Le competenze dei quindicenni europei

 

Verso Lisbona 2020: il punto su Matematica

 

Sono stati pubblicati nei giorni scorsi, a cura della Commissione europea, due rapporti che raccolgono gli esiti delle ultime rilevazioni internazionali relative alle competenze dei 15enni europei in scienze e in matematica.

Androulla Vassiliou, commissario europeo per l’istruzione, la cultura, il multilinguismo e la gioventù, nell’introduzione al volume dedicato alla matematica, sottolinea l’importanza strategica per i giovani di una solida cultura in questo campo, non solo per rispondere ad un interesse personale, ma anche per un utile impiego nel lavoro e nella vita quotidiana.

Il rapporto prende in considerazione l’impatto delle modalità di insegnamento della matematica nei diversi sistemi scolastici, anche con l’intenzione di suggerire una migliore diffusione di buone pratiche a sostegno dei percorsi di insegnamento.

L’Europa assiste ad una costante diminuzione di studenti nelle facoltà matematiche, scientifiche e tecnologiche, oltre al permanere di un annoso squilibrio nel numero di studenti e studentesse frequentanti questo tipo di facoltà.

L’attuale crisi finanziaria rafforza il convincimento che sia di cruciale importanza un’attenzione e una cura crescenti per l’istruzione scientifica e matematica che permetta alle giovani generazioni di affrontare le problematiche future con un sicuro bagaglio di conoscenze.

Il volume ricorda che le rilevazioni internazionali, fin dal 2009, hanno indicato per i 15enni europei scarse competenze matematiche e stabilito, per il 2020, una riduzione nel numero dei ragazzi insufficientemente preparati di almeno il 15%.


tuttoscuola.com venerdì 18 novembre 2011

 

 

Verso Lisbona 2020: il punto sulle Scienze

 

Tra le più recenti pubblicazioni della Commissione europea, va considerata quella che raccoglie in un complesso organico le rilevazioni sulle competenze in Scienze dei 15enni dei 31 Paesi europei solitamente coinvolti nelle rilevazioni internazionali.

L’insegnamento scientifico fa parte delle competenze chiave che debbono possedere i giovani cittadini europei, tuttavia lo studio evidenzia come solo 8 Paesi abbiano delle strategie didattiche nazionali complessive per la promozione di questa disciplina.

Pochi inoltre sono i Paesi che pongono in essere politiche specifiche per equilibrare la percentuale di studenti e studentesse coinvolti negli studi scientifici o per incoraggiarli ad abbracciare carriere scientifico – tecnologiche.

Di contro, si rileva che due terzi dei Paesi che hanno partecipato alle rilevazioni indicano vari soggetti specializzati a livello nazionale in grado di organizzare formazione, aggiornamento per insegnanti e iniziative dedicate agli studenti.

Per quanto riguarda la didattica, tutti i Paesi, Italia compresa, iniziano ad insegnare Scienze con un approccio integrato e multidisciplinare, salvo poi, durante la scuola secondaria di secondo grado declinare l’insegnamento scientifico per singole discipline come la chimica o la biologia.

Un approccio ancora forse troppo strettamente disciplinaristico è presente, in molti casi, anche all’università dove gli studenti hanno maggiore libertà nello scegliere i soggetti all’interno dei programmi di studi.

–>


tuttoscuola.com venerdì 18 novembre 2011

 

Irc, risorsa per tutti

Il Messaggio della Presidenza CEI


L’Insegnamento della religione cattolica, “in forza delle sue ragioni storiche e della sua valenza educativa, è di fatto capace di proporsi come significativa risorsa di orientamento per tutti e di intercettare il radicale bisogno di apertura a dimensioni che vanno oltre i limiti dell’esperienza puramente materiale”. Lo scrive la Presidenza della CEI nel Messaggio in vista della scelta di avvalersi dell’Insegnamento della religione cattolica nell’anno scolastico 2012-2013. Ecco il testo integrale del Messaggio.
Roma, 15 novembre 2011
Cari studenti e genitori,
nelle prossime settimane sarete chiamati a esprimervi sulla scelta di avvalervi dell’insegnamento della religione cattolica.
Si tratta di un appuntamento di grande responsabilità perché consente, a voi studenti, di riflettere sulla validità di tale proposta e di decidere personalmente se farne risorsa per la vostra formazione e, a voi genitori, di ponderare le possibilità educative offerte ai vostri figli.
Vogliamo dirvi che vi siamo vicini, condividiamo i dubbi e le speranze che abitano il vostro cuore di fronte alle ricadute che le contraddizioni del momento presente e le incertezze del futuro hanno sulla scuola; partecipiamo al vostro anelito di verità e di sicurezza, impegnati, insieme a tutte le persone di buona volontà, in particolare mediante lo strumento dell’insegnamento della religione cattolica, a fare della scuola uno spazio educativo autentico per le nuove generazioni, un luogo di formazione alla pacifica convivenza tra i popoli e di confronto rispettoso, sotto la guida di veri maestri e di convinti educatori.
La Chiesa è dalla vostra parte, si fa carico di ogni vostra fatica, vuole offrirvi il supporto della sua bimillenaria esperienza a servizio dell’uomo e delle sue più profonde aspirazioni, vuole aiutare voi studenti, attraverso l’opera di insegnanti professionalmente competenti e spiritualmente motivati, a leggere e interpretare la cultura letteraria, artistica e storica in cui siete nati e cresciuti, o dove siete approdati in seguito a scelte di vita o a esodi forzati. L’insegnamento della religione cattolica è una disciplina che tiene viva la ricerca di Dio, aiuta a trovare risposte di senso ai “perché” della vita, educa a una condotta ispirata ai valori etici e, facendo conoscere il cristianesimo nella tradizione cattolica, presenta il Vangelo di Gesù Cristo in un confronto sereno e ragionato con le altre religioni. Afferma a questo proposito Papa Benedetto XVI: «una cultura meramente positivista che rimuovesse nel campo soggettivo come non scientifica la domanda circa Dio, sarebbe la capitolazione della ragione, la rinuncia alle sue possibilità più alte e quindi un tracollo dell’umanesimo, le cui conseguenze non potrebbero essere che gravi. Ciò che ha fondato la cultura dell’Europa, la ricerca di Dio e la disponibilità ad ascoltarLo, rimane anche oggi il fondamento di ogni vera cultura» (Discorso all’Incontro con il mondo della cultura al Collège des Bernandins, Parigi 12 settembre 2008).
Nel cuore di una formazione istituzionalizzata come quella della scuola, in continuità con la famiglia e in preparazione alla vita sociale e professionale, l’insegnamento della religione cattolica è un valore aggiunto a cui vi invitiamo a guardare con fiducia, qualunque sia il vostro credo e la vostra estrazione culturale. In forza delle sue ragioni storiche e della sua valenza educativa, esso è di fatto capace di proporsi come significativa risorsa di orientamento per tutti e di intercettare il radicale bisogno di apertura a dimensioni che vanno oltre i limiti dell’esperienza puramente materiale.
Cari genitori e docenti, a voi rivolgiamo il caloroso invito a operare insieme perché non manchi alle giovani generazioni l’opportunità di una proposta inerente la dimensione religiosa e di una cultura umanistica e sapienziale che li abiliti ad affrontare le sfide del nostro tempo.
LA PRESIDENZA DELLA CEI

 

 

«Religione a scuola, aiuto a trovare risposte
ai perché della vita»

