Avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica nell’anno scolastico 2012-2013

Richiamiamo all’inizio dell’anno 2012 il

Messaggio della Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana con cui i vescovi italiani hanno sollecitato studenti e genitori ad avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica.

Degne di nota sono le parole del Papa nel ribadire come la disciplina sia utile a rispondere ai perché della nostra vita educando i giovani ad assumere una condotta di vita ispirata ai valori etici e cristiani.

 

Cari studenti e genitori,

nelle prossime settimane sarete chiamati a esprimervi sulla scelta di avvalervi dell’insegnamento della religione cattolica.

Si tratta di un appuntamento di grande responsabilità perché consente, a voi studenti, di riflettere sulla validità di tale proposta e di decidere personalmente se farne risorsa per la vostra formazione e, a voi genitori, di ponderare le possibilità educative offerte ai vostri figli.

Vogliamo dirvi che vi siamo vicini, condividiamo i dubbi e le speranze che abitano il vostro cuore di fronte alle ricadute che le contraddizioni del momento presente e le incertezze del futuro hanno sulla scuola; partecipiamo al vostro anelito di verità e di sicurezza, impegnati, insieme a tutte le persone di buona volontà, in particolare mediante lo strumento dell’insegnamento della religione cattolica, a fare della scuola uno spazio educativo autentico per le nuove generazioni, un luogo di formazione alla pacifica convivenza tra i popoli e di confronto rispettoso, sotto la guida di veri maestri e di convinti educatori.

 

La Chiesa è dalla vostra parte, si fa carico di ogni vostra fatica, vuole offrirvi il supporto della sua bimillenaria esperienza a servizio dell’uomo e delle sue più profonde aspirazioni, vuole aiutare voi studenti, attraverso l’opera di insegnanti professionalmente competenti e spiritualmente motivati, a leggere e interpretare la cultura letteraria, artistica e storica in cui siete nati e cresciuti, o dove siete approdati in seguito a scelte di vita o a esodi forzati.

L’insegnamento della religione cattolica è una disciplina che tiene viva la ricerca di Dio, aiuta a trovare risposte di senso ai “perché” della vita, educa a una condotta ispirata ai valori etici e, facendo conoscere il cristianesimo nella tradizione cattolica, presenta il Vangelo di Gesù Cristo in un confronto sereno e ragionato con le altre religioni.

Afferma a questo proposito Papa Benedetto XVI: «una cultura meramente positivista che rimuovesse nel campo soggettivo come non scientifica la domanda circa Dio, sarebbe la capitolazione della ragione, la rinuncia alle sue possibilità più alte e quindi un tracollo dell’umanesimo, le cui conseguenze non potrebbero essere che gravi. Ciò che ha fondato la cultura dell’Europa, la ricerca di Dio e la disponibilità ad ascoltarLo, rimane anche oggi il fondamento di ogni vera cultura» (Discorso all’Incontro con il mondo della cultura al Collège des Bernandins, Parigi 12 settembre 2008).

 

Nel cuore di una formazione istituzionalizzata come quella della scuola, in continuità con la famiglia e in preparazione alla vita sociale e professionale, l’insegnamento della religione cattolica è un valore aggiunto a cui vi invitiamo a guardare con fiducia, qualunque sia il vostro credo e la vostra estrazione culturale.

In forza delle sue ragioni storiche e della sua valenza educativa, esso è di fatto capace di proporsi come significativa risorsa di orientamento per tutti e di intercettare il radicale bisogno di apertura a dimensioni che vanno oltre i limiti dell’esperienza puramente materiale.

 

Cari genitori e docenti, a voi rivolgiamo il caloroso invito a operare insieme perché non manchi alle giovani generazioni l’opportunità di una proposta inerente la dimensione religiosa e di una cultura umanistica e sapienziale che li abiliti ad affrontare le sfide del nostro tempo.

 

Roma, 15 novembre 2011

 

LA PRESIDENZA

DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

http://www.chiesacattolica.it/pls/cci_new_v3/cciv4_doc.edit_documento?id_pagina=7414&p_id=15512

Gesù nelle mani dei giovani

 

L’educazione delle nuove generazioni alla pace

 

 

Il 2011 si è concluso così come era iniziato, segnato da una serie di manifestazioni dei giovani in quasi tutte le capitali europee e in buona parte di quelle del resto del mondo. Nelle nuove generazioni è cresciuto il senso di frustrazione per la crisi che sta assillando la società, il mondo del lavoro e l’economia. E su questo, come su altri versanti, il 2012 si annuncia altrettanto tenebroso all’orizzonte. “Le radici di questo malessere – dice il cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace in questa intervista rilasciata al nostro giornale – sono anzitutto culturali e antropologiche”. Quello che manca, ritiene in sostanza il porporato, è un’educazione alla solidarietà intergenerazionale. E questo genera il disorientamento dei giovani di fronte a modelli che sentono come propri. Non a caso il Papa nel messaggio per la Giornata mondiale della pace di quest’anno ha scritto: “Sembra quasi che una coltre di oscurità sia scesa sul nostro tempo e non permetta di vedere con chiarezza la luce del giorno”. Sono questi i motivi “per i quali Benedetto XVI – sottolinea il cardinale – reclama la responsabilità di tutti alla formazione dei giovani, i veri protagonisti del futuro”.

Effettivamente il concetto chiave della Giornata mondiale della pace 2012 sembra ruotare su due cardini indicati dal Papa: il protagonismo dei giovani e la contestualizzazione delle questioni da affrontare come sfide. Il fatto che la Chiesa punti molto sui giovani non è una novità. Cosa c’è in più in questo ulteriore richiamo di Benedetto XVI?

L’attenzione mostrata dal Papa per i giovani è profondamente coerente con quella di tutta la Chiesa nei loro confronti. Essi, infatti, sono da sempre in cima ai pensieri della Chiesa, poiché offrono un formidabile sguardo di speranza verso il futuro e, in questo senso, rappresentano la continuità della famiglia umana. Il Pontefice ha accolto il grido spesso silenzioso di tantissimi giovani e si impegna in prima persona perché essi siano resi protagonisti di un mondo nuovo e, nello stesso tempo, di una nuova evangelizzazione del sociale, di un impegno di trasfigurazione del mondo a partire dalla fede in Gesù Cristo. Quindi, come sostiene Benedetto XVI nella Caritas in veritate, fiduciosi piuttosto che rassegnati, i giovani protagonisti e costruttori di un futuro migliore, sono chiamati a riprogettare il loro cammino e a darsi nuove regole. Il messaggio del Papa, così come la sua omelia del 1° gennaio, sono fortemente calati nella realtà del mondo attuale. Un mondo gravemente segnato non solo dalla crisi economica e finanziaria, con tutte le sue molteplici drammatiche conseguenze, in primo luogo nel mondo del lavoro, ma anche dalla diffusa mentalità nichilista che nega ogni fondamento trascendentale e confina la persona in un orizzonte di solitudine, di materialismo, di egoismo, di disperazione. Il Papa ha voluto esprimere la sua profonda, concreta e accorata vicinanza alle inquietudini che oggi affliggono i giovani e le loro famiglie; ha voluto accogliere e rilanciare le loro giuste richieste di giustizia, da qualunque parte del mondo esse provengano, e certo non per farsi portavoce degli indignados, come hanno suggerito o scritto alcuni giornali.

Tra le cose che influenzano negativamente i giovani, il Papa, già nella Caritas in veritate, denunciava una “carenza di pensiero” nella società odierna. Poi ha continuato a porre l’accento su quella che egli non ha esitato a definire “emergenza educativa”. Oggi torna a indicare l’educazione dei giovani come una sfida da affrontare per conquistare la pace e la giustizia nel mondo. Cosa c’è che non va nel sistema educativo a livello mondiale?

Il sistema educativo non è, per così dire, un organismo isolato, un organismo a sé stante. È piuttosto espressione di una solidarietà intergenerazionale tra passato e presente, tra presente e futuro. È intimamente intrecciato ad altri sistemi che riguardano l’esistenza umana. Soprattutto è intrecciato con la pratica quotidiana, cioè con quel mutevole stile della vita che sembra ormai incapace di sostenere il sistema educativo. Penso per esempio a tutto ciò che discende, in termini culturali e di mentalità, dal consumismo, dall’edonismo e, specialmente, da un’idea di libertà fraintesa. Nel senso che essa viene percepita solo come licenza di seguire all’infinito i propri impulsi e interessi particolari, e non come capacità di legarsi al vero bene, accettando quelle regole che lo tutelano e lo favoriscono. Tale concezione uccide, di fatto, la stessa libertà, generando quell’emergenza educativa, più volte denunciata dal Papa, che è un’emergenza di carattere antropologico ed etico. Questa può essere contrastata efficacemente mediante il serio rilancio di un nuovo pensiero critico, di una cultura aperta alla trascendenza e di un’educazione aperta al compimento umano in Dio. Lei mi domanda cosa non va nel sistema educativo. Io credo che la questione principale riguardi soprattutto la mancanza di una visione allargata, di un ampio orizzonte. Oggi, a mio parere, c’è bisogno di una educazione alla mondialità, che sia interdisciplinare, interculturale, interreligiosa, interetnica.

È stato per richiamare questa necessità di un nuova educazione che il Papa, all’omelia della messa per la Giornata mondiale della pace, ha posto quell’inquietante interrogativo: “Ha ancora un senso educare?”.

Credo che il senso della domanda del Papa sia duplice. Innanzitutto credo abbia voluto focalizzare, con una provocazione, l’attenzione su una questione che ritiene fondamentale. Poi però ha voluto lanciare una sorta di “richiamo educativo” alla solidarietà intergenerazionale che consideri l’educazione come l’espressione e la trasmissione di un “manuale per la vita”, nell’ottica di una rinnovata etica pubblica e di una forte coesione sociale. Il Papa, chiedendo se abbia senso educare, ha sollevato un problema oggi radicale. Riguarda l’intero contesto culturale ed è posto primariamente dalla crisi del pensiero e dell’etica. Se manca ogni fondamento, se l’idea di verità viene messa da parte, si mette da parte anche un orizzonte, un fine al quale educare. L’educazione, infatti, per sua natura proietta e propone, nel costante dialogo, una molteplicità di principi e di cognizioni. Ma se tali principi e cognizioni vengono privati del loro senso, del loro fondamento di verità, ecco che l’intero processo educativo, per così dire, crolla. In questo senso, Benedetto XVI, consapevole della profonda correlazione del sistema educativo con altri sistemi e con altre realtà private e pubbliche, ha voluto appellarsi a tutti i responsabili del processo perché insieme compiano una revisione, una decostruzione dell’assetto attuale e una conseguente ricostruzione in termini, prima di tutto, di responsabilità. I giovani, infatti, spesso si trovano a vivere in contesti e ambienti di vita diseducativi, a fare esperienze che li fanno perdere o frustrare. Tutti i responsabili chiamati in causa sono invitati ad agire. Se, per esempio, il mondo politico non si fa esemplare, non solo nell’elaborazione di politiche eque, ma anche nella condotta del personale politico, o se la politica soggiace interamente alla sola forza degli interessi economici e finanziari stabilendo, così, una sua subalternità rispetto a essi, anche la società degenera. Lo stesso si può dire di tutti gli educatori, compresi i pastori e i formatori ecclesiastici. Credo sia fondamentale richiamare il problema dell’urgente rinnovamento della democrazia partecipativa, sempre più minata da derive populiste o da istanze nazionaliste o regionaliste.

I giovani in effetti non sono entità isolate. Essi vivono in un contesto che sembra spingerli su tutt’altra via rispetto a quella indicata dal Papa. Ancora oggi, violenza, prepotenza, intolleranza si pongono come antagonisti di sentimenti peraltro naturali per le nuove generazioni aperte al dialogo, alla convivenza pacifica, alla fraternità universale. Come metterli al riparo dai non valori che li minacciano?

Attraverso un’azione responsabile e congiunta di tutti i soggetti coinvolti. In primo luogo attraverso l’opera di educatori che siano a un tempo testimoni credibili per una seria educazione e una concreta formazione. E badi bene che i giovani non sono, per così dire, entità passive. Essi sono i primi responsabili. In questo senso, il Papa ha voluto porre l’enfasi sull’ascolto delle istanze giovanili. Ma allo stesso tempo mi sembra abbia voluto incoraggiare i giovani al protagonismo, a rendersi artefici della propria vita, nella valorizzazione dei propri talenti, in libertà e solidarietà con gli altri, a scoprire il progetto che Dio ha su ciascuno di loro.

Il Papa confida molto nell’opera della Chiesa nel campo formativo. Ma i giovani sono antropologicamente molto diversi dai loro maestri. Secondo lei si parla nel modo giusto, o meglio comprensibile, per le nuove generazioni?

Non direi “antropologicamente diversi”. Piuttosto, direi che i giovani sono diversi come mentalità, valori e formazione, così come avviene per ogni generazione rispetto alle precedenti. Se i giovani non vengono ascoltati, se vengono esclusi e non si permette loro di affermare i propri talenti e le proprie vocazioni, o se vengono confinati in un orizzonte di precarietà assoluta che li schiaccia sul presente eliminando qualsiasi progettualità del futuro, allora la risposta è che oggi non si parla ai giovani nel modo giusto. E non solo non si parla, ma non si agisce nel modo giusto, pensando, cioè, al futuro della società. Proclamando all’umanità la via della pace il Papa si è rivolto a tutti i giovani. È vero, essi sono culturalmente diversi. Ma come il Vangelo, così Benedetto XVI va diretto al cuore dei giovani, riesce anche a trascendere i confini nazionali, continentali, culturali, religiosi, superando i cosiddetti “spazi delle civiltà”. Come pastore ghanese, posso testimoniare per esempio l’accoglienza che il messaggio per la Giornata mondiale della pace ha ricevuto dai giovani del mio Paese e di tutta l’Africa, anch’essi molto diversi fra loro. Così è avvenuto in India, in Cina, in Brasile, negli Stati Uniti, in Europa e nelle altre Nazioni del mondo.

Esistono ostacoli di comunicazione per la penetrazione del Vangelo negli ambienti culturali che connotano l’universo giovanile?

Il Vangelo è un messaggio di speranza: una speranza per tutti gli uomini. È una realtà che cambia il cuore. È la buona novella valida per tutti i contesti culturali in ogni tempo. Essa va dritta al cuore delle persone. Se, però, i giovani sono costretti in ambienti, mentalità e stili di vita contrari al bene comune, contrari al loro stesso bene, e dunque contrari al Vangelo, che è un messaggio di vita, libertà, solidarietà, fraternità, accoglienza, amicizia, allora lo sguardo viene distolto dalle cose grandi e belle che l’esistenza loro riserva. Quanto alla questione della comunicazione faccio solo un esempio: per tutto il primo gennaio sono apparsi numerosissimi “cinguettii” su twitter a proposito del messaggio per la pace. È stata una gioia vedere giovani di ogni continente “cinguettare” le parole del Papa con il linguaggio tipico della rete. Sono molto contento di questa condivisione diretta con tanti giovani nel loro linguaggio e su uno dei social network tra i più frequentati dai ragazzi di ogni parte del mondo.

Il Papa ha concluso l’omelia del 1° gennaio con un’indicazione precisa: “Gesù è una via praticabile, aperta a tutti. È la via della pace”. Come il dicastero della Giustizia e della Pace cercherà di rendere visibile a tutti questa via nell’anno appena iniziato?

Innanzitutto ci dedicheremo a una diffusione capillare del messaggio per la Giornata mondiale della pace 2012. Abbiamo poi in programma la celebrazione del cinquantesimo anniversario del concilio Vaticano II. Inviteremo proprio le nuove generazioni a riflettere sui suoi contenuti. C’è poi da preparare con cura la celebrazione del cinquantesimo anniversario della Pacem in terris, nel 2013. Tra gli altri impegni di quest’anno segnalerei la preparazione della conferenza delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile che, come è noto, si svolgerà a Rio de Janeiro dal 20 al 22 giugno prossimo. Abbiamo anche in programma l’organizzazione, in collaborazione con altri organismi, di una conferenza sulla vita rurale e una serie di tavole rotonde su diversi argomenti: il traffico di esseri umani; la difesa della persona umana dal concepimento alla sua fine naturale; le strategie d’impresa per il bene comune; il rinnovamento della missione e dell’identità della formazione cattolica nel mondo degli affari; e infine le nuove sfide per i cattolici nella costruzione del bene comune. Naturalmente collaboreremo con gli altri dicasteri della Santa Sede per far comprendere che il culto di Dio è fondamentalmente un atto di giustizia, senza il quale non sono possibili gli altri atti di giustizia fra gli uomini. Cercheremo anche di rafforzare l’idea che la fede in Cristo è fondamentale per rinnovare la cultura e la società per il bene di tutti. In questo senso, il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace è pronto ad accogliere l’invito del Papa a intensificare gli sforzi per riaffermare la grande valenza intellettuale, spirituale e morale della fede. Il dicastero si adopererà per far comprendere a tutti che Cristo è la via per la pace, contribuendo così a esplicitare la dimensione sociale della nuova evangelizzazione, in sintonia con le prospettive del Sinodo dei vescovi del prossimo ottobre.

(©L’Osservatore Romano 6 gennaio 2012)

Epifania del Signore

EPIFANIA DEL SIGNORE

Lectio – Anno A

Prima lettura: Isaia 60,1-6

 

Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te. Poiché, ecco, la tenebra ricopre la terra, nebbia fitta avvolge i popoli; ma su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te. Cammineranno le genti alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere. Alza gli occhi intorno e guarda: tutti costoro si sono radunati, vengono a te. I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio. Allora guarderai e sarai raggiante, palpiterà e si dilaterà il tuo cuore, perché l’abbondanza del mare si riverserà su di te, verrà a te la ricchezza delle genti. Uno stuolo di cammelli ti invaderà, dromedari di Màdian e di Efa, tutti verranno da Saba, portando oro e incenso e proclamando le glorie del Signore.

v La prima lettura, tratta dal profeta Isaia, inizia una sezione di tre capitoli che celebra la gloria di Gerusalemme, riflesso della gloria del Signore, che brilla su di lei. Il profeta scrive questi capitoli all’epoca del ritorno degli ebrei dall’esilio di Babilonia, quando Gerusalemme è ancora un cumulo di macerie. Il ritorno però è un segno che il Signore non si è dimenticato del suo popolo e della sua città. Lo sguardo del profeta, che ha presente le grandi cose che Dio ha fatto per il suo popolo Israele, a cominciare dall’uscita dall’Egitto, dal dono della Tôrâ (Legge, insegnamento, guida) al Sinai, dalla prima entrata nella terra promessa, si spinge al di là della ricostruzione immediata di Gerusalemme e la vede trasfigurata dalla presenza del Signore.

