Lectio – Anno B
Prima lettura: Isaia 40,1-5.9-11
«Consolate, consolate il mio popolo – dice il vostro Dio –. Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che la sua tribolazione è compiuta, la sua colpa è scontata, perché ha ricevuto dalla mano del Signore il doppio per tutti i suoi peccati».
Una voce grida: «Nel deserto preparate la via al Signore, spianate nella steppa la strada per il nostro Dio. Ogni valle sia innalzata, ogni monte e ogni colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in vallata.
Allora si rivelerà la gloria del Signore e tutti gli uomini insieme la vedranno, perché la bocca del Signore ha parlato». Sali su un alto monte, tu che annunci liete notizie a Sion! Alza la tua voce con forza, tu che annunci liete notizie a Gerusalemme. Alza la voce, non temere; annuncia alle città di Giuda: «Ecco il vostro Dio! Ecco, il Signore Dio viene con potenza, il suo braccio esercita il dominio. Ecco, egli ha con sé il premio e la sua ricompensa lo precede. Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri».
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v Il brano costituisce l’inizio della seconda parte del libro di Isaia che comprende i capitoli 40-55; questo insieme è denominato: «libro della consolazione»; inizia infatti con le parole: «consolate, consolate il mio popolo». L’annuncio della consolazione riguarda la fine della schiavitù del popolo in Babilonia, schiavitù durata circa sessanta anni tra il 597 e il 538 prima di Cristo. L’autore è un profeta anonimo che viene denominato secondo Isaia, il quale ha svolto la sua attività profetica in Babilonia tra le prime vittorie di Ciro che facevano prevedere la caduta dell’impero babilonese e l’editto di liberazione del 538 che consentì un primo ritorno dall’esilio alla patria.
Il passo che forma la lettura contiene l’annuncio del tema, cioè la consolazione e la fine dell’esilio, la presentazione di una voce profetica, infine l’annuncio del ritorno di Dio come guida del suo popolo.
1. Annuncio del tema.
«Consolate, consolate il mio popolo – dice il vostro Dio –. Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che la sua tribolazione è compiuta, la sua colpa è scontata, perché ha ricevuto dalla mano del Signore il doppio per tutti i suoi peccati» (Is 40,1-2).
Gerusalemme, emblema del popolo eletto, era stata deportata in esilio e in schiavitù a causa dei suoi peccati, a causa dell’idolatria e delle ingiustizie; qualcuno poteva pensare che questo esilio, vero castigo divino, per le colpe del popolo, non sarebbe più finito, invece nel mezzo dell’esilio risuona il grande annuncio: l’iniquità è stata scontata, la schiavitù dell’esilio è finita, viene la consolazione. Questo annuncio è dato al cuore di Gerusalemme; il parlare al cuore non riguarda soltanto il sentimento, ma anche l’intelligenza e la volontà, riguarda la totalità umana, a cui è rivolta la notizia di gioia: questa gioia consisterà nella liberazione dalla servitù e dall’esilio, consisterà in un nuovo esodo, che rinnoverà l’esodo antico con i suoi prodigi.
2. Presentazione della voce profetica.
«Una voce grida: «Nel deserto preparate la via al Signore, spianate nella steppa la strada per il nostro Dio. Ogni valle sia innalzata, ogni monte e ogni colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in vallata.
Allora si rivelerà la gloria del Signore e tutti gli uomini insieme la vedranno, perché la bocca del Signore ha parlato» (Is 40,3-5).
