Lectio – Anno B
Prima lettura:
Il re Davide, quando si fu stabilito nella sua casa, e il Signore gli ebbe dato riposo da tutti i suoi nemici all’intorno, disse al profeta Natan: «Vedi, io abito in una casa di cedro, mentre l’arca di Dio sta sotto i teli di una tenda». Natan rispose al re: «Va’, fa’ quanto hai in cuor tuo, perché il Signore è con te». Ma quella stessa notte fu rivolta a Natan questa parola del Signore: «Va’ e di’ al mio servo Davide: “Così dice il Signore: Forse tu mi costruirai una casa, perché io vi abiti? Io ti ho preso dal pascolo, mentre seguivi il gregge, perché tu fossi capo del mio popolo Israele. Sono stato con te dovunque sei andato, ho distrutto tutti i tuoi nemici davanti a te e renderò il tuo nome grande come quello dei grandi che sono sulla terra. Fisserò un luogo per Israele, mio popolo, e ve lo pianterò perché vi abiti e non tremi più e i malfattori non lo opprimano come in passato e come dal giorno in cui avevo stabilito dei giudici sul mio popolo Israele. Ti darò riposo da tutti i tuoi nemici. Il Signore ti annuncia che farà a te una casa. Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu dormirai con i tuoi padri, io susciterò un tuo discendente dopo di te, uscito dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno. Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio. La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a me, il tuo trono sarà reso stabile per sempre”».
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v Il testo di 2 Sam 7,12-14 è il perno del messianismo dinastico. Quando Israele ha un regno e un re, i profeti ne prendono atto per dare una raffigurazione o configurazione concreta all’idea della salvezza, cioè alle vaghe «promesse» che Abramo ha portato con sé partendo da Ur (cf. Gn 12,3).
La sensibilità religiosa di David esplode dopo la costruzione della sua reggia. Allora gli pare sconveniente che l’arca del Signore sia ancora custodita «sotto i teli di una tenda». Anche il profeta Natan sembra in un primo tempo confermarlo nel proposito di costruire un tempio a JHWH, ma nella notte l’uomo di Dio riceve un messaggio diverso. La casa per JHWH non è urgente mentre è del tutto opportuno pensare e provvedere al consolidamento della «casa», ossia della dinastia davidica da poco affermatasi.
Dio ha scelto David; da umile pastorello l’ha costituito capo del suo popolo; l’ha accompagnato persino nelle sue guerre, ha combattuto per lui assicurandogli la vittoria sui nemici. Il discorso è arduo ad accettarsi ma le parole non vogliono dire altro che Dio ha avuto una particolare attenzione alla persona di David per dei compiti riservati a un suo lontano discendente. Non è la persona del re l’oggetto delle preoccupazioni e predilezioni divine ma la sua dinastia, la «casa». Il patto stretto alle pendici del Sinai con l’intera nazione trova una sua speciale attuazione con la famiglia di David, alla quale Dio assicurerà una durata eterna (v. 16). È una promessa, una profezia che passa attraverso la dinastia davidica, ma ne trascende i componenti.
Il titolo «figlio di David» diventerà sinonimo di re escatologico, di messia, di liberatore e restauratore delle sorti del popolo di Dio. La dinastia scomparirà con l’esilio e il popolo continuerà ad attendere il «figlio di David». Anche Gesù ne sentirà parlare e ne parlerà ma si tratta di un attributo messianico tradizionale più che di un collegamento storico-dinastico con l’antico casato regale. Gesù dimostra che può essere «figlio di David» anche uno che originariamente è il «figlio del falegname».
Seconda lettura:
Fratelli, a colui che ha il potere di confermarvi nel mio vangelo, che annuncia Gesù Cristo, secondo la rivelazione del mistero, avvolto nel silenzio per secoli eterni, ma ora manifestato mediante le scritture dei Profeti, per ordine dell’eterno Dio, annunciato a tutte le genti perché giungano all’obbedienza della fede, a Dio, che solo è sapiente, per mezzo di Gesù Cristo, la gloria nei secoli. Amen.