A lei faranno ritorno tutti i suoi figli dispersi ed essa sarà raggiante, come una madre è felice quando può riabbracciare i suoi figli che sono stati lontani e provati da vicende dolorose.

A Gerusalemme, nella quale brilla la gloria di Dio, guarderanno non solo i suoi figli, ma tutte le genti: «Cammineranno le genti alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere» (Is 60,3). Noi cristiani in particolare, che, come leggiamo nel brano della seconda lettura, siamo coeredi della promessa di Dio ad Abramo e al popolo di Israele, non possiamo dimenticare l’amore di Dio per la Gerusalemme terrestre, adducendo l’alibi che puntiamo il nostro sguardo sulla Gerusalemme celeste.

Il cammino che porterà tutti i popoli ad acclamare il Signore con una sola voce e a servirlo, non facendosi guerra, magari proprio sul modo con cui si serve il Signore, ma «appoggiandosi spalla a spalla» (cf. Sof 3,9) è faticoso e prima della risurrezione incontra la croce.

 

Seconda lettura: Efesini 3,2-3a.5-6

Fratelli, penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro favore: per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero. Esso non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come ora è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: che le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo.

 

v Nel brano della seconda lettura, tratto dalla lettera agli Efesini, Paolo predica con entusiasmo che per grazia di Dio gli è stato rivelato il mistero della salvezza. Questo mistero rivelato per mezzo dello Spirito Santo consiste nel fatto che i «gentili», vale a dire i pagani, coloro che non hanno ancora conosciuto Dio, sono chiamati in Gesù Cristo a «partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa». Di quale eredità e promessa si tratta? Con chi i pagani formano un solo corpo? Con Israele erede della promessa di Abramo. «Se poi siete di Cristo allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa» (Gal 3.29), dice chiaramente Paolo nella lettera al Galati rivolto ai pagani convertiti.

«In te saranno benedette tutte le genti» (Gen 12,3) dice Dio ad Abramo dopo avergli promesso una discendenza numerosa e una terra. La scelta particolarissima di Abramo è in vista dell’universalità; attraverso Abramo la benedizione è per tutte le genti. Dio sceglie per sé una persona e un popolo, ma per rendergli segno e benedizione per tutta l’umanità. Con l’annuncio del vangelo di Gesù Cristo, dice Paolo entusiasta e pieno di gratitudine verso il Signore, la promessa di Dio ad Abramo sta rivelandosi in maniera più chiara.

Da notare l’insistenza di Paolo in questo brano della lettera agli Efesini sul fatto che non si tratta di un piano di Dio diverso da quello che ha incominciato ad essere rivelato nella promessa fatta ad Abramo. Dio è fedele alla sua promessa; egli ha scelto Israele come figlio primogenito (Es 4,22) e non lo ripudia, non lo priva della sua eredità, ora che attraverso il vangelo di Gesù Cristo sono chiamati ad essere figli di Dio anche gli appartenenti ad altri popoli, che, attraverso Gesù Cristo, diventano partecipi della stessa promessa e formano con Israele lo stesso corpo.

L’eredità di Israele e dei cristiani è unica, ma non è come le eredità materiali che non possono essere possedute tutte intere da più persone; si tratta di un’eredità spirituale che si moltiplica attraverso la partecipazione.

Dobbiamo anche noi come Paolo essere entusiasti del dono di Dio di averci introdotto nella promessa di Abramo, attraverso Gesù e impegnarci a mettere in pratica quello che Dio ci chiede in cambio. La chiamata comporta sempre un compito: ciascuno ha il suo e dobbiamo aiutarci gli uni gli altri a realizzarlo.

 

Vangelo: Matteo 2,1-12

Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”». Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo». Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.

 

 

Il vangel.o in immagini

NATALE EPIFANIA DEL SIGNORE ANNO B

 

Esegesi

Il brano del Vangelo che la liturgia propone oggi è costruito intorno a due centri geografici: Gerusalemme e Betlemme, verso i quali confluiscono i Magi, protagonisti del racconto, e dai quali si dipartono per tornare là donde erano venuti.

Chi sono i Magi? Matteo è molto sobrio su questi personaggi, non dice niente della loro identità. Accenna che giunsero da «oriente». Le numerose identificazioni posteriori sono basate sui cosiddetti vangeli aprocrifi e su leggende agiografiche raccontate e scritte per edificare. Tali tradizioni vanno accolte in questa luce. Esse servono nella misura in cui aiutano a contemplare il mistero divino nascosto nella nascita di Gesù o a trarre degli insegnamenti di vita, ma non devono alimentare curiosità fuori luogo, che sviano dal centro del messaggio evangelico.

L’evangelista, che tralascia volutamente di precisare l’identità dei personaggi, indica chiaramente lo scopo del loro viaggio. Sono alla ricerca del re dei Giudei e, giunti a Gerusalemme, chiedono: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo».

Una stella è stata per i Magi il segno di un intervento divino e una chiamata a cui hanno prontamente risposto mettendosi in cammino verso la capitale del territorio dei giudei. Alcuni Padri della chiesa, fra cui Giustino, Ireneo e Origine, accostano il versetto di Matteo «Abbiamo visto spuntare la sua stella» (Mt 2,2) con il passo del libro dei Numeri in cui Balaam, il profeta chiamato a maledire Israele, ma di cui poi è costretto ad intessere le lodi, dichiara: «Una stella procede da Giacobbe, si alza uno scettro in Israele» (Num 24,17). Accostare i due passi di Matteo e del libro dei Numeri, significa tener fisso lo sguardo sul modo in cui, entro la discendenza di Abramo, si uniscono figli di Israele e figli delle genti, mistero di cui parla Paolo nella seconda lettura (Cf. Piero STEFANI, Sia santificato il tuo nome. Commenti ai vangeli della domenica. Anno A, Marietti, Genova 1986, 48-50).

La creazione è mezzo di rivelazione e per intuire la presenza di Dio può bastare una stella, ma per scoprire il Messia d’Israele occorre l’illuminazione delle Scritture, che verranno anche consultate direttamente per sapere il luogo dove trovare «il re dei giudei».

Il re Erode rimane turbato dalle parole dei Magi ed è turbata, sottolinea l’evangelista, «tutta Gerusalemme». Il verbo greco tarasso nella forma semplice e passiva è usato da Matteo solo due volte, qui e in 14,26 dove sono i discepoli che si turbano per la visione di Gesù che cammina sulle acque; lo stesso verbo è usato da Luca per esprimere la reazione di Zaccaria (Lc 1,12) alla visione dell’angelo e di Maria alle parole che il messaggero di Dio le rivolge, anzi in questo caso l’evangelista usa una forma, che compare solo in questo versetto in tutto il Nuovo Testamento, composta con la preposizione dià che fa assumere al verbo stesso un significato rafforzativo (Lc 1,29).

Si tratta del turbamento, fatto di meraviglia e anche di sconcerto di fronte all’irrompere del divino, che attrae, ma incute anche timore. Interessante la sottolineatura dell’evangelista che «il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme». Il turbamento di Erode, infatti, si può interpretare come semplice paura di perdere il potere, che scatenerà le successive reazioni negative; quello di Gerusalemme, invece, avverte i lettori che si tratta di una manifestazione di Dio in continuità con quelle precedenti narrate dalle Scritture. L’evangelista riconosce in Gerusalemme il centro della rivelazione divina. Essa è la città scelta da Dio, per così dire, come sua dimora, in essa Dio ha fatto una casa a Davide e là ha permesso a Salomone di costruirgli il tempio. Essa è centrale nella storia dell’alleanza di Dio con Israele e non si può prescindere da essa nell’allargamento della rivelazione da Israele alle genti.

Erode per rispondere alla domanda dei Magi sul luogo in cui doveva nascere il Messia consulta gli esperti delle Scritture, che rispondono con una citazione del profeta Michea: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele» (Mt 5,1; Mt 2,6).

Erode, per avere notizie sul Messia di Israele, sceglie la strada corretta: consultare le Scritture; egli, però, non mette in contatto direttamente i magi con gli interpreti delle Scritture stesse. Si fa lui stesso mediatore fra loro e la parola divina. È Erode che si informa e che chiama «segretamente» i magi. Egli adotta le forme di un complotto; vuole assicurarsi di avere le informazioni in segreto, per usarle a suo piacimento. La sua è una mediazione indebita; un appropriarsi a proprio vantaggio della rivelazione.

I magi, informati dalle parole profetiche, riprendono il cammino e ritrovano anche la guida della stella. Molto sobria la descrizione della visita dei magi al bambino trovato con «Maria sua madre». Ella è testimone silenziosa dell’umanità di questo bambino, attorno al quale si verificano prodigi e la cui nascita va posta in relazione al messaggio divino contenuto nelle Scritture.

I magi portano dei doni. Sulla simbologia dei doni si è concentrata una lunga ricerca. In particolare i magi sono stati identificati in numero di tre proprio perché tre sono i doni. Essi, inoltre, sono stati identificati come re sulla scia dei versetti 10-11 del salmo 71 (72), che la liturgia fa leggere oggi; «I re di Tarsis e delle isole portino tributi, i re di Saba e di Seba offrano doni. Tutti i re si prostrino a lui, lo servano tutte le genti».

Si tratta di un salmo in cui si celebrano le doti di giustizia, rettitudine, capacità di governo, assunzione della difesa dei poveri e degli oppressi del re ideale di Israele, che è sempre e soltanto luogotenente di Dio. Stabilire la giustizia, come via alla pace è il compito del «re dei giudei» secondo i Salmi e diversi altri passi biblici. A lui guarderanno i popoli della terra, ma il loro prostrarsi di fronte al «re dei giudei» o il loro andare a Gerusalemme, come insistono i profeti, non sarà perché costretti da un potere oppressivo, ma perché anche a loro sarà dato di seguire, come Israele, le vie di Dio a gloria di Dio stesso. Questa prospettiva è chiara nel brano di Isaia che fa da sfondo alla presentazione del dono dei magi: «Uno stuolo di cammelli ti invaderà, dromedari di Màdian e di Efa, tutti verranno da Saba, portando oro e incenso e proclamando le glorie del Signore» (Is 60,6).

Nell’applicare a Gesù i testi biblici, che parlano del re ideale e dello shalom realizzato, non dobbiamo privarli della loro carica escatologica, vale a dire dell’allusione ad un ulteriore e definitivo intervento divino verso il quale dobbiamo ancora camminare, perché termine della storia.

Anche i magi, avvertiti in sogno di non passare da Erode, rientrano per altra via al loro paese.

Anonimi sono entrati nel Vangelo e anonimi ne escono. L’attenzione dell’evangelista non è su di loro, ma sul bambino la cui identità si palesa solo attraverso la corretta lettura delle Scritture.

 

Meditazione

La solennità della nascita del Signore Gesù e quella della Epifania sono due misteri profondamente legati, tanto che anticamente non erano separati nella celebrazione liturgica. Sono la rivelazione dell’unico mistero del Figlio di Dio che viene tra gli uomini portando loro la luce; se il Natale sottolinea maggiormente la manifestazione del Figlio di Dio nella sua nascita nella carne, l’Epifania mette in risalto la dimensione universale di questo evento salvifico. Ma ambedue le feste sono rivelazione dell’unico mistero di Dio che assume la nostra umanità per salvarla (e nella tradizione orientale la festa della Epifania è chiamata appunto Teofania, manifestazione di Dio).

Nella tradizione liturgica occidentale, in questo giorno è stato progressivamente privilegiato il tema della universalità della chiamata alla salvezza, aspetto sottolineato sia con la scelta del testo di Isaia (il pellegrinaggio dei popoli verso Gerusalemme) sia soprattutto con il racconto dei Magi, saggi pagani che intraprendono un lungo viaggio per adorare il re dei Giudei. E su quest’ultima narrazione, tramandataci solo dall’evangelista Matteo, soffermiamo la nostra attenzione.

Il racconto della venuta dei Magi a Gerusalemme e a Betlemme è costruito da Matteo sulla base di due linee interpretative che si intersecano e formano la trama interiore della narrazione. La prima è strettamente legata al ricco sottofondo biblico, fatto di allusioni, testi, immagini (si pensi alla portata simbolica della stella, come allusione a Nm 24,7, oppure al riferimento al testo di Is 60), a cui Matteo fa continuamente riferimento. La seconda linea interpretativa orienta a leggere i racconti dell’infanzia, all’interno del vangelo di Matteo, come una sorta di prologo all’intero racconto, capace di lasciarci intravedere i temi che in seguito saranno sviluppati. E in questa prospettiva la narrazione dei Magi acquista una luce sorprendentemente ‘pasquale’, in quanto preannuncia il dramma del destino del Messia di Betlemme, crocifisso a Gerusalemme, risorto e costituito Signore (kyrios) di tutti i popoli, adorato quale Figlio di Dio dalla comunità cristiana, popolo dell’alleanza aperto al

mondo dei lontani (e in Mt 27,54, sarà proprio un pagano, il centurione, a proclamare il crocifisso quale Figlio di Dio).

Potremmo cogliere il centro dinamico del racconto nella domanda iniziale che i saggi venuti dall’oriente pongono ad Erode e ai capi del popolo; «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei?» (v. 2). Questo interrogativo supera il contesto preciso della ricerca dei Magi e assume un contenuto teologico più ampio che potrebbe essere formulato così: da dove viene il Messia?

Nella sua narrazione, Matteo offre una risposta articolata a questo interrogativo: dalla domanda iniziale formulata dai Magi, passando attraverso una rilettura dei testi biblici (con la quale viene sottolineata la necessaria mediazione della Scrittura) e oscillando tra due luoghi simbolici (Gerusalemme e Betlemme), si giunge a una rivelazione del volto stesso di Dio nel suo progetto di salvezza per tutta l’umanità. Il filo conduttore di questa progressiva manifestazione è offerto, d’altra parte, dalla affascinante ricerca dei Magi, dal loro cammino misterioso sotto il segno di una ‘stella’, cammino ritmato dai tre verbi, vedere – venire – adorare, che sono la forza interiore della loro ricerca: «Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo» (v. 2). In contrasto con la verità e la gioia della ricerca dei Magi, viene sottolineata la reazione inaspettata e carica di paura di Erode e dell’intera città di Gerusalemme e il passaggio dal turbamento a una ricerca piena di ambiguità. Erode incarna così una ricerca falsa che ha come presupposto la chiusura e l’incredulità, la paura e il turbamento. L’avvertimento suona chiaro: non basta possedere la Scrittura se non c’è un cuore aperto alla ricerca e alla rivelazione della regalità del Messia.

La ricerca dei Magi, a cui la stella apparsa all’inizio diventa guida e conferma di ciò che le Scritture attestano, si conclude nella gioia e nella adorazione. È la gioia che sgorga dalla consapevolezza che il faticoso cammino di ricerca ha un reale fondamento nella fedeltà di Dio; è la gioia del compimento, della meta raggiunta; è la gioia messianica della presenza di Dio che fortemente contrasta con il turbamento di chi non sa gioire dell’approssimarsi della visita di Dio. E questa gioia si trasforma in adorazione, appena «videro il bambino con Maria sua madre» (v. 11). E mediante l’offerta dei doni, questa adorazione esprime il riconoscimento del potere di questo re e bambino.

Come nota J. Goldstain, la storia dei Magi «è la nostra storia; è la storia del credente che risponde alla chiamata di Dio che gli giunge in mezzo alla confusione di questo mondo e che, nonostante le notti dello Spirito che deve attraversare, persevera nel suo cammino. Dio spesso si nasconde e raramente si svela a quelli che vuole chiamare al suo servizio, giusto quel tanto per spingerli a un primo passo che dovranno proseguire, come i Magi, nella oscurità, nella fedeltà e nella fede, fino all’incontro faccia a faccia». I Magi sono davvero l’icona dell’uomo che cerca, dell’uomo che è inquieto, come direbbe s. Agostino, finché il suo cuore non trova riposo in Dio. In questi Magi che fanno del viaggio il senso della loro vita trova voce ogni uomo che desidera conoscere e incontrare il volto di Dio e nella avventura di questi uomini, nel modo con cui percorrono una via, nelle domande che essi sanno porre, nei poveri segni che hanno a disposizione, nel loro sguardo, ognuno di noi può scoprire un aiuto per il suo cammino di fede. Un cammino che richiede sempre novità, apertura, rischio per vie inaspettate. I Magi, infatti, arrivano per una strada, ma ritornano al loro paese per un’altra. C’è in qualche modo, una strada vecchia, ‘di prima’, che parte dal proprio paese (il luogo dell’origine, della propria storia, delle proprie sicurezze) e conduce a Dio. E c’è una strada nuova (dopo l’incontro) che parte dalla scoperta del volto di Dio e riporta al proprio paese. I Magi saranno tornati nella loro terra con il volto di quel bambino nei loro occhi, ma soprattutto con la consapevolezza che nelle mani di quel bambino ormai tutta la loro vita – e anche la loro faticosa ricerca – era racchiusa, custodita, salvata, pacificata. Veramente i Magi sono per noi dei maestri nella ricerca del volto di Dio.