Queste espressioni contengono una vocazione profetica. La voce profetica, lasciata volutamente anonima, obbedisce a ciò che è stato detto prima, cioè al comando di recare consolazione. Gli evangeli sinottici citando questo testo secondo la traduzione dei Settanta: «voce di colui che grida nel deserto» lo applicano a Giovanni Battista che annuncia la venuta del Signore. Preparare la via era la consuetudine antica che riguardava un re vittorioso; la strada attraverso cui doveva passare per celebrare il suo trionfo veniva allestita in modo che egli potesse percorrerla senza disagio. L’immagine è qui usata per descrivere il passaggio di Dio stesso alla testa del suo popolo che ritorna dalla terra di esilio alla propria patria; questa strada, che passava nella zona desertica tra la Mesopotamia e la Palestina, doveva essere preparata per poter consentire un ritorno agiato, comodo, gioioso ed esultante, nel quale sarebbe apparsa la gloria del Signore, cioè la sua stessa presenza. Questa descrizione poetica è grandiosa, è la riattualizzazione dell’esodo antico. La profezia fa intravvedere una realtà che supera il puro ritorno geografico degli esiliati nella Palestina e la pura liberazione dalla schiavitù politica; tale liberazione fu infatti assai limitata. La profezia delinea il ritorno della gloria del Signore, che avrà orizzonti diversi da quelli soltanto politici.
3. Annuncio del ritorno di Dio.
«Sali su un alto monte, tu che annunci liete notizie a Sion! Alza la tua voce con forza, tu che annunci liete notizie a Gerusalemme. Alza la voce, non temere; annuncia alle città di Giuda: «Ecco il vostro Dio! Ecco, il Signore Dio viene con potenza, il suo braccio esercita il dominio. Ecco, egli ha con sé il premio e la sua ricompensa lo precede. Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri» (Is 40.9-11).
Questo tratto è una variazione e un arricchimento del tema. Il ritorno di Dio alla testa del suo popolo, prima esiliato, è un trionfo; Dio appare come un re potente e insieme come un pastore pieno di tenerezza verso le pecore madri e gli agnellini. Il tema del buon pastore, che percorre la profezia antica, avrà la sua piena realizzazione in Gesù. Questa lettura, che è la profezia di un evento storico determinato, cioè il ritorno del popolo esiliato da Babilonia alla patria, esprime l’attesa e l’annuncio di un altro evento che sarà compreso alla luce del nuovo Testamento.
Seconda lettura: 2 Pietro 3,8-14
Una cosa non dovete perdere di vista, carissimi: davanti al Signore un solo giorno è come mille anni e mille anni come un solo giorno. Il Signore non ritarda nel compiere la sua promessa, anche se alcuni parlano di lentezza. Egli invece è magnanimo con voi, perché non vuole che alcuno si perda, ma che tutti abbiano modo di pentirsi. Il giorno del Signore verrà come un ladro; allora i cieli spariranno in un grande boato, gli elementi, consumati dal calore, si dissolveranno e la terra, con tutte le sue opere, sarà distrutta.
Dato che tutte queste cose dovranno finire in questo modo, quale deve essere la vostra vita nella santità della condotta e nelle preghiere, mentre aspettate e affrettate la venuta del giorno di Dio, nel quale i cieli in fiamme si dissolveranno e gli elementi incendiati fonderanno! Noi infatti, secondo la sua promessa, aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova, nei quali abita la giustizia. Perciò, carissimi, nell’attesa di questi eventi, fate di tutto perché Dio vi trovi in pace, senza colpa e senza macchia.
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v Il brano si trova in quel tratto della lettera che si occupa del tema del ritardo della parusia. Alcuni tra i primi cristiani, infatti, meravigliati per il ritardo del ritorno del Signore, erano impazienti e delusi. L’Autore della lettera con il linguaggio preso dalla letteratura apocalittica del suo tempo da un insegnamento sulla venuta del Signore ed esorta a una attesa giusta e retta.
Il brano può essere diviso in tre parti: una correzione dei criteri di computo del tempo, una descrizione del giorno del Signore, una esortazione alla buona condotta nell’attesa.
1. Correzione dei criteri di computo del tempo.
«Una cosa non dovete perdere di vista, carissimi: davanti al Signore un solo giorno è come mille anni e mille anni come un solo giorno. Il Signore non ritarda nel compiere la sua promessa, anche se alcuni parlano di lentezza. Egli invece è magnanimo con voi, perché non vuole che alcuno si perda, ma che tutti abbiano modo di pentirsi» (2Pt 3.8-9).