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v La Lettera ai romani ha due «conclusioni»: 11,33-36 e il presente brano. Nel primo caso Paolo esce in un inno di ringraziamento alla imperscrutabile sapienza divina per avere appunto intrecciato sia la missione che la defezione d’Israele con la conversione e salvezza dei gentili.
Ora con un nuovo inno ricapitola le tappe del disegno di Dio, il «mistero». Esso è rimasto nascosto «per secoli eterni» nella sua mente; è stato poi fatto trapelare da lui stesso attraverso i profeti, quindi le Scritture, e «ora» ne ha fatto la piena manifestazione in virtù dell’annunzio [kerygma] di Gesù Cristo di cui Paolo è il banditore (l’evangelista).
Cosicché anche i romani come tutti i gentili che sembravano esclusi dal piano della salvezza, almeno secondo un’ottica o una lettura accreditata presso le scuole giudaiche, vi fanno invece parte.
Il messaggio centrale del Vangelo è che Dio, secondo l’esperienza che ne ha fatto Gesù, è eguale con tutti i popoli, come con tutti gli uomini. Essi sono egualmente suoi figli, sia i discendenti di Abramo che di Israele, i giudei e i samaritani. È la buona notizia, il vangelo che egli comunicava ai suoi seguaci e agli uomini della sua generazione, ma i più non l’hanno capito e si sono ribellati alle sue aperture e l’hanno condannato. Ma altri l’hanno compreso e fatto proprio e tra questi ama annoverarsi Paolo, chiamato l’apostolo dei gentili, scelto particolarmente da Dio a questo scopo.
Paolo sa di ripetere una testimonianza, un’esperienza che proviene da Gesù Cristo, ma osa dire che è il suo vangelo, il messaggio di consolazione che ora trasmette ai romani come ha già fatto ai gentili dell’Asia e della Grecia. «Suo» perché ormai è la sua prima, quasi ossessiva preoccupazione. «Guai a me se non evangelizzo», dirà anche in questo senso ai corinti (1Cor9,16).
Tutto è partito da Dio e tutto a lui deve far ritorno, cioè a lui deve ridondare la gloria che proviene dall’attuazione di questo spettacolare disegno di ampiezze universali, meglio, indefinite, perché va oltre il tempo e oltre lo spazio. L’autore non può non chiudere quest’evocazione con un invito alla lode a colui che è all’origine del disegno e ne è stato l’esecutore. Almeno coloro che ne sono i beneficiari si ricordino di rivolgere uno sguardo riverente e grato a colui che li ha tanto amati.
Vangelo:
In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.
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Il Vangelko in immagini
AVVENTO IV AVVENTO ANNO B
Esegesi
Luca apre il suo «racconto» dell’infanzia di Gesù con due quadri messi a fianco e a confronto in modo che al lettore o all’osservatore sia più facile rilevare le somiglianze e le differenze dei rispettivi protagonisti dell’uno e dell’altro dipinto. È il «dittico degli annunzi», a un sacerdote di Gerusalemme (1,5-25) e a una vergine di Nazaret (1,26-38). Il primo riguarda la concezione e nascita del precursore messianico, il secondo il messia stesso.
La «notizia» che l’evangelista deve comunicare è al di fuori di qualsiasi verifica, anzi al di sopra della stessa comune logica. Deve perciò essere messa bene in chiaro la fonte da cui proviene. L’«annunzio» pertanto appare un’esperienza straordinaria, ma è soprattutto un modulo, si potrebbe dire un genere letterario. Quello che l’evangelista sta per segnalare o proporre non proviene dalle riflessioni o dalla fantasia di qualche eminente pensatore (non è un dato filosofico o teologico) ma giunge direttamente da Dio. È una sua comunicazione, un messaggio che gli ha fatto pervenire tramite i suoi particolari fiduciari (i profeti).