 

Preghiere e racconti

 

Il sapore della speranza

Se a Natale i cristiani ricordano che il Messia Gesù è nato a Betlemme in una condizione di povertà e che solo poveri pastori lo hanno riconosciuto, l’Epifania (che per l’Oriente cristiano è la grande festa legata alla Natività) ci ricorda che alcuni uomini che non avevano la fede nel Dio di Israele, alcuni sapienti, sono stati anch’essi coinvolti dall’evento della nascita di Gesù. Pagani, appartenenti non al popolo eletto ma alle genti e alle culture d’Oriente, eppure uomini capaci di una ricerca, di una lotta anti-idolatrica, di una lettura dei segni dei tempi, di inseguire una speranza che abita tutta la storia umana. Si sono messi in cammino, hanno lasciato il noto dei loro luoghi per seguire una stella e giungere poi allo stesso centro: il Messia Gesù. Avevano un “orientamento”, potremmo dire, e seguendolo con tutto il proprio essere, con convinzione e perseveranza, pronti ad affrontare l’ignoto, sono giunti alla fine della loro ricerca. Ecco il significato dell’Epifania: la buona notizia del cristianesimo non si identifica con una cultura, ma è universale, perché ogni essere umano e ogni cultura possono, nell’uomo Gesù che ha raccontato Dio, trovare la verità dell’uomo, può cogliere l’altro come destinatario di attenzione, di vicinanza, di amore. […] Ma questi sapienti dell’Oriente hanno costituito anche per gli ambienti più semplici l’immagine dell’alterità: se, infatti, lo stesso Gesù appena nato è sempre stato raffigurato come “uno di noi”, bianco, con gli occhi chiari, i magi hanno rappresentato – per colore della pelle, per cavalcatura usata, per abiti e abitudini – il simbolo del diverso, dello straniero che si fa prossimo. Forse anche per questo un tempo l’Epifania era una festa “estesa”, dilatata. Quando il Natale invitava all’intimità del singolo nucleo famigliare, tanto l’Epifania veniva allargata a parenti, vicini, persone sole, agli emarginati: una festa contrassegnata dalla generosità, dalla gratuità del dono.

(Enzo BIANCHI, Ogni cosa alla sua stagione, Einaudi, Torino, 2010, 75-77).

Una pasqua annunciata

 

«Alza gli occhi intorno e guarda; tutti costoro si sono radunati, vengono a te. I tuoi figli vengono da lontano» (Is 60,4).

 

«Al vedere la stella essi provarono una grandissima gioia. Entrati nella casa, videro il Bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti poi in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese». (Mt 2, 10-12).

 

Un proverbio, preso dai miei ricordi d’infanzia, suona: «la Pasqua-Epifania tutte le feste si porta via». Ciò che allora mi sembrava incomprensibile, era lo strano accoppiamento dell’Epifania con la Pasqua.

Il Gesù bambino adorato dai magi che già richiama il Gesù crocifisso e risorto. Il Figlio di Maria e Giuseppe ancora infante, cioè senza parola, che come in una rapida dissolvenza cinematografica, cede il posto al Cristo Signore, alfa e omega della storia, Parola unica ed ultima dell’amore universale del Padre.

Poi, col passare degli anni, ne ho capito il motivo e so che non potrebbe essere diversamente. L’Epifania del Dio-bambino ai magi, cioè il suo manifestarsi ai lontani e ai pagani, è già un primo squarcio di luce che lacera il velo del tempio che separava e nascondeva il «Santo dei santi». La lacerazione di quel velo sarà totale e definitiva nell’evento pasquale, quando l’urto dell’onda luminosa del Risorto romperà le anguste barriere di separazione tra cielo e terra, tra vita e morte, tra uomo e uomo. Così l’Epifania del Natale è il primo bagliore di una Pasqua ormai annunciata. E la Pasqua è l’annuncio della totale epifania di Dio finalmente realizzata.

 

Cercare Dio

Oggi è la festa degli infaticabili cercatori di Dio, degli inarrestabili pellegrini dell’Assoluto, incamminati verso cieli nuovi e terra nuova: «I tuoi figli vengono da lontano» (Is 60, 4).

A qualunque popolo, razza, religione e cultura appartengano, tutti lo possono trovare perché Egli, che è la meta, si è fatto anche strada. Visto il collegamento tra Epifania e Pasqua, non sarebbe male commentare quella preghiera che si pronuncia nella liturgia del venerdì santo per coloro che, pur non credendo in Dio, vivono con bontà e rettitudine di cuore. È splendida: «Dio, tu hai messo nel cuore degli uomini una così profonda nostalgia di te, che solo quando ti trovano hanno pace: fa’ che, al di là di ogni ostacolo, tutti riconoscano i segni della tua bontà e, stimolati dalla testimonianza della nostra vita, abbiano la gioia di credere in te, unico vero Dio e padre di tutti gli uomini».

I magi sono il simbolo di tutti coloro che affrontano un lungo percorso ad ostacoli senza cedere ai tentativi di depistaggio o disorientamento, senza lasciarsi catturare dagli ambigui sorrisi del potere. E il loro viaggio non termina, come ci aspetteremmo, con il raggiungimento del traguardo sognato. «Videro il Bambino con Maria sua Madre» e così, si potrebbe concludere, vissero felici e contenti. No. Dopo aver offerto i loro doni, «per un’altra strada fecero ritorno al loro paese».

Da allora sarà sempre così per chi lo ha trovato e poi vuole rimanere con lui: bisogna saper cambiare strada, per non perderlo; anzi, per non perdersi.

 

Avvicinarsi a Dio

Festa anche dei lontani, degli stranieri, degli esclusi dal sistema. L’apparire della luce di Dio tra le nostre tenebre capovolge i sistemi dei pesi e delle misure da noi stabiliti. Trasforma i meccanismi di esclusione e inclusione da noi codificati. Ci sono «lontani» che diventano «vicini», e «primi» che diventano «ultimi». Ci sono pii e osservanti delle leggi e maestri di morale che escono dal tempio senza essere perdonati; e peccatori, prostitute ed empi samaritani che diventano modelli di santità. Non è l’etichetta che conta. Le vecchie carte d’identità, per lui, sono tutte scadute e vanno rinnovate con… altri criteri.

Se i magi riescono a incontrare e adorare Gesù, è perché Dio, per rivelarsi, «non fa preferenze di persone», non chiede prima la tessera di appartenenza politica o religiosa, non discrimina in base ai titoli di studio o ai diplomi di benemerenza. Non valuta insomma le condizioni di staticità o i piedistalli del passato. Egli va incontro e svela il suo volto a quanti si spingono sulle piste del futuro e aprono i varchi dell’esodo. Si fa trovare nella casa di ogni uomo reso «infante», senza capacità o diritto di parola e di difesa.

Si fa identificare da chi ha già deciso di assomigliarli. E gli si può assomigliare solo lasciando la nostra strada, oltre che la sicurezza della nostra casa, per seguire i suoi sentieri e le sue tracce.

 

Leggere i segni di Dio

Festa di chi sa leggere i segni. Una “stella”, guidava i magi nel loro faticoso cammino.

Quanti segni anche per noi, nella natura, negli eventi del tempo, nel cuore dell’uomo, possono diventare frecce direzionali, raggi luminosi che discretamente, nel cuore della notte, orientano i nostri timidi passi verso un paese, sempre incompiuto, dove c’è spazio per ogni uomo: quell’uomo che è lo spazio stesso di Dio.

Soprattutto il Bambino, scoperto e adorato nella povertà di un villaggio da questi curiosi investigatori del mistero, è i1 segno che dobbiamo indagare tra le case e le baracche della terra, se vogliamo rintracciare i preziosi lembi del cielo. È lui il vero cielo, e ne dobbiamo intuire la presenza oltre il velo di ogni persona, dietro le quinte di ogni scena storica. Davanti a Gesù i magi non dicono nulla. Di fronte a lui solo silenzio, ginocchia che si piegano, vita che diventa dono: mirra, oro, incenso. È Gesù crocifisso, risorto, glorificato. Compendio dei misteri dolorosi, gaudiosi e gloriosi della vita umana. Epifania di Dio, pellegrino sulle strade dell’uomo. Epifania dell’uomo, quando si fa pellegrino sulle strade di Dio. Un monito per le nostre comunità affinché, come popolo di «magi pellegrini», non indugino nei palazzi di Erode, nelle accademie dell’immobilismo, nei labirinti delle ricerche a tavolino, ma affrontino la strada della concretezza quotidiana e forzino la marcia verso quell’alto monte dove il Signore, eliminata per sempre la coltre della morte e fatto cadere l’ultimo velo che impedisce la completezza della sua definitiva epifania, ha già preparato il festoso banchetto della vita e della pace per tutti i popoli.

(Don Tonino Bello, Avvento. Natale. Oltre il futuro, Padova, Messaggero, 2007, 97-102).

Gloria a te,

altissimo Signore,

che ti sei fatto umile Bambino.

Gloria a te,

invisibile Dio,

che ci hai mostrato il tuo Volto.

Gloria a te,

infinito Padre,

che hai scelto una Donna

per rivelare la tua bellezza.

Gloria a te,

immenso Creatore,

che accogli la fede

e l’adorazione dei Magi.

Gloria a te,

onnipotente Bambino,

che ti manifesti alle genti

in semplicità e umiltà.

Gloria a te,

misericordioso Dio,

che doni a tutti pietà e tenerezza.

Gloria a te,

divino Sovrano

del cielo e della terra…

Apri a tutti gli uomini

le porte del tuo Regno.

* Per l’elaborazione della «lectio» di questa domenica, oltre al nostro materiale di archivio, ci siamo serviti di:

o serviti di:

– Temi di predicazione, Napoli, Editrice Domenicana Italiana, 2002-2003; 2005-2006.

G. TURANI, Avvento e natale 2011. Sarà chiamato Dio con noi. Sussidio liturgico-pastorale, San Paolo, 2011.

– Messalino festivo dell’Assemblea, Bologna, EDB, 2007.

– Eucaristia e Parola. Testi per le celebrazioni eucaristiche di Avvento e Natale, a cura di Enzo Bianchi et al., Milano, Vita e Pensiero, 2005.

– La Bibbia per la famiglia, a cura di G. Ravasi, Milano, San Paolo, 1998.

– J.B. METZ, Avvento-Natale, Brescia, Queriniana, 1974.

– E. BIANCHI, Le parole della spiritualità. Per un lessico della vita interiore, Milano, Rizzoli, 21999.

– T. BELLO, Avvento e Natale. Oltre il futuro, Padova, Messaggero, 2007.

 

 

Scuola in chiaro: istruzioni per l’uso

 


Le scuole potranno inserire i loro dati. Dal 12 gennaio aperto l’accesso al nuovo servizio

 

 

In occasione della presentazione a Roma degli esiti della sperimentazione “Valorizza”, il capo dipartimento del Miur, Giovanni Biondi, aveva dato notizia del varo del progetto “Scuola in chiaro” in una logica di trasparenza e di accesso per le famiglie in occasione delle iscrizioni.

Il progetto, presentato con circolare 108 del 27 dicembre dallo stesso ministro Profumo, è stato illustrato con indicazioni operative nella nota prot. n. 6756 del 30 dicembre (www.istruzione.it), firmata dal Direttore Generale Emanuele Fidora.

Il progetto “Scuola in chiaro” – si legge nella nota – si articola in due fasi coordinate, una a carico della Amministrazione centrale e un’altra di responsabilità delle Istituzioni scolastiche.

L’Amministrazione da parte sua cura la predisposizione, in forma grafica e tabellare, dei dati riguardanti la singola Istituzione scolastica già presenti nel sistema informativo in quanto acquisiti attraverso processi amministrativi e varie rilevazioni ad hoc (informazioni generali sulla scuola, alunni, esiti scolastici, personale scolastico,…).

Le Istituzioni scolastiche provvedono invece all’inserimento delle informazioni di loro esclusiva conoscenza (didattica, servizi offerti, valutazione, eventuale presenza di modelli personalizzati per le iscrizioni).”

I dati delle istituzioni scolastiche possono essere  inseriti a partire dal 4 gennaio 2012, con la possibilità di effettuare in via permanente modifiche, integrazioni, aggiornamenti delle informazioni stesse. L’inserimento dei dati a cura delle scuole – continua la nota firmata dal DG Fidora – avviene tramite una apposita applicazione, avente il medesimo nome del progetto (“Scuola in chiaro”), situata nell’area “Rilevazioni” del portale SIDI; tale applicazione consente il caricamento di file (in formato pdf, doc, jpg o bmp per le immagini e di dimensione limitata ad un massimo di 1MB per ogni singolo file) e l’inserimento di dati attraverso griglie predisposte, con la compilazione di tabelle predefinite ovvero tramite la spunta di un elenco di voci”.

“Scuola in chiaro” partirà dal 12 gennaio 2012 e comprenderà sia i dati ministeriali sia quelli immessi da ogni singola istituzione.

La nota chiarisce anche che per l’anno scolastico 2012/2013 le iscrizioni possono essere effettuate attraverso il nuovo sistema on line per le prime classi della scuola primaria e secondaria di primo e secondo grado, pur rimanendo attiva la tradizionale procedura di iscrizione presso le Istituzioni scolastiche.






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tuttoscuola.com

2011, un anno di scuola dalla A alla Z

il riepilogo dei principali avvenimenti che hanno riguardato la scuola italiana nell’ultimo anno.

 

UN ANNO DI SCUOLA DALLA A ALLA Z

Fatti, avvenimenti e persone – Consuntivo del 2011


A cura di TUTTOSCUOLA

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A

 

Apprendistato

(maggio) – Il Consiglio dei ministri approva in prima lettura il decreto legislativo di riforma dell’apprendistato, destinato a diventare il Testo Unico in materia. Dopo l’intesa in Conferenza unificata il decreto entra in vigore alla fine di ottobre.

I contratti di apprendistato si applicano anche a ragazzi che abbiano compiuto 15 anni di età e, in tal caso, hanno valore di assolvimento dell’obbligo di istruzione.

Viene così modificata la riforma dell’obbligo scolastico, approvata con il ministro Fioroni, che disponeva il divieto di adibire ad attività lavorativa i ragazzi sotto i 16 anni di età.

Con le iscrizioni per l’anno scolastico 2012-13 sarà quindi possibile, nelle regioni che hanno stipulato la relativa intesa con lo Stato, per i 15enni chiedere di accedere a contratti di apprendistato, anziché iscriversi ad una scuola secondaria di II grado.

Una sconfitta dei fautori dell’obbligo o una realistica soluzione per contenere la dispersione scolastica?

Anief

(febbraio) – La Corte Costituzionale dà ragione all’Anief accogliendo il ricorso di docenti precari, patrocinati dall’Associazione, che avevano impugnato i provvedimenti di inserimento in coda, anziché a pettine, nei trasferimenti di graduatoria ad esaurimento in altre province.

Non è la prima vittoria giudiziaria dell’Anief (sono seguite anche sconfitte), ma sicuramente la più importante per una organizzazione sindacale che, rompendo qualsiasi schema ordinario nella tutela dei lavoratori della scuola, fonda essenzialmente la sua azione sui ricorsi ai tribunali.

Qualcuno l’ha giudicata una vera e propria macchina giudiziaria da guerra; altri l’hanno valutata come una astuta macchina per fare soldi. Ma intanto si fa strada nella categoria dove, grazie all’apporto di legali di buon livello, l’Associazione presieduta da Marcello Pacifico prospetta vittorie (o illusioni), ottenendo consensi soprattutto tra il personale precario.

E annuncia per il prossimo marzo l’entrata ufficiale nella competizione elettorale per le RSU nelle scuole.

Con l’intenzione di proporre ricorsi in ogni scuola come sistema di risolvere le relazioni sindacali?

 

 

 

 

 

B

 

Berlusconi

(novembre) – Dopo una votazione sulla fiducia che vede il suo governo scendere alla Camera sotto la soglia dei 316 voti Silvio Berlusconi getta la spugna e rassegna le dimissioni.

Si conclude così non solo la vita del quarto governo di centro-destra presieduto dall’imprenditore milanese, sceso in politica nel 1994, ma probabilmente un’intera fase della storia italiana del dopoguerra. A entrare in crisi è infatti la cosiddetta seconda Repubblica, caratterizzata dal bipolarismo, cioè dalla formazione di maggioranze  di volta in volta di centro-destra o di centro-sinistra, tutte rese deboli, però, dalla loro stessa conflittualità interna.

Con la formazione del governo Monti, sostenuto da Pdl, Pd e centristi, si apre una nuova fase politica dagli sviluppi al momento  non facilmente prevedibili, ma che sicuramente costringerà i partiti ad una profonda trasformazione.

Fine di un’epoca?

 

 

 

C

 

 

Concorsi

(dicembre) – Il nuovo ministro Profumo annuncia che il 2012 potrebbe essere l’anno dei concorsi. Ne potrebbero andare in porto tre: quello a 150 posti di dirigente tecnico (ispettore), quello a 2.386 posti di dirigente scolastico, e soprattutto quello a posti di insegnante ai vari livelli di scuola, a distanza di 13 anni dall’ultimo, targato 1999.

La riattivazione di serie procedure di tipo concorsuale era invocata da tempo da più parti del mondo della scuola, Tuttoscuola in testa. La normativa vigente prevede che il 50% dei posti sia riservato ai vincitori di concorso, e il restante 50% agli abilitati inseriti nelle graduatorie a esaurimento (ex permanenti).

Ma l’accenno fatto dal ministro (dopo un incontro con i sindacati) ad una diversa ripartizione, che aumenti la quota destinata alle graduatorie a esaurimento (GAE), rischia di riaprire una controversia paralizzante a scapito degli aspiranti insegnanti più giovani, quelli abilitati non compresi nella GAE e quelli non abilitati che attendono con impazienza l’avvio dei TFA.

Opportunità da non sprecare.

Classi pollaio

(giugno) – Il Consiglio di Stato autorizza la class action promossa dal Codacons contro le cosiddette “classi pollaio” o “classi batteria”. Si tratta di classi dove il numero di alunni supera a volte anche le 30 unità, soprattutto nelle prime degli istituti superiori. Le norme antincendio prevedono che in una classe vi sia un numero di alunni non superiore a 25 (+ l’insegnante).

Le “classi pollaio” non sono una novità per il nostro sistema scolastico, e sono andate gradualmente aumentando nell’ultimo quinquennio con la riduzione del numero delle classi a fronte spesso dell’aumento dei livelli di popolazione scolastica.

Il ministro Gelmini dichiara trattarsi di un falso problema, perché riguarderebbe soltanto lo 0,4% del totale classi-sezioni (1.500 classi per un totale di circa 45 mila alunni).

E se i dirigenti scolastici – responsabili della sicurezza – si rifiutassero di formare classi con più di 25 alunni?

 

 

 

 

 

 

 

D

 

DSA

(luglio) – Il ministero dell’Istruzione emana un decreto e specifiche Linee Guida per dare attuazione alla legge sui DSA (Disturbi Specifici di Apprendimento) nella scuola. La certificazione della dislessia e degli altri disturbi di apprendimento potrà essere rilasciata soltanto dal servizio sanitario pubblico.