Un “valore aggiunto” per aiutare a “trovare risposte di senso ai ‘perche” della vita”, educare a “una condotta ispirata ai valori etici”, far conoscere “il cristianesimo nella tradizione cattolica, presentando il Vangelo di Gesù Cristo in un confronto sereno e ragionato con le altre religioni”: sono le finalità principali dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole italiane di cui parla il messaggio della presidenza della Cei in vista della scelta di avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica nell’anno scolastico 2012-2013.
Il testo, riportato dal Sir, è stato diffuso oggi dalla Segreteria generale della Cei e si rivolge a studenti e genitori, che nelle prossime settimane saranno chiamati a esprimersi “sulla scelta di avvalervi dell’insegnamento della religione cattolica”. Il messaggio sottolinea che “si tratta di un appuntamento di grande responsabilità perchè consente, a voi studenti, di riflettere sulla validità di tale proposta e di decidere personalmente se farne risorsa per la vostra formazione e, a voi genitori, di ponderare le possibilità educative offerte ai vostri figli”.
La percentuale di scolari e studenti “avvalentisi” dell’insegnamento della religione nelle scuole italiane è attorno al 90-91%, con differenze tra nord (86%), centro 90%) e sud (97%).
Dopo aver espresso la vicinanza della Chiesa a famiglie e giovani “di fronte alle ricadute che le contraddizioni del momento presente e le incertezze del futuro hanno sulla scuola”, il messaggio si sofferma sull’impegno educativo e sul suo significato e valore. “La Chiesa è dalla vostra parte, si fa carico di ogni vostra fatica, vuole offrirvi il supporto della sua bimillenaria esperienza a servizio dell’uomo e delle sue più profonde aspirazioni, – dice il testo – vuole aiutare voi studenti, attraverso l’opera di insegnanti professionalmente competenti e spiritualmente motivati, a leggere e interpretare la cultura letteraria, artistica e storica in cui siete nati e cresciuti”. 
Nella parte conclusiva si dice che “in continuità con la famiglia e in preparazione alla vita sociale e professionale, l’insegnamento della religione cattolica è un valore aggiunto a cui vi invitiamo a guardare con fiducia, qualunque sia il vostro credo e la vostra estrazione culturale”. Si sottolinea poi che l’Irc “è di fatto capace di proporsi come significativa risorsa di orientamento per tutti” e si formula il “caloroso invito a operare insieme perché non manchi alle giovani generazioni l’opportunità di una proposta inerente la dimensione religiosa e di una cultura umanistica e sapienziale che li abiliti ad affrontare le sfide del nostro tempo”.

Avvenire 15/11/2011

Arte e tecnologia

A cura delle Associazioni Culturali:
Terra d’arte
La Transcritica
e del Periodico d’Arte Contemporanea – Il Volo del Gabbiano

dal 18 al 26 Novembre 2011
Sala mostre – Vaccheria Nardi
Via della Grotta di Gregna 27 –  Roma ( Ponte Mammolo)

Artisti espositori:

Cesselon, Fraschetti, Lanzalone, Paolini, Petruzzi Pietrosanti, Pompei, Stati, Sottile, Verdone.

Inaugurazione: Sabato18 novembre ore 18.00
Conferenza: Giovedì 24 novembre ore 16.15

—————————————

Breve nota introduttiva.

Il dato di partenza – da cui hanno preso le mosse i vari artisti che partecipano alla mostra e che sarà discusso il 24 novembre prossimo in una conferenza sul tema che si svolgerà sempre nei locali della biblioteca Vaccheria Nardi dalle ore 16;15 alle ore 18;45 – è la consapevolezza della sempre più profonda crisi in cui è entrato il rapporto dell’uomo con la tecnologia ai nostri giorni. Sempre meno la tecnica è un prodotto dell’uomo e sempre più l’uomo si scopre e rischia di diventare un prodotto della tecnica stessa. La tecnica sta diventando una dimensione sempre più autonoma dove l’intervento dell’uomo si rivela sempre più inessenziale – il mezzo si è trasformato in fine e presto approderemo a quella che per amor di paradosso potremmo chiamare l’organizzazione tecnica della tecnica. In questo inedito e forse tragico orizzonte l’uomo sta sempre più diventando una rotella intercambiabile di una enorme macchina tecnologia che ormai lo sorpassa a tal punto che fatichiamo a renderci conto della effettiva portata di questo passaggio epocale. In quest’ora diventa fondamentale – noi crediamo – il contributo che gli artisti possono dare: essendo l’arte in qualche modo legata già da sempre alla cosidetta questione della tecnica ( vedi Heidegger ). Non si tratta di contrapporre, nè di confondere arte e tecnica, bensì si vuole attraverso l’espressione artistica mettere in luce quello che abbiamo sotto gli occhi e per questo non riusciamo a vedere. Le opere esposte si interrogano sul problematico rapporto uomo/tecnologia ma non in maniera didascalica, bensì dal loro stesso interno. Queste tematiche poi verranno discusse in una conferenza-dibattito  ( vedi sopra ).
Nell’invitarvi ancora una volta a partecipare alla nostra iniziativa ancora un cortese saluto,
Stefano.

Avvento e Natale

on-line il sussidio

E’ on line il sussidio di Avvento-Natale 2011-2012, che viene offerto dagli Uffici pastorali della Segreteria Generale della CEI, quale strumento di lavoro a cui attingere a differenti livelli, con libertà e flessibilità.
“La riscoperta del progetto di Dio, a cui la Liturgia ci chiama nell’Avvento e nel Natale – spiega mons. Crociata nell’Introduzione –  dispiega la sua forza educativa innanzitutto verso i credenti adulti; essi saranno poi autentici formatori anche nei confronti dei giovani e dei bambini”.

Da responsabili nella vita pubblica

Il Card. Bagnasco all’Università S. Croce


“Mantiene vivo nel mondo il senso della verità”; “svolge una funzione pedagogica rispetto alla coscienza”; “salvaguarda il carattere trascendente della persona umana”; “è araldo di quell’umanesimo personalista e relazionale di cui gode l’Europa e l’Occidente intero”: questi i quattro contributi che la Chiesa offre alla società e all’ordine politico in ordine al perseguimento del bene comune. Lo ha sottolineato il Presidente della Cei, card. Angelo Bagnasco, sabato 12 novembre intervenendo presso la Pontificia Università della Santa Croce, all’Atto accademico in occasione del 25º anniversario dell’Istituto superiore di scienze religiose all’Apollinare. Tema della prolusione del cardinale, “Magistero ecclesiastico e ordine politico: libertà e responsabilità dei fedeli laici nella vita pubblica”.
“La società complessa che viviamo e l’incrocio di culture, visioni etiche e antropologiche differenti e a volte opposte – ha detto – sfida l’impegno dei cristiani nella presenza nel mondo; impegno che, nei secoli, si è concretizzato in modo significativo anche nella partecipazione leale e attiva alla politica ricordando da una parte che essi ‘partecipano alla vita pubblica come cittadini’, e dall’altra che è loro preciso dovere animare cristianamente l’ordine temporale, rispettandone la natura e la legittima autonomia che è sempre in relazione a Dio creatore”. Di fronte al tentativo nel mondo occidentale di privatizzare la fede, il card. Bagnasco chiarisce: “Il credente non può mettere mai tra parentesi la sua fede, perché sarebbe mettere tra parentesi se stesso, vivere separato da sé. Proprio perché la fede è totalizzante, vale a dire salva tutto l’uomo – e l’uomo è un essere sociale aperto alle relazioni – la fede non può non ispirare ogni ambito e azione, privato o pubblico che sia. Chiedere o pretendere che i cristiani, che hanno responsabilità pubbliche, sospendano la loro coscienza cristiana quando esercitano i loro doveri, è non solo impossibile ma anche ingiusto”.

