non esercita la giustizia degli uomini.
Credo in un Dio che si lascia tradire, che al mio no risponde con un bacio silenzioso, credo in un Dio sconfitto, crocifisso e poi Risorto.
Credo in un Dio che non ho inventato io, che non soddisfa i miei bisogni, che non dice e fa quello che voglio io, un Dio scomodo che non si può né vendere, né comprare.
Credo in un Dio vero, che si fa uomo, amico, fratello della mia umanità, che si fa piccolo, debole indifeso perché non debba salire troppo in alto per poterlo incontrare.
Credo in un Dio che gioca a nascondino perché possa scoprirlo nel cuore di ogni uomo, credo in un Dio che mi si fa vicino, che mi viene incontro e mi dice : “ti amo”.
Si, io credo in Dio, in un Dio che si può soltanto amare.
(Ester Battista).
Da’ gratuitamente «Il tuo amore, in quanto viene da Dio, è permanente.
Puoi reclamare il carattere per-manente del tuo amore come un dono di Dio.
E puoi dare questo amore permanente agli altri.
Quando gli altri cessano di amarti, non devi cessare di amarli.
A livello umano, i cambiamenti possono essere necessari, ma a livello del divino tu puoi rimanere fedele al tuo amore.
Un giorno sarai libero di dare un amore gratuito, un amore che non chiede niente in cambio.
Un giorno sarai anche libero di ricevere un amore gratuito.
Spesso l’amore ti viene offerto, ma tu non lo riconosci.
Lo metti da parte perché rimani fissato nell’idea di ricever-lo dalla medesima persona alla quale l’hai dato.
Il grande paradosso dell’amore è che proprio quando hai rivendicato il fatto che sei il diletto figlio di Dio, hai posto dei confini al tuo amore, e quindi hai contenuto i tuoi biso-gni, è allora che cominci a crescere nella libertà di dare gratuitamente».
(H.J.M.
NOUWEN, La voce dell’amore, Queriniana, Brescia.
2005, 27-28).
L’amore Noi delle strade siamo certissimi di poter amare Dio sin quando avrà voglia di essere amato da noi.
Non pensiamo che l’amore sia una cosa che brilla, ma una cosa che consu-ma; pensiamo che fare tutte le piccole cose per Dio ce lo fa amare altrettanto che il compie-re grandi azioni.
D’altra parte pensiamo di essere molto male informati sulla misura dei nostri atti.
Non sappiamo che due cose: la prima, che tutto quello che facciamo non può essere che piccolo; la seconda, che tutto ciò che fa Dio è grande.
Questo ci rende tranquilli di fronte all’azione.
Sappiamo che ogni nostro lavoro consiste nel non gesticolare sotto la grazia, nel non scegliere le cose da fare, e che Dio agirà per nostro mezzo.
Non c’è niente di difficile per Dio, e chi teme la difficoltà si crede capace di agire.
Poiché troviamo nell’amo-re un’occupazione sufficiente, non abbiamo cercato il tempo per classificare gli atti in pre-ghiere e in azioni.
Troviamo che la preghiera è un’azione e l’azione una preghiera; ci sem-bra che l’azione veramente amorosa è tutta piena di luce.
Ci sembra che di fronte ad essa l’anima è come una notte tutta protesa verso la luce che sta per venire.
E quando la luce si fa – il volere di Dio chiaramente compreso – ecco l’anima viverla con dolcezza piena, con pacatezza piena, guardando Dio animarsi e agire in essa.
Ci sembra che l’azione sia anche una preghiera d’implorazione.
Non ci sembra che l’azione c’inchiodi nel nostro terreno di lavoro, di apostolato o di vita.
Al contrario, ci sembra che l’azione perfettamente compiuta là dove ci viene reclamata innesta noi in tutta la Chiesa, ci diffonde in tutto il suo corpo, ci fa disponibili in essa.
I nostri passi camminano in una strada, ma il nostro cuore batte nel mondo intero.
E’ per questo che i nostri piccoli atti, nei quali non sappiamo distinguere fra azione e preghiera, uniscono così perfettamente l’amore di Dio e l’amore dei nostri fratelli.
Il fatto di abbandonarci alla volontà di Dio ci consegna nello stesso istante alla Chiesa che da questa volontà medesima è resa costantemente salvatrice e madre di grazia.
Ciascun at-to docile ci fa ricevere pienamente Dio e dare pienamente Dio in una grande libertà di spi-rito.
Allora la vita è una festa.
Ogni piccola azione è un avvenimento immenso nel quale ci viene dato il paradiso, nel quale possiamo dare il paradiso.
Non importa che cosa dobbia-mo fare: tenere in mano una scopa o una penna stilografica.
Parlare o tacere, rammendare o fare una conferenza, curare un malato o battere a macchina.
Tutto ciò non è che la scorza della realtà splendida, l’incontro dell’anima con Dio rinnovata ad ogni minuto, che ad ogni minuto si accresce in grazia, sempre più bella per il suo Dio.
Suonano? Presto, andiamo ad aprire: è Dio che viene ad amarci.
Un’informazione? …eccola: è Dio che viene ad amarci.
E’ l’ora di metterci a tavola? Andiamoci: è Dio che viene ad amarci.
Lasciamolo fare.
(Madeleine Delbrêl).
Parlami d’Amore Amore supera l’amore, mio caro.
L’amore è volo d’uccello nel cielo infinito.
Ma il volo dell’uccello è più che il volteggiare in aria di un esserino di carne, più che le sue ali inna-morate, corteggiate dal vento, è più che l’indicibile gioia quando muoiono i battiti delle ali e il corpo in pace plana nella luce.
L’amore è canto di violino che canta il canto del mondo.
Ma il canto del violino è più che il legno e l’archetto, inerti e solitari, più che le note in abi-to da sera che danzano sulla partitura, e più che le dita dell’artista che corrono sulle corde.
L’amore è luce, per le strade umane.