Se lo studente si avvale della possibilità di esonero completo dall’insegnamento della lingua straniera, come consentito dalla legge 170/2010, all’esame di Stato non può conseguire la licenza o il diploma, ma soltanto un’attestazione.

Non è previsto il docente di sostegno per l’alunno con DSA. Il numero degli alunni con DSA non è censito, ma si stima che sia quasi il doppio degli alunni con disabilità.

Svolta da seguire con cautela e controlli.

Dimensionamento

(luglio) – La legge 111/2011, approvata in tempo record dal Parlamento, prevede la trasformazione di tutte le istituzioni del primo ciclo in istituti comprensivi, con una nuova dimensione di popolazione scolastica che passa dai 500-900 alunni ad almeno 1000. Nelle piccole isole e nei comuni montani il limite passa da 300 a 500 (successivamente corretto in 600).

Si prevede la soppressione di almeno 1.300 istituzioni scolastiche, con conseguente riduzione di organico dei dirigenti scolastici e dei DSGA.

Alcune regioni annunciano ricorso alla Corte costituzionale per violazione della competenza concorrente.

I piani regionali dovranno essere approvati entro il 31 gennaio 2012, ma è prevedibile che diverse regioni che negli ultimi anni non avevano provveduto ad aggiornare le situazioni secondo i vecchi parametri dimensionali, non potranno (o non vorranno) compiere il recupero tutto in una volta o lo effettueranno in modo soggettivo.

Ancora una volta l’Italia a due velocità?

 

 

E

 

Ex-Enam

(dicembre) – L’Enam, Ente di Assistenza magistrale, interamente finanziato (per obbligo di legge) dagli insegnanti della scuola dell’infanzia e della scuola primaria, dopo essere stato soppresso e assorbito dall’Inpdap nel 2010, per effetto della legge “Salva Italia” passerà alla nuova Inps che a sua volta assorbirà l’Inpdap.

Gli ex-comitati provinciali dell’Enam si costituiscono in associazione (l’ANTAM (Associazione Nazionale Tutela ed Assistenza Magistrale), per difendere il patrimonio dell’Ente.

Il versamento annuo da parte degli insegnanti e degli ex-direttori didattici sfiora i 50 milioni di euro. Sarà difficile che lo Stato consenta la cancellazione di questo tributo che fa cassa senza fatica.

Razionalizzazione o scippo legalizzato?

 

 

 

 

 

 

 

F

 

Formez

(ottobre) – A ottobre si svolge la prova di preselezione per gli oltre 33 mila candidati al concorso per 2.386 posti di dirigente scolastico.

Dalla batteria dei test preparati dal Miur vengono preventivamente cancellati circa mille quesiti, risultati errati, poi ne vengono estratti cento con risposta multipla per la selezione che si svolge in ogni regione.

Gli elaborati vengono corretti con lettore ottico e registrazione informatica presso il FormezItalia a Roma.

Le correzioni si svolgono davanti a ciascuna commissione regionale e sono trasmesse in diretta streaming garantendo controllo pubblico e trasparenza.

Questa prima esperienza di correzione in diretta telematica registra un buon risultato, ma non attenua le polemiche e i ricorsi per taluni contenuti della batteria dei test, sia per quelli predisposti che per quelli selezionati.

La linea diretta degli errori o degli orrori?

Finestra

(agosto) – La manovra bis di ferragosto, contenuta nel decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, precisa l’operazione “finestra” per il personale scolastico.

Il personale che matura il requisito per il pensionamento dopo il 31 dicembre 2011 dovrà attendere un anno di più per il pensionamento.

La “finestra” di uscita dal servizio, da sempre prevista per la scuola al 1° settembre dell’anno in cui si matura il diritto a pensione, viene spostata avanti di un anno.

Si salvano dalla “finestra” coloro che il requisito al pensionamento (si presume per limite di età o di servizio) lo maturano entro il 31 dicembre 2011.

Ma poi la manovra Monti “Salva Italia” rende inutile la finestra, perché annulla di fatto le pensioni di anzianità e riforma il sistema pensionistico.

Non è toccato dalla riforma il personale scolastico che al 31 dicembre 2011 ha già raggiunto il limite massimo di servizio (40), oppure ha l’età massima per la pensione di vecchiaia (65 anni) o ha raggiunto quota “96”, cioè quel valore che si ottiene sommando l’età (60 o 61 anni) con l’anzianità di servizio (36 o 35 anni).

Verso un corpo docente ancora più vecchio

 

 

 

 

G

 

Gelmini

(ottobre) – Il ministro Gelmini rilascia a “La Repubblica” una intervista-verità che sorprende un po’ tutti.

Ammette i tagli sulla scuola (che aveva sempre definito interventi necessari di razionalizzazione) e prende decisamente le distanze dal ministro Tremonti (di cui aveva affermato di condividere le scelte senza subirle).

Si dichiara pronta ad ascoltare gli studenti e dispiaciuta per non essere riuscita a far capire al Paese l’importanza del ruolo degli insegnanti.

Un’apertura, la sua, che gli studenti considerano “fuori tempo massimo”. I giudizi sono severi: opportunismo, ipocrisia, incomprensione profonda delle motivazioni alla base delle proteste.

A molti quell’intervista sembra quasi una lettera di addio. Un mese dopo Mariastella Gelmini, con le dimissioni del Governo, lascia l’incarico.

Esperienza dura ma formativa.

 

 

 

 

H

 

Hockey

(novembre) – Il maestro di strada Mario Rossi Doria, ora sottosegretario all’istruzione, l’ha chiamata regola dell’hockey, riferendosi ai provvedimenti disciplinari di sospensione dalle lezioni nei confronti degli studenti.

Come nell’hockey, il giocatore (studente) sospeso non va allontanato dal campo (scuola), e prima di rientrare in gioco, invece di stare in panchina, può rendersi utile con interventi a favore della squadra (classe). Deve seguire il gioco dei compagni pur rimanendo in panchina per momenti di recupero individuale.

Fuori dal mondo della scuola l’idea della regola dell’hockey viene apprezzata; dentro il mondo della scuola, a quanto sembra, è considerata un po’ meno, perché l’idea del giocatore espulso che resta in panchina è sperimentata da tempo da molte scuole e l’ipotesi del recupero personale sembra un premio. Difficile da applicare.

Scoperta dell’acqua calda o nuova via per il recupero?

 

 

 

I

 

Incasso buonuscita

(agosto) – Il decreto legge 138/2011 relativo alla manovra bis di ferragosto introduce una duplice modifica alla decorrenza per l’incasso della liquidazione finale (buonuscita/trattamento di fine rapporto) per i dipendenti pubblici collocati in pensione, compresi quelli della scuola.

Per effetto della modifica, vi sarà il rinvio dell’incasso della liquidazione finale in forma differenziata in base al modo con cui si viene collocati riposo.

Se il pensionamento avviene per raggiunti limiti di età (65 anni) o di servizio (40 anni), il rinvio è di sei mesi; se invece il pensionamento avviene a domanda per anzianità (almeno 60 anni di età con un minimo di 35 anni di servizio in modo da raggiungere quota 96) il rinvio sarà di due anni.

È un modo per scoraggiare i pensionamenti anticipati, ma, per il timore che non sia sufficiente, nella legge “Salva Italia” di fine anno il Governo Monti riforma il sistema pensionistico e annulla le pensioni di anzianità.

Dalla buona alla cattiva uscita.

Invalsi

(maggio) – Giuseppe Cosentino,  già capo dipartimento per l’istruzione del Miur, viene nominato commissario all’Istituto nazionale di valutazione, anche con il compito di dare continuità e sviluppo al lavoro fatto negli ultimi anni dal presidente Piero Cipollone, economista di provenienza Bankitalia, dimessosi a marzo per assumere un prestigioso incarico presso la World Bank a Washington.

Con il nuovo anno l’Invalsi, che nel 2011 si è molto rafforzato dal punto di vista strutturale e organizzativo, dovrà dotarsi di un nuovo vertice perché Cosentino, nominato capo della segreteria tecnica del ministro Profumo, difficilmente potrà continuare a fare anche il commissario all’Invalsi, e dal 1° gennaio 2012 va in pensione anche il direttore generale dell’Istituto, Dino Cristanini.

Staffette (con personaggi nuovi o tra i soliti noti?)

 

 

 

 

L

 

LIM

(maggio) – Continua l’azione del ministero per la diffusione delle tecnologie didattiche nella scuola con l’emanazione delle linee guida del piano di acquisto di Lavagne Interattive multimediali (LIM) nella scuola primaria e secondaria di secondo grado.

Il Miur raccomanda l’installazione della LIM in classe anziché in spazi dedicati. Un’indagine condotta dall’Indire ha accertato che i docenti, a fronte di una valutazione positiva dello strumento, ne fanno un uso medio-basso a causa soprattutto della difficoltà di accesso.

La stessa indagine ha accertato un notevole apprezzamento dei ragazzi, anche perché, a quanto sembra, la LIM rende la lezione più diretta e intuitiva, favorisce la comprensione di concetti complessi, sviluppa il “saper fare” e l’attitudine alla ricerca, facilita la memorizzazione (soprattutto grazie all’impiego di immagini).

Superare i LIMiti tecnologici

 

 

 

 

 

 

 

 

M

 

Monitoraggio

(settembre) – Il Miur affida all’Ansas il compito di monitorare le esperienze delle Indicazioni per la scuola dell’infanzia e del primo ciclo, come disposto dal Regolamento di riordino (dpr 89/2009) che ha previsto un triennio di applicazione delle Indicazioni nazionali (Moratti) e delle Indicazioni per il curricolo (Fioroni), per armonizzarle agli obiettivi della riforma Gelmini.

L’Ansas predispone un questionario on line a risposte multiple per le istituzioni scolastiche del 1° ciclo per ricavare elementi utili per l’eventuale revisione delle Indicazioni, assumendo come base di riferimento le Indicazioni per il curricolo.

L’Aimc, Associazione dei Maestri Cattolici, chiede che oltre al monitoraggio tramite questionario via sia anche ascolto delle scuole con rilevazione delle buone pratiche.

Si avranno finalmente nuove Indicazioni valide ed obbligatorie per tutti o le scuole continueranno a navigare a vista?

Monti

(novembre) –  Mario Monti, economista, già rettore dell’università Bocconi di Milano e per dieci anni autorevole commissario presso la Commissione europea di Bruxelles, viene nominato senatore a vita dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, dal quale riceve subito dopo l’incarico di formare il nuovo governo.

Il compito è di definire e attuare un programma di emergenza in uno spirito di coesione nazionale.

La convergenza di Pdl, Pd e centristi (Udc, Fli, Api) nel sostegno al governo Monti sembra aprire una nuova fase e mettere ai margini le forze che hanno creato i maggiori problemi all’interno dei due schieramenti, di centro-destra e centro-sinistra, alternatisi nei 17 anni della cosiddetta seconda Repubblica (1994-2011), la Lega da una parte e l’estrema sinistra (attualmente fuori del Parlamento) dall’altra.

Se i tecnici vinceranno, che ne sarà dei politici?

 

 

 

 

N

 

Neutrini

(settembre) – Gli sconosciuti neutrini balzano agli onori della cronaca per un frettoloso comunicato del Miur che plaude al successo dell’esperimento storico realizzato con il contributo dei ricercatori italiani “alla costruzione del tunnel tra il Cern ed i laboratori del Gran Sasso, attraverso il quale si è svolto l’esperimento”.

La notizia del tunnel entra immediatamente nel circuito del web e costa una settimana di feroci battute sulle competenze in fisica del ministro Gelmini che “si fida di collaboratori che le mettono in bocca dichiarazioni che scatenano l’ilarità del globo”, come dice Manuela Ghizzoni, capogruppo Pd in commissione cultura.

Le polemiche si placano (non del tutto) con le dimissioni del capo ufficio stampa della Gelmini, Massimo Zennaro, che si assume la responsabilità dell’errore compiuto dal suo staff.

Senza la gaffe del tunnel gli Italiani avrebbero saputo della scoperta dei neutrini?

 

 

 

 

O

 

OCSE-Pisa

(luglio) – Da quella autentica miniera di informazioni e di stimoli che è diventato il programma dell’Ocse intitolato Pisa (Programme for International Student Assessment) esce un ulteriore dato, già noto agli esperti di educazione comparata, ma mai finora esaminato con tanta attenzione anche nei suoi termini quantitativi: i sistemi scolastici che prevedono la ripetizione dell’anno (o il dirottamento degli studenti più deboli in istituzioni formative specializzate, fuori della scuola) non sono quelli che ottengono i risultati migliori.

Anzi, in testa alle classifiche dell’ultima rilevazione effettuata (2009) stanno gli studenti di Paesi dove la pratica della bocciatura non esiste a nessun livello (Giappone, Corea, Norvegia) oppure è assolutamente eccezionale non solo nella scuola di base ma anche nella secondaria superiore (Finlandia, Nuova Zelanda, Regno Unito).

Non è detto che le scuole più ‘serie’ siano quelle che bocciano di più.

 

 

 

 

P

Profumo

(novembre) – Nel governo dei professori costituito da Mario Monti entra anche il rettore del Politecnico di Torino, Francesco Profumo, savonese, 58 anni.

Ingegnere, già progettista per il Centro Ricerca e Sviluppo della Società Ansaldo a Genova, è professore ordinario di Macchine ed Azionamenti Elettrici al Politecnico di Torino, dove ha ricoperto gli incarichi di preside di Ingegneria dal 2003 e di rettore dal 2005. Nell’agosto 2011 è stato nominato presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche.

Le prime dichiarazioni si ispirano al principio della razionalizzazione e ottimizzazione delle risorse disponibili, in una linea di sostanziale continuità dei processi riformatori avviati dal governo precedente.

C’è profumo di aria nuova nella scuola italiana?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Q

 

Qualità

(maggio) – Esce il secondo Rapporto sulla qualità nella scuola italiana di Tuttoscuola, presentato nella prestigiosa cornice dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana alla presenza del ministro Gelmini.

Il Rapporto, realizzato a quattro anni dal primo, consente di effettuare un confronto a vari livelli, partendo da quello nazionale, tra le due fotografie dell’Italia scolastica che scaturiscono dall’analisi comparativa di oltre novanta indicatori.

La novità più interessante che emerge dal confronto con il precedente Rapporto è che pur nella conferma degli squilibri tra le diverse aree del Paese il Sud nel complesso negli ultimi anni ha fatto meglio del Nord e del Centro.

Il Nord-Est invece arretra in più di metà degli indicatori e anche il Nord-Ovest, pur confermando il suo primato complessivo rispetto alle altre aree, arretra in 25 indicatori su 56. Il Centro resta sostanzialmente stabile, e dunque il lieve miglioramento che si evidenzia a livello nazionale si deve ai progressi realizzati dal Sud, in particolare in alcuni indicatori come quelli relativi al patrimonio delle istituzioni scolastiche, ai supporti all’attività didattica e alla continuità e stabilità del personale docente.

Italia scolastica squilibrata, ma con un “pizzico” (un inizio?) di controtendenza.

Quinquennio di permanenza

(maggio) – Il primo decreto legge della manovra finanziaria estiva (DL 70/2011) interviene sulle graduatorie ad esaurimento e sulle assunzioni in ruolo. Per le prime dispone la triennalità di aggiornamento con una sola possibilità di trasferimento da una provincia all’altra e con conseguente cancellazione dalla graduatoria di provenienza (con inserimento a pettine).

La seconda sulle assunzioni prevede un piano triennale per la copertura totale dei posti vacanti con una quota di immissioni in ruolo retrodatate al 2010-11. Per i neo-immessi in ruolo vi sarà l’obbligo di permanenza quinquennale nella provincia scelta per la nomina.

Si chiude (forse) l’annosa questione della coda e del pettine per gli inserimenti nelle graduatorie ad esaurimento.

Il quinquennio di permanenza soddisfa in particolare la Lega che spera, con questa norma di deterrenza, di tenere fuori regione i docenti che vengono da fuori (dal sud in particolare).

Vi sarà ancora qualche colpa di coda o di pettine?

 

 

 

 

 

R

 

RSU

(gennaio) – Il direttore generale dell’Ufficio scolastico regionale del Veneto, Carmela Palumbo, prende posizione nettamente per l’applicazione delle disposizioni Brunetta (decreto legislativo 150/2009) che riconoscono ai dirigenti scolastici la competenza diretta e la conseguente responsabilità nella definizione dell’organizzazione dei servizi, relegando la precedente competenza della RSU alla sola informazione, senza contrattazione integrativa.

Il Ministero tace e sembra strizzare l’occhiolino al sindacato, ma, in occasione della contrattazione nazionale sulle utilizzazioni è costretto a prendere atto dell’interpretazione circa la non competenza della RSU fornita dalla Funzione Pubblica.

I sindacati che avevano rivendicato la non applicazione del decreto legislativo 150/2009 fino al rinnovo del CCNL, congelato da una legge finanziaria, non sottoscrivono l’accordo sulle utilizzazioni per mantenere salva la posizione di difesa delle RSU.

Le prossime elezioni delle RSU, previste a marzo, potrebbero essere l’occasione per rilanciare le competenze delle RSU e aprire un fronte di scontro con i dirigenti scolastici.

Scontro “di fabbrica” nelle scuole?

 

 

 

S

 

Spedizione cartoline

(giugno) – La Fism, Federazione delle scuole materne, le cui istituzioni aderenti accolgono ben 550 mila dei 635 mila bambini iscritti alle scuole dell’infanzia paritarie, lancia, ancora una volta, un grido di aiuto, promuovendo tra tutte le famiglie l’iniziativa dell’invio di una cartolina indirizzata al Presidente del Consiglio, al ministro dell’economia, Giulio Tremonti e al ministro dell’istruzione, Mariastella Gelmini. Le cartoline riportano una sola richiesta: non tagliare la libertà di educare. La spedizione ha successo, perché in breve ne viene inviato oltre mezzo milione.

Nel 2010 i contributi statali per le scuole paritarie erano stati pari a 539 milioni; per il 2011 la legge finanziaria ha previsto l’erogazione di 526 milioni, di cui 245 condizionati alla vendita del digitale terrestre tuttora non ancora iniziata. I restanti 281 milioni certi sono stati ridotti del 10% e sono diventati quindi 252.