file attached Apollinare 12.11.2011.doc

L’ultima lettera di Alda Merini

Il 1° novembre di due anni fa si spegneva all’ospedale San Paolo di Milano Alda Merini. La notizia mi raggiunse a sera,  mentre rientravo da un viaggio in America Centrale, e a comunicarmela era un giornalista che naturalmente voleva  intervistarmi, riconoscendo la vicinanza che la poetessa aveva testimoniato a più riprese e in pubblico nei miei  confronti. Effettivamente l’amicizia era sorta quando io vivevo a Milano e si era manifestata da parte mia anche in tre  prefazioni che avevo scritto ad altrettanti suoi poemetti di forte intensità spirituale. Ma soprattutto il filo era tenuto  dalle sue interminabili telefonate che intrecciavano il suo affetto per me col libero sfarfallio della sua fantasia e con una  sorprendente caratteristica che la assimilava agli antichi rapsodi o aedi.
La Merini, infatti, creava spesso le sue poesie oralmente e spingeva il suo interlocutore a raccoglierle per scritto o  semplicemente – come nel mio caso – le affidava all’ascolto. Devo riconoscere di essermi pentito di non aver  cristallizzato quella voce nelle righe di un foglio, e d’essermi solo lasciato condurre dal flusso delle sue immagini, così  inquiete e cangianti, delle sue parole iridescenti come in un caleidoscopio, del balenare delle sue intuizioni spesso  folgoranti.
L’ultima telefonata fu da quel l’ospedale ove era ricoverata e ove veniva curata, credo, a fatica, dato il suo  temperamento insofferente di ogni continuità o regolarità, anche terapeutica.
Nello stesso timbro della voce intuivo la fatica che si univa a una sorta di «basso continuo» destinato esplicitamente a  me. Alda, infatti, non si era rassegnata alla mia partenza da Milano per Roma: la considerava come una fuga o un  tradimento nei confronti non solo suoi ma anche di una città che mi amava. Nella sua casa lungo i Navigli, immersa  nella confusione, persino nel degrado, lei mi aveva accolto la prima delle poche volte in cui la visitai, con una vera e  propria festa. Aveva costellato di mazzi di fiori il disordine estremo delle sue cose, aveva convocato un violinista e il  suo cantante preferito che metteva in musica i suoi versi e si era messa lei stessa al pianoforte, che suonava con  passione, per offrirmi un benvenuto caloroso secondo una sua tipica cifra simbolica, ossia l’eccesso nel donare.
Infatti, cercando spesso di rifiutare i suoi molteplici regali, io combattevo quella che chiamo la sua “autodepredazione”, che si manifestava nei confronti di tutti, attuando quel motto, che mi pare fosse di D’Annunzio,  secondo il quale «io ho solo ciò che ho donato». Ma, ritornando a quell’ultimo dialogo telefonico dall’ospedale, un  argomento era stato dominante. Di lì a poco io avrei presentato a Benedetto XVI, nella Cappella Sistina, quasi trecento  artisti provenienti da tutto il mondo, secondo ogni genere di arte. Naturalmente avevo invitato anche lei che  desiderava «dire alcune cose al Papa», come mi ripeteva. Già aveva pensato all’abito da indossare, mutando mille volte  parere e convincendosi alla fine che sarei stato io a trovarle quello adatto. Il 21 novembre 2009, data dell’incontro, si avvicinava e lei, dal letto dell’ospedale, percepiva l’impossibilità di quella sua enuta a Roma e ne  soffriva.
Mi confidò, allora, di essersi decisa a scrivere una lettera a Benedetto XVI che ammirava, pur essendo stata legata  idealmente e appassionatamente alla figura di Giovanni Paolo II.
Evidentemente ritenevo che fosse solo un sogno, nonostante l’ostinazione con cui mi ripeteva di farmi tramite per la  consegna. Lei confermava che l’avrebbe dettata ad alcuni suoi amici e amiche che l’assistevano e che aveva convinto a  preparare dipinti o foto o testi che accompagnassero la sua lettera. In verità, dopo la sua morte, preso com’ero dai  preparativi del l’incontro della Sistina, non pensai più a quel progetto di Alda, né ricevetti mai la lettera che avrei  dovuto presentare al Papa.
La sorpresa è stata forte quando alcuni mesi fa, per una semplice coincidenza – stavo preparando un altro incontro di  Benedetto XVI con gli artisti, in occasione dei suoi 60 anni di sacerdozio, evento che si è realizzato il 4 luglio scorso –  ebbi una fotocopia della lettera che effettivamente Alda Merini aveva dettato il 28 ottobre 2009, a tre giorni di  distanza dalla sua morte. Dattiloscritta su carta intestata dell’«Azienda Ospedaliera San Paolo Polo Universitario –  Ufficio Relazioni col Pubblico», lo scritto reca in finale la sua tipica firma-sigla e al suo interno custodisce tutta la trasparenza dell’umanità, della spiritualità, della storia sofferta della poetessa.
C’è il rimando ai suoi “allievi”, c’è la confessione delle colpe («io sono un guado pieno di errori»), c’è la dimensione  mistica della sua esperienza personale («ho incontrato faccia a faccia il Signore») e c’è anche il riferimento al suo  desiderio frustrato di incontrare nella Sistina il Papa: «Avrei voluto venire da lei ma me l’hanno proibito per la mia  salute e per riguardo ad Ella» (suggestivo questo segno di umiltà nella consapevolezza della sua “sregolatezza”). Ampio  è lo spazio riservato ai sentimenti materni che hanno tormentato tutta la sua esistenza. Le righe sono quasi intrise di lacrime e striate di amarezza e si fanno fin confuse attraverso il velo della sofferenza. Ritorna alla fine la sua confessione di colpa la fa equiparare alla Maddalena. E a suggello – al di là dell’invocazione di rito «per la malattia e la  guarigione di Alda Merini» – ecco un fulminante guizzo poetico: «Abbracci le donne, sono fredde come il ghiaccio».
Credo sia significativo – ora a distanza di anni – far conoscere questa testimonianza di una poetessa che è stata amata  da tanti lettori e lettrici e che è stata ascoltata con emozione da tanti giovani (ne sono stato spesso testimone) quando  in pubblico narrava senza pudore la sua esperienza drammatica nei manicomi, le sue lacerazioni, i suoi ardori, le sue  ascesi mistiche, la sua carnalità spirituale. È anche un modo per esprimerle gratitudine per un ascolto, una stima e un  affetto che mi aveva sempre riservato, giungendo fino al punto di dedicarmi a mia insaputa un’intera sua raccolta  poetica, La clinica dell’abbandono, pubblicata da Einaudi nel 2003.
A conclusione di questo ricordo molto personale mi tornano in mente alcuni versi di uno dei suoi scritti da lei  prediletti, il Magnificat dedicato a Maria la madre di Gesù, raffigurata nel gesto della “Pietà” michelangiolesca, ossia la  “deposizione” del corpo del Figlio, gesto che s’incrocia, però, con la memoria della maternità che accoglie il suo  bambino sulle ginocchia: «Miserere di me, che sono caduta a terra/come una pietra di sogno./Miserere di me, Signore,  che sono un grumo di lacrime./Miserere di me, che sono la tua pietà./Mio figlio,/grande quanto il cielo./Mio  figlio, che dorme sulle mie gambe…».

in “Il Sole 24 Ore” del 13 novembre 2011

Io sono come la Maddalena
di Alda Merini
Ospedale San Paolo
Milano, 28 ottobre 2009

Sua Santità Benedetto XVI
Santo Padre, mentre La ringrazio, La prego di tenere conto dei continui omaggi molto belli fatti da alcuni miei allievi,  fra i quali Giuliano, i quali, pur onorandoLa, sono assai lontani da Lei. Noi poveri peccatori cerchiamo di onorarLa con  disegni e preghiere, ma non vorremmo toccare l’ambito della superbia in cui è facile cadere. Grazie a Dio il  Cristianesimo trionfa ma attenti alle false meretrici e peccatrici perché Dio ama i peccatori come noi.
Io sono un guado pieno di errori che ho fatto e di cui mi pento.
Santo Padre ho sentito la Terra Santa perché ho incontrato faccia a faccia il Signore. Io sono vissuta nella sporcizia, ho  servito San Francesco e avrei voluto venire da Lei ma me lo hanno proibito per la mia salute e per riguardo ad Ella.  «Peccatore come sono» ma madre sicura che non meritava 4 figli. Sono belli ma non cattolici, alcuni di loro non sanno  di essere battezzati. Vanno a derubare la loro mamma ma sono sempre doni caro Santo Padre. Questi buoni ladroni  sono la mia consolazione e moriranno con me, con i miei dolori.
Hanno pianto, non avevano la mamma.
Ma la mamma è sempre stata con loro, non li ha mai abbandonati. Oh dolce è stato il mio destino al quale ho lasciato i  miei anni. Come è vera la storia di Maddalena, anche io come Maddalena.
Abbracci le donne sono fredde come il ghiaccio. Per la malattia e la guarigione di Alda Merini

L’Africa, grande speranza della Chiesa

18-20 novembre: viaggio del Papa in Benin. Per la seconda volta nel suo pontificato, Benedetto XVI si reca in Africa.