Ma la luce che si dà è più che carezza mattutina che apre gli occhi notturni, più che raggi di fuoco che riscaldano i corpi, e più che mille pen-nelli d seta che colorano i volti.
L’amore è fiume d’argento che scorre verso il mare.
Ma il fiume vivo, che indugia o che si affretta, è più che il suo letto accogliente, scrigno che non trattiene, più che l’acqua che si arrossa allo sguardo del tramonto, e più che l’uomo sulla riva che getta l’esca e ne estrae i frutti.
L’amore è veliero che sulle acque fende le onde.
Ma la corsa del veliero è più che la prora sedotta che penetra il mare, che si offre o i dibatte, più che le vele frementi sotto il tocco della brezza o gli schiaffi del vento, è più che le mani del marinaio afferrate al timone, mentre instancabile insegue la sua selvaggina.
…l’Amore supera l’amore.
L’Amore è soffio infinito, che viene da un altrove e vola verso l’altrove.
L’amore è mente d’uomo che conosce e riconosce il soffio, è libertà d’uomo che tutto si volge verso di Lui.
L’amore è consenso dell’uomo al soffio che invita, è cuore dell’uomo che si apre per accoglierlo e donarLo, è corpo dell’uomo che si raccoglie, disponibile, per-ché da Lui abitato, da Lui invaso prenda il volo verso gli altri, verso…
l’altro, e perché infi-ne ciò che era lontano si ricongiunga e si accordi ciò che era separato diventi uno e che dal-l’uno sgorghi una nuova vita.
(Michel Quoist).
La mia vocazione Nell’eccesso della mia gioia delirante ho esclamato: O Gesù mio Amore…
la mia voca-zione l’ho trovata finalmente! La mia vocazione è l’Amore.
( Santa Teresa di Gesù Bambino).
Una luce splende alla mia anima Che ti amo Signore, non ho alcun dubbio; ne sono certo.
Con la tua parola hai toccato il mio cuore, e io ho cominciato ad amarti.
Ma che cosa amo amandoti? Non una bellezza corporea né una grazia transitoria; non lo splendore di una luce così cara a questi miei occhi; non dolci melodie di svariate cantilene; non un profumo di fiori, di unguenti e di aromi; non manna né miele, non membra invitanti ad amplessi carnali.
Amando il mio Dio, non amo queste cose.
E tuttavia nell’amare lui amo una certa luce, una voce, un profumo, un cibo ed un amplesso che sono la luce, la voce, il profumo, l’amplesso dell’uomo interiore che è in me, dove splende alla mia anima una luce che nessun fluire di secoli può portar via, dove si espande un profumo che nessuna ventata può disperdere, dove si gusta un sapore che nessuna voracità può sminuire, dove si intreccia un rapporto che nessuna sazietà può spezzare.
Tutto questo io amo quando amo il mio Dio.
(S.
Agostino)

La mobilità degli Insegnanti di Religione

Pubblichiamo in approfondimento il testo dell’O.M.
sulla mobilità per i docenti di religione per a.s.
2009/10, pubblicata oggi.
 Ordinanza Ministeriale n.36 Prot.
n.3812 Roma, 23 marzo 2009 MOBILITA’ DEL PERSONALE DOCENTE DI RELIGIONE CATTOLICA ANNO SCOLASTICO 2009/2010 IL MINISTRO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITÀ E DELLA RICERCA Vista la legge 25-3-1985, n.
121, Visto il DPR 16-12-1985, n.
751, Visto il DPR 23-6-1990, n.
202, Vista la legge 23-10-1992, n.
421, Visto il DL 27-8-1993, n.
321, convertito dalla legge 27-10-1993, n.
423, Vista la legge 14-1-1994, n.
20, Visto il DLgs 16-4-1994, n.
297, e successive modificazioni e integrazioni, Vista la legge 23-12-1996, n.
662, Vista la legge 31-12-1996, n.
675 e successive modificazioni e integrazioni, Vista la legge 15-3-1997, n.
59, Vista la legge 15-5-1997, n.
127, e successive modificazioni, Visto il Dpr 18-6-1998, n.
233, Visto il Dpr 8-3-1999, n.
275, Vista la legge 3-5-1999, n.
124, Visto il Dpr 28-12-2000, n.
445, Visto DLgs 30-3-2001, n.
165, e successive modificazioni e integrazioni, Visto il DL 3-7-2001, n.
255, convertito, con modificazioni, dalla legge 20-8-2001, n.
333, Visto il DLgs 30-6-2003, n.
196, Vista la legge 18-7-2003, n.
186, Visto il Dpr 21-12-2007, n.
260, Visto il DM 24-3-2005, n.
42, Visto il DM 13-4-2006, n.
37, Visto il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del Comparto Scuola per il quadriennio giuridico 2006-09 e per il biennio economico 2006-07 sottoscritto il 29-11-2007, Visto il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro relativo al personale del Comparto Scuola per il biennio economico 2008-2009 sottoscritto il 23-1-2009, Visto il Contratto Collettivo Nazionale Integrativo concernente la mobilità del personale docente, educativo ed a.t.a.
per l’anno scolastico 2009-10, sottoscritto il 12-2-2009, Vista l’Ordinanza Ministeriale 13-2-2009, n.
18, sulla mobilità del personale della scuola, Vista l’Ordinanza Ministeriale 21-2-2008, n.
27, sulla mobilità del personale docente di religione cattolica per l’anno scolastico 2008-09, Considerato che gli insegnanti di religione cattolica, ancorché assunti nei ruoli dello Stato, sono vincolati da specifiche norme di natura concordataria e sono assegnati, ed ivi incardinati, a circoscrizioni territoriali diocesane che non coincidono con le circoscrizioni amministrative che regolano la titolarità del restante personale della scuola, Ritenuto di non poter trattare in maniera meccanizzata la mobilità degli insegnanti di religione cat-tolica, ma di dover ricorrere, anche per quest’anno, ad una gestione manuale di detto perso-nale, Sentite le Organizzazioni Sindacali del Comparto Scuola che hanno sottoscritto il Contratto Collet-tivo Nazionale Integrativo sulla mobilità del personale della scuola per l’anno scolastico 2009-10, ORDINA Articolo 1 – Campo di applicazione dell’ordinanza e principi generali 1.