Il Miur ha ripartito nell’aprile scorso per tutte le scuole paritarie poco meno di 168 milioni, che rappresentano gli 8/12 di quei 252 milioni “certi”, ma che sono meno di un terzo di quei 526 milioni da assegnare complessivamente per il 2011.

È evidente come la situazione finanziaria delle scuole paritarie e, in particolare, delle scuole dell’infanzia che ne rappresentano la maggior parte, si stia facendo difficile, ancora una volta.

I ritardi di assegnazione dei contributi, oltre alla loro decurtazione, si trasformano in indebitamento verso le banche (sempre più restie) o in aumento delle rette per le famiglie.

Una parità a parole?

 

 

 

 

 

T

TAR

(marzo) – Il Tar è una “terza Camera”?

Il Tar del Lazio rinvia alla Corte costituzionale l’art. 64 comma 2 della legge n. 133/2008 considerando non infondata l’accusa di illegittimità costituzionale mossa dal sindacato Snals alla riduzione del 17% del personale amministrativo della scuola nel triennio 2009-2011, da tale comma disposta.

Sempre per iniziativa dello Snals il Tar  aveva accolto nel luglio 2010 un ricorso contro la riduzione dell’orario settimanale nelle classi intermedie degli istituti tecnici e professionali. È ormai difficile tenere la contabilità degli interventi effettuati in campo scolastico dalla giustizia amministrativa, e in particolare dal Tar del Lazio, competente in materia di legislazione nazionale.

I sindacati, in particolare quelli autonomi vecchi e nuovi, hanno individuato nella via giudiziaria una nuova e più efficace modalità di lotta sindacale e se ne avvalgono in modo sistematico. Ma più che di lotta ‘sindacale’ sarebbe forse più corretto parlare di una forma di azione  ‘post-sindacale’. Della rinuncia cioè alle tradizionali modalità della lotta sindacale – trattative, assemblee, scioperi, negoziato, accordi – in favore dei ricorsi e della carta bollata.

In questo modo, però, è difficile sfuggire al sospetto che si stia di fatto attribuendo alla magistratura amministrativa il ruolo di una ‘terza Camera’, addirittura più importante delle prime due perché in grado di ridiscuterne e modificarne le decisioni. E che si stia modificando in profondità il ruolo del sindacato, avviato a trasformarsi in una specie di ufficio per guerre legali in servizio permanente effettivo.

L’Italia ha due Camere basse e una Camera alta?

TFA

(aprile) – Dopo l’emanazione del decreto sulla formazione iniziale degli insegnanti della scuola dell’infanzia, primaria e secondaria di I e II grado, il Miur compie un passo avanti verso questo traguardo storico della formazione universitaria dei docenti con l’emanazione del regolamento che prevede l’attivazione dall’anno accademico 2011-12 dei corsi di laurea magistrale e dei tirocini formativi attivi (TFA) di durata annuale. Per i TFA occorre attendere appositi decreti che quantifichino disponibilità di posti e modalità di svolgimento.

In “zona Cesarini”, cioè nel momento di chiusura del suo mandato, il ministro Gelmini firma alcuni decreti per l’attivazione dei TFA; decreti che risentono della fretta e che vengono contestati dai sindacati, che sottolineano la necessità di integrazioni e modifiche.

Il ministro Profumo accoglie la richiesta e riapre il  confronto.  Devono essere definiti tempi e quantità di ammessi (gli ipotizzati 23 mila sono troppi per la Funzione pubblica). Le prove di accesso sono previste a fine febbraio. Si apre un problema di ingorgo del traffico tra formazione e reclutamento.

Attivare i maxi-concorsi subito o attendere la conclusione dei TFA?

 

 

 

 

 

 

 

U

 

Ugolini

(novembre) – Sorpresa nella nomina dei sottosegretari chiamati ad affiancare il nuovo ministro dell’istruzione, Francesco Profumo: vengono nominati la prof. Elena Ugolini e il maestro Marco Rossi Doria.

Elena Ugolini è capo d’istituto al liceo paritario “M. Malpighi” di Bologna, una provenienza che provoca la critica sul web da parte dei difensori radicali della scuola pubblica, ma l’intervento deciso e autorevole della sen. Bastico (PD) a suo favore fa tacere sul nascere le polemiche.

Al ministero Ugolini è di casa ormai da oltre un decennio, membro di commissioni e di gruppi di lavoro importanti. Ha lavorato con ministri di diversa collocazione politica, in particolare all’Invalsi e per il sistema di valutazione.

Contrariamente a quanto si pensava, corre voce che avrà la delega per il primo ciclo, mentre al suo collega Rossi Doria dovrebbe essere conferita la delega per il secondo.

Tecnici al lavoro.

Unità nazionale

(marzo) – Il 17 marzo l’Italia celebra i 150 anni dell’unità nazionale.

Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, è il principale animatore delle celebrazioni e dei festeggiamenti che hanno avuto inizio il 7 gennaio con gli onori alla bandiera italiana a Reggio Emilia dove nacque il tricolore.

Sono numerose in tutta Italia le iniziative per coinvolgere scuole e studenti nella valorizzazione dei 150 dell’unità. Il sistema scolastico nazionale viene riletto dalla legge Casati all’autonomia scolastica e oltre.

Il fervore unitario è attenuato da ombre che inneggiano ad un federalismo radicale. Con la caduta del governo Berlusconi la Lega parla apertamente di secessione.

Passata la festa…

 

 

V

Valorizza

(dicembre) – Si conclude la sperimentazione “Valorizza”, avviata all’inizio del 2011 tra grandi difficoltà e resistenze  con obiettivo di valutare e premiare la ‘reputazione professionale’ degli insegnanti.

Gli esiti finali sono illustrati a Roma alla presenza del ministro Profumo, che sembra orientato ad accogliere la raccomandazione formulata delle due Fondazioni sponsor dell’iniziativa – Treelle e Compagnia San Paolo per la scuola – di replicare il progetto anche nel 2012.

La proposta è di raddoppiare il numero delle scuole partecipanti (solo 33 nel 2011),  e anche il ‘premio’ per gli insegnanti (due mensilità aggiuntive anziché una), estendendone l’erogazione a un triennio. L’idea di premiare economicamente gli insegnanti ritenuti migliori dalla convergente valutazione di studenti, genitori e colleghi presenta però, secondo autorevoli esperti, più svantaggi che vantaggi: potrebbe ad esempio porre i dirigenti scolastici di fronte a difficoltà nel rapporto con i genitori e nell’assegnazione dei docenti alle classi.

Oltre a quello della reputazione dei docenti si discute di altri criteri utilizzabili per valutare la loro professionalità ai fini del miglioramento della qualità del sistema di istruzione. Tra questi il possesso documentato e certificato di competenze professionali ulteriori rispetto a quelle iniziali, la disponibilità e capacità di svolgere mansioni specializzate, la consistenza oraria della prestazione settimanale e così via.

La buona reputazione professionale è una condizione necessaria, ma non sufficiente.

 

 

 

Z

 

Zaia

(novembre) – Il governatore del Veneto, Luca Zaia (Lega), che si era già distinto un anno prima con l’idea, applaudita dal ministro Gelmini, di regalare una bibbia ad ogni studente veneto e con un no secco all’islamizzazione della sua regione, prende posizione a favore delle scuole dell’infanzia paritarie venete, annunciando l’intenzione di presentare ricorso alla Corte Costituzionale per ottenere un trattamento effettivo di parità rispetto alle scuole statali.

Le scuole dell’infanzia paritarie costituiscono il 68% delle scuole del settore, ma ricevono pochi sghei rispetto alla qualità (sostiene Zaia) della loro offerta formativa.

L’uscita del governatore sembra una captatio nei confronti della Chiesa veneta, ma, a quanto risulta, i vescovi restano piuttosto freddini davanti alla sua proposta, anche se non possono negare lo stato di difficoltà economica delle numerose scuole paritarie a causa della riduzione dei finanziamenti statali.

Quanto dà la Regione Veneto alle scuole paritarie?

 






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TuttoscuolaFOCUS

“Educare i giovani alla giustizia e alla pace”

 

45.ma Giornata mondiale della pace.

 

«Di fronte alle ombre che oggi oscurano l’orizzonte del mondo, assumersi la responsabilità di educare i giovani alla conoscenza della verità, ai valori fondamentali dell’esistenza, alle virtù intellettuali, teologali e morali, significa guardare al futuro con speranza». Parole del Papa nell’omelia della Messa per la solennità di Maria SS. Madre di Dio, 45.ma Giornata mondiale della pace. Citazione del presidente Napolitano e auguri all’Italia nell’Angelus.

Omelia della S.Messa del I Gennaio
Angelus del I Gennaio
Omelia per il Te Deum di ringraziamento di fine anno

Paola Bignardi sul messaggio del Papa (da Radio inBlu)

Messaggio per la celebrazione della XLV Giornata Mondiale della

 

Maria SS.Madre di Dio

MARIA SS. MADRE DI DIO

Lectio – Anno A

Prima lettura: Numeri 6,22-27

 

Il Signore parlò a Mosè e disse: «Parla ad Aronne e ai suoi figli dicendo: “Così benedirete gli Israeliti: direte loro: Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace”. Così porranno il mio nome sugli Israeliti e io li benedirò».

v La pericope, che ha una chiara intonazione liturgica, conclude le prescrizioni sul nazireato, ma è facilmente estrapolabile dal suo ambito proprio e adattabile ad ogni contesto di preghiera. Si tratta infatti di una benedizione che veniva usata al termine delle liturgie o dei sacrifici e si impartiva ogni giorno dopo il sacrificio della sera. Parola chiave della pericope il verbo benedire.

La radice ebraica brk è alla base di una importante famiglia di parole che esprimono la felicità dell’uomo e il dono divino che ne è la sorgente. Il verbo usato nella forma attiva, e in modo particolare nel contesto liturgico e celebrativo, esprime la comunicazione dei beni divini attraverso un mediatore.

Normalmente benedire è ufficio del sacerdote, ma anche il padre o il re (2Sm 6,18) benedicono. In questo testo, risalta molto chiaramente che Dio è l’origine fontale della benedizione: il verbo «benedire» e la forma deprecativa esplicitano bene l’iniziativa e l’opera del Signore.

L’uomo, al contrario, non è fonte di benedizione in se stesso, ma è mezzo di benedizione in virtù di un dono ricevuto dall’alto. La benedizione di Dio, inoltre, si distingue da quella umana per la sua efficacia: la parola di Dio è sempre evento di salvezza, non ritorna indietro senza aver dato i suoi frutti (cf. Is 55,10-11).

Segni della benedizione di Dio sono: il volto del benedetto che riflette la luce di colui che benedice; la grazia, la gioia e la pace. Il possesso di questi doni, sempre attesi, ma mai pienamente avuti, da parte dell’uomo o del popolo, porterà i profeti ad invocarli come doni messianici. Il messia sarà chiamato il benedetto per eccellenza; fonte di benedizione per tutti gli uomini; sorgente di gioia, di grazia, di salvezza e di pace.

 

Seconda lettura: Galati 4,4-7


Fratelli, quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli.  E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: Abbà! Padre! Quindi non sei più schiavo, ma figlio e, se figlio, sei anche erede per grazia di Dio.

 

v Il brano inizia con un’espressione tipicamente paolina («pienezza del tempo») che fa cogliere tutta la straordinarietà del momento di cui l’Apostolo sta parlando. Con questa espressione, Paolo non indica il sopraggiungere di un tempo prefissato, ma la maturazione progressiva e graduale della storia di salvezza. Una storia che, giunta oramai al suo pieno compimento, fa scaturire il dono di salvezza per eccellenza: Gesù, Figlio di Dio.

Il Figlio di Dio è un figlio, nato da donna, cioè veramente uomo. Il Figlio che si è spogliato delle prerogative divine e che si è sottoposto ai limiti dello spazio e del tempo, alla legge degli uomini in vista del riscatto di tutta l’umanità. Una umanità che potrà essere salvata proprio poiché resa figlia nel Figlio fatto uomo.

Il termine giuridico usato da Paolo («adozione a figli»), sottolinea maggiormente la gratuità dell’amore di Dio Padre, che ha tanto amato gli uomini da renderli suoi figli donando l’unico Figlio. Essere figli significa possedere intimamente lo stesso Spirito che anima e vivifica la vita dell’Unigenito e crea in lui quel rapporto intimo e particolare con il Padre.

Anche noi, resi figli, partecipiamo della stessa figliolanza divina e possiamo gridare con Cristo abbà: una parola che è l’espressione di questa nuova intimità di rapporto col Padre. Come figli legittimi, partecipiamo, inoltre, già della stessa eredità dell’unico figlio, garantita dalla caparra dello Spirito, che si realizzerà pienamente nel futuro escatologico. Le prerogative divine, a cui il Dio fatto uomo ha rinunciato per condurre l’umanità alla salvezza, saranno restituite a lui nella risurrezione. Attraverso di lui e dopo di lui, saranno date a tutti i risorti nella parusia.

La benedizione di Dio promessa ad Abramo, e a tutti i suoi figli, si realizza pienamente con l’incarnazione del Verbo, il Benedetto per eccellenza: da lui scaturisce ogni benedizione per noi e in lui si compiono tutte le promesse di Dio Padre, per l’umanità intera.

 

Vangelo: Luca 2,16-21


In quel tempo, [i pastori] andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro. Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo.

 

Esegesi

Luca ama sottolineare l’aspetto universale e missionario del vangelo e illustra la nascita del Figlio di Dio circondando il racconto in una cornice di gioia e di lode. I pastori, ricevuto l’annunzio dell’angelo (Lc 2,10-12), si fanno messaggeri del lieto evento, di ciò che hanno visto e di quanto hanno udito. La fretta, con la quale si muovono, è espressione del loro

stato d’animo, che rivela la volontà di agire e di rispondere immediatamente al «segno» che è stato loro mostrato. Essi non ragionano come i dotti e i sapienti, per questo si muovono senza indugio per vedere la realizzazione della parola di Dio, che si è compiuta.

Il termine usato da Luca, rema, per descrivere «ciò che del bambino era stato detto loro» fa pensare sia all’annuncio della parola sia alla sua realizzazione: Gesù Cristo, Parola di Dio incarnata nella storia dell’uomo, risposta vivente alla domanda di salvezza dell’umanità. L’ambiente semplice e povero, ritratto da Luca, nulla toglie all’atmosfera gioiosa, anzi ne sottolinea l’autenticità.

La gioia dei pastori nasce, non dalla contemplazione di manifestazioni esterne e straordinarie (astri nel cielo, doni preziosi e profumati…), ma dall’incontro con il Salvatore, Cristo Signore. Nell’umile grotta di Betlemme giace l’amore, risuona la lode, regna la pace messianica. Raccolti attorno al bambino, contemplano il Messia, assaporano la gioia del compimento delle promesse e subito partecipano agli altri la loro traboccante esultanza: gli ultimi della scala sociale possono avere qualcosa da dire a tanti che sono più in alto di loro. È la logica di Dio che rivoluziona le rigide logiche umane.

Alla gioia entusiasta dei pastori Luca contrappone la gioia raccolta di Maria «Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio» (Lc 2,19). L’annuncio dell’angelo, avvolto dal mistero, a cui ella aveva aderito senza remore, si chiarificava lentamente, alla luce dell’evento della nascita del Figlio di Dio. I due verbi custodiva e meditava fanno comprendere molto bene il dramma interiore di Maria che assiste silenziosa e partecipe alla realizzazione del progetto di Dio. Nulla è chiaro in ciò che sta accadendo. Tuttavia Maria non chiede: accoglie. Maria non indaga: accetta. Maria non esita: ama il dono prezioso di Dio e si prepara a offrirlo al mondo.

La piena luce in lei giungerà alla fine della sua esistenza, ma nel frattempo si cala profondamente nel suo ruolo di madre del Dio fatto uomo. Impara a stare accanto al Figlio partecipando e accompagnando senza clamori le sue gioie e i suoi successi, le sue ansie e le sue sofferenze, riflettendo la luce di salvezza che da lui scaturisce. Non assume, né pretende di avere un ruolo da protagonista. Una scelta, questa, che la contraddistinguerà in tutti i momenti della sua vita di Madre accanto al Figlio. Accetterà di essere messa da parte dinanzi alla priorità della missione che il Padre ha affidato al Figlio (Lc 2,49: «non sapevate che devo occuparmi delle cose del padre mio?»). Timidamente esorterà l’inizio del ministero (Gv 2,3: «non hanno più vino»). Sempre gli sarà accanto soprattutto nelle ore più tristi, quando tutti lo abbandoneranno e il mistero di salvezza sembrerà infittirsi (Gv 19,25: «stavano presso la croce Maria la madre sua…»). Parteciperà gioiosa dei frutti della resurrezione attendendo il dono dello Spirito (At 1,14: «…assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù…») irradiando la luce di salvezza del Figlio sarà fedele figlia e madre nella sua Chiesa.

I pastori destinatari e portatori dell’annuncio della nascita del Figlio di Dio tornano ai loro greggi, alle loro occupazioni, alle loro case, lasciandosi dietro un’atmosfera gioiosa ricca di lode e di esultanza. Da Dio hanno ricevuto il dono di vivere questo evento di salvezza, a lui rivolgono ora la gloria. Glorificano Dio, origine e sorgente di ogni gloria, e rendono a lui la gioia che da Lui hanno ricevuto. Una gloria che esalta, celebra, riconosce i segni meravigliosi dell’intervento di Dio nella storia dell’uomo. Una gloria che manifesta la realizzazione dei tempi messianici, inaugurati dalla nascita del Figlio di Dio.

Luca chiude questo quadro gioioso con l’annotazione, di carattere storico, del compimento delle prescrizioni della legge mosaica. L’incarnazione, l’evento gioioso di salvezza di cui i pastori sono ora testimoni e che Maria conserva e custodisce nel suo cuore, comporta anche la sottomissione del Figlio di Dio alla legge umana. Tuttavia l’ultima parola spetta nuovamente a Dio che, nel nome del Figlio di Maria, rivela ancora una volta la sua volontà salvifica universale: il Figlio è Gesù, che significa JHWH salva.