 

Segno dell’importanza che il papa, che viaggia poco, accorda a “quell’immenso polmone spirituale” rappresentato, ai suoi occhi, dall’Africa. Il continente, in cui la metà della popolazione ha meno di 25 anni, costituisce per Benedetto XVI  la grande speranza della Chiesa”.

Qual è l’obiettivo di questo viaggio?

È un viaggio lampo che chiude una sequenza aperta nel marzo 2009 in Camerun. La prima visita di Benedetto XVI sul  continente era stata contraddistinta dalle dichiarazioni sul preservativo, la cui distribuzione, aveva detto, “aumenta il  problema” dell’aids. Ma Benedetto XVI aveva anche consegnato ai vescovi un documento di lavoro preparatorio al  sinodo dedicato a “La Chiesa cattolica in Africa” nell’ottobre dello stesso anno.
Quel documento, che analizzava senza compiacimenti la situazione della Chiesa nel continente africano e si soffermava  a lungo sui mali di cui soffre l’Africa – povertà, corruzione, instabilità politica, tensioni religiose ed etniche, tribalismo  – è servito in questi due anni da ruolino di marcia per i vescovi.
Durante una messa a Cotonou in Benin, il 20 novembre, Benedetto XVI consegnerà loro l’“esortazione apostolica”  post-sinodale, che costituisce la conclusione di quei lavori e dei percorsi individuati per migliorare il ruolo della  Chiesa cattolica nelle società africane e per promuovervi, come desidera il Vaticano, “la riconciliazione, la giustizia e la  pace”.

Quali sono i paesi in cui vengono vissute vere tensioni interreligiose?

Somalia, Rwanda, Liberia, Congo… Sono paesi    devastati da guerre micidiali, quattro tragedie. Ma sono anche esempi che mostrano che “se in Africa ci sono violenze e  guerre, queste non si confondono nella maggior parte dei casi con guerre di religione”, afferma Christian Coulon,   professore emerito alla facoltà di Scienze Politiche dell’università di Bordeaux e specialista per l’Africa. I motivi di  questo sono molti. A parte poche eccezioni (Sudan, Mauritania, Comore e Jibuti), gli Stati africani si dichiarano in grande maggioranza laici. Del resto, “a differenza di quanto è avvenuto nel resto del mondo, il cristianesimo e l’islam in  Africa sono stati reinterpretati secondo gli idiomi e i precetti della cultura africana – che – li hanno pervasi di uno  spirito di tolleranza”, spiega Akintude Akinade, professore di teologia all’università di Georgetown (USA).
Perché allora tante violenze religiose in Nigeria e in Sudan, con milioni di morti nell’ultimo mezzo secolo? L’analisi dei  conflitti riguarda una realtà molto più complessa e non si riassume in scontri tra cristiani e musulmani. Per il caso della  igeria, Christian Coulon preferisce mettere in primo piano “la cultura della violenza che si è instaurata con  l’esplosione urbana, con la guerra del Biafra, con la corruzione della classe dirigente, in particolare con la mancanza di  regole politiche.
Cultura nutrita da una segmentazione territoriale che ha portato alla creazione di 36 stati federati, che cercano ognuno  i stabilire le proprie frontiere e di affermare la propria identità, in un contesto in cui prevale la pluralità  religiosa ed etnica, anche se certi gruppi esercitano una certa egemonia”.
“Le cause sono etniche e politiche, non hanno nulla a che vedere con la religione”, è l’analisi di Sulaiman Nyang,  specialiste dell’Africa e dell’islam all’università Howard, a Washington. Quanto al Sudan, non è un caso se la seconda  guerra civile (1983-2005) tra il Nord musulmano e il Sud cristiano ed animista sia esplosa poco tempo dopo la  scoperta di petrolio in quella parte meridionale del paese. Anche qui “le poste in gioco sembrano essere non tanto  religiose quanto politiche e territoriali”, osserva Christian Coulon.
Da quest’analisi non si può però giungere alla conclusione della neutralità del fattore religioso nei conflitti africani,  tanto più che tale fattore si inserisce in un contesto di sconvolgimenti sociali, economici e politici del continente.  Christian Coulon ricorda ad esempio che “il rinnovamento religioso in Africa e la comparsa di nuovi movimenti  religiosi (musulmani, cristiani profetici, o altri) portano delle mobilitazioni che, in certe situazioni, sono anche  suscettibili di creare rivalità e conflitti tra comunità.

Qual è lo sguardo della Chiesa sull’Africa?

I vescovi africani e il Vaticano non esitano a denunciare l’insieme dei mali di cui soffre il continente. Vi vedono in parte  elle cause interne legate alla cattiva governance e alla corruzione dei poteri costituiti, ma chiamano in causa  anche chiaramente “l’Occidente” per un certo numero di derive.
Nel loro documento del 2009, i vescovi africani denunciavano “le forze internazionali che fomentano guerre per  smerciare le loro armi” e accusavano l’Occidente di “sostenere poteri che non rispettano i diritti umani” o di “rapinare  le risorse naturali” del continente. Il papa stesso aveva denunciato il mondo occidentale che, nonostante la fine del  “colonialismo politico”, “continua ad esportare rifiuti tossici spirituali” sul continente. Agli occhi del papa, l’Africa è globalmente minacciata da due rischi importanti, “il materialismo e il fondamentalismo religioso”, allusione alle Chiese  vangelical e all’islam. La gerarchia cattolica si preoccupa anche di una “perdita dell’identità culturale africana  che porta al lassismo morale, alla corruzione e al materialismo”.

Qual è la situazione della Chiesa cattolica in Africa?

La Chiesa cattolica gode di una certa autorità nei paesi in cui opera stabilmente da lunga data. Presente nella gestione  degli ospedali e delle scuole, costituisce talvolta una delle rare istituzioni stabili e perenni in paesi attraversati da crisi  ricorrenti.
Anche se non frequenti, le prese di posizione di certi vescovi che criticano apertamente i poteri costituiti migliorano  l’immagine della Chiesa. In altri casi, il fatto che membri del clero si compromettano con i potentati locali mina in parte  a credibilità della Chiesa.
Per quanto riguarda l’aspetto religioso, la chiesa cattolica deve confrontarsi con le pratiche legate a credenze  ancestrali ancora molto vive: pratiche occulte, libagioni, culto degli avi, sacrifici offerti agli idoli e agli dei, stregoneria. L’istituzione denuncia quelle tradizioni, talvolta praticate perfino da membri del clero, come “incompatibili con il messaggio evangelico”.
Il clero africano gode di una giovinezza e di una vitalità che a volte i paesi europei gli invidiano. Ma il comportamento  dei suoi rappresentanti suscita delle critiche. Alcuni di loro gestiscono attività commerciali parallelamente al loro  ministero o non sfuggono alla corruzione diffusa. Rese fragili da una cattiva gestione, certe diocesi sono in fallimento.  Roma rimprovera loro anche di non rispettare sempre il celibato.
Preso dalla sua dottrina, il Vaticano sviluppa a volte analisi lontane dalla realtà dei paesi africani, in particolare in  materia di controllo delle nascite, di morale sessuale o di lotta contro l’aids. Inoltre, la denuncia ricorrente di  “edonismo” e di “materialismo”, che, secondo il Vaticano, riguarda anche l’Africa, può apparire lontana per  popolazioni che vivono al limite della povertà.

Quali sono le sfide con cui la Chiesa deve confrontarsi?