Il computo del tempo non è il medesimo presso gli uomini e presso Dio. La trascendenza di lui si riflette anche in questo. Il salmo dice: «Ai tuoi occhi mille anni sono come un giorno» (Sl 90,4) volendo esprimere la grandezza di Dio; il presente testo citando queste parole le applica anche inversamente: un giorno è come mille anni. Benché la parusia sia aspettata da generazioni, questo è un periodo breve e non contraddice alle promesse della prossimità della venuta del Signore. Questa grandezza di Dio che usa una misura del tempo diversa alla nostra, appare anche nel suo amore; la lentezza nell’attuazione della parusia è dovuta alla pazienza, alla longanimità di Dio che vuole la salvezza di tutti e vuole dare a tutti il tempo per pentirsi. Anche la riflessione su questa qualità di Dio aiuta a una corretta impostazione del problema del ritardo della parusia.
2. Descrizione del giorno del Signore.
«Il giorno del Signore verrà come un ladro; allora i cieli spariranno in un grande boato, gli elementi, consumati dal calore, si dissolveranno e la terra, con tutte le sue opere, sarà distrutta. Dato che tutte queste cose dovranno finire in questo modo, quale deve essere la vostra vita nella santità della condotta e nelle preghiere, mentre aspettate e affrettate la venuta del giorno di Dio, nel quale i cieli in fiamme si dissolveranno e gli elementi incendiati fonderanno! Noi infatti, secondo la sua promessa, aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova, nei quali abita la giustizia» (2Pt 3,10-13).
L’immagine della venuta del giorno del Signore come quella di un ladro è tradizionale: la troviamo nei vangeli sinottici, in Paolo, nell’Apocalisse. Il giorno viene descritto con le immagini della letteratura apocalittica: la conflagrazione universale per far svanire i cieli e gli elementi. Il senso di tali descrizioni consiste nel preparare la realtà finale, indicata come «nuovi cieli e nuova terra»; la novità è la presenza della giustizia in modo stabile. Il giorno del Signore, dunque, non è soltanto rovina e distruzione, è anche e soprattutto nuova creazione. A questo spettacolo cosmico l’autore congiunge l’esortazione a vivere nella santità della condotta, nella pietà, a cui viene attribuita la virtù di affrettare, di accelerare l’evento del grande giorno.
3. Esortazione alla irreprensibilità.
«Perciò, carissimi, nell’attesa di questi eventi, fate di tutto perché Dio vi trovi in pace, senza colpa e senza macchia » (2Pt 3,14).
L’essere senza macchia era nell’antico Testamento una qualità rituale, cultuale; qui esprime una realtà morale e spirituale, la irreprensibilità si oppone alla condotta dei nemici; comportandosi così i credenti saranno trovati in pace davanti a Dio; una pace che non è sentimento psicologico, ma conformità al piano divino di salvezza.
Vangelo: Marco 1,1-8
Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio. Come sta scritto nel profeta Isaia: «Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero: egli preparerà la tua via. Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri», vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».
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Il vangelo in immagini
AVVENTO II AVVENTO ANNO B-1
Esegesi
Il brano evangelico costituisce l’inizio del vangelo di Marco. Esso presenta immediatamente la persona di Gesù con i suoi titoli, presenta poi la figura di Giovanni Battista, la sua attività, la sua predicazione che contrappone il battesimo di Gesù al proprio.
1. Presentazione della persona di Gesù.
«Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio» (Mc 1,1).
Troviamo in questa densa frase il termine: vangelo, e i titoli di Gesù: Cristo, Figlio di Dio.
Il termine vangelo indica la buona novella destinata a tutti gli uomini, la notizia che definisce la fede cristiana; più che un messaggio proveniente da Dio e riguardante Gesù, il vangelo è la rappresentazione della presenza e dell’azione di Dio presso gli uomini in Gesù. Questa buona notizia dapprima annunciata e predicata è stata poi scritta e si è fissata nei quattro vangeli.
Il titolo Cristo indica, letteralmente, colui che è stato unto, che è stato dedicato e consacrato con una unzione, indica il messia, il salvatore atteso in Israele. Pietro farà la sua solenne professione di fede tributando a Gesù questo titolo (Mc 8,29) e Gesù stesso approverà il titolo nel corso del suo processo (Mc 14,61-62).