 

Meditazione

Più motivi di celebrazione confluiscono nella solennità odierna. La liturgia concentra lo sguardo, a otto giorni dalla natività di Gesù, sul mistero di Maria, Madre di Dio. La madre non è separabile dal figlio e riceve da lui la sua luce e la sua dignità. La liturgia non dimentica tuttavia che siamo all’inizio di un nuovo anno, e che per volontà di Paolo VI in questo giorno si celebra la Giornata mondiale per la pace. Infine, nel versetto conclusivo del vangelo di Luca che oggi viene proclamato, ascoltiamo l’eco della festa celebrata prima della riforma liturgica: l’imposizione del nome «Gesù» e la circoncisione del figlio della Vergine.

La prima lettura tratta dal libro dei Numeri riporta la benedizione sacerdotale di Aronne. All’inizio di un nuovo anno siamo indotti a riflettere sul senso del tempo, sul suo inarrestabile trascorrere e sul desiderio umano di dominarlo o di prevederlo, senza riuscirvi. Ciò che Dio affida ad Aronne e ai suoi figli di fare ricorda che il tempo è sotto la sua benedizione. È luogo in cui Dio ci viene incontro, dicendo e operando il nostro bene, proteggendoci, mostrandoci il suo volto, donandoci la pace e un nome nuovo, che è il suo stesso Nome imposto sulla nostra vita, come sua benedizione e sua salvezza. Il tempo è sempre grembo fecondo di una novità, non perché a un anno che finisce ne subentri un altro, ma perché nel tempo ci si rivela quel Dio che fa nuove tutte le cose. Soprattutto ci rinnova mediante il dono del suo stesso Nome. Dio è davvero il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, il Dio di Gesù Cristo, il Dio di ciascuno di noi, che lega indissolubilmente il suo Nome al nostro, ed è in questa alleanza fedele e feconda che troviamo novità, vita, pace.

Il tempo è ricolmo di questa presenza di Dio. Tale è la pienezza del tempo di cui parla Paolo nella seconda lettura, tratta dalla lettera ai Galati. Il tempo giunge alla sua pienezza quando il Figlio di Dio vi entra e lo riempie di sé, condividendo in tutto la condizione umana. Nasce sotto la Legge, in solidarietà profonda con il suo popolo, come «uno del suo popolo», che secondo la Torà deve essere circonciso all’ottavo giorno. La circoncisione è segno dell’alleanza. Circoncidendo il membro sessuale maschile, attraverso cui avviene la generazione di una vita nuova, l’israelita afferma che ogni suo figlio nasce nell’alleanza e in una relazione singolare con Dio. Paolo aggiunge però «nato da donna», come ogni altro uomo. Gesù si fa solidale non solo con i figli dell’alleanza, ma con ogni figlio di donna, senza esclusione alcuna. Tutti gli uomini, di ogni razza, cultura, religione, sono «figli di donna», e Gesù entra in comunione con ciascuno di loro. In questo modo, in lui e attraverso di lui, la benedizione che Aronne impartiva sugli Israeliti viene estesa a tutti, su tutti Dio fa brillare il suo volto e dona la sua pace. Il tempo giunge a pienezza perché si compie la promessa fatta ad Abramo: «In te si diranno benedette tutte le famiglie della terra» (Gen 12,3).

Dio pone il suo nome su di noi – afferma il libro dei Numeri – e questo nome ora possiamo invocarlo, ci ricorda Paolo, nello Spirito del suo Figlio che grida «Abbà! Padre!» (cfr. Gal 4,6). Dio ci dona il suo nome e ci dona anche la possibilità di invocarlo in modo nuovo, come figli che possono rimanere in una vera relazione filiale con lui.

L’evangelo di Luca, infine, ci rivela che questo nome che Dio ci dona è il nome che viene imposto sul figlio di Maria, «Gesù», che significa «Dio salva»: In questo figlio della circoncisione e figlio di una donna, Dio per sempre, senza pentimenti, rivolge a noi il suo volto fino ad assumere un volto umano, e ci dona un nome, anzi il solo nome in cui possiamo trovare salvezza. «Non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati», come testimonia Pietro davanti al Sinedrio (At 4,12).

L’atteggiamento autentico con cui contemplare questo indicibile mistero di salvezza è quello di Maria, descrittoci da Luca nell’evangelo. In lei c’è il silenzio di un ascolto profondo, che accoglie e custodisce. Come ha ascoltato la parola di Gabriele, ora ascolta la parola dei pastori, i quali riferiscono «ciò che del bambino era stato detto loro» (v. 17). Ascolta e obbedisce anche alla parola delle Scritture, facendo circoncidere il figlio all’ottavo giorno, come prescritto nella Torà di Mosè. Chi sa ascoltare e custodire nel silenzio del cuore e nella ricchezza della fede giunge a discernere la parola di Dio nel suo manifestarsi in modi molteplici: nell’angelo, nei pastori, nelle Scritture. Non basta tuttavia l’ascolto; Maria sa anche meditare nel cuore, andando oltre il semplice stupore degli altri. Occorre sapersi stupire davanti all’agire di Dio, ma poi lo stupore deve farsi domanda, ricerca, riflessione. Il verbo greco usato dall’evangelista significa più propriamente «mettere insieme, confrontare». L’ascolto della Parola richiede questo discernimento che sa mettere insieme e nel giusto rapporto aspetti che altrimenti potrebbero sembrare contraddittori: la parola di Gabriele che annuncia la grandezza e la santità di colui che sarà chiamato Figlio dell’Altissimo, la parola dei pastori, poveri e marginali, che riconoscono il segno in un bambino deposto in una mangiatoia. Solo chi come Maria custodisce un cuore unificato dal silenzio, dall’ascolto, dalla meditazione, riconosce il modo paradossale di manifestarsi di Dio, mai ovvio e sempre sorprendente rispetto alle nostre attese e alle nostre logiche.

Questo ascolto della parola consente a Maria di accogliere e generare nella carne il Verbo di Dio. È la Madre di Dio, che diviene anche Madre dei credenti, perché assumendo il suo atteggiamento può maturare anche in noi la vera fede.

 

 

Preghiere e racconti


Educare alla pace

« La pace non è la semplice assenza di guerra e non può ridursi ad assicurare l’equilibrio delle forze contrastanti. La pace non si può ottenere sulla terra senza la tutela dei beni delle persone, la libera comunicazione tra gli esseri umani, il rispetto della dignità delle persone e dei popoli, l’assidua pratica della fratellanza ». La pace è frutto della giustizia ed effetto della carità. La pace è anzitutto dono di Dio. Noi cristiani crediamo che Cristo è la nostra vera pace: in Lui, nella sua Croce, Dio ha riconciliato a Sé il mondo e ha distrutto le barriere che ci separavano gli uni dagli altri (cfr Ef 2,14-18); in Lui c’è un’unica famiglia riconciliata nell’amore.

Ma la pace non è soltanto dono da ricevere, bensì anche opera da costruire. Per essere veramente operatori di pace, dobbiamo educarci alla compassione, alla solidarietà, alla collaborazione, alla fraternità, essere attivi all’interno della comunità e vigili nel destare le coscienze sulle questioni nazionali ed internazionali e sull’importanza di ricercare adeguate modalità di ridistribuzione della ricchezza, di promozione della crescita, di cooperazione allo sviluppo e di risoluzione dei conflitti. « Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio », dice Gesù nel discorso della montagna (Mt 5,9).

La pace per tutti nasce dalla giustizia di ciascuno e nessuno può eludere questo impegno essenziale di promuovere la giustizia, secondo le proprie competenze e responsabilità. Invito in particolare i giovani, che hanno sempre viva la tensione verso gli ideali, ad avere la pazienza e la tenacia di ricercare la giustizia e la pace, di coltivare il gusto per ciò che è giusto e vero, anche quando ciò può comportare sacrificio e andare controcorrente».

(Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la celebrazione della XLV GIORNATA MONDIALE DELLA PACE, 1° GENNAIO 2012: «Educare i giovani alla giustizia e alla pace»).

 

Alzare gli occhi a Dio

«Di fronte alla difficile sfida di percorrere le vie della giustizia e della pace possiamo essere tentati di chiederci, come il Salmista: « Alzo gli occhi verso i monti: da dove mi verrà l’aiuto? » (Sal 121,1).

A tutti, in particolare ai giovani, voglio dire con forza: « Non sono le ideologie che salvano il mondo, ma soltanto il volgersi al Dio vivente, che è il nostro creatore, il garante della nostra libertà, il garante di ciò che è veramente buono e vero… il volgersi senza riserve a Dio che è la misura di ciò che è giusto e allo stesso tempo è l’amore eterno. E che cosa mai potrebbe salvarci se non l’amore? ». L’amore si compiace della verità, è la forza che rende capaci di impegnarsi per la verità, per la giustizia, per la pace, perché tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta (cfr 1 Cor 13,1-13).

Cari giovani, voi siete un dono prezioso per la società. Non lasciatevi prendere dallo scoraggiamento di fronte alle difficoltà e non abbandonatevi a false soluzioni, che spesso si presentano come la via più facile per superare i problemi. Non abbiate paura di impegnarvi, di affrontare la fatica e il sacrificio, di scegliere le vie che richiedono fedeltà e costanza, umiltà e dedizione. Vivete con fiducia la vostra giovinezza e quei profondi desideri che provate di felicità, di verità, di bellezza e di amore vero! Vivete intensamente questa stagione della vita così ricca e piena di entusiasmo.

Siate coscienti di essere voi stessi di esempio e di stimolo per gli adulti, e lo sarete quanto più vi sforzate di superare le ingiustizie e la corruzione, quanto più desiderate un futuro migliore e vi impegnate a costruirlo. Siate consapevoli delle vostre potenzialità e non chiudetevi mai in voi stessi, ma sappiate lavorare per un futuro più luminoso per tutti. Non siete mai soli. La Chiesa ha fiducia in voi, vi segue, vi incoraggia e desidera offrirvi quanto ha di più prezioso: la possibilità di alzare gli occhi a Dio, di incontrare Gesù Cristo, Colui che è la giustizia e la pace».

(Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la celebrazione della XLV GIORNATA MONDIALE DELLA PACE, 1° GENNAIO 2012: «Educare i giovani alla giustizia e alla pace»).

 

Maria, Madre della pace

Maria ci appare dalle profondità dell’infinito in una mandorla stellata, circondata da quattro angeli che la onorano gioiosi. Lei è là, nella gloria del cielo: ci aspetta a braccia aperte e intercede per noi presso Dio.

Contempliamo Maria

aprendo a Lei il cuore.

Contempliamo Maria

nella sua bellezza.

Contempliamo Maria ascoltandola

e imparando da Lei.

Contempliamo Maria

esprimendo a Lei

i nostri bisogni immensi.

Contempliamo la Donna,

la Vergine,

colei che non teme di perdere e di perdersi.

Contempliamo la Madre

genitrice del Verbo,

lasciando che generi in noi

il Cristo vivente.

Contempliamo Maria orante

e intercediamo

per il mondo intero.

Contempliamo Maria

mettendoci nelle sue mani

con la nostra piccolezza.

Contempliamo Maria per se stessa,

trascorrendo del tempo con Lei

in silenzio gioioso

in stupore estasiato,

cullati dal suo amore di madre

infinita tenerezza per ogni creatura.

Maria!

Desiderata pace

sconfinato bene…

 

IL GREMBO DELLA MADRE

«Il Signore faccia brillare il suo volto su di te

e ti sia propizio. Il Signore rivolga su di te

il suo volto e ti conceda pace». (Nm 6,25-26)

 

«Tutti quelli che udirono, si stupirono delle cose che i pastori dicevano. Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore». (Lc 2, 18-19).

L’anno nuovo ha fatto irruzione nella nostra vita.

 

L’augurio

«Buon anno!» diciamo a tutti e stringiamo mille mani per esprimere ai nostri compagni di viaggio, imbarcati con noi sulla nave della vita, l’auspicio di tanta felicità.

Non c’è nulla di più bello e di più sacro di questo intreccio di mani, fatto a Capodanno: dovrebbe essere il simbolo di una volontà di amore, di apertura, di dialogo, di impegno a costruire un fitto reticolato di solidarietà tra tutti gli uomini, nella giustizia e nella fratellanza.

Se davvero ognuno di noi, per rendere il mondo più umano, mettesse nel corso di tutto l’anno lo stesso puntiglio con cui in queste ore dona e riceve gli auguri, la causa della pace nel mondo sarebbe già mezzo risolta. Purtroppo, però, in questo scambio di felicitazioni prevale più lo scongiuro che il senso della speranza cristiana. Sembra quasi che si voglia esorcizzare l’avvenire con formule scaramantiche, gravide di paure più che di promesse. Diciamo «auguri», ma ci trema la voce. Stringiamo la mano, ma il braccio è malfermo. È che siamo sopraffatti dallo scoraggiamento, rassegnati di fronte agli insuccessi, appesantiti dalla barbarie presente nel mondo. Nonostante tutto, però, di fronte a un anno che nasce, a noi credenti è severamente proibito essere pessimisti.

Qualche anno fa era in cartellone, presso i maggiori teatri d’Italia, uno spettacolo dal titolo «Chi vuol esser lieto sia, di doman c’è gran paura». È un’espressione che non possiamo assolutamente condividere, perché se c’è qualcosa che il domani contiene, questa ha un nome: la speranza di oggi. Non lasciamoci, perciò, sopraffare dalla ineluttabilità del male. Poniamo gesti significativi di riconciliazione. Svegliamo l’aurora. Proclamiamo sempre più con le opere e sempre meno con le chiacchiere che Gesù Cristo è vivo e cammina con noi.

 

La speranza

Nostra speranza è, oggi, la pace. Da quando Paolo VI l’ha scelto per la celebrazione della Giornata mondiale della pace, l’augurio di riconciliazione e di solidarietà scavalca la sfera dei rapporti strettamente personali e raggiunge gli estremi confini della terra.

È molto significativo che l’anno nuovo cominci proprio con questo impegno, sottolineato ogni volta da un particolare tema di riflessione proposto dal Papa. Sembra quasi che si voglia mettere sotto un unico grande manifesto programmatico le opere e i giorni di questo nuovo arco di storia. Per noi credenti, comunque, la giornata della pace non può essere un rito celebrativo. Se non ci scomoda, se non ci fa stare sulle spine, se non ci induce a salire sulle barricate, se non ci sollecita a scelte che costano, se non ci procura il sorriso o il fastidio di qualche benpensante, sarà solo l’occasione per una risciacquata di buone emozioni.

Gravi situazioni di non pace sono presenti nel mondo. Le logiche di guerra imperversano ancora, anche se dai campi di battaglia hanno traslocato sui tavoli di un’economia che penalizza i poveri. La corsa alle armi, nonostante i segnali positivi lanciati da tanta gente di buona volontà, non accenna a fermarsi. La militarizzazione del territorio è ancora costume consolidato. La connessione tra malavita internazionale, commercio di armi e commercio di droga si fa sempre più oscena. La   violazione dei diritti umani, espressa a volte su popoli interi, continua a turbarci. Il degrado ambientale, oltre a preoccupare per il futuro gravido di incubi, ci fa cogliere in positivo i nodi che legano pace, giustizia e salvaguardia del creato. Così ogni operazione di guerra e ogni violazione della giustizia si tramutano in allucinanti serbatoi di paure cosmiche.

Di fronte a questo quadro, il lamento deve prevalere sulla danza? No, nel modo più assoluto. Bisogna però prendere posizione. La giornata della pace deve provocare all’esodo, alla vera transumanza (trans humus = passaggio da una terra all’altra), richiesta alla nostra coscienza cristiana. Perciò lo studio sui temi della nonviolenza attiva e l’assunzione della difesa popolare nonviolenta come modulo che assicura la convivenza pacifica tra i popoli, devono diventare proposito concreto da esprimere tutto l’anno.

 

La benedizione

Due segni fanno prevalere la speranza sulla tristezza dei presagi.

II primo è il volto del Padre. Il Signore ci aiuterà. Imploriamolo con la preghiera. Se egli farà «brillare il suo volto su di noi» (Nm 6, 25), non avremo bisogno di scomodare gli oroscopi per pronosticare un futuro gonfio di promesse. Tutto questo significa che dobbiamo camminare alla luce del suo volto e, riscoperta la tenerezza della sua paternità, impegnarci una buona volta nell’osservanza della sua legge. E il secondo è il grembo della Madre. Tutti i nostri buoni propositi prenderanno carne e sangue se saranno gestiti nel grembo di Maria. È il luogo teologico fondamentale, dove i grandi progetti di salvezza si fanno evento.

II figlio della pace ha trovato dimora in quel grembo duemila anni fa. Oggi è solo in quel grembo che avrà concepimento e gestazione la pace dei figli. Per cui la festa di Maria madre di Dio, mentre ricorda le altezze di gloria a cui la creatura umana è stata chiamata, ci esorta anche a sentirci così teneramente figli di lei, da riscoprire in quell’unico grembo le ragioni ultime del nostro impegno di fratellanza e di pace.

 

(Don Tonino Bello, Avvento. Natale. Oltre il futuro, Padova, Messaggero, 2007, 85-90).

* Per l’elaborazione della «lectio» di questa domenica, oltre al nostro materiale di archivio, ci siamo serviti di:

o serviti di:

– Temi di predicazione, Napoli, Editrice Domenicana Italiana, 2002-2003; 2005-2006.

G. TURANI, Avvento e natale 2011. Sarà chiamato Dio con noi. Sussidio liturgico-pastorale, San Paolo, 2011.

– Messalino festivo dell’Assemblea, Bologna, EDB, 2007.

– Eucaristia e Parola. Testi per le celebrazioni eucaristiche di Avvento e Natale, a cura di Enzo Bianchi et al., Milano, Vita e Pensiero, 2005.

– La Bibbia per la famiglia, a cura di G. Ravasi, Milano, San Paolo, 1998.

– J.B. METZ, Avvento-Natale, Brescia, Queriniana, 1974.

– E. BIANCHI, Le parole della spiritualità. Per un lessico della vita interiore, Milano, Rizzoli, 21999.

– T. BELLO, Avvento. Natale. Oltre il futuro, Padova, Messaggero, 2007.

Convegno di aggiornamento per Insegnanti di Religione

Traguardi per lo sviluppo e profili di competenza nell’IRC

23-25 marzo 2012.

Istituto Sacro Cuore, Via Marsala, 42, Roma.