La presente Ordinanza disciplina la mobilità per l’anno scolastico 2009-10 degli insegnan-ti di religione cattolica assunti nei ruoli di cui alla legge 186/03.
Le disposizioni contenute nella presente Ordinanza determinano le modalità di applicazione delle disposizioni dell’art.
37bis del Contratto Collettivo Nazionale Integrativo sottoscritto il 12-2-2009, concernente la mobilità del per-sonale della scuola.
2.
Nel rispetto della normativa concordataria vigente, in tutte le operazioni di mobilità che li riguardano gli insegnanti di religione cattolica devono essere in possesso del riconoscimento di ido-neità rilasciato dall’ordinario della diocesi di destinazione e deve essere raggiunta una intesa sulla utilizzazione tra il medesimo ordinario diocesano e il Direttore Generale dell’Ufficio scolastico re-gionale o un suo delegato relativamente alla sede o alle sedi di servizio.
Nell’individuare un posto di insegnamento le autorità scolastica ed ecclesiastica citate possono eccezionalmente configurare cat-tedre o posti misti, articolati contemporaneamente su scuola dell’infanzia e scuola primaria o su scuola secondaria di primo e secondo grado.
3.
Gli insegnanti di religione cattolica hanno titolarità in un organico regionale articolato per diocesi e sono utilizzati nelle singole sedi scolastiche sulla base di un’intesa raggiunta, al momento della prima assunzione, tra il Direttore Generale dell’Ufficio scolastico regionale e l’ordinario dioce-sano competente.
Detta assegnazione di sede si intende confermata automaticamente di anno in an-no qualora permangano le condizioni e i requisiti prescritti dalle vigenti disposizioni di legge.
4.
Possono partecipare alle operazioni di mobilità territoriale a domanda per transitare nel contingente di diocesi diversa da quella di appartenenza, ubicata nella stessa regione di titolarità, gli insegnanti di religione cattolica che con l’anno scolastico 2008-09 abbiano almeno due anni di an-zianità giuridica di servizio in ruolo.
5.
Possono partecipare alle operazioni di mobilità territoriale a domanda per acquisire la tito-larità in altra regione, con conseguente assegnazione al contingente di altra diocesi, gli insegnanti di religione cattolica che con l’anno scolastico 2008-09 abbiano almeno tre anni di anzianità giuridica di servizio in ruolo.
6.
La mobilità professionale degli insegnanti di religione cattolica, ai sensi dell’art.
4, c.
1, della legge 186/03, è limitata al passaggio dal settore formativo corrispondente al ruolo per l’inse-gnamento della religione cattolica nella scuola dell’infanzia e primaria al settore formativo corri-spondente al ruolo per l’insegnamento della religione cattolica nella scuola secondaria di primo e secondo grado, o viceversa.
Possono partecipare a detta mobilità professionale gli insegnanti che, avendo superato il periodo di prova, siano in possesso dell’idoneità concorsuale anche per il settore formativo richiesto e dell’idoneità ecclesiastica rilasciata, per l’ordine e grado di scuola richiesto, dall’ordinario diocesano competente.
7.
Gli insegnanti di religione cattolica assunti nel ruolo della scuola dell’infanzia e primaria ma assegnati alla scuola dell’infanzia in quanto in possesso dei soli titoli di qualificazione per l’inse-gnamento nella scuola dell’infanzia possono partecipare alle operazioni di mobilità territoriale uni-camente per essere utilizzati in scuole dell’infanzia.
Ove abbiano conseguito nel frattempo una qua-lificazione che li abiliti ad insegnare anche nella scuola primaria, e siano in possesso della specifica idoneità all’insegnamento della religione cattolica anche nella scuola primaria, possono partecipare alle operazioni di mobilità, sempre d’intesa con l’autorità ecclesiastica competente, su una sede di scuola primaria o su un posto misto di scuola primaria e dell’infanzia.
8.
Le tabelle allegate al Contratto Collettivo Nazionale Integrativo concernente la mobilità del personale della scuola, sottoscritto il 12-2-2009, sono valide, con le precisazioni di cui al suc-cessivo articolo 4, anche per la mobilità degli insegnanti di religione cattolica.
9.
La presente Ordinanza è diramata a mezzo della rete Intranet e Internet ed affissa agli albi degli Uffici scolastici regionali, degli Uffici scolastici provinciali e delle Istituzioni scolastiche.
Articolo 2 – Termini per le operazioni di mobilità 1.
Le domande di mobilità devono essere presentate da tutto il personale di cui al precedente articolo dal 30 marzo al 28 aprile 2009.
Le domande sono elaborate manualmente dagli uffici indi-cati negli articoli successivi.
2.
Il termine per la pubblicazione di tutti i movimenti di detto personale, come definiti dal-l’articolo 37bis del CCNI sottoscritto il 12 febbraio 2009, è fissato al 30 giugno 2009.
3.
Il termine ultimo per la presentazione della richiesta di revoca delle domande è fissato al 15 giugno 2009.
Articolo 3 – Presentazione delle domande 1.
Gli insegnanti di religione cattolica di cui all’art.
1 devono indirizzare le domande di tra-sferimento e di passaggio, redatte in conformità agli appositi modelli riportati negli allegati alla pre-sente Ordinanza e corredate dalla relativa documentazione, all’Ufficio scolastico regionale della Regione di titolarità e presentarle al dirigente dell’Istituzione scolastica presso la quale prestano ser-vizio.
2.
Nel caso di diocesi che insistono sul territorio di più Regioni, gli insegnanti di religione cattolica, a prescindere dall’ubicazione della sede diocesana, devono indirizzare le domande di tra-sferimento e di passaggio, sempre redatte in conformità ai modelli allegati e corredate della relativa documentazione, all’Ufficio scolastico regionale della Regione in cui si trova l’Istituzione scolastica presso la quale prestano servizio e presentarla al dirigente scolastico della medesima Istituzione scolastica.