L’«angelo» è per sua definizione un «messo» del Signore, potrebbe essere anche una sua visibilizzazione. In tutti i modi sta sempre a indicare la provenienza delle informazioni riferite e insieme ne ricorda il garante. Chi legge non può avere dubbi non tanto sulla realtà dell’apparizione, quanto sul messaggio trasmesso.
I contorni della raffigurazione sono anch’essi più funzionali che episodici; segnalano il teatro degli «avvenimenti», le condizioni dei protagonisti; in realtà mirano a far conoscere la trama e i presupposti della salvezza.
Maria, a differenza di Zaccaria, di stirpe sacerdotale, è una sconosciuta fanciulla di Nazaret, un oscuro villaggio della semipagana Galilea. Una contrada da cui nessuno s’aspettava che potesse uscire qualcosa di buono (Gv 1,46). Il suo unico prestigio è che è «vergine». Il termine sta indicare la sua giovane età, ma come apparirà nel resto del dialogo, indica anche una sua particolare scelta di vita. Anche il comportamento dell’angelo, ben diverso da quello assunto con Zaccaria, è ordinato a mettere in rilievo la dignità di Maria. A lei l’angelo è inviato e verso di lei è ossequioso, accondiscendente, mentre con il suo precedente interlocutore era stato categorico e imperioso.
L’«annunzio» è uno schema didattico, ma insieme anche una «scena». I personaggi sono in movimento, parlano tra di loro, si scambiano messaggi. Le prime parole dell’angelo sono misteriose: «Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te» (1,28). L’originale greco chaire può esser tradotto con un comune «salve», «ave» (shalom), ma potrebbe anche equivalere a «esulta», «rallegrati». In quest’ultima supposizione il messo celeste non farebbe che ripetere l’invito che i profeti rivolgevano alla figlia di Sion a prepararsi alla venuta di JHWH in mezzo al suo popolo. «Esulta, rallegrati, ecco JHWH è in mezzo a te valoroso salvatore» (cf. Sof 3,14-15; Gioe 2.21 -22; Zc 2,14; 9,9). Se un analogo invito è rivolto a Maria vuol dire che in lei, attraverso qualche sua singolare prestazione, si realizzeranno le previsioni profetiche. In lei si raccoglie simbolicamente il migliore Israele erede delle promesse di Dio al suo popolo. Se ciò è vero vuol dire che le antiche promesse stanno per avere la loro attuazione.
La «pienezza di grazia» che l’angelo scopre in Maria indica la sua interiore santità, ma più probabilmente la missione che lei è chiamata a svolgere. «Hai trovato grazia», le viene ripetuto poco dopo (1,30) quasi a conferma e vien fatta un’allusione alla sua maternità. A tale scopo, per portare cioè a compimento un compito così grande. Dio stesso sarà con lei, come altre volte in passato si era trovata a fianco dei vari protagonisti della storia della salvezza. «Io sarò con te» è ormai la frase di prammatica nella tradizione profetica. Dio non lascia i suoi inviati allo sbaraglio, ma li assiste con tutti i suoi favori.
Le parole dell’angelo lasciano intuire un incarico, un’incombenza nel piano di Dio, ma non quale essa sia; per questo Maria invece di esultare rimane meditabonda. Dentro di sé si domanda che cosa potesse significare un tale saluto. L’angelo è in grado di comprendere le sue difficoltà senza che lei le manifesti e cerca di dissiparle prima che lei risponda. Ella pertanto darà alla luce un figlio che sarà egualmente «figlio dell’Altissimo», «re d’Israele», «Cristo», unto, cioè consacrato al Signore. In altre parole lei, l’anonima giovane nazaretana, conseguirà la maternità più ambita da tutte le donne d’Israele.
Un messaggio del genere è sempre fonte di gioia, ma non sembra ne sia inondato l’animo di Maria. Ella non ha nulla contro la proposta angelica, ma la trova irrealizzabile nella sua persona. La frase «non conosco uomo» nonostante che l’autore abbia sopra detto che «era promessa sposa di un uomo» (1,27), sta a indicare che ella si trova in uno stato in cui le è precluso ogni rapporto maritale. Non solo non conosce un determinato uomo, ma alcun uomo, né ora, né in un immediato futuro. Solo in quest’ipotesi le sue parole hanno un senso. Nella sua vita avrà a fianco uno sposo, ma nessun marito. Da qui la richiesta all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?».