 

L’Istituto di Catechetica della Facoltà di Scienze dell’Educazione dell’Università Salesiana di Roma promuove un incontro di due giorni con gli Insegnanti di religione di ogni ordine e grado, che avrà luogo a Roma il 23-25 marzo 2012, con sede presso l’Istituto Salesiano S. Cuore in Via Marsala 42.

 

Obiettivo del Corso.

Il tema delle competenze e dei profili fermenta la Scuola attuale: impone una precisa definizione per ciascuna delle discipline

Naturale quindi la tempestiva elaborazione, che impegna la CEI.

Altrettanto urgente la riflessione dell’Istituto di Catechetica che intende promuovere, nella pedagogia specifica ermeneutica, le indicazioni applicative più consone.

Il Convegno si propone come spazio urgente per la riflessione personale e per l’intervento educativo del Docente di Religione Cattolica.

(Testo base: TRENTI Z., Dire Dio. Dal rifiuto all’invocazione, Roma, Armando, 2011).

 

 

PROGRAMMA

 

Sabato, 24 mattino

9.00      Lodi

9,15-10.30:     Prof. Michele Pellerey.

Traguardi per lo sviluppo e profili di competenza nella scuola attuale.

10.30 -11.00 Intervallo

11.00 – 12.30: Prof. Cesare Bissoli.

Le competenze per l’IRC: Le indicazioni CEI.

13.00 Pranzo

15.00 – 16.00: Prof. Sergio Cicatelli.

“Profili degli studenti e competenze prodotte dall’IRC”.

16.30 – 17.00:  Intervallo

17.00 – 17.45: Prof. Wierzbicki Miroslaw.

Competenza nel contesto europeo.

17.45- 18.30:  Prof. Corrado Pastore.

La competenza nell’IRC e l’uso delle fonti bibliche.

 

Domenica 25 marzo

9.00                  Lodi

9.15 – 10 30:  Prof. Zelindo Trenti.

Il linguaggio religioso alla  base della competenza professionale.

11.00- 12.20:  Prof. Roberto Romio.

Traguardi di sviluppo e profili nell’apprendimento: Dimensione didattico-

sperimentale   della competenza.

12.30                Conclusioni e Quadro delle iniziative dell’Istituto.

 

Note

L’Incontro è organizzato ai sensi delle Direttive Ministeriali n. 305 (art. 2 comma 7) del 1 luglio 1996,  n. 156 (art. 1 comma 2) del 26 marzo 1998.

Ai sensi dell’art. 14 comma 1, 2 e 7 del CCNL, rientra nelle iniziative di formazione e aggiornamento progettate e realizzate dalle Agenzie di Formazione riconosciute dal MIUR.

Ai partecipanti sarà rilasciato un attestato di partecipazione.



Note organizzative

 

È richiesta una quota di partecipazione di 55 Euro che può essere versata

Su conto corrente postale N. 99941007 intestato al Pontificio Ateneo Salesiano, Piazza Ateneo Salesiano, 1 – 00139 ROMA

Sul conto corrente Banca Popolare di Sondrio – Piazza Filattiera, 24 – 00139 ROMA intestato al Pontificio Ateneo Salesiano

IBAN: IT62 WO56 9603 2190 0000 1000 X18

(indicare con precisione il nome della/delle persone cui esso si riferisce e la causale del versamento: iscrizione Convegno IdR 24-25 marzo 2012)

Direttamente presso la Segreteria dell’Istituto di Catechetica all’atto dell’iscrizione.

Le iscrizioni al Corso devono pervenire via Fax o Mail entro il 28 febbraio 2012 alla Segreteria dell’Istituto di Catechetica, mediante

  • invio della scheda di iscrizione unitamente alla ricevuta comprovante il versamento della quota di iscrizione (55 Euro)
  • direttamente presso la Segreteria dell’Istituto di Catechetica all’Università Salesiana nei termini indicati
Soggiorno

È possibile ricevere ospitalità presso l’Istituto Salesiano S. Cuore (sede del Convegno), in Via Marsala 42, nei pressi della Stazione Termini.

Si dispone di circa 80 posti fra camere singole e multiple. Le camere singole sono in numero

limitato, perciò l’invito è di scegliere più possibile la sistemazione in camera multipla, indicando eventualmente il compagno/a di camera.

I prezzi sono i seguenti:

–          45 Euro a notte in camera singola

–          40 Euro a notte in camera doppia

–          35 Euro a notte in camera tripla

–          10 Euro ogni singolo pasto per coloro che pernottano

–          15 Euro ogni singolo pasto per coloro che non pernottano.

Nota Importante

Le camere e i pasti si devono prenotare direttamente presso l’ufficio Ospitalità dell’Istituto Sacro Cuore entro e non oltre il 23 febbraio 2012. Anche il pagamento deve essere realizzato presso Il Sacro Cuore.

Mail: sacrocuoreosp@tiscali.it

Tel. 06 49.27.22.88

Fax: 06 – 44.63.352

 

 

Iscrizioni e informazioni

Segreteria Istituto di Catechetica

Università Pontificia Salesiana

Piazza Ateneo Salesiano, 1

00139 ROMA

Tel 06 87290.651; 06 87290808

Fax 06 87290.354

e-mail: catechetica@unisal.it

orario di ufficio:

8-12 Martedì e Giovedì

 

 

SCHEDA DI ISCRIZIONE

 

 

COGNOME  e Nome________________________

 

Nato a______________________il____________

 

Indirizzo_________________________________

 

Tel. + e-mail

 

Grado Scolastico ………………………………

 

Sacerdote       religioso/a       laico  

 

        ha versato la quota di iscrizione di 55  Euro sul ccp 99941007 intestato al Pontificio Ateneo Salesiano, Piazza Ateneo Salesiano, 1 – 00139 ROMA

(indicare con precisione il nome della/delle persone cui esso si riferisce e la causale del versamento: iscrizione Convegno IdR 23-25 marzo 2008)

Sul conto corrente Banca Popolare di Sondrio – Piazza Filattiera, 24 – 00139 ROMA intestato al Pontificio Ateneo Salesiano: IBAN: IT62 WO56 9603 2190 0000 1000 X18

 

firma

 

data

Perché i giovani siano sentinelle dell’aurora

Brescia, 31 dicembre: Marcia della Pace


“Con quale atteggiamento guardare al nuovo anno? Nel Salmo 130 troviamo una bellissima immagine. Il Salmista dice che l’uomo di fede attende il Signore « più che le sentinelle l’aurora » (v. 6), lo attende con ferma speranza, perché sa che porterà luce, misericordia, salvezza. Vi invito a guardare il 2012 con questo atteggiamento fiducioso”.
Inizia con queste parole il Messaggio del Papa per la Giornata mondiale della pace del prossimo 1° gennaio. Benedetto XVI riconosce che “nell’anno che termina è cresciuto il senso di frustrazione per la crisi che sta assillando la società, il mondo del lavoro e l’economia; una crisi le cui radici sono anzitutto culturali e antropologiche”.
Ma se “sembra quasi che una coltre di oscurità sia scesa sul nostro tempo e non permetta di vedere con chiarezza la luce del giorno” – continua il Papa – “in questa oscurità il cuore dell’uomo non cessa tuttavia di attendere l’aurora di cui parla il Salmista. Tale attesa è particolarmente viva e visibile nei giovani, ed è per questo che il mio pensiero si rivolge a loro considerando il contributo che possono e debbono offrire alla società”.
I giovani sono i protagonisti della 44ª edizione della “Marcia della Pace”, che quest’anno si svolge a Brescia sabato 31 dicembre. A promuoverla, la Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace, Caritas Italiana e Pax-Christi Italia.
“La Marcia – spiega Mons. Angelo Casile, direttore dell’Ufficio Nazionale per i problemi sociali e il lavoro – è l’occasione per camminare insieme nella preghiera e nel digiuno, per offrire al Signore quanto di bene abbiamo potuto fare nell’anno trascorso e accogliere dalle Sue mani provvidenti il dono di un nuovo anno ricco di pace e di amore per ogni uomo”.
Il programma

L’appuntamento è fissato per le ore 17 del 31 dicembre nel parcheggio dell’IVECO (via Volturno, 62), dove alle 17.30 si svolgerà una preghiera ecumenica e interreligiosa presieduta da S.E. Mons. Giancarlo Bregantini, Vescovo di Campobasso – Bojano e Presidente della Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace, sul tema “Il lavoro, la persona, la pace”.
La marcia si sposterà poi presso la Basilica dei SS. Faustino e Giovita (via San Faustino, 74), dove S.E. Mons. Giovanni Giudici, Vescovo di Pavia e Presidente di Pax Christi Italia presiederà un momento di approfondimento sul tema “Educare alla giustizia e alla pace”.
Alle ore 20.20 è previsto un momento di silenzio e la deposizione di fiori presso la Stele dei Caduti in Piazza della Loggia. Alle 21, presso le Carceri di Canton Mombello, S.E. Mons. Giuseppe Merisi, Vescovo di Lodi e Presidente di Caritas Italiana, guiderà un momento di riflessione sul tema “Povertà e solidarietà”.
Alle 22.30,  presso la Collegiata dei SS. Nazaro e Celso, sarà celebrata una S. Messa presieduta da S.E. Mons. Luciano Monari, Vescovo di Brescia, e trasmessa in diretta su Tv2000.
Alle ore 23.30, infine, presso l’Oratorio dei SS. Nazaro e Celso è previsto un momento conviviale. Tutti i partecipanti sono invitati a vivere la Marcia nel digiuno e nella preghiera e ad offrire nella S. Messa il corrispettivo della cena a favore del Vol-Ca (Volontariato Carcere). Si possono trovare informazioni ulteriori visitando il sito internet

Festa della Santa Famiglia (anno B)

SANTA  FAMIGLIA

Lectio – Anno B

Prima lettura: Genesi 15,1-6; 21,1-3

 

In quei giorni, fu rivolta ad Abram, in visione, questa parola del Signore: «Non temere, Abram. Io sono il tuo scudo; la tua ricompensa sarà molto grande». Rispose Abram: «Signore Dio, che cosa mi darai? Io me ne vado senza figli e l’erede della mia casa è Elièzer di Damasco». Soggiunse Abram: «Ecco, a me non hai dato discendenza e un mio domestico sarà mio erede». Ed ecco, gli fu rivolta questa parola dal Signore: «Non sarà costui il tuo erede, ma uno nato da te sarà il tuo erede».  Poi lo condusse fuori e gli disse: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle» e soggiunse: «Tale sarà la tua discendenza».  Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia.  Il Signore visitò Sara, come aveva detto, e fece a Sara come aveva promesso. Sara concepì e partorì ad Abramo un figlio nella vecchiaia, nel tempo che Dio aveva fissato. Abramo chiamò Isacco il figlio che gli era nato, che Sara gli aveva partorito.

 

La prima lettura mostra come già l’AT aveva preparato una mentalità che il Vangelo ha poi sviluppato al massimo: i figli sono dono di Dio. Di conseguenza, i genitori devono conservare viva la coscienza che non sono loro proprietà, ma li hanno «in gestione». La vicenda di Gesù, dono di Dio a Maria per opera dello Spirito Santo e affidato alle cure di Giuseppe, ha un suo prologo nella storia di Abramo ed Isacco. Costui nasce in modo insolito, fuori cioè dalle normali leggi biologiche (Abramo e Sara sono anziani) e apparterrà a Dio in modo peculiare, quasi sottratto al padre che dovrà essere pronto a «restituirlo» a Dio, quando e come Egli vorrà. L’episodio del cap. 22, chiamato spesso Il sacrificio di Isacco, è prima di tutto il riconoscimento del primato di Dio: la vita è suo dono e gli appartiene, sempre e comunque. Sia Abramo, sia Isacco, sono pronti a riconoscere tale primato divino.

La prima lettura si colloca in questo contesto, anche se il suo raggio di azione è limitato a due punti: il credito dato da Abramo alla promessa divina, secondo cui un suo diretto erede sarà il primo anello di una lunga discendenza (15,1-6), e, secondo punto, la nascita di Isacco che conferma la validità della promessa (21,1-3). Il brano liturgico, composto dai due spezzoni appena individuati, si colora teologicamente, soprattutto dopo aver conosciuto la storia di Gesù.

La prima parte ribadisce da parte di Dio l’impegno, precedentemente preso (cf. Gn 12,2.7; 13,14-17), di assicurare al patriarca Abramo una numerosa discendenza. Data l’età di Abramo e della moglie, non è umanamente ipotizzabile un discendente diretto e si pensa quindi ad una linea «laterale». Dio corregge l’interpretazione di Abramo, troppo umana, e garantisce uno del suo sangue.

Dio è sempre al superlativo: la vita di cui lui è la fonte, sgorgherà in modo abbondante, affidata alla suggestiva immagine di una discendenza più numerosa delle stelle del cielo (cf. v. 5). Noi oggi siamo in grado di azzardare dei numeri, ovviamente molto approssimativi: nella nostra galassia sono presenti non meno di cento miliardi di stelle; nel firmamento, poi, sono presenti milioni di galassie… i numeri diventano veramente «astronomici». Ad occhio nudo, in buone condizioni, si arriva a contare circa seimila stelle… Gli antichi non erano informati come noi, usavano però l’espressione per indicare una quantità incommensurabile. La metafora, letta dalla prospettiva di Abramo, intende dire la quantità smisurata della sua discendenza, letta dalla prospettiva di Dio, lo rende veramente «signore della vita».

Abramo non dubita della promessa, non avanza sospetti o riserve. La sua incondizionata accoglienza, gli diventa titolo di credito per un rapporto preferenziale con Dio. È, in parte, quanto significa l’enigmatico, ma sostanzioso, detto del v. 6: «Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia». Paolo lo renderà il cuore della sua dottrina sulla giustificazione, com’è dato vedere in Gal 3,6 e soprattutto in Rm 4,3.

La seconda parte mostra la realizzazione della promessa divina. La Parola di Dio produce quanto annuncia, esattamente come la parola creatrice di Genesi, 1. L’espressione «Il Signore visitò Sarà» ribadisce, semmai sussistessero delle perplessità, che la nascita di Isacco è dono di Dio. A maggior ragione, Isacco gli appartiene. Lo si capirà meglio nella storia che segue, quando Dio avanzerà delle pretese che umanamente parlando, risultano illogiche e assurde. Ma anche in quel caso, a trionfare, sarà il concetto di un Dio, Signore della vita.

 

Seconda lettura: Ebrei 11,8.11-12.17-19

 

Fratelli, per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava. Per fede, anche Sara, sebbene fuori dell’età, ricevette la possibilità di diventare madre, perché ritenne degno di fede colui che glielo aveva promesso. Per questo da un uomo solo, e inoltre già segnato dalla morte, nacque una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia che si trova lungo la spiaggia del mare e non si può contare.

Per fede, Abramo, messo alla prova, offrì Isacco, e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unigenito figlio, del quale era stato detto: «Mediante Isacco avrai una tua discendenza». Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe anche come simbolo.

Un ulteriore apporto al tema familiare viene dalla Lettera agli Ebrei che al cap. 11 offre una lunga meditazione sulla fede, passando in rassegna quadri e personaggi della storia di Israele. È la fede l’elemento che determina l’essere e l’agire del vero fedele, prendendolo e penetrandolo tutto quanto.

Il nostro brano isola le due figure di Abramo e Sara, una coppia di sposi, chiamata a generare in modo del tutto speciale. Questo tema è stato scelto, perché, ovviamente, si iscrive bene nella festa liturgica odierna. È altresì una nuova, complementare visione, della tematica trattata nelle letture precedenti. Così i testi liturgici rispondono ad un tema organico ed unitario.

Si parte dalla chiamata di Abramo, elemento primitivo e fondante, che mostra un uomo disposto ad andare dove Dio vuole, ignaro della meta (v. 8). Poi il discorso si fa più preciso, parlando di Abramo e Sara come genitori: lo sono non per legge naturale, ma in base alla promessa divina, che permette una realizzazione superlativa: essi stanno all’origine di una moltitudine incommensurabile (vv. 11-12). È come riconoscere, che Dio è sempre «esagerato», mai uno «dalle mezze misure». Quando da lui sprizza la vita, questa diventa sorgente che zampilla in continuazione.

La vita di Isacco, sorta improvvisamente dalla misericordia di Dio, è chiesta da Dio stesso (vv. 17-19). Per due volte si dice che «Abramo offrì» la vita del figlio, per sottolineare la disponibilità del genitore a riconoscere la vera «paternità» di Isacco, quella divina. Potremmo azzardare il verbo «restituire»: Abramo è cosciente di non poter possedere il figlio Isacco come si possiede un oggetto, e quindi non ne vuole disporre a piacimento. Nel verbo «offrì» leggiamo tutta la disponibilità di Abramo a riconoscere la suprema e sovrana volontà divina.

L’anonimo Autore della Lettera fa compiere un progresso interpretativo al racconto di Gn 22, perché aggiunge, parlando di Abramo: «Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe anche come simbolo» (v. 19). Il testo biblico di Genesi è molto più laconico e non individua né, tanto meno, esplicita i sentimenti di Abramo. L’Autore di Ebrei, invece, nel suo contesto di presentazione della fede, non trova strano attribuire al patriarca tale convinzione, evidentemente evincendola dal suo atteggiamento di fede incondizionata, che lo porta a seguire in tutto la volontà divina, anche quando l’intelligenza umana o il comune buon senso suggerirebbero il contrario.

Così facendo, Abramo dimostra di non esercitare alcun possesso nei confronti del figlio, e, positivamente, di rispettare al massimo la volontà divina, anche quando il fiat può costare sangue che gronda dal cuore ferito di padre. Davvero una fede genuina, scintillante, che realizza quanto l’Autore aveva espresso all’inizio del capitolo: «La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono. Per mezzo di questa fede gli antichi ricevettero buona testimonianza» (11,1-2)

 

Vangelo: Luca 2,22-40


Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, [Maria e Giuseppe] portarono il bambino [Gesù] a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.

Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo: «Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele».

Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori». C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.

Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.

 

Esegesi

Nel contesto del Vangelo dell’infanzia, Luca ci regala questo stupendo quadro familiare: Giuseppe, Maria e Gesù. La cronaca di un fatto si riveste di smagliante colore teologico che impreziosisce e conferisce il massimo splendore all’evento. È l’occasione per parlare di Gesù che viene presentato al tempio. È lui il vero protagonista di questi fatti.