Come in altre regioni del mondo, la Chiesa cattolica in Africa si deve confrontare con la concorrenza di ciò che i  vescovi chiamano “la proliferazione cancerosa delle sette di tutti i tipi”, in altre parole le Chiese protestanti  evangelical, in pieno sviluppo. La lettura letterale della Bibbia o le promesse di guarigione e di ricchezza vantate dagli  evangelical riguardano gruppi di popolazione che la Chiesa cattolica non riesce necessariamente più a convincere.  Aggiunto alla sopravvivenza delle credenze tradizionali, questo fenomeno è una fonte potenziale di indebolimento  della Chiesa, per la quale il continente rimane comunque una potenziale terra di evangelizzazione.
Spesso presente in paesi a maggioranza musulmana, la Chiesa cattolica denuncia anche regolarmente il proselitismo  musulmano, la difficoltà per i credenti di esercitare la loro libertà di coscienza e di convertirsi al cristianesimo, oltre al  fondamentalismo, portatore “di intolleranza e di violenza”.
I religiosi africani si sforzano di lottare contro “il pensiero unico occidentale, che ha influenze nocive” sulla famiglia e  sulla morale sessuale. Infine, di fronte all’emigrazione, i vescovi auspicano di “suscitare negli africani subsahariani un  sussulto per una rinascita dell’uomo nero” e invitano i loro governanti a prendere in mano i destini dei loro popoli.

in “Le Monde – Géo & Politique” del 13 novembre 2011 (traduzione: www.finesettimana.org)

La ricetta europea sulla scuola italiana

 

Tra le 39 domande rivolte lo scorso 8 novembre dalla Commissione Europea al Governo italiano su come verranno “concretamente tradotti in pratica” (locuzione ripetutamente usata) gli impegni assunti dal presidente Berlusconi nella lettera inviata alle autorità comunitarie di Bruxelles, e in quella sede apprezzati, quattro riguardano il sistema di istruzione. Sono le domande numero 13, 14, 15 e 16, raggruppate sotto la voce Human Capital. Eccole.

13) Come verranno ristrutturate le singole scuole (individual schools) con risultati insoddisfacenti nelle prove INVALSI?

14) Come intende il governo italiano valorizzare il ruolo degli insegnanti nelle singole scuole? Che tipo di incentivi saranno utilizzati a tal scopo?

15) Con quali specifiche misure il governo intende incrementare l’autonomia e la competizione tra università? Che cosa comporta in pratica l’espressione “più spazio di manovra sui costi delle iscrizioni universitarie”?

16) Per quanto riguarda la riforma dell’università quali sono i provvedimenti attuativi che ancora devono essere adottati?

Ma la parte più interessante del questionario, per così dire, inviato al governo italiano è la premessa metodologica (General question), che vale la pena di riportare qui di seguito perché è con questo tipo di approccio e di linguaggio che l’Italia dovrà sempre più rapportarsi (la traduzione è nostra).

Si prega di fornire una versione commentata della lettera che indichi, per ciascuna misura o impegno:

1        se è già stato posto in opera, e – se lo è – con quale grado di implementazione;

2        se è stato già adottato dal governo ma non ancora approvato dal Parlamento: in tal caso, precisare i tempi dell’approvazione parlamentare e le modalità di attuazione;

3        se è un impegno nuovo, fornire un concreto piano operativo per la sua adozione e implementazione, compreso lo scadenzario e il tipo di strumenti giuridici che il governo intende utilizzare.

Si prega inoltre di indicare, se del caso, il costo preventivato (estimated budgetary impact) di ciascuna misura/impegno e le rispettive fonti di finanziamento.




–>


tuttoscuola.com lunedì 14 novembre 2011

 

Cristo Re dell’universo (anno A)

CRISTO RE DELL’UNIVERSO

Lectio – Anno A

Prima lettura: Ezechiele 34,11-12.15-17

 

Così dice il Signore Dio: Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e le passerò in rassegna. Come un pastore passa in rassegna il suo gregge quando si trova in mezzo alle sue pecore che erano state disperse, così io passerò in rassegna le mie pecore e le radunerò da tutti i luoghi dove erano disperse nei giorni nuvolosi e di caligine.

Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare. Oracolo del Signore Dio. Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia. A te, mio gregge, così dice il Signore Dio: Ecco, io giudicherò fra pecora e pecora, fra montoni e capri.

 

v La pericope consolatoria fa parte dei quattro oracoli sul tema del «pastore»: il primo è un oracolo minaccioso contro gli indegni pastori d’Israele (34,1-10), il secondo, da cui è estrapolato il brano in questione presenta JHWH come pastore di salvezza (34,1-16); il terzo ritorna a minacciare i cattivi pastori (34,17-22); il quarto è la promessa della venuta

di Davide come pastore e principe.

Il Signore rassicura il suo popolo: egli stesso interverrà a riorganizzare la comunità a lui fedele, togliendola ai cattivi pastori, e verrà a prendersi cura personalmente di ciascuno dei suoi. La parola del Signore Dio diventa motivo di speranza per il suo popolo, egli sarà per i suoi eletti come il pastore che ama il suo gregge e passa continuamente in mezzo ad esso per assicurarsi che nessuno manchi. Recupererà le pecore dovunque esse siano disperse e le ricondurrà nei verdi pascoli. Le passerà in rassegna una ad una, si renderà conto dei bisogni di ciascuna: curerà quella malata, fascerà quella ferita, ricondurrà all’ovile quella smarrita, ma non si dimenticherà neppure della grassa e della forte. Tutte pascerà con giustizia e per tutte emetterà il suo giudizio separando le pecore e le capre.

 

Seconda lettura: 1 Corinzi 15,20-26.28


Fratelli, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti. Perché, se per mezzo di un uomo venne la morte, per mezzo di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti. Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita.

Ognuno però al suo posto: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo. Poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo avere ridotto al nulla ogni Principato e ogni Potenza e Forza. È necessario infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico a essere annientato sarà la morte.  E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anch’egli, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti.

 

v Il capitolo 15 della prima lettera ai Corinzi, che presenta una profonda riflessione di Paolo sul grande tema teologico della risurrezione dei morti, occupa un posto centrale nell’economia della lettera stessa e spesso viene considerato come uno dei punti focali per la lettura e l’interpretazione di tutto lo scritto.

Il capitolo si articola in due grandi parti: la prima (vv. 1-34), della quale fanno parte i versetti che si proclama nella seconda lettura della liturgia eucaristica di questa domenica, affronta l’interrogativo di fondo sulla risurrezione dei cristiani, affermando e motivando la loro speranza nella risurrezione di Cristo, «primizia» di coloro che sono morti; la seconda (vv. 35-58) analizza il problema circa la «modalità» della risurrezione dei corpi e ne sottolinea la differenza rispetto alla condizione umana e terrena.

Paolo intende mettere in evidenza il legame fra la risurrezione di Cristo e la futura risurrezione dei credenti. La risurrezione di Gesù non è un fatto isolato e unico. Cristo è bensì il primo di quanti lo seguiranno sulla stessa via. Gesù è primizia, il primo frutto del campo. Egli non è il primo solo in ordine cronologico, ma è il primo in ordine di un «inizio»: dopo di lui, che comincia, verranno tutti gli altri. Il rapporto è intrinseco, in forza di Cristo risorto anche gli altri risorgeranno: egli è il principio attivo, la causa della risurrezione di quanti sono a lui intimamente legati.

Il parallelismo con Adamo serve a Paolo per spiegare il legame del credente con Cristo e si serve di una concezione teologica assodata: la trasmissione del peccato di Adamo. Detto questo, Paolo fa riferimento agli eventi della fine: venuta gloriosa di Cristo (parusia), realizzazione completa del suo dominio regale su ogni forza contraria, regno conclusivo di Dio. Paolo nella descrizione assume lo stile convenzionale dell’escatologia e dell’apocalisse: la fine, la sconfitta delle potenze malvagie; ma gli eventi ultimi sono caratterizzati da Cristo, dalla sua apparizione e dal suo dominio regale; la risurrezione dei credenti fa parte del suo futuro di vincitore.

Paolo accenna anche ad alcune fasi che hanno fatto pensare che egli prospettasse una fase del regno di Cristo caratterizzata dalla risurrezione dei credenti distinta da quella ultima del regno di Dio. In realtà l’unica vera distinzione di tempi è quella tra Cristo, il primo, e i credenti. La scansione successiva serve solo all’autore per sottolineare la ricchezza dell’evento che, iniziato con la risurrezione di Cristo, avrà il suo compimento definitivo nel futuro del suo regno pienamente realizzato, che comporta la risurrezione o la vittoria sulla morte e che sfocia in Dio.

 

Vangelo: Matteo 25,31-46


In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:  «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra.

Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”.  Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.  Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”.  E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».

 

Il vangelo in immagini

XXXIV DOM TEMP ORD CRISTO RE ANNO A

 

Esegesi


Questa pagina evangelica riporta la chiusura del discorso escatologico, sulla venuta del Figlio dell’uomo, con una descrizione grandiosa della scena del giudizio finale (vv. 31-46). S’impone all’attenzione per la forza del suo messaggio e per la suggestione della sua scenografia, ricca e colorita, e per la presenza di un duplice dialogo.