Il titolo Figlio di Dio, indicazione della dignità di Gesù, determina la struttura del vangelo di Marco, ritornandovi nei punti fondamentali. Collocato qui all’inizio, esso ritorna alla fine in bocca a un pagano, all’ufficiale romano, come una confessione di fede (Mc 15,39). Nel corso del vangelo questo titolo è rivelato da Dio stesso nel battesimo di Gesù (Mc 1,11) e nella trasfigurazione (Mc 9,7), è divulgato dai demoni (Mc 3,11; 5,7) e costituisce il tema della condanna davanti al Sinedrio (Mc 14,61-62).
2. Presentazione di Giovanni Battista.
«Come sta scritto nel profeta Isaia: «Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero: egli preparerà la tua via. Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri», vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati» (Mc 1,2-5).
La presentazione del Precursore viene fatta mediante la citazione del testo di Isaia contenuto nella prima lettura, del testo di Esodo 23,30 e di Malachia 3,1. Giovanni appare come colui che prepara e precede la venuta del Messia. L’attività che egli esercita, insieme con la predizione, è l’annuncio e la pratica di un battesimo di penitenza. Tale atto aveva la sua ispirazione nei bagni e nelle abluzioni che venivano praticate nel giudaismo con scopo di purificazione rituale delle macchie e delle impurità legali. Il rito del precursore si distingue da tali osservanze in quanto ha carattere di unicità, non è ripetibile ed è offerto e ricevuto come preparazione al giudizio, al battesimo della fine dei tempi; esso indica la necessità della conversione e ha come scopo il perdono dei peccati accordato da Dio. La gente che andava a farsi battezzare da Giovanni, infatti, riconosceva e confessava i propri peccati con le parole oltre che con l’atto di sottoporsi al battesimo.
3. Il battesimo di Giovanni e il battesimo di Gesù.
«Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo » (Mc 1,6-8).
Dopo la descrizione di Giovanni, ricalcata su quella di Elia, viene la proclamazione che contrappone il precursore a Gesù sulla base del loro battesimo: Giovanni battezza con acqua. Gesù battezzerà con Spirito Santo. La qualificazione dell’attività di Gesù come battezzatore in Spirito Santo designa non singoli atti o momenti, ma l’opera totale del Signore, essa è nel suo insieme un battesimo con Spirito Santo, cioè una effusione dello Spirito che santifica attraverso i sacramenti e i carismi da lui donati.
Meditazione
Il tema che unisce le tre letture è quello della preparazione della venuta del Signore. Occorre preparare la via per il nuovo esodo che il Signore guiderà (Isaia); bisogna convertirsi, prima della venuta gloriosa del Signore, nel tempo di vita che il Signore concede a ciascuno (2Pt). Il vangelo presenta Giovanni che nel deserto prepara la strada al Messia con la sua stessa vita, con la sua predicazione e il suo ministero.
L’evangelo interpella il credente su come accogliere nella propria esistenza il Signore che viene. Anzitutto con l’ascolto della parola di Dio contenuta nella Scrittura. L’inizio del vangelo è nell’Antico Testamento (Mc 1,1-3) e Giovanni è anzitutto colui che compie nella sua carne e nella sua vita la parola profetica. La Scrittura ci conduce a Cristo. Ma la parola di Dio conduce anche a riconoscere i propri peccati (Mc 1,5). Di fronte al Signore che viene, noi riconosciamo che le nostre vie non sono le sue e siamo spinti a conversione, a cambiare strada, a mutare direzione di vita per ritornare al Signore. Poi si tratta di ritrovare l’essenziale. Giovanni è figura di essenzialità e semplificazione: di lui si dice la sobrietà del cibo e la povertà del vestire. L’essenzialità del suo messaggio spirituale è connessa all’essenzialità del suo vivere, del suo essere corpo, voce, attesa. Egli può chiedere di convertirsi e di preparare la strada al Signore perché vive in prima persona tali realtà. Giovanni non si limita a preparare una strada al Signore, ma la diviene nel suo corpo, nella sua persona. La traiettoria della sua vita diventa la parabola che Gesù stesso seguirà. Giovanni è il «precursore» non solo nel senso che viene prima di Gesù, ma anche nel senso che il percorso esistenziale che egli vive sarà anche quello, con tutte le grandi differenze legate alle due persone, che Gesù conoscerà. Infine Giovanni è presentato nell’umiltà, ulteriore realtà che consente l’incontro con il Signore. Il ministero del Battista è riferito a colui a cui egli apre la strada, è tutto teso a lui: egli è il messaggero di fronte al Veniente, la voce di fronte alla Parola, il servo di fronte al Signore, colui che battezza con acqua di fronte a colui che battezzerà con lo Spirito santo.