Egli è il centro letterario e teologico. Letterario perché un esplicito riferimento a Lui apre e chiude il brano: «Portarono il bambino a Gerusalemme» (v. 22); «Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui» (v. 40). Ma è anche il centro teologico, già emerso nelle due citazioni appena riportate: Egli è per la prima volta a Gerusalemme, la città che sarà, più tardi, testimone della sua morte e risurrezione. Inoltre, la conclusione allude alla sua pienezza di sapienza, nonché alla grazia con la quale egli mostra un’affinità singolare. E «grazia» richiama, lo sappiamo, un dono divino, anzi, qualcosa di esclusivamente divino.

All’inizio è ricordata la legge sui primogeniti: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» (v. 23: cf. Es 13,2.11). Siamo rimandati all’intervento liberatorio di Dio in Egitto al tempo dell’esodo. I primogeniti, a perenne riconoscenza di tale liberazione, diventavano come proprietà di Dio. Detto in linguaggio più teologico, gli erano consacrati. Per poter riappropriarsi del figlio, i genitori compivano un gesto ricco di simbolismo, offrendo qualcosa a Dio in cambio del figlio che riportavano a casa. L’offerta di Gesù era il primo atto che i genitori dovevano compiere. Doveva seguire il secondo, il riscatto, come prescrive Es 13,13. Questo non avviene o, per essere più precisi, non è detto esplicitamente dal testo.

Possiamo tentare di capire la portata teologica del fatto. Gesù, portato al tempio e qui consacrato a Dio, non può essere riscattato, perché è e rimane reale «proprietà» di Dio e non potrà mai essere proprietà dei suoi genitori. L’episodio di Gesù dodicenne che si ferma al tempio, dimostra che là Gesù si trova bene, a suo agio, nella casa di «suo padre».

D’altra parte, come poteva Luca presentare come riscatto (= redento) colui che è il Redentore (cf. v. 32) di Israele e che era venuto per «riscattare coloro che erano sotto la legge» (Gal 4,5)? Qui è il Gesù pasquale, morto e risorto, che emerge tra le righe. Se Gesù si sottomette in parte alla legislazione ebraica di cui è figlio, mostra anche di essere Signore della medesima.

Gesù non compie l’offerta di se stesso perché è piccolo e perciò sono necessari i genitori. Tale offerta la farà da sé, da adulto, sulla croce. Nel frattempo sono i genitori, nel ruolo di ministri, di vicari, a compiere tale gesto.

Simeone e Anna aiutano a penetrare nella comprensione profonda dell’evento. Le parole esplicite del primo e quelle implicite di Anna garantiscono al racconto un succoso significato teologico.

L’incontro con Simeone è registrato nei vv. 25-35. I pittori pongono di solito Simeone al centro della composizione e lo rappresentano, vecchio, nell’atto di offrire il bambino. Il testo evangelico non dice però che fu Simeone ad offrire il bambino, ma solo che «lo accolse tra le braccia» (v. 28). Chi presentò il bambino furono i genitori, come Luca mette ben in evidenza: «portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore» (v. 23). Simeone c’è, ma non è indispensabile per il fatto, sarà invece molto utile per il significato. Saranno le sue parole, in parte enigmatiche, a colorire in modo pasquale l’avvenimento.

Nell’abituale traduzione «Ora puoi lasciare» sembra quasi che Simeone chieda qualcosa. In realtà il verbo greco è all’indicativo e va quindi tradotto «ora tu stai sciogliendo». Nelle sue parole si coglie la gioia di aver contemplato una gloria che è destinata a tutti. È già un’anticipazione della pienezza cristiana dopo la risurrezione. Infatti il discorso di Simeone ha sempre come centro Gesù, chiamato «salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele». L’idea di salvezza e la prospettiva universale (tutti i popoli, le genti) non può che fare riferimento al mistero pasquale, al momento in cui tutti gli uomini indistintamente sono compresi nell’amore redentivo di Gesù.

Simeone con le sue parole profetiche sa cogliere la portata teologica, pasquale, del gesto. Così Maria e Giuseppe sono aiutati a entrare nel mistero di Gesù. Per questo il sentimento che li accompagna è la meraviglia per quello che si dice del bambino (cf. v. 33).

Infine compare anche Anna, una profetessa (vv. 36-38). Di lei l’evangelista offre alcuni particolari circa l’età, la sua condizione e soprattutto la sua presentazione di donna di fede che sa scorgere nel bambino molto più di quello che la vista permette. Infatti ella «si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme» (v. 38). Il termine «redenzione» (lytrosis) potrebbe suonare come semplice riscatto dalla schiavitù o dall’oppressione dello straniero, soprattutto nel contesto di una lettura veterotestamentaria (cf. l’uso del verbo sulla bocca dei discepoli di Emmaus, ancora irretiti in una logica nazionalista, Lc 24,21). Ma in contesto cristiano, la redenzione rimanda all’opera di Cristo morto per i peccati degli uomini. È un raggio di luce pasquale che si infila e trasfigura il significato.

Un’ulteriore conferma della lettura pasquale di questo brano viene dal riferimento di Simeone a Maria: Ella sarà attraversata dalla spada di dolore che è partecipazione alla passione del figlio. È Lui la persona determinante, colui che è causa di «caduta e la risurrezione» (v. 34). La madre che lo ha generato le sarà vicina sempre, anche nel momento del più buio dolore. Per questo potrà essere a pieno titolo Madre, Redemptoris Mater, madre del Cristo pasquale, cioè, quello morto e risorto per i peccati di tutti gli uomini.

Alla fine, la santa famiglia ritorna in Galilea, a Nazaret, quasi a riprendere i ruoli quotidiani, dopo l’esaltante esperienza nella città santa (vv. 39-40). Un misto di normalità e di straordinario conclude l’episodio. Gesù ritorna a Nazaret con Maria e Giuseppe, dopo aver ottemperato i dettami della Legge del Signore. C’è una fedeltà alla legge divina che vale come espressione di un’attenzione «scrupolosa» alla volontà divina. La crescita è umana e divina, grazie a quello sviluppo che interessa il corpo e lo spirito. Potremmo dire che Luca adotta un criterio di «straordinaria normalità» per parlare di Gesù. Non il miracolo facile, talora perfino «sciocco», dei testi apocrifi, non le manifestazioni di un enfant prodige, ma una normalità esteriore, con tocchi di straordinarietà interiore, è il messaggio sostanzioso che Luca lascia al lettore.

La santa famiglia è tutta qui: un rispetto reciproco, ognuno al proprio posto, nello svolgimento fedele del proprio ruolo, realizzando la propria vocazione e obbedendo nel massimo grado alla volontà divina.

 

Meditazione

Nel mistero dell’incarnazione il Figlio di Dio assume realmente la condizione umana, condividendone i ritmi di crescita nell’ordinarietà di una vita familiare, in una nascosta e poco rinomata borgata della Galilea: «Fecero ritorno … alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui» (Lc 1,39-40). Oltre a farsi obbediente alle dinamiche umane, Gesù entra nell’obbedienza alla Legge e alla tradizione religiosa del suo popolo. Maria e Giuseppe fanno tutto secondo la Legge di Mosè, come Luca ricorda con insistenza più volte (vv. 22.23.24.27.39).

La Legge è data da Dio perché il popolo possa custodire il dono dell’Alleanza. Osservando i suoi precetti, Israele cammina in quella libertà che Dio gli ha gratuitamente donato attraverso l’Esodo. L’atteggiamento del cuore che consente di vivere bene il rapporto con la Legge è la fede: attraverso l’obbedienza ai comandamenti il popolo di Dio non deve presumere di potersi salvare da solo, in forza della propria osservanza, ma può giungere a conoscere e a rimanere in una relazione fedele con Colui che lo ha liberato e continuerà a farlo.

La liturgia della Parola in questa festa insiste anzitutto nel mostrarci la fede di Abramo, al centro tanto della prima quanto della seconda lettura. Abramo crede e Dio glielo accredita come giustizia (cfr. Gen 15,6). È questa la prima volta che nella Genesi si parla della fede di Abramo. Finora egli ha ascoltato la parola di Dio, le ha obbedito, ora il suo cammino giunge a una nuova tappa: perviene a credere al Signore, o meglio, come si dovrebbe tradurre, «nel Signore». Abramo in questo momento accetta di camminare non solo verso una terra, ma verso un incontro personale con il Signore, un andare in lui. Entra nella relazione misteriosa con qualcuno che lo chiama, gli parla, lo guida, per poi dirgli: non devi avere altra garanzia che me, non devi avere altro desiderio che me, o meglio, potrai desiderare ogni altra cosa – una terra, un figlio, un erede – ma «in me». Abramo deve credere lasciandosi condurre fuori, nella notte, perché solo in questo modo potrà fare l’esperienza sorprendente di un cielo stellato che debolmente illumina le tenebre e permette un orientamento persino nel buio dell’incertezza. Solo chi sa rimanere nella notte può percepire la bellezza e la consolazione di un cielo stellato, offerto come segno della promessa di Dio. Abramo tuttavia non può contare le stelle: dovrà fidarsi del segno senza poterlo dominare o farne un suo possesso.

La lettera agli Ebrei ci ricorda fin dove giunge questa fede di Abramo: «Messo alla prova, offrì Isacco… il suo unigenito figlio… Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe anche come simbolo» (Eb 11,17-19). Nel momento in cui non lo trattiene per sé, come sua proprietà, ma lo ridona a Dio, davvero Abramo accoglie Isacco come dono, simbolo di quell’alleanza fedele e di quella promessa di Dio che lo vuole rendere non solo padre di Isacco, ma di una moltitudine incalcolabile di credenti. Abramo diviene ora padre nella fede e dalla sua discendenza nascerà Gesù, il vero Isacco di Dio, in cui tutte le promesse si compiono e la definitiva alleanza viene stipulata.      Offrendo il loro «maschio primogenito» al Signore nel tempio di Gerusalemme, Maria e Giuseppe non solo obbediscono alla Legge, ma più profondamente accolgono la stessa logica di Abramo, che è la logica della vera fede. Quello che anche per loro è stato il dono gratuito di Dio, anzi il dono per eccellenza – il dono che il Padre stesso fa del proprio Figlio unigenito – non lo trattengono per sé, lo ridonano al Signore, e in questo modo lo consegnano agli uomini tutti che attendono la salvezza. Luca nell’evangelo la definisce con i nomi tipici della tradizione biblica: «La consolazione di Israele» (v. 25) e la «redenzione di Gerusalemme» (v. 38). Il vecchio Simeone e la profetessa Anna sono i rappresentanti di questa umanità che attende consolazione, redenzione, salvezza e nella fede sa riconoscerla in questo neonato, condotto al tempio anch’egli sulle braccia della fede dei suoi genitori.

Insieme alla fede di Giuseppe e di Maria, di Simeone e di Anna, il racconto evangelico sottolinea la docilità allo Spirito Santo. Lo Spirito suscita il desiderio e sostiene l’attesa. Sia Simeone sia Anna sono anziani, al tramonto della loro vita, eppure sono rimasti abbastanza giovani da attendere ancora. Nella loro vita niente è stato tanto bello da riempirla completamente così da impedire loro di attendere; d’altra parte nulla è stato così doloroso da impedire di continuare a sperare. Hanno vissuto non accontentandosi di niente di meno del Signore e della sua consolazione.

In secondo luogo, lo Spirito aveva preannunciato a Simeone «che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore» (v. 26). Egli ha sempre creduto che la sua vita era stata fatta per essere salvata. Per lui la vita e la fede coincidono. Vivere significa vedere la salvezza del Signore. Non meno di questo. Allora tutta l’esistenza acquista senso se viene giocata in questa attesa. Perché non attendere la salvezza equivale a morire. Al contrario, vedere la salvezza non conduce alla morte, ma nella pace. Credere significa anche questo: sapere che nonostante tutte le difficoltà della vita, persino se, come accade ad Anna, ti muore un marito quando ti sei appena affacciata all’amore, nonostante tutto la vita è fatta per essere salvata. È fatta per vedere Dio. Null’altro che sia meno di Dio ne potrà placare il gemito o colmare la sete.

In questa festa la parola di Dio ci ricorda in questo modo almeno due tratti, tra molti altri, che possono rendere una famiglia luogo in cui crescere tutti, genitori e figli, nella sapienza e nella grazia: la fede che nutre l’attesa, la docilità allo Spirito che ne riconosce i segni.

 

Preghiere e Racconti

 

La santa Famiglia

Al centro di questa icona. Gesù è al tempo stesso punto focale e motivo di unione tra Maria e Giuseppe. Egli, seduto su un trono regale, è rivestito dell’abito che rivela la sua onnipotente e mite regalità; con un gesto ampio e carico di dolcezza, benedice i genitori e noi che contempliamo l’icona.

Sul capo del Figlio scende un raggio con la simbologia delle altre due Persone della divina Trinità: del Padre, a cui allude la mano creatrice, e dello Spirito Santo, nel simbolo della bianca colomba. Con il gesto indicativo delle mani, Maria e Giuseppe mostrano e porgono alla nostra fede la pienezza del Mistero della Santissima Trinità che dimora nella loro vita. Tale Mistero, che riempie e che dona armonia alla vita, è qui unito da un raggio di luce che raffigura il legame d’amore che ogni famiglia tenta di esprimere nell’umile quotidianità della vita e che la santa Famiglia di Nazaret ha vissuto in maniera compiuta.

 

E tu,

Madre,

cui era stata predetta una spada nell’anima,

ogni giorno trepidante

segui la vita di un figlio che non è tuo…

Non sono nostri i figli,

Maria!

Sono i figli e le figlie della vita.

Hanno un percorso da compiere,

una gioia da realizzare,

un amore da costruire.

Come frecce scoccate lontano

i nostri figli se ne vanno…

Custodiscili tu,

o Madre,

e prega

per tutti i figli e le figlie dell’umanità

lacerata da discordie

e violenze.

Consola il nostro cuore,

come il tuo attraversato da una spada,

e sia data a tutti

benedizione e pace.


Lo stupore del Natale di Cristo

Da duemila anni, credenti, atei, santi o peccatori, ci volgiamo all’umile giaciglio su cui riposa quel Bimbo, circondato dall’affetto premuroso di Maria e di Giuseppe e riscaldato da povera paglia, dal calore del bue e dell’asinello. Il mondo si ferma, almeno per qualche istante, e trattiene il respiro dinanzi al mistero del Presepe. Ma poi riprende il suo abituale cammino, la sua danza, la sua triste “via crucis” quotidiana. La cronaca non risparmia, neppure il 25 dicembre, violenza, conflitti e tensioni. Alla fragile tregua di un momento, subentra la realtà fatta di mille incertezze, di piccole o grandi angosce e dei soliti problemi, personali o sociali, da affrontare ogni giorno.

Noi, devoti di Maria Santissima, non possiamo accontentarci appena di una tappa fugace a Betlemme. Dalla Madre del Signore vorremmo piuttosto imparare a sostare lungamente, con il cuore, e trattenerci in adorazione dinanzi al miracolo di Gesù, vivo e presente in mezzo a noi. Non perché siamo “i primi della classe”. Anzi, proprio perché, immancabilmente, ci troviamo ancora tanto indietro, nelle retrovie – consci delle miserie che ci devastano e delle insufficienze che ci opprimono – vogliamo fermarci a pregare, a meditare, a contemplare quella povera mangiatoia, altare e trono per il Re dei Re, anticipo di quella Gloria che poi rifulgerà per sempre sulla Croce. Vogliamo, ancora una volta, apprendere la lezione della infinita tenerezza di Dio per l’uomo, della misericordia che si fa carne e della maestà eccelsa che saprà abbassarsi fino alla umiliazione del Golgota. Desideriamo lasciarci attraversare da quella grazia che, sola, ridona speranza e conforta, e infonde l’infantile entusiasmo di ripartire, ridando gusto e sapore alla vita.

Il vero Tempio, lo sappiamo, è Cristo stesso, la sua umanità, unico e autentico Santuario, ricolmo dello splendore della sua Divinità. Ma è anche il nostro cuore: il Signore cerca e predilige tale umilissima dimora. Lui, che il Cielo e l’Universo intero non possono contenere, proprio lì vuole penetrare, con la luce e con la forza del suo Amore. La “Terra Santa” è il nostro spirito, dove Dio eleva la sua tenda. Anche noi, allora, per vivere lo stupore del Natale, abbiamo da scacciare dal nostro Tempio ogni giorno qualcosa: la folla di pensieri inutili e di suggestioni, che distraggono e confondono, allontanandoci da Dio e rendendoci sempre più schiavi delle creature; l’egoismo, l’attaccamento a noi stessi, l’infedeltà, l’orgoglio, l’ipocrisia, l’impurità, la maldicenza. Quante terribili radici vanno strappate ancora; quanti ospiti indesiderati occorre spingere fuori, per liberare il campo e restituire, ai suoi “legittimi proprietari”, la nostra Casa! Abbiamo il dovere di custodirla e di adornarla con le opere buone “che dobbiamo e vogliamo fare”, come suggeriva il catechismo; abbiamo la responsabilità di renderla sempre più gradita al Signore e amabile agli occhi degli uomini.

Anche in questa epoca, devastata, sazia, incerta, ricca e disperata, il Regno di Dio continua a operare. Quel celeste Bambino sorride, anche oggi, nel cuore di chi vive nella sua Grazia. Dal Cielo continua a intercedere per noi presso il Padre ed effonde i suoi favori: come fece a Fatima, visibilmente, il 13 di ottobre del lontano 1917, quando la Sacra Famiglia levò la mano benedicente sul mondo.

San Paolo, nella lettera ai Galati (4,21 ss), parla di due donne, una schiava e l’altra libera. Di chi vogliamo essere figli? Paradossalmente, possiamo scegliere la nostra ascendenza, risalire ai nostri genitori. Figli della schiava, oppure della libera, cioè della Chiesa dei Santi e dei Martiri, degli educatori, dei missionari del Vangelo, degli eroi della carità. Di peccatori, certo, ma fiduciosamente aperti alla Grazia, che oggi ancora ci è data.

Come è bella la Chiesa, quando è una vera “Casa di preghiera”! Come è bella la Chiesa, nel maestoso silenzio di arcate millenarie o nella multiforme assemblea che si raduna in festa, per celebrare i misteri della vita