Le vie di Dio sono sempre senza numero, hanno ripetuto di sovente i profeti; è quanto riaffermerà tra breve l’angelo (1,37) ora invece fa appello alla sua «potenza» e alla «virtù del suo Spirito». Esse sono in grado di far sbocciare un nuovo germoglio di vita nel seno di una vergine senza alcun concorso umano. La spiegazione di Lc 1,34 («Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?») è Lc 1,35 («Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra»).
L’obiezione di Maria può dirsi risolta. Ella sarà madre nonostante la sua scelta verginale e il figlio che nascerà da lei sarà «santo» come chi è nato da Dio; sarà addirittura «figlio di Dio» riflettendo in tutto i suoi comportamenti di carità e di amore fino a perdonare gli stessi crocifissori, un grado di perfezione che solo Dio sa avere (cf. Mt 5,48).
Qualcosa di analogo si era verificato nell’anziana parente Elisabetta. Colei che era sterile era diventata miracolosamente madre; Maria che è vergine, una cosa ben diversa ma molto affine alla sterilità, sarà ciononostante madre. Un evento illustra l’altro; anche se non lo spiega lo rende più facilmente accettabile.
Maria si trova nella piena possibilità di accettare coscientemente e liberamente la grande proposta; e il suo assenso è immediato, pieno, gioioso. Non è rassegnazione, accettazione supina, ma decisa, generosa. Il verbo «avvenga per me», in greco, è un ottativo; esprime un desiderio, una precisa volontà, un auspicio. E il nome che ella si attribuisce «la serva del Signore» conferma questo suo stato d’animo e questa sua disposizione. Ella è lieta, quasi ansiosa di compiere la volontà del Signore che l’ha chiamata a un compito così alto nell’attuazione dei suoi disegni.
L’«annunciazione» ossia il testo di Lc 1,26-38 oltre un «annunzio di nascita (della nascita del messia) è anche un «racconto di vocazione», della chiamata cioè di Maria alle sue prestazioni materne nell’opera della salvezza.
Meditazione
Lo sguardo pieno di speranza che ha nutrito la paziente attesa di Israele, e di ogni uomo, intravede all’orizzonte il compimento della promessa; Dio, canterà Maria nel suo inno di lode, «ha soccorso Israele suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza per sempre» (Lc 1,54-55). Le letture di questa quarta domenica di Avvento, che ormai ci avvicina al mistero del Natale, ruotano attorno al compimento della promessa di un Dio che entra definitivamente nella storia dell’umanità accogliendo il volto stesso dell’uomo (è il mistero della Incarnazione): Dio si rivela come l’Emmanuele, come il Dio che, nella fedeltà, continua a camminare assieme al suo popolo, ma in modo oramai totalmente nuovo e definitivo poiché «il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14, versetto che risuonerà in tutto il tempo natalizio).
Nella prima lettura, tratta dal secondo libro di Samuele, la promessa a Davide di una discendenza e di un trono che dureranno per sempre trova misteriosamente il suo compimento in una umile casa della Galilea: a una giovane donna, Maria, viene annunciata la nascita di un bambino al quale «il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine» (Lc 1,32-33). Ma come già il profeta Natan aveva preannunciato a Davide, Dio compie le sue promesse in modo paradossale e inaudito. Alla pretesa ingenua di Davide di costruire una «casa» a Dio, il Signore risponde con un dono inatteso: la sola «casa» veramente degna del Dio infinito, non costruita da mani d’uomo, è Gesù, la cui carne viene misteriosamente intessuta nel seno di Maria. In Gesù Dio ormai dimora con l’uomo e ogni uomo può trovare in Lui la sua propria casa.