Quest’ultimo aspetto suggerisce un ulteriore spunto: Giovanni, figura essenziale per Gesù secondo la comune testimonianza dei quattro vangeli, rinvia anche alla necessaria mediazione di un uomo per poter preparare la strada al Signore. Giovanni, che precede Gesù e nella cui scia Gesù si porrà, è figura di accompagnamento spirituale. Così questa pagina, che presenta gli inizi del vangelo, diviene anche memoria degli inizi della fede del cristiano: memoria del battesimo, dell’azione dello Spirito, dell’ascolto della Parola, della mediazione di paternità spirituale di un uomo.
Il vangelo di Marco inizia nel deserto. È nel deserto che Giovanni grida e annuncia. Nel luogo marginale e decentrato, di solitudine e silenzio, di ascesi e di ritiro. Tanto che verrebbe da chiedersi: a chi grida Giovanni? E perche? A che scopo? Non è folle tutto ciò? Eppure la sua voce trova nel deserto lo spazio per farsi sentire e proprio nel deserto manifesta la sua forza profetica: lontana dai centri del potere (politico e religioso), la parola ritrova la sua limpidezza e genuinità, la sua forza e autorevolezza, la sua capacità di aprire strade e orizzonti, di dare senso e speranza, ovvero, di essere profetica. Nel deserto la parola può purificarsi e liberarsi dalle mistificazioni e smascherare con chiarezza gli idoli, può decongestionarsi dai luoghi comuni e dalle frase fatte, dai conformismi e dagli accomodamenti. Essa appare piena di senso e attrae la gente, non induce ad averne paura anche se è esigente; spinge le persone a un esodo, a un cammino nel deserto per incontrare il Signore, a un cammino verso Giovanni, o meglio, verso Colui che sta per venire e di cui Giovanni e la sua parola sono segno. E quel cammino fa già parte della preparazione della strada del Signore.
Preghiere e racconti
Il Precursore di Gesù
San Gregorio Magno commenta che il Battista “predica la retta fede e le opere buone … affinché la forza della grazia penetri, la luce della verità risplenda, le strade verso Dio si raddrizzino e nascano nell’animo onesti pensieri dopo l’ascolto della Parola che guida al bene” (Hom. in Evangelia, XX, 3, CCL 141, 155).
Il Precursore di Gesù, posto tra l’Antica e la Nuova Alleanza, è come una stella che precede il sorgere del Sole, di Cristo, di Colui, cioè, sul quale secondo un’altra profezia di Isaia “si poserà lo Spirito del Signore, spirito di sapienza e d’intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore” (Is 11,2).Nel Tempo dell’Avvento, anche noi siamo chiamati ad ascoltare la voce di Dio, che risuona nel deserto del mondo attraverso le Sacre Scritture, specialmente quando sono predicate con la forza dello Spirito Santo. La fede, infatti, si fortifica quanto più si lascia illuminare dalla Parola divina, da “tutto ciò che come ci ricorda l’apostolo Paolo è stato scritto prima di noi… per nostra istruzione, perché, in virtù della perseveranza e della consolazione che provengono dalle Scritture, teniamo viva la speranza” (Rm 15,4).