3.
Le domande dei docenti appartenenti ai ruoli della Val d’Aosta, intese ad ottenere il trasfe-rimento o il passaggio nelle scuole del rimanente territorio nazionale, devono essere inviate all’Uffi-cio scolastico regionale per il Piemonte.
4.
Le domande devono contenere le seguenti indicazioni: generalità dell’interessato , regione di titolarità, diocesi e scuola presso la quale l’insegnante presta servizio per utilizzazione nel corren-te anno scolastico.
5.
I docenti devono redigere le domande, sia di trasferimento che di passaggio, in conformità ai seguenti allegati e secondo le istruzioni riferite agli allegati medesimi: – scuole dell’infanzia e primarie Allegato TR1 (trasferimenti) e Allegato PR1 (passaggi) – scuole secondarie di I e II grado Allegato TR2 (trasferimenti) e Allegato PR2 (passaggi) 6.
I docenti che intendono chiedere contemporaneamente il trasferimento ed il passaggio de-vono presentare distintamente una domanda per il trasferimento e una domanda per il passaggio, precisando nella domanda di passaggio a quale delle due intendano dare la precedenza.
In mancanza di indicazioni chiare viene data precedenza al trasferimento.
7.
In caso di richiesta contemporanea di trasferimento e di passaggio è consentito documen-tare una sola delle domande, essendo sufficiente per l’altra il riferimento alla documentazione alle-gata alla prima.
8.
Le domande devono essere corredate dalla documentazione attestante il possesso dei titoli per l’attribuzione dei punteggi previsti dalle tabelle di valutazione allegate al Contratto Collettivo Nazionale Integrativo sottoscritto il 12-2-2009, con le specificazioni previste dal successivo articolo 4.
Le domande di trasferimento devono contenere il certificato di riconoscimento dell’idoneità ec-clesiastica rilasciato dall’ordinario della diocesi di destinazione.
Le domande di passaggio devono contenere l’indicazione relativa al possesso della specifica idoneità concorsuale, oltre all’idoneità ecclesiastica rilasciata, per l’ordine e grado di scuola richiesto, dall’ordinario diocesano competente.
Non saranno prese in considerazione le domande prive della dichiarazione di idoneità dell’ordinario diocesano competente.
9.
I titoli di servizio valutabili ai sensi della relativa tabella devono essere attestati dall’inte-ressato sotto la propria responsabilità con dichiarazione personale in carta semplice e riportati nel-l’apposita casella del modulo domanda.
10.
I titoli valutabili per esigenze di famiglia devono essere documentati secondo quanto in-dicato nell’articolo 9 del Contratto Collettivo Nazionale Integrativo sottoscritto il 12-2-2009, con-cernente la mobilità del personale della scuola.
11.
Le dichiarazioni mendaci, le falsità negli atti e l’uso di atti falsi sono puniti a norma delle disposizioni vigenti.
Articolo 4 – Documentazione delle domande 1.
Le domande sono prese in esame solo se redatte utilizzando l’apposito modulo allegato al-la presente Ordinanza, disponibile nella rete Intranet ed Internet.
Il mancato utilizzo dell’apposito modulo comporta l’annullamento delle domande.
2.
Le domande vanno corredate dalla certificazione di idoneità rilasciata dall’Ordinario Dio-cesano di destinazione, nonché dalle dichiarazioni, in carta semplice, dei servizi prestati, redatte in conformità al modello D allegato alla presente Ordinanza, ovvero dal certificato di servizio.
3.
La valutazione delle esigenze di famiglia e dei titoli deve avvenire ai sensi della tabella al-legata al Contratto Collettivo Nazionale Integrativo sottoscritto il 12-2-2009 e va effettuata esclusi-vamente in base alla documentazione, in carta semplice, da produrre da parte degli interessati uni-tamente alla domanda, nei termini previsti .
4.
In relazione alle Tabelle A) e B) per la valutazione dei titoli ai fini dei trasferimenti a do-manda e d’ufficio e ai fini della mobilità professionale si noti che nei confronti degli insegnanti di religione cattolica non trovano di fatto applicazione i punteggi previsti alle lettere B3) e C1).
Per-tanto non andranno compilate le caselle corrispondenti nel modulo domanda.
In relazione ai titoli generali (punto III), non trova inoltre applicazione il punteggio previsto alla lettera A) e quindi non sono da compilare le corrispondenti caselle dei moduli domanda.
Va invece riconosciuto il punteg-gio relativo alla lettera B), superamento di un pubblico concorso ordinario, data la natura particolare del concorso riservato cui tutti gli insegnanti di religione cattolica hanno partecipato.
Tra i titoli previsti nel medesimo punto alla lettera C) deve essere compreso anche ogni diploma di specializ-zazione di durata almeno biennale riconducibile ad una delle discipline di cui all’allegato A del DM 15-7-1987, conseguito dopo la laurea o la licenza presso facoltà teologiche o istituzioni accademi-che di diritto pontificio comprese negli elenchi forniti dalla Conferenza Episcopale Italiana.
Tra i titoli previsti alla successiva lettera D) deve essere compreso anche ogni diploma di scienze religio-se, magistero in scienze religiose ed ogni titolo di baccalaureato o equivalente, conseguito in una delle discipline di cui all’allegato A del DM 15-7-1987 presso facoltà teologiche o istituzioni acca-demiche di diritto pontificio comprese negli elenchi forniti dalla Conferenza Episcopale Italiana, in aggiunta al titolo che ha consentito l’accesso al ruolo.
Tra i titoli previsti alla lettera E) deve essere compreso anche ogni corso di perfezionamento di durata non inferiore ad un anno ed ogni master di primo o secondo livello attivati da facoltà teologiche o istituzioni accademiche di diritto pontificio comprese negli elenchi forniti dalla Conferenza Episcopale Italiana in materie riconducibili alle di-scipline di cui all’allegato A del DM 15-7-1987.