Ciò che i profeti avevano annunciato e ciò che Dio stesso aveva anticipato con molti segni nella storia di Israele, è come misteriosamente sintetizzato nel racconto della annunciazione: ve-ramente «il mistero avvolto nel silenzio per secoli eterni» ora è manifestato (cfr. Rm 16,25). L’evangelista Luca, l’unico che ci riporta il racconto della annunciazione della nascita di Gesù ci offre una narrazione coinvolgente ed essenziale allo stesso tempo, capace di condurci alla soglia del mistero che continuamente si affaccia in tutto il racconto e lo avvolge; di esso ci fa percepire contemporaneamente la vicinanza (soprattutto attraverso il dinamismo delle reazioni di Maria alle parole dell’angelo) e l’insondabile profondità (nelle continue aperture verso l’infinito di Dio, soprattutto attraverso le parole dell’angelo). Nel racconto si intrecciano continuamente parole e testi della Scrittura, formando così un complesso sottofondo biblico che orienta alla comprensione di ciò che sta avvenendo, senza d’altra parte esaurirlo. E questo radicarsi nell’Antico Testamento offre al racconto della annunciazione una tonalità del tutto particolare; ciò che sta accadendo ora è in continuità con gli eventi del passato, indice della fedeltà salvifica di un Dio che non viene meno alla sua promessa, ma una continuità nel contempo trascesa a motivo della inaudita novità. Data la ricchezza degli spunti che questo testo offre, ci soffermiamo solo su due temi.
Anzitutto la gratuità di Dio. Uno sconosciuto villano della Gallica e un contesto quotidiano fatto di gioie (una coppia di fidanzati, il desiderio di costruire una famiglia) e di povertà. Ecco ciò che attrae lo sguardo di Dio. È forte il contrasto con l’annuncio della nascita del Battista, nel quadro solenne del tempio. L’iniziativa di Dio appare in tutta la sua gratuità, come qualcosa di inatteso e che capovolge i criteri umani, fino a raggiungere l’umanamente assurdo: una vergine che non conosce uomo potrà concepire un figlio. Veramente «nulla è impossibile a Dio» (v. 37). Ma questa gratuità si rivela soprattutto nel saluto dell’angelo Gabriele a Maria: «Rallegrati piena di grazia, il Signore e con te» (v. 20). In queste parole è racchiuso il mistero che abita Maria, diventando il sottofondo trasparente in cui si riflette l’amore di Dio per l’uomo. In questo saluto è impressa, quasi come un sigillo, la vocazione di Maria, il suo nome segreto che solo Dio conosce. Nel cammino di Maria è racchiusa la gioia (in greco charà) di ogni promessa di Dio che troverà compimento nella lieta notizia che è Gesù di Nazaret; nel cammino di Maria si riflette tutta la benevolenza di Dio, la sua grazia (in greco charis) che trasforma radicalmente la povera ragazza di Nazaret rendendola degna dello sguardo di Dio; e, infine, nel corpo stesso di Maria, la gioia e la grazia prendono un volto, quello dell’Emmanuele, quello del Signore che abita in mezzo al suo popolo.
Alla gratuità di Dio, fa eco l’ascolto di Maria. L’inaudita parola di Dio pronunciata dall’angelo attraversa l’umanità di questa donna, provocando diverse reazioni: in Maria inizia un dialogo interiore, un cammino di riflessione per capire il senso di ciò che ha udito. È un tratto tipico del modo di reagire di Maria e che Luca sottolinea altre volte: «Maria custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19). Questa reazione attiva di Maria (ben lungi dalla paura di Zaccaria che rende muto l’uomo) permette di porre domande alla Parola e, di conseguenza, aprire un nuovo orizzonte, uno spazio di novità, un salto di qualità nella propria fede. E, d’altra parte, fede e ascolto sono il terreno in cui matura la risposta di Maria alle parola dell’angelo: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (v. 38). Con il suo sì alla Parola, Maria aderisce alla verità più profonda del suo essere: si sente nient’altro che «schiava» e come tale si presenta, libera e senza pretese, davanti al suo Signore. Solo in un cuore e in un corpo così disponibili la Parola può incarnarsi. È questa la vera beatitudine del credente: «Beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto» (Lc 1, 45).