Il modello dell’ascolto è la Vergine Maria: “contemplando nella Madre di Dio un’esistenza totalmente modellata dalla Parola, ci scopriamo anche noi chiamati ad entrare nel mistero della fede, mediante la quale Cristo viene a dimorare nella nostra vita. Ogni cristiano che crede, ci ricorda sant’Ambrogio, in un certo senso concepisce e genera il Verbo di Dio” (Esort. ap. postsin. Verbum Domini, 28).Cari amici, “la nostra salvezza poggia su una venuta”, ha scritto Romano Guardini (La santa notte. Dall’Avvento all’Epifania, Brescia 1994, p. 13). “Il Salvatore è venuto dalla libertà di Dio… Così la decisione della fede consiste… nell’accogliere Colui che si avvicina” (ivi, p. 14). “Il Redentore aggiunge viene presso ciascun uomo: nelle sue gioie e angosce, nelle sue conoscenze chiare, nelle sue perplessità e tentazioni, in tutto ciò che costituisce la sua natura e la sua vita” (ivi, p. 15).
Alla Vergine Maria, nel cui grembo ha dimorato il Figlio dell’Altissimo, e che mercoledì prossimo, 8 dicembre, celebreremo nella solennità dell’Immacolata Concezione, chiediamo di sostenerci in questo cammino spirituale, per accogliere con fede e con amore la venuta del Signore.
(BENEDETTO XVI, Le parole del Papa alla recita dell’Angelus, 05.12.2010)
Il cristiano è un prigioniero
Prigioniero di una vita: la vita di Cristo. Non è il propagandista di un’idea, ma il membro di un corpo che vive e che vuole crescere.
Prigioniero di un pensiero: non è un libero pensatore, né il propagandista di un’idea, ma la voce di un altro: “la voce del Padrone”.
Prigioniero di uno slancio: di un desiderio a misura di Dio, che vuole salvare ciò che è perduto, guarire ciò che è malato, unire ciò che è separato, perpetuamente ed universalmente.
Essere cristiano è essere prigioniero di uno stato di fatto, prigioniero di dimensioni che da ogni lato non sono più le nostre, prigioniero, se posso dire, di una libertà che ha scelto in anticipo per noi.
È in questa cattività che il missionario deve annunciare il Cristo che egli vive, annunciare un messaggio che ha ricevuto e che non deve modificare; trasmettere una salvezza che non viene da lui e che ha la misura del mondo intero. Quel Cristo che egli vive, non può modificarlo. Ne è prigioniero. Quel messaggio, non può modificarlo. Ne è prigioniero. Quella salvezza non può restringerla. Ne è prigioniero.
(Madeleine DELBREL, Noi delle strade, Milano, Gribaudi, 2008, 19-20).
Il deserto
«Il deserto insegna l’essenzialità, è apprendistato di sottrazione e di spoliazione. Il deserto è magistero di fede: esso aguzza lo sguardo interiore e fa dell’uomo un vigilante, un uomo dall’occhio penetrante. L’uomo del deserto può così riconoscere la presenza di Dio e denunciare l’idolatria. Giovanni Battista, uomo del deserto per eccellenza, mostra che in lui tutto è essenziale: egli è voce che grida chiedendo conversione, è mano che indica il Messia, è occhio che scruta e discerne il peccato, è corpo scolpito dal deserto, è esistenza che si fa cammino per il Signore («nel deserto preparate la via del Signore!», Isaia 40,3). Il suo cibo è parco, il suo abito lo dichiara profeta, egli stesso diminuisce di fronte a colui che viene dopo di lui: ha imparato fino in fondo l’economia di diminuzione del deserto. Ma ha vissuto anche il deserto come luogo di incontro, di amicizia, di amore: egli è l’amico dello sposo che sta accanto allo sposo e gioisce quando ne sente la voce […] Forse ha ragione Henri le Saux quando scrive che “Dio non è nel deserto. È il deserto che è il mistero stesso di Dio”».
(Enzo Bianchi, Le parole della spiritualità. Per un lessico della vita interiore, Milano, Rizzoli, 21999, 50-51).