Si tratta di un testo di largo respiro universalistico che presenta l’appartenenza al regno come concreta conseguenza della reale accoglienza del fratello bisognoso. Il dramma del giudizio si svolge secondo due momenti preceduti da una introduzione (vv. 31-33) che presenta la venuta gloriosa del Figlio dell’uomo, la convocazione dei popoli e la loro separazione.

La parte centrale (vv. 34-45) presenta il dialogo del re prima con quelli di destra e poi con quelli di sinistra; la conclusione descrive l’esecuzione delle sentenze con la doppia via a cui si avviano giusti e ingiusti. Il giudice è chiamato «Figlio dell’uomo» e «re». La presentazione di Gesù di Nazareth è solenne e gloriosa; egli è il Messia perseguitato, crocifisso e ucciso e che ora si presenta glorioso e risorto. È il Figlio dell’uomo non più legato alla debolezza e alla fragilità della condizione umana, ma è il re vittorioso, il giudice universale del mondo intero.

Un giudice, tuttavia che pronuncia il giudizio a partire dalla croce e quindi dalla logica dell’amore donato e offerto per la salvezza di tutta l’umanità. Il re che giudica svela il vero senso dell’amore apparso nel crocifisso: sterile, vuoto e senza senso per i più, ma fonte infinita di redenzione e di grazia.

La pagina evangelica ci rivela dunque il vero volto di «Cristo Re» e ci suggerisce la vera identità dell’uomo da lui redento: un uomo che si fa guidare solo dall’amore verso i fratelli e che proprio a partire da questo amore (o dall’assenza di amore) verrà giudicato.

L’immagine del re che giudica sul trono si confonde con quella del pastore che vigila e custodisce il suo gregge, rendendo il testo pienamente aderente al messaggio biblico dell’Antico Testamento. Risalta pure l’opposizione fra i due gruppi che sono in relazione con il re che siede sul trono: quelli che stanno alla sua destra e quelli che stanno alla sua sinistra. Opposizione che sarà ripresa e scandita alla fine del brano con la «benedizione» per i primi e con la «maledizione» per i secondi; con l’ingresso nel regno «preparato per voi fin dalla creazione del mondo» per i primi, con l’abbandono nel fuoco eterno «preparato per il diavolo e i suoi angeli» per i secondi; con l’identificazione dei primi con «i miei fratelli più piccoli» e con la presentazione lapidaria dei secondi chiamati «quelli».

L’elenco delle situazioni di bisogno alle quali corrispondono l’opera prestata o negata segue ancora uno schema di raggruppamento a due e percorre in modo sintetico tutta la condizione umana e bisognosa dell’uomo.

In questo testo Matteo sottolinea l’importanza di rendere conto a Cristo di tutte le azioni «fatte o non fatte», alla luce di quanto era stato già anticipato nel grande discorso della montagna (Mt 7,21-23). Matteo sottolinea inoltre che l’essenziale della vita cristiana non sta nel dire o nel confessare Cristo a parole, ma nel praticare l’amore concreto per i poveri, i forestieri e gli oppressi.

Ogni aiuto che si presta al prossimo in una situazione di bisogno è un aiuto dato a Gesù stesso, ha un valore permanente e imperituro, ci rende pronti per la vita eterna e ci apre le porte del regno dei cieli. L’omissione o il rifiuto di aiuto causa la rovina nel giudizio e conduce al castigo eterno.

 

Meditazione


Questa ultima domenica dell’anno liturgico presenta un messaggio escatologico centrato su un intervento di Dio che è di giudizio. Nella prima lettura Dio annuncia che egli in persona opererà un giudizio sul suo popolo, non solo nei confronti dei capi (montoni e capri), ma di ciascun membro del popolo (pecore). Il vangelo presenta Gesù quale re e giudice escatologico che separa pecore e capre, che opera il giudizio su ogni uomo basandolo sulla concreta prassi di carità. Paolo parla dell’estensione della signoria di Cristo Risorto che raggiungerà il suo apice nella sottomissione della potenza della morte che imperversa nella creazione sottomettendola a caducità.

Il giudizio è elemento centrale della fede cristiana. L’annuncio del giudizio vuole suscitare la responsabilità del credente nel mondo affinché la sua prassi unifichi misericordia e giustizia. La sua portata universale, per cui riguarda ogni uomo, va intesa anche nel senso di giudizio di tutto l’uomo, ovvero, come sguardo di Dio che fa emergere il bene e il male che abitano nel cuore dello stesso uomo: «Il medesimo uomo è in parte salvato e in parte condannato» (Ambrogio, In Ps. CXVIII Expositio, 57). Affinché Dio sia tutto in tutti, affinché solo l’amore resti e non ci sia più il male occorre il fuoco purificatore dell’incontro con il Signore che bruci ciò che in noi è contrario all’amore.

L’evocazione matteana del giudizio, con l’elemento determinante della sorpresa dei giudicati, mette a nudo il cuore dell’uomo e conduce il lettore del vangelo a interrogarsi sulla qualità della sua prassi.

Il giudizio è anche l’atto attraverso cui Dio può instaurare la sua giustizia e la sua signoria sulla storia e sull’umanità. Il giudizio è misura di giustizia divina nei confronti di tutti coloro che nella storia sono stati oppressi e sfruttati dagli uomini, che nella vita sono stati soltanto vittime, senza soggettività, senza voce, senza diritti.

Il giudizio rileva in particolare l’omissione, il peccato del non fare. Ovvero, il peccato più diffuso e che più facilmente si può coprire con giustificazioni e scuse. Il «non amare» è il grande peccato: Dio ci giudica nel malato o nel carcerato che non visitiamo, nel bisognoso di cui non ci prendiamo cura, nell’altro che non amiamo. Se il giudizio di Dio è il suo sguardo che vede ciò che abita nel cuore dell’uomo, esso smaschera anzitutto ciò che non abbiamo voluto vedere: esso vede il nostro vedere e il nostro non-vedere.

Questo sguardo di Dio giudica anche il tipo di sguardo che abbiamo sul povero e sul bisognoso. Giudica il nostro giudicare l’altro per cui un carcerato è uno che ha ciò che si merita, lo straniero è uno che disturba la nostra tranquillità, il malato è uno che sconta i suoi peccati… Il giudizio divino giudica il nostro chiudere le viscere a chi è nel bisogno (1Gv 3,17).

L’universalità del giudizio emerge anche dal fatto che si fonda sulla valutazione di gesti umani, umanissimi, fatti (o non fatti) da credenti e da non credenti. I semplici gesti di aiuto, carità e vicinanza espressi in Mt 25,31-46 costituiscono una sorta di grammatica elementare dell’umana relazione con l’altro. Una grammatica senza la quale non si potrà mai comporre una frase veramente cristiana. Il volto supplice dell’altro mi interpella: l’uomo è colui che risponde di un altro uomo.

Negli esempi di aiuto e prossimità enumerati nel testo evangelico vi è un aspetto spesso trascurato nella riflessione: la capacità di lasciarsi aiutare, di lasciarsi avvicinare, toccare, curare. La capacità e l’umiltà di lasciarsi amare fattivamente. Una capacità che rivela una dimensione di povertà più radicale della malattia o della fame o della nudità e che si chiama umiltà. L’umiltà che può nascere dalle umiliazioni operate dalla vita o procurate dagli uomini.

Come imparare a fare il bene agli altri? Dal proprio desiderio, risponde Gesù quando dice di fare agli altri ciò che si vorrebbe fosse fatto a noi (Mt 7,12). E il desiderio che abbiamo è di essere amati, raggiunti dagli altri nel nostro bisogno. Così, «colui che fa del bene al suo prossimo, fa del bene a se stesso, e colui che sa amare se stesso, ama anche gli altri» (Antonio, Lettera IV,7).

 

Preghiere e racconti


Che cosa è tuo?