Preghiere e racconti
Il Rabbi Mendel
Un giorno in cui riceveva degli ospiti eruditi, Rabbi Mendel di Kozk li stupì chiedendo loro a bruciapelo: “Dove abita Dio?”. Quelli risero di lui: “Ma che vi prende? Il mondo non è forse pieno della sua gloria?”. Ma il Rabbi diede lui stesso la risposta alla domanda: “Dio abita dove lo si lascia entrare”.
(tratto da Il cammino dell’uomo di Martin Buber).
Dove abita Dio?
Dove abita Dio? E la domanda che guida la nostra riflessione, infatti la parola «casa» ricorre ben 14 volte in 2Sam 7, di cui leggiamo solo alcuni versetti nell’odierna liturgia della Parola. Il re Davide considera un atto di giustizia la preoccupazione di dare a Dio una casa stabile, al posto della tenda che ospita l’Arca, il segno visibile della sua alleanza con l’uomo.
L’ingenuità di Davide non sta solo nel presumere una sorta di uguaglianza tra lui e Dio, simbolizzata dalla tipologia dell’abitazione, ma sta soprattutto nel non cogliere la portata del termine stesso: «casa» non è solo una costruzione di cedro (7,2), ma è la discendenza, la stabilità del regno, la paternità, il «trono reso stabile per sempre» (7,16). Tutte queste cose superano la buona volontà di Davide e sono frutto di una elezione divina cui l’uomo può solo aderire o rifiutare.
È Dio a scegliere la dimora adatta a manifestare la sua presenza, nell’attesa della «nuova Gerusalemme» che scende dal cielo, la definitiva «dimora di Dio con gli uomini» (Ap 21,2-3). Maria, la vergine di Nazaret, prefigura sulla terra questa dimora celeste: su di lei soffia lo spirito creatore (Gen 1), su di lei si stenderà come ombra la potenza dell’Altissimo. Maria sarà la casa di Gesù, del Figlio di Dio, del Dio-con-noi.
Dove abita l’uomo là abita Dio. La casa che il Signore sceglie per rivelarsi è l’uomo. Ogni singola vicenda umana diviene luogo di redenzione e di estrema vicinanza dell’Emmanuele, del Dio-con-noi. Né un luogo fisico costruito da mani d’uomo, ne alcun atto di giustizia umana potranno circoscrivere lo spazio del nostro Dio. Egli è libero e spazia di generazione in generazione, tessendo con sempre nuova fantasia i luoghi della sua sempre rinnovata manifestazione.
Le nostre case: luogo della dimora del Signore. «Casa» è anche la nostra dimora, l’abitazione che comunemente ci raccoglie e protegge, il luogo degli affetti più sinceri, dei sacrifici e delle gioie condivise. «Casa» è la storia di ogni singola famiglia. La preghiera di oggi sia anche un’invocazione perché le nostre case siano luoghi in cui il Signore abiti stabilmente. La sua fedeltà rende ogni casa dell’uomo luogo di santità.
Nel nostro cuore egli trova le sue delizie. Come Maria, il discepolo di Gesù lascia che l’Altissimo prenda stabilmente dimora in lui. Domanda che lo Spirito Santo operi in lui il prodigio della nuova creazione e che nel suo cuore, per sempre rinnovato e affidato al Padre, il Figlio dell’uomo riposi e trovi le sue consolazioni.
Racconto
La Madonnina stava sola sola,
nascosta come una umile viola,
presso ad un cancello appena chiuso.
Filava con la mano il bianco fuso.
Sua madre, S.Anna, era lontana.
Si era fermata presso una fontana.
Quando un angelo bello del Signore
entrò pian piano senza far rumore.
Alla Madonna le riscosse il cuore.
L’angelo le disse: “Non aver timore”,
Madre di un bel Bambino tu sarai,
quel Bambino Gesù lo chiamerai.