Tra i titoli previsti alla lettera F) deve essere com-preso anche ogni titolo di licenza o equivalente conseguito in una delle discipline di cui all’allegato A del DM 15-7-1987 presso facoltà teologiche o istituzioni accademiche di diritto pontificio com-prese negli elenchi forniti dalla Conferenza Episcopale Italiana, in aggiunta al titolo che ha consen-tito l’accesso al ruolo.
Tra i titoli previsti alla lettera G) deve essere compreso anche il consegui-mento del dottorato in una delle discipline di cui all’allegato A del DM 15-7-1987 presso facoltà te-ologiche o istituzioni accademiche di diritto pontificio comprese negli elenchi forniti dalla Confe-renza Episcopale Italiana, in aggiunta al titolo che ha consentito l’accesso al ruolo.
Non trova infine applicazione il punteggio previsto alla lettera I).
Pertanto non vanno compilate le corrispondenti ca-selle dei moduli domanda.
5.
Il servizio prestato, per almeno 180 giorni o alle condizioni previste dalla nota 4 dell’allegato D del Contratto Collettivo Nazionale Integrativo sottoscritto il 12-2-2009, in insegna-mento diverso da quello di religione cattolica è da valutare con lo stesso punteggio previsto per il servizio non di ruolo.
Non è riconoscibile il servizio prestato nell’insegnamento della religione cat-tolica, successivamente al 1 settembre 1990, senza il possesso del prescritto titolo di qualificazione.
Nel caso di titolo conseguito in costanza di servizio, il servizio medesimo è riconoscibile a partire dalla data di conseguimento.
6.
A tutti gli insegnanti di religione cattolica è consentito far valere come titolo di accesso al ruolo quello più conveniente tra quelli eventualmente posseduti e, di conseguenza, far valere gli al-tri come titoli aggiuntivi, a prescindere da quelli effettivamente utilizzati e valutati in occasione del concorso per l’accesso al ruolo.
Come previsto al punto 4.6.2.
del DPR 751/1985, sono in ogni caso da ritenere dotati della qualificazione necessaria per il loro insegnamento «gli insegnanti di religio-ne cattolica delle scuole secondarie e quelli incaricati di sostituire nell’insegnamento della religione cattolica l’insegnante di classe nelle scuole elementari, che con l’anno scolastico 1985-86 abbiano cinque anni di servizio».
Pertanto, i servizi prestati dai soggetti in possesso dei requisiti sopra citati sono da valutare ai fini della mobilità, ivi incluso il quinquennio utilizzato come titolo di qualifica-zione.
7.
Ai fini della validità di tale documentazione si richiamano le disposizioni contenute nelle predette tabelle di valutazione, che valgono per gli insegnanti di entrambi i ruoli.
8.
Relativamente alla lettera C) del punto II – esigenze di famiglia – della tabella di valuta-zione (Allegato D), lo stato di figlio maggiorenne che, a causa di infermità o difetto fisico o menta-le, si trovi nell’assoluta o permanente impossibilità di dedicarsi ad un proficuo lavoro, deve essere documentato con certificazione o copia autenticata della stessa rilasciata dalla A.S.L.
o dalle preesi-stenti commissioni sanitarie provinciali.
Relativamente alla lettera D) del punto II – esigenze di fa-miglia – della medesima tabella, il ricovero permanente del figlio, del coniuge o del genitore deve essere documentato con certificato rilasciato dall’istituto di cura.
Il bisogno, da parte dei medesimi, di cure continuative tali da comportare di necessità la residenza nella sede dell’istituto di cura, deve essere, invece, documentato con certificato rilasciato da ente pubblico ospedaliero o dall’azienda sanitaria locale o dall’ufficiale sanitario o da un medico militare.
L’interessato deve, altresì, comprovare con dichiarazione personale, redatta a norma delle di-sposizioni contenute nel DPR 28 dicembre 2000, n.
445, così come modificato e integrato dall’art.
15 della legge 16 gennaio 2003, n.
3, che il figlio, il coniuge, il genitore può essere assistito soltanto in un comune sito nel territorio della diocesi richiesta per trasferimento, in quanto nel territorio della diocesi di attuale titolarità non esiste un istituto di cura presso il quale il medesimo può essere assi-stito.
Per i figli tossicodipendenti l’attuazione di un programma terapeutico e socio-riabilitativo deve essere documentata con certificazione rilasciata dalla struttura pubblica o privata in cui avviene la riabilitazione stessa (artt.
114, 118 e 122 del DPR 9-10-1990, n.
309).
L’interessato deve comprovare, sempre con dichiarazione personale, che il figlio tossicodi-pendente può essere assistito soltanto nel comune sito nel territorio della diocesi richiesta per trasfe-rimento in quanto nella diocesi di attuale titolarità non esiste una struttura pubblica o privata presso la quale il medesimo può essere sottoposto a programma terapeutico e socio-riabilitativo, ovvero perché in tale comune – residenza abituale – il figlio tossicodipendente viene sottoposto a pro-gramma terapeutico con l’assistenza di un medico di fiducia come previsto dall’art.
122, c.
3, del ci-tato DPR n.
309/90.
In mancanza di detta dichiarazione, la documentazione esibita non viene presa in considerazione.
9 .
Nel caso dei trasferimenti per i quali si intendano far valere le precedenze di cui all’art.
7 del CCNI sulla mobilità sottoscritto il 12-2-2009, il comune di residenza dei familiari deve apparte-nere al territorio della diocesi per la quale si chiede il trasferimento.
L’effettiva assegnazione dell’in-segnante di religione cattolica ad una scuola situata nel comune di residenza dei familiari è tuttavia regolata dall’intesa che l’Ufficio scolastico regionale raggiunge con l’ordinario diocesano per l’uti-lizzazione dell’insegnante.
10.
A norma delle disposizioni contenute nel DPR 28 dicembre 2000, n.
445, così come mo-dificato e integrato dall’art.
15 della legge 16 gennaio 2003, n.