«A chi faccio torto se mi tengo ciò che è mio?», dice l’avaro. Dimmi: che cosa è tuo? Da dove l’hai preso per farlo entrare nella tua vita? I ricchi sono simili a uno che ha preso posto a teatro e vuole poi impedire l’accesso a quelli che vogliono entrare ritenendo riservato a sé e soltanto suo quello che è offerto a tutti. Accaparrano i beni di tutti, se ne appropriano per il fatto di essere arrivati per primi. Se ciascuno si prendesse ciò che è necessario per il suo bisogno e lasciasse il superfluo al bisognoso, nessuno sarebbe ricco e nessuno sareb-be bisognoso.

Non sei uscito ignudo dal seno di tua madre? E non farai ritorno nudo alla terra? Da dove ti vengono questi beni? Se dici «dal caso», sei privo di fede in Dio, non riconosci il Creatore e non hai riconoscenza per colui che te li ha donati; se invece riconosci che i tuoi beni ti vengono da Dio, spiegaci per quale motivo li hai ricevuti. Forse l’ingiusto è Dio che ha distribuito in maniera disuguale i beni della vita? Per quale motivo tu sei ricco e l’altro invece è povero? Non è forse perché tu possa ricevere la ricompensa della tua bontà e della tua onesta amministrazione dei beni e lui invece sia onorato con i grandi premi meritati dalla sua pazienza? Ma tu, che tutto avvolgi nell’insaziabile seno della cupidigia, sottraendolo a tanti, credi di non commettere ingiustizie contro nessuno?

Chi è l’avaro? Chi non si accontenta del sufficiente. Chi è il ladro? Chi sottrae ciò che appartiene a ciascuno. E tu non sei avaro? Non sei ladro? Ti sei appropriato di quello che hai ricevuto perché fosse distribuito.

Chi spoglia un uomo dei suoi vestiti è chiamato ladro, chi non veste l’ignudo pur potendolo fare, quale altro nome merita? Il pane che tieni per te è dell’affamato; dell’ignudo il mantello che conservi nell’armadio; dello scalzo i sandali che ammuffiscono in casa tua; del bisognoso il denaro che tieni nascosto sotto terra. Così commetti ingiustizia contro altrettante persone quante sono quelle che avresti potuto aiutare.

(BASILIO DI CESAREA, Omelia 6,7, PG 31,276B-277A).


Bellezza oltre ogni descrizione

Uno dei romanzi più noti di André Gide (1869-1951) s’intitola La sinfonia pastorale. Il libro è ambientato nella Svizzera di lingua francese negli anni Novanta (1890) e narra la storia di una complessa relazione fra un pastore protestante e Gertrude, una ragazza cieca dalla nascita.

Di particolare interesse è il modo in cui il pastore prova a comunicare a Gertrude cose come la bellezza dei prati alpini, trapuntati di fiori dai colori sgargianti, e la maestà delle montagne dalle cime innevate. Egli prova a descrivere i fiori azzurri che crescono sulla riva del fiume paragonandoli al colore del cielo, ma deve rendersi subito conto che lei non può vedere il cielo per apprezzare il paragone. In questo suo lavoro egli si sente continuamente frustrato dalla limitatezza del linguaggio che usa per far conoscere la bellezza e lo stupore della natura alla giovane cieca. Ma le parole sono il solo strumento di cui dispone. Non può che perseverare sapendo di poter comunicare solo a parole una realtà che non può mai essere completamente espressa con parole.

Allora ecco un nuovo e insperato sviluppo. Un oculista della vicina città di Losanna ritiene che la ragazza possa essere operata agli occhi in modo da ottenere la vista. Dopo tre settimane trascorse nella casa di cura, ella torna a casa, dal pastore. Adesso può vedere e sperimentare da sola le immagini che il pastore aveva cercato di comunicarle solo attraverso le parole.

“Appena ho acquistato la vista – ella disse – i miei occhi si sono aperti su un mondo più stupendo di come avrei mai potuto sognare che fosse. Sì, davvero, non mi sarei mai immaginata che la luce del giorno fosse così brillante, l’aria così limpida e il cielo così vasto”.

La realtà sorpassa di gran lunga la descrizione verbale. La pazienza del pastore e le sue goffe parole non avrebbero mai potuto descrivere adeguatamente il mondo che la ragazza non poteva vedere da sola, il mondo che chiedeva di essere sperimentato piuttosto che meramente descritto.

Per il cristiano, il mondo presente contiene indizi e segnali di un altro mondo, un mondo che possiamo cominciare a sperimentare ora, ma che conosceremo nella sua pienezza solo alla fine.

(Alister Mc Grafth, Il Dio sconosciuto, Cinisello Balsamo, 2002, 35-37).

«Voglio che sia una regina: la mia mamma”»

«C’era una volta, tanti secoli fa, una città famosa. Sorgeva in una prospera vallata e, siccome i suoi abitanti erano decisi e laboriosi, in poco tempo crebbe enormemente. Era insomma una città felice nella quale tutti vivevano in pace. Ma un brutto giorno, i suoi abitanti decisero di eleggere un re. Suonate le trombe, gli araldi li riunirono tutti davanti al Municipio. Non mancava nessuno. Lo squillo di una tromba impose il silenzio su tutta l’assemblea. Si fece avanti allora un tipo basso e grasso, vestito superbamente. Era l’uomo più ricco della città. Alzò la mano carica di anelli scintillanti e proclamò: “Cittadini! Noi siamo già immensamente ricchi. Non ci manca il denaro. Il nostro re deve essere un uomo nobile, un conte, un marchese, un principe, perché tutti lo rispettino per il suo alto linguaggio”.

“No! Vattene! Fatelo tacere’ Buuu”. I meno ricchi della città cominciarono una gazzarra indeserivibile. “Vogliamo come re un uomo ricco e generoso che ponga rimedio ai nostri problemi!”.

Nello stesso tempo, i soldati issarono sulle loro spalle un gigante muscoloso e gridarono: “Questo sarà il nostro re! Il più forte!”.

Nella confusione generale, nessuno capiva più niente. Da tutte le parti scoppiavano grida, minacce, applausi, armi che s’incrociavano.

Suonò di nuovo la tromba. Un anziano, sereno e prudente, sali sul gradino più alto e disse: “Amici, non commettiamo la pazzia di batterci per un re che non esiste ancora. Chiamiamo un innocente e sia lui ad eleggere un re tra di noi”.

Presero un bambino e lo condussero davanti a tutti. L’anziano gli chiese: “Chi vuoi che sia il re di questa città così grande?”.

Il bambinetto li guardò tutti, si succhiò il pollice e poi rispose: “I re sono brutti. Io non voglio un re. Voglio che sia una regina: la mia mamma”».

(B. Ferrero, C’è qualcuno lassù, Torino, LDC, 1993, 12-13).

 

Tutto gli sarà sottomesso

Colui che ci ha uniti a sé e che si è unito a noi e che in tutto è divenuto uno con noi, fa suo tutto ciò che è nostro. Il nostro sommo bene è la sottomissione al divino, quando tutta la creazione sarà concorde con se stessa e «ogni ginocchio si piegherà davanti a lui, gli esseri del cielo, della terra e degli inferi e ogni lingua proclamerà che Gesù Cristo è il Signore» (Fil 2,10-11).

Allora, quando la creazione sarà divenuta un solo corpo e tutti saranno uniti gli uni agli altri in lui, per mezzo dell’obbedienza, indirizzerà a se stesso l’obbedienza che il suo corpo rivolgeva al Padre. […] La sottomissione del corpo della chiesa è rivolta a colui che abita nel corpo. E poiché tutto ciò che è sarà salvato in lui e poiché salvezza significa sottomissione, come il salterio ci invita a pensare (cfr. Sal 8,6; 36,7; 61,1.5), di conseguenza questo passo dell’Apostolo ci insegna a credere che non ci sarà niente al di fuori dei salvati. Il testo ci indica questo attraverso la purificazione della morte e la sottomissione del Figlio, perché tutte queste parole sono in accordo le une con le altre: il fatto che non ci sarà più morte e il fatto che tutti saranno in vita. Ora la vita è il Signore, il quale, secondo la parola dell’Apostolo, introduce tutto il suo corpo presso il Padre quando rimette la regalità a Dio Padre. Il suo corpo, come è stato detto molte volte, è tutta la natura umana alla quale è stato unito. E in questo senso che Paolo ha chiamato il Signore «mediatore tra Dio e gli uomini» (1 Tm 2,5). Colui che è nel Padre e che è venuto in mezzo agli uomini compie l’opera di mediazione unendo tutti a lui e attraverso di lui al Padre, come dice il Signore nell’evangelo indirizzandosi al Padre: «affinché tutti siano uno come tu, Padre, sei in me e io in te, anch’essi siano uno in noi» (Gv 17,21). Chiaramente questo passo proclama che, unendoci a lui che è nel Padre, egli ci procura attraverso se stesso l’unione con il Padre.