In te verrà lo Spirito di Dio.
Maria, Gabriele Arcangelo sono io.
Allora la Madonna chinò la testa
e l’angelo fece grande festa.
Maria, donna gestante
«Rimase con lei circa tre mesi. Poi tornò a casa sua».
Il vangelo stavolta non dice se vi tornò «in fretta», come fu per il viaggio di andata. Ma c’è da supporlo. Da Nazaret era quasi scappata di corsa, senza salutare nessuno. Quell’incredibile chiamata di Dio l’aveva sconvolta. Era come se, improvvisamente, all’interno della sua casetta si fosse spalancato un cratere e lei vi camminasse sul ciglio in preda alle vertigini. E allora, per non precipitare nell’abisso, si era aggrappata alla montagna.
Ma ora bisognava tornare. Quei tre mesi di altura le erano bastati per placare i tumulti interiori. Vicino a Elisabetta aveva portato a compimento il noviziato di una gestazione di cui cominciava lentamente a dipanare il segreto. Ora bisognava scendere in pianura e affrontare i problemi terra terra a cui va incontro ogni donna in attesa. Con qualche complicazione in più. Come dirglielo a Giuseppe? E alle compagne con cui aveva condiviso fino a poco tempo prima i suoi sogni di ragazza innamorata, come avrebbe spiegato il mistero che le era scoppiato nel grembo? Che avrebbero detto in paese?
Sì, anche a Nazaret voleva giungere in fretta. Perciò accelerava l’andatura, quasi danzando sui sassi. Oltretutto, su quei sentieri di campagna, vi si sentiva sospinta come dal vento, di cui, però, le foglie degli ulivi e i pampini delle viti non lasciavano percepire la brezza, nell’immota calura dell’estate di Palestina.
Per placare il batticuore, che pure tre mesi prima non aveva provato in salita, si sedette sull’erba.
Solo allora si accorse che il ventre le si era curvato come una vela. E capì per la prima volta che quella vela non si issava sul suo fragile scafo di donna, ma sulla grande nave del mondo per condurla verso spiagge lontane. Non fece in tempo a rientrare in casa, che Giuseppe, senza chiederle neppure che rendesse più esaurienti le spiegazioni fornitegli dall’angelo, se la portò subito con se. Ed era contento di starle vicino. Ne spiava i bisogni. Ne capiva le ansie. Ne interpretava le improvvise stanchezze. Ne assecondava i preparativi per un natale che ormai doveva tardare.
Una notte, lei gli disse: «Senti, Giuseppe, si muove».
Lui, allora, le posò sul grembo la mano, leggera come battito di palpebra, e rabbrividì di felicità.
Maria non fu estranea alle tribolazioni a cui è assoggettata ogni comune gestante. Anzi, era come se si concentrassero in lei le speranze, sì, ma anche le paure di tutte le donne in attesa. Che ne sarà di questo frutto, non ancora maturo, che mi porto nel seno? Gli vorrà bene la gente? Sarà contento di esistere? E quanto peserà su di me il versetto della Genesi: «Partorirai i figli nel dolore»?
Cento domande senza risposta. Cento presagi di luce. Ma anche cento inquietudini. Che si intrecciavano attorno a lei quando le parenti, la sera, restavano a farle compagnia fino a tardi. Lei ascoltava senza turbarsi. E sorrideva ogni volta che qualcuna mormorava: «Scommetto che sarà femmina».
Santa Maria, donna gestante, creatura dolcissima che nel tuo corpo di vergine hai offerto all’Eterno la pista d’atterraggio nel tempo, scrigno di tenerezza entro cui è venuto a rinchiudersi Colui che i cieli non riescono a contenere, noi non potremo mai sapere con quali parole gli rispondevi, mentre te lo sentivi balzare sotto il cuore, quasi volesse intrecciare anzi tempo colloqui d’amore con te.
Forse in quei momenti ti sarai posta la domanda se fossi tu a donargli i battiti, o fosse lui a prestarti i suoi.