3, l’interessato può attestare con di-chiarazioni personali l’esistenza di figli minorenni (precisando in tal caso la data di nascita), lo stato di celibe, nubile, coniugato, vedovo o divorziato, il rapporto di parentela con le persone con cui chiede di ricongiungersi, la residenza delle medesime , l’inclusione nella graduatoria di merito in pubblico concorso per esami , i diplomi di specializzazione, i diplomi universitari, i corsi di perfe-zionamento, i diplomi di laurea, il dottorato di ricerca.
Ai fini dell’attribuzione del punteggio previ-sto dalla lettera E) del punto III – titoli generali – della tabella, nella relativa certificazione deve es-sere indicata la durata, almeno annuale, del corso con il superamento della prova finale.
Per gli in-segnanti della scuola secondaria, nel caso in cui il titolo di accesso al ruolo sia costituito da un di-ploma di laurea valido nell’ordinamento italiano, unitamente a un diploma rilasciato da un istituto di scienze religiose riconosciuto dalla Conferenza Episcopale Italiana, i titoli devono essere valutati congiuntamente e uno dei due non può essere valutato separatamente come titolo aggiuntivo.
11.
Il personale che chiede il passaggio deve dichiarare di possedere l’idoneità concorsuale relativa al ruolo richiesto e deve allegare il riconoscimento di idoneità ecclesiastica relativa all’inse-gnamento della religione cattolica nell’ordine e grado richiesto, rilasciato dall’ordinario diocesano competente per territorio.
12.
In attuazione dell’art.
7, c.
1, punto VIII) del Contratto Collettivo Nazionale Integrativo sottoscritto il 12-2-2009, concernente la mobilità del personale della scuola, il personale che a se-guito della riduzione del numero delle aspettative sindacali retribuite intenda avvalersi della prece-denza nei trasferimenti interregionali a domanda deve dichiarare di aver svolto attività sindacale e di aver avuto il domicilio negli ultimi tre anni nel territorio della diocesi richiesta; tale diritto può essere esercitato solo nell’anno successivo al venire meno del distacco sindacale.
13.
I responsabili dell’Ufficio scolastico regionale potranno procedere, ove ne ravvisino l’opportunità, ad una verifica d’ufficio della veridicità delle dichiarazioni personali rilasciate .
14.
Le dichiarazioni mendaci, la falsità negli atti e l’uso di atti falsi, nei casi previsti dal DPR 28 dicembre 2000, n.
445, così come modificato e integrato dall’art.
15 della legge 16 gennaio 2003, n.
3, sono puniti a norma delle disposizioni vigenti in materia.
Articolo 5 – Rettifiche, revoche e rinunce 1.
Successivamente alla scadenza dei termini per la presentazione delle domande di trasfe-rimento e di passaggio non è più consentito integrare o modificare (anche per quanto riguarda l’or-dine) le preferenze già espresse, né la documentazione allegata.
2.
È consentita la revoca delle domande di movimento presentate.
La richiesta di revoca de-ve essere inviata tramite la scuola di servizio o presentata all’Ufficio scolastico regionale della Re-gione di titolarità dell’interessato ed è presa in considerazione soltanto se pervenuta entro il 15 giu-gno 2009.
3.
L’aspirante, qualora abbia presentato più domande di movimento, sia di trasferimento che di passaggio, deve dichiarare esplicitamente se intende revocare tutte le domande o solo una.
In tale ultimo caso deve chiaramente indicare la domanda per la quale chiede la revoca.
In mancanza di ta-le precisazione la revoca si intende riferita a tutte le domande di movimento.
4.
Non è ammessa la rinuncia, a domanda, del trasferimento concesso, salvo che tale rinun-cia non venga richiesta per gravi sopravvenuti motivi, debitamente comprovati, e a condizione, al-tresì, che il posto di provenienza sia rimasto vacante e che la rinuncia non incida negativamente sul-le operazioni relative alla gestione dell’organico di fatto.
Il posto reso disponibile dal rinunciatario non influisce sui trasferimenti già effettuati e non comporta, quindi, il rifacimento degli stessi.
5.
Il procedimento di accettazione o diniego della richiesta di rinuncia o di revoca deve, a norma dell’art.
2 della legge 241/90, essere concluso con un provvedimento espresso.
Articolo 6 – Organi competenti a disporre i trasferimenti ed i passaggi.
Pubblicazione del movimento e adempimenti successivi 1.
I trasferimenti ed i passaggi degli insegnanti di religione cattolica sono disposti dal Diret-tore Generale dell’Ufficio scolastico regionale o da un suo delegato per ciascuna delle diocesi di competenza entro le date stabilite dal precedente articolo 2.
L’elenco graduato di coloro che hanno ottenuto il trasferimento o il passaggio viene affisso all’albo dell’Ufficio scolastico regionale, con l’indicazione, a fianco di ogni nominativo, della diocesi di destinazione, del punteggio complessivo e delle eventuali precedenze, nel rispetto delle norme di cui alla legge 675/96 e al DLgs 196/03.
2.
Agli insegnanti che hanno ottenuto il trasferimento o il passaggio viene data comunica-zione del provvedimento presso la scuola di servizio.
3.
Contemporaneamente alla pubblicazione degli elenchi e alla comunicazione del provve-dimento alle Istituzioni scolastiche, gli Uffici scolastici regionali provvedono alle relative comuni-cazioni: alla Istituzione scolastica di provenienza, alla diocesi di provenienza, alla diocesi di desti-nazione, al locale dipartimento provinciale del Tesoro.
4.
L’elenco di coloro che hanno ottenuto il trasferimento o il passaggio viene trasmesso dal-l’Ufficio scolastico regionale all’ordinario diocesano competente.
Contestualmente a detta trasmis-sione il Direttore Generale dell’Ufficio scolastico regionale o un suo delegato stabilisce gli opportu-ni contatti con le diocesi di competenza per definire l’intesa relativa alla sede di utilizzazione degli insegnanti oggetto di detti movimenti.
5.
L’intesa sulla sede di utilizzazione di ciascun insegnante deve essere raggiunta entro il 31 luglio 2009 e di essa deve essere data comunicazione ai dirigenti scolastici delle scuole di prove-nienza e di destinazione degli insegnanti interessati.
Il dirigente scolastico della scuola di destina-zione deve comunicare l’avvenuta assunzione di servizio con l’inizio del nuovo anno scolastico al-l’Ufficio scolastico regionale, alla diocesi e al competente dipartimento provinciale del Tesoro.
Articolo 7 – Fascicolo personale 1.
I dati personali dei soggetti interessati alla mobilità devono essere utilizzati solo per fini di carattere istituzionale e per l’espletamento delle procedure legate alla stessa mobilità; i dati in questione possono essere comunicati o diffusi ai soggetti pubblici alle condizioni di cui ai commi 2 e 3 dell’art.
19 del DLgs 30 giugno 2003, n.
196, “Codice in materia di protezione dei dati persona-li”.
Per quanto attiene al trattamento dei dati sensibili personali si fa riferimento ai principi generali richiamati dal citato DLgs 30-6-2003, n.
196, che ha sostituito il DLgs 11-5-1999, n.
135, recante disposizioni integrative della legge 31-12-1996, n.
675, in materia di trattamento dei dati sensibili da parte di soggetti pubblici.
2.
I fascicoli personali di coloro che risultano trasferiti sono trasmessi, a cura dell’Istituzione scolastica di provenienza all’Istituzione scolastica di destinazione con l’inizio del nuovo anno scola-stico.
Articolo 8 – Domanda di trasferimento e di passaggio 1.
Gli insegnanti di religione cattolica possono chiedere l’utilizzazione in altra sede della stessa diocesi in occasione dei movimenti di assegnazione provvisoria e utilizzazione regolati da apposito Contratto Collettivo Nazionale Integrativo.
In quella stessa occasione gli insegnanti in ser-vizio in diocesi che insistono sul territorio di più regioni possono presentare domanda di utilizza-zione in una sede scolastica appartenente alla stessa diocesi ma ad una regione diversa.
In questo caso i Direttori Generali degli Uffici scolastici regionali coinvolti stabiliscono i necessari accordi per le opportune compensazioni di organico.
2.
Le sedi assegnate per utilizzazione agli insegnanti di religione cattolica si intendono con-fermate automaticamente di anno in anno qualora permangano le condizioni e i requisiti prescritti dalle vigenti disposizioni di legge, cioè finché permanga la disponibilità oraria nell’Istituzione sco-lastica e finché non sia revocata l’idoneità rilasciata dall’ordinario diocesano competente.
In caso di utilizzazione con completamento orario esterno la conferma automatica riguarda la sede in cui l’in-segnante ha il maggior numero di ore ovvero quella che figura per prima nel decreto di utilizzazio-ne; ferma restando tale sede, in caso di variazione oraria in una delle sedi deve essere comunque raggiunta una specifica intesa con l’ordinario diocesano competente.
3.
Gli insegnanti di religione cattolica, con una stessa domanda, possono chiedere il trasfe-rimento in altre diocesi della medesima regione o in altre diocesi di diversa regione, o congiunta-mente per le une e per le altre.
4.
In materia di mobilità professionale gli insegnanti di religione cattolica, ai sensi dell’arti-colo 4, c.
1, della legge 186/03, possono chiedere solo il passaggio al ruolo del medesimo insegna-mento di religione cattolica in diverso settore formativo, qualora siano in possesso dell’idoneità concorsuale relativa all’altro settore formativo e dell’idoneità ecclesiastica rilasciata dall’ordinario diocesano competente per l’ordine e grado scolastico richiesto.
Gli insegnanti di religione cattolica, pertanto, non possono chiedere il passaggio ad altro tipo di insegnamento anche se in possesso dei titoli di qualificazione previsti per tale servizio.
5.
Gli insegnanti che intendono chiedere contemporaneamente trasferimento e passaggio de-vono precisare, nell’apposita sezione del modulo domanda di passaggio, a quale movimento (trasfe-rimento o passaggio) intendono dare precedenza.
In mancanza di indicazioni chiare viene data pre-cedenza al trasferimento.
6.
È consentito il passaggio alle scuole con lingua d’insegnamento slovena (o viceversa) a condizione che l’aspirante sia in possesso dei titoli di accesso specificamente richiesti e che sul mo-vimento si raggiunga l’intesa con l’ordinario diocesano competente.
Articolo 9 – Indicazione delle preferenze 1.
Le preferenze devono essere indicate nell’apposita sezione del modulo-domanda e sono relative agli ambiti territoriali della regione e della diocesi.
2.
Gli insegnanti di religione cattolica possono chiedere il trasferimento o il passaggio in al-tra diocesi della stessa o di diversa regione a condizione di essere in possesso di idoneità riconosciu-ta dall’ordinario della diocesi richiesta.
A tale scopo, l’attestato di riconoscimento di idoneità deve essere allegato alla domanda, con la specificazione dell’ordine e grado di scuola per il quale l’inse-gnante è riconosciuto idoneo.
In mancanza di tale ultima specificazione l’insegnante è considerato idoneo per tutti gli ordini e gradi scolastici, fermo restando che la sua destinazione su una sede spe-cifica deve essere oggetto di intesa tra il Direttore Generale dell’Ufficio scolastico regionale e l’or-dinario diocesano competente per territorio.
3.
Con una stessa domanda è possibile chiedere il trasferimento in più di una diocesi.
Per ciascuna delle diocesi richieste deve essere allegato l’attestato di riconoscimento dell’idoneità rila-sciato dall’ordinario della diocesi richiesta.
4.
Nell’assegnazione di nuova titolarità si segue l’ordine delle operazioni fissato dall’art.
37bis, c.
4, del vigente CCNI sulla mobilità.
5.
È possibile esprimere preferenze fino a un massimo di cinque diocesi situate oltre che nel-la regione di appartenenza anche in un’altra regione per entrambi i ruoli di provenienza degli aspi-ranti.