(GREGORIO DI NISSA, Quando avrà sottomesso a sé ogni cosa, PG 44,1317D-1320C).

 

«Venite, benedetti del padre mio»

Allora il Re dirà a quelli che saranno alla sua destra «Venite, benedetti del padre mio: ereditate il regno che è stato apparecchiato dalla fondazione del mondo. Perché io ebbi fame, e voi mi deste da mangiare; ebbi sete, e vo mi deste da bere; fui forestiero, e voi mi accoglieste; ignudo, e mi rivestiste; infermo, e m rivisitaste; in prigione, e voi veniste a me». I giusti risponderanno: «Signore, quando ti abbiamo noi veduto aver fame, aver sete; quando ti abbiamo veduto forestiero, o ignudo, o malato, o in prigione?». E il Re risponderà loro: «In verità io vi dico: tutte le volte che l’avete fatto a uno di questi miei minimi fratelli, è a me che voi l’avete fatto».

Quale speranza! Tutti coloro che scopriranno che il loro prossimo era lo stesso Gesù appartengono, dunque, alla moltitudine di quelli che ignorano il Cristo o l’hanno dimenticato. E nondimeno sono essi, i diletti. Non è in potere di alcuno, tra coloro che portano la carità nel cuore, di non servire il Cristo. Taluno che crede odiarla gli ha consacrato la vita; poiché Gesù è travestito e mascherato in mezzo agli uomini, nascosto nei poveri, negli infermi, lei prigionieri, nei forestieri. Molti che lo servono ufficialmente, non seppero mai chi egli è; ma molti che non conoscono neppur di nome, udranno l’ultimo giorno le parole che spalancheranno loro le porte della gioia: «Ero io, quei figliuoli, ero io, quegli operai; io piangevo su quel letto di ospedale; ero quell’assassino nella sua cella, quando tu lo consolavi».

(E. MAURIAC, Vita di Gesù, Milano, Mondadori, 1950, 126).

 

Il samaritano

“Un uomo scivolò e cadde in una buca. Vide un prete che si ritrovava a passare da lì e gli chiese aiuto per uscire dalla fossa. Il religioso lo benedisse, ma proseguì per la sua strada. Qualche ora dopo giunse un medico. L’uomo lo pregò di aiutarlo: il medico però, si limitò a guardare i graffi dell’altro e a compilare una ricetta, dicendogli di acquistare quelle medicine nella farmacia più vicina. Alla fine, arrivò un tizio che non aveva mai visto prima. Di nuovo, la vittima chiese aiuto e lo sconosciuto si calò nella buca. “E adesso? Siamo entrambi intrappolati quaggiù!” Fu allora che il soccorritore disse: “No, non è così! Io conosco bene questo posto e so come uscire dalla fossa.”

(Paulo COELHO, Aleph, Romanzo Bompiani, Milano, 2011, 38)

 

Giudizio finale

Tu giudicaci tutti

come se tutti fossimo bambini

che giocano con la vita

in questo cortile assurdo e prodigioso.

 

Quando giunge la notte,

raccoglici tutti

nel calore della tua Casa

per sempre.

 

E pianta di bellezza imperitura

il vecchio cortile amato…

(Pedro Casaldáliga)

 

Preghiera

Signore, abbiamo compreso con la parola tagliente e vera, che oggi ci hai donato, che l’essenziale della vita non è confessarti a parole, ma praticare l’amore concreto per i poveri e per quelli che sono stati favoriti dalla vita. Questo significa fare la volontà del Padre tuo, vivere di te, forse anche da parte di coloro che non ti conoscono bene. Signore Gesù, tu ti identifichi con i perseguitati, con i poveri, con i deboli. Tu ci hai dato un esempio chiaro di vita, che hai racchiuso nel vangelo e specie nelle beatitudini pronunciate sul Monte.

Il segno che è arrivato il tuo regno si trova nel fatto che in te l’amore concreto di Dio raggiunge i poveri, gli emarginati, non a causa dei loro meriti, bensì in ragione stessa della loro condizione d’esclusi, d’oppressi, perché tu sei dio e perché questi che sono considerati ultimi sono i primi “clienti” tuoi e del Padre tuo.

Aiutaci, Signore, a capire che trascurare quest’amore concreto per i poveri, i forestieri, i prigionieri, coloro che sono nudi o che hanno fame, significa non vivere secondo la fede del regno ed escluderli dalla sua logica. Mancare all’amore è rinnegare te, perché i poveri sono tuoi fratelli e lo sono appunto a motivo della loro povertà.

Facci capire fino in fondo che essi sono il luogo privilegiato della tua presenza e di quella del Padre tuo celeste.

 

 

* Per l’elaborazione della «lectio» di questa domenica, oltre al nostro materiale di archivio, ci siamo serviti di:

Lezionario domenicale e festivo. Anno A, a cura della Conferenza Episcopale Italiana, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2007.

Temi di predicazione. Omelie. Ciclo A, Napoli, Editrice Domenicana Italiana, 2004.

Messalino festivo dell’Assemblea, Bologna, EDB, 2007.

– COMUNITÀ MONASTICA SS. TRINITÀ DI DUMENZA, La voce, il volto, la casa e le strade, «Allegato redazionale alla Rivista del Clero Italiano» 92 (2011) 5,  42 pp.

– COMUNITÀ DI BOSE, Eucaristia e Parola. Testi per le celebrazioni eucaristiche. Anno A, Milano, Vita e Pensiero, 2010.

– Fernando ARMELLI, Ascoltarti è una festa. Le letture domenicali spiegate alla comunità, Anno A, Padova, Messaggero, 2001.

 

Scuola: verso la revisione delle Indicazioni del 1° ciclo

 

Dopo l’informativa sindacale di una decina di giorni fa, anche in un altro recente incontro con i referenti degli Uffici scolastici regionali il Miur ha confermato che si va verso la possibile revisione delle Indicazioni per scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione, assumendo a riferimento le Indicazioni per il curricolo varate dal ministro Fioroni.

Si tratta di una scelta molto chiara che, a quanto sembra, ha trovato il consenso del mondo sindacale e dovrebbe incontrare anche i favori degli insegnanti.

Per arrivare alla eventuale revisione delle Indicazioni, il ministero sta seguendo contestualmente varie piste di lavoro, la prima delle quali è il monitoraggio previsto dal regolamento per il primo ciclo (dpr 89/2009), affidato all’Ansas, che ha predisposto un apposito questionario (che le scuole potranno compilare entro il 30 novembre) in linea da una settimana.

Le prime valutazioni sul questionario sono sostanzialmente positive per il suo taglio “laico” rispetto alle riforme Gelmini. Potrebbe rappresentare effettivamente una opportunità per le scuole sia per una autovalutazione interna delle attività svolte in questo triennio sia per esprimere osservazioni e proposte utili per l’annunciata revisione delle Indicazioni.

Una cosa è certa: la scuola chiede, dopo anni di cambiamenti all’insegna della discontinuità, di mettere finalmente una parola ferma sulla definizione degli obiettivi di apprendimento e dei traguardi di competenza: una volta per tutte.

Per arrivare a quel traguardo il ministero è obbligato a tempi rapidi, ma ha fatto sapere che intende operare raccogliendo, oltre agli esiti del monitoraggio, anche documentazione di buone pratiche.

Se tutto andrà bene (sperando anche che vi sia ampia condivisione sulle scelte) le Indicazioni revisionate potrebbero essere pronte dal prossimo settembre (ma non significa che entreranno in vigore da quella data), avviando un processo di assestamento nelle scuole e di pianificazione delle produzione editoriali dei libri di testo.






–>


tuttoscuola.com lunedì 14 novembre 2011