Vigilie trepide di sogni, le tue. Mentre al telaio, risonante di spole, gli preparavi con mani veloci pannolini di lana, gli tessevi lentamente, nel silenzio del grembo, una tunica di carne. Chi sa quante volte avrai avuto il presentimento che quella tunica, un giorno, gliel’avrebbero lacerata. Ti sfiorava allora un fremito di mestizia, ma poi riprendevi a sorridere pensando che tra non molto le donne di Nazaret, venendoti a trovare dopo il parto, avrebbero detto: «Rassomiglia tutto a sua madre». Santa Maria, donna gestante, fontana attraverso cui, dalle falde dei colli eterni, è giunta fino a noi l’acqua della vita, aiutaci ad accogliere come dono ogni creatura che si affaccia a questo mondo. Non c’è ragione che giustifichi il rifiuto. Non c’è violenza che legittimi violenza. Non c’è programma che non possa saltare di fronte al miracolo di una vita che germoglia.
Mettiti, ti preghiamo, accanto a Marilena, che, a quarant’anni, si dispera perché non sa accettare una maternità indesiderata. Sostieni Rosaria, che non sa come affrontare la gente, dopo che lui se n’è andato, lasciandola col suo destino di ragazza madre. Suggerisci parole di perdono a Lucia, che, dopo quel gesto folle, non sa darsi pace e intride ogni notte il cuscino con lacrime di pentimento.
Riempi di gioia la casa di Antonietta e Marco, la quale non risuonerà mai di vagiti, e di’ ad essi che l’indefettibilità del loro reciproco amore è già una creatura che basta a riempire tutta l’esistenza.
Santa Maria, donna gestante, grazie perché, se Gesù l’hai portato nel grembo nove mesi, noi, ci stai portando tutta la vita. Donaci le tue fattezze. Modellaci sul tuo volto. Trasfondici i lineamenti del tuo spirito.
Perché, quando giungerà per noi il dies natalis, se le porte del cielo ci si spalancheranno dinanzi senza fatica sarà solo per questa nostra, sia pur pallida, somiglianza con te.
(Don Tonino Bello, Maria , donna dei nostri giorni, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2000, 25-27).
Preghiera
Dio eterno,
Dio sempre nuovo,
inafferrabile,
Dio di alleanza,
Dio di libertà,
dove adorarti? dove cercarti? dove attenderti?
dove si annuncia la tua venuta?
La tua Parola ci rassicuri,
o Padre degli uomini,
Dio della promessa,
ora e sempre.
Presenza imprevedibile,
Dio di lunga pazienza,
Signore dell’impossibile,
noi non sappiamo ne l’ora ne il luogo
della tua venuta.
Ma, sicuri che il tuo amore ci è dato
per scoprire, per svelare, per generare,
non cessiamo di pregarti:
il tuo Spirito ci guidi alle opere del Regno,
all’incontro con il tuo Figlio Gesù Cristo,
nostro fratello e nostro Signore, per sempre.
(Nicole Berthet)
* Per l’elaborazione della «lectio» di questa domenica, oltre al nostro materiale di archivio, ci siamo serviti di:
– Temi di predicazione, Napoli, Editrice Domenicana Italiana, 2002-2003; 2005-2006.
– G. TURANI, Avvento e natale 2011. Sarà chiamato Dio con noi. Sussidio liturgico-pastorale, San Paolo, 2011.
– Messalino festivo dell’Assemblea, Bologna, EDB, 2007.
– Eucaristia e Parola. Testi per le celebrazioni eucaristiche di Avvento e Natale, a cura di Enzo Bianchi et al., Milano, Vita e Pensiero, 2005.
– La Bibbia per la famiglia, a cura di G. Ravasi, Milano, San Paolo, 1998.
– J.B. METZ, Avvento-Natale, Brescia, Queriniana, 1974.
– E. BIANCHI, Le parole della spiritualità. Per un lessico della vita interiore, Milano, Rizzoli, 21999.