La nascita della voce
«Giovanni sembra posto nel mezzo, quasi limite dei due Testamenti, dell’Antico e del Nuovo. Quello che ho detto, che in certo modo è il limite, lo afferma lo stesso Signore dicendo: «La Legge e i Profeti fino a Giovanni» (Lc 16,16). Impersona così l’Antico e annuncia il Nuovo. […] La lingua di Zaccaria si scioglie perché nasce la voce; infatti a Giovanni che ormai annunziava il Signore, è chiesto: «Tu chi sei?» ed egli rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto» (Gv 1,22-23). Giovanni era la voce, il Signore, invece, «in principio era la Parola» (Gv 1,1); Giovanni voce nel tempo, Cristo in principio Parola eterna. Togli la parola; che cos’è la voce? Se non ha nulla di comprensibile è soltanto rumore. La voce senza la parola colpisce l’orecchio, ma non edifica il cuore […] E poiché è difficile distinguere la parola dalla voce, anche Giovanni fu creduto Cristo. La voce fu creduta parola, ma la voce confessò chi era per non recar danno alla Parola. Disse: «Io non sono il Cristo, né Elia, ne un profeta» (Gv 1,20-22). Gli fu chiesto: «Dunque chi sei?». Disse: «Io sono la voce di uno che grida nel deserto: preparate la via al Signore» (Gv 1,23). «Voce di uno che grida nel deserto», voce di uno che spezza il silenzio. «Preparate la via al Signore»; è come se dicesse: «Per questo grido, per introdurre lui, [il Signore,] nel cuore, ma non accetta di venire laddove io voglio farlo entrare se non gli preparate una via». Che cosa vuol dire «preparate la via», se non: «innalzate suppliche degne?». Che cosa vuol dire «preparate la via», se non «siate umili nei vostri pensieri?». Da lui stesso prendete esempio di umiltà. È ritenuto il Cristo, dice di non essere ciò che è creduto e non sfrutta l’errore altrui per la propria gloria […] Si umiliò, vide dove stava la sua salvezza: comprese di essere una lampada ed ebbe timore perché non venisse spenta dal vento della superbia».
(AGOSTINO, Discorso 293, 2-3, in Opere di Sant’Agostino, Discorsi 5, pp. 224-226).
Cammino
Nel chiaro-oscuro del mio cuore
dove nascono le mie decisioni,
me ne rendo conto:
la strada stretta del tuo Vangelo
è la sola che mi allarga
alle mie piene dimensioni di umanità.
Ma quanto è compromettente, Signore,
il tuo strano cammino luminoso!
Ed è per questa ragione che in esso mi impegno
con tanta prudenza,
un po’ in avanti, un po’ indietro,
un’azione che si ferma
prima di raggiungere l’assoluto,
una parola taciuta prima di coinvolgermi
in un’accettazione definitiva,
una mano tesa timidamente
e subito ritirata,
per paura di essere preso sul serio
per un “sì” che dice impegno.
Avanzare su questa strada,
mi rendo conto, Signore,
è lo stesso che perdersi
perché conduce al limite estremo
dell’offerta di sé,
della trasformazione interiore,
dell’umiltà e dello sguardo favorevole,
e del mettersi in ginocchio per servire il prossimo!
(A. HARI – C. SINGER, In cammino Natale, Bologna, EDB, 2005).
Carissimo Dio,
Ho un po’ di tempo libero e ho pensato di scriverti una lettera. Dio,…ho scritto il tuo nome e son rimasto un po’ in silenzio…ma non cancello niente…Dio. Ti dicevo che sento tante parole belle…I preti, quando arriva il tempo d’avvento, dicono che “Tu sei con noi”. Sì, ripetono: “Dio è con noi”. Io, a dir la verità, non ci credo più di tanto. In realtà le cose son ben diverse. Non può essere vero che Tu sei con noi….Cioè, vorrei sapere, da parte di chi stai? Perché non puoi stare con tutti….siamo così diversi… se è vero che stai con gli uni…non puoi stare con gli altri…non ti guarderebbero più in faccia….Insomma, forse è meglio non sapere con chi stai…così viviamo pensando che ci stai…ma forse non ci stai. O Dio, dove sei?…
Ecco il tuo silenzio. Quel silenzio che non dice niente. Dio mi lasci da solo nella sala di attesa. Sembra che non vuoi aprirmi la tua porta, che possa riscaldarmi al tuo fuoco…Io so che tu parli. Così almeno mi hanno detto. Io, a volte, tento di entrare in sintonia con te….ma, niente….non sento proprio niente…..