6.
Qualora una diocesi insista sul territorio di più regioni, l’insegnante deve precisare nella porzione del territorio diocesano corrispondente a quale regione intende chiedere il trasferimento.
Ciascuna porzione è trattata come se fosse una distinta diocesi.
7.
Qualsiasi richiesta formulata in difformità alle disposizioni contenute nel presente articolo è da ritenere nulla e non produttiva di effetti.
Articolo 10 – Adempimenti dei dirigenti scolastici e degli uffici amministrativi 1.
Il dirigente scolastico, dopo l’accertamento della esatta corrispondenza fra la documenta-zione allegata alla domanda e quella elencata, procede all’acquisizione della domanda.
Effettuate ta-li operazioni, il dirigente scolastico deve inviare all’Ufficio scolastico regionale competente le do-mande originali di trasferimento e di passaggio corredate della documentazione entro l’8 maggio 2009.
2.
L’Ufficio scolastico regionale, a mano a mano che riceve le domande, procede alla valuta-zione delle stesse ed all’assegnazione dei punti sulla base delle apposite tabelle allegate al Contratto sulla mobilità, nonché al riconoscimento di eventuali diritti di precedenza, comunicando entro il 4 giugno 2009 alla scuola di servizio dell’insegnante, per l’immediata notifica, il punteggio assegnato e gli eventuali diritti riconosciuti.
L’insegnante ha facoltà di far pervenire all’Ufficio scolastico re-gionale, entro 5 giorni dalla ricezione, motivato reclamo, secondo le indicazioni contenute nell’art.
12 del Contratto Collettivo Nazionale Integrativo sottoscritto il 12-2-2009, concernente la mobilità del personale della scuola.
In tale sede ed entro il termine suddetto il docente può anche richiedere, in modo esplicito, le opportune rettifiche a preferenze già espresse nel modulo domanda in modo errato, indicando l’esatta preferenza da apporre nella domanda.
L’Ufficio competente, esaminati i reclami, apporta le eventuali rettifiche.
3.
Per gli insegnanti di religione cattolica non si dà luogo alla compilazione e pubblicazione di graduatorie d’istituto, ma si procede ugualmente all’attribuzione di un punteggio sulla base delle tabelle allegate al Contratto Collettivo Nazionale Integrativo sottoscritto il 12-2-2009.
Detta docu-mentazione è inviata dalle scuole all’Ufficio scolastico regionale entro l’8 maggio 2009.
4.
L’Ufficio scolastico regionale, una volta ricevuta la documentazione di cui al comma 3, predispone, entro il 22 giugno 2009, per ciascun ruolo, una graduatoria unica regionale degli inse-gnanti di religione cattolica, suddivisa per diocesi, al solo scopo di individuare il personale even-tualmente in esubero.
Articolo 11 – Disposizioni generali sui passaggi di ruolo 1.
Gli insegnanti di religione cattolica possono chiedere unicamente il passaggio di ruolo per transitare dal ruolo per l’insegnamento della religione cattolica nella scuola dell’infanzia e primaria al ruolo per l’insegnamento della religione cattolica nella scuola secondaria di primo e secondo gra-do, o viceversa.
2.
La domanda di passaggio di ruolo è subordinata al possesso della specifica idoneità rico-nosciuta dall’ordinario diocesano competente per l’ordine e grado di scuola richiesto.
Tale certifica-zione deve essere allegata alla domanda.
Ove il certificato di idoneità ecclesiastica non specifichi l’ordine e grado di scuola per il quale l’insegnante è riconosciuto idoneo, l’insegnante medesimo è considerato idoneo per tutti gli ordini e gradi scolastici.
3.
Il passaggio dalla scuola dell’infanzia alla scuola primaria (o viceversa) ed il passaggio dalla scuola secondaria di primo grado alla scuola secondaria di secondo grado (o viceversa) non si configurano come passaggi di ruolo in quanto si tratta di movimenti effettuati all’interno del mede-simo ruolo di appartenenza e vanno quindi trattati in sede di utilizzazione, secondo le procedure stabilite nella relativa ordinanza.
4.
Con una stessa domanda è possibile chiedere il passaggio in più di una diocesi.
Per cia-scuna delle diocesi richieste deve essere allegato l’attestato di riconoscimento dell’idoneità rilasciato dall’ordinario della diocesi richiesta.
5.
Nell’assegnazione di nuova titolarità si segue l’ordine delle operazioni fissato dall’art.
37bis, c.
4, del vigente CCNI sulla mobilità.
6.
È possibile esprimere preferenze fino a un massimo di cinque diocesi situate oltre che nel-la regione di appartenenza anche in un’altra regione per entrambi i ruoli di provenienza degli aspi-ranti.
Articolo 12 – Modalità di presentazione delle domande di passaggio di ruolo 1.
Le domande, redatte in conformità agli appositi moduli, devono contenere tutte le indica-zioni ivi richieste e devono essere presentate nei termini stabiliti dall’art.
2 e secondo le disposizioni previste dal precedente articolo 11.
2.
Le domande prodotte fuori termine o in difformità a quanto stabilito nel precedente com-ma non vengono prese in considerazione.
3.
Per eventuali rettifiche, revoche o rinunce si applicano le precedenti disposizioni relative alle domande di trasferimento.
Allegati Allegato TR1 – Domanda di trasferimento per insegnanti di religione cattolica delle scuole dell’in-fanzia e primaria Allegato PR1 – Domanda di passaggio di ruolo per le scuole dell’infanzia e primaria Allegato TR2 – Domanda di trasferimento per insegnanti di religione cattolica delle scuole secon-darie di primo e secondo grado Allegato PR2 – Domanda di passaggio di ruolo per le scuole secondarie di primo e secondo grado.
Allegato C – Elenco ufficiale delle diocesi italiane.
Allegato D – Modello di dichiarazione dell’anzianità di servizio.
IL MINISTRO F.to Gelmini