Ieri con me c’ era un uomo nella sala di attesa. Alla fine si è stancato di aspettare ed è andato via. Mi ha detto che forse era una tua furbizia. Che Tu dici che ci sei, ma in realtà Tu non vuoi parlare con noi. Quest’uomo anche mi ha detto che se Tu in realtà pensi veramente di arrivare un giorno, basta farli una telefonata. Così sarà più semplice e la smetti di giocare con noi…e, ti prego,…non farci aspettare troppo…
Io ti racconto tutto questo perché così sai come andiamo quaggiù… Tanti preferiscono fare altre cose mentre aspettano. Altri hanno aspettato qualcuno che si è fatto trovare senza tanta fatica………..
Ma, io preferisco aspettare Te: spero la tua venuta. A volte penso che Tu in realtà vieni da noi ma siamo noi che non ti riconosciamo. Forse non arrivi vestito come mi avevano detto…
Ecco, Dio, in questa situazione mi trovo, cercandoti ancora. Sì, io ti cerco. Ma devi sapere che cerco anche altre cose…..e ho paura che, magari, Tu arrivi proprio quando io sono andato a “prendermi un po’ d’aria”…Sempre che esco, torno a casa con più cose.
Ma, Dio, io ti cerco. Continuo a guardare in alto per vederti arrivare….ma sto pensando che forse dovrei guardare in basso…..oppure guardare più dentro di me??? Beh! Non lo so…
Un abbraccio Dio, non mi mancare,
L’uomo d’avvento
Preghiera
Mi sorprende anche quest’anno la tua promessa, Signore: mentre sono in cammino con la Chiesa, per prepararmi al natale, sentire che sei tu ad aprirmi una strada per la conversione.
Mi apri una strada raggiungendomi con la tua Parola: mentre io la ascolto spesso stancamente e senza entusiasmo, tu mi ricordi che l’incontro con essa è più forte della potenza degli imperi e dei grandi di questo mondo e che trasforma anche la mia vita in storia di salvezza. Insegnami ad ascoltare, insegnami il silenzio.
Mi apri una strada promettendo di abbattere monti e colmare valli. Se non fosse perché lo dici tu, sarei tentato di pensare che si tratti per me di una battaglia persa in partenza: che io non smetta, Signore, di lottare contro le montagne dell’orgoglio, dell’ira, dei vizi e non mi spaventi per le lacune della mia risposta poco generosa.
Mi apri una strada indicandomi i tanti deserti che trovo intorno a me e gli spazi vuoti che la nostra carità non sa mai colmare: che io possa, Signore, fare la mia parte, senza scoraggiarmi per il tanto che non posso e non so fare.
* Per l’elaborazione della «lectio» di questa domenica, oltre al nostro materiale di archivio, ci siamo serviti di:
– Temi di predicazione, Napoli, Editrice Domenicana Italiana, 2002-2003; 2005-2006.
– G. TURANI, Avvento e natale 2011. Sarà chiamato Dio con noi. Sussidio liturgico-pastorale, San Paolo, 2011.
– Messalino festivo dell’Assemblea, Bologna, EDB, 2007.
– Eucaristia e Parola. Testi per le celebrazioni eucaristiche di Avvento e Natale, a cura di Enzo Bianchi et al., Milano, Vita e Pensiero, 2005.
– La Bibbia per la famiglia, a cura di G. Ravasi, Milano, San Paolo, 1998.
– J.B. METZ, Avvento-Natale, Brescia, Queriniana, 1974.
– E. BIANCHI, Le parole della spiritualità. Per un lessico della vita interiore, Milano, Rizzoli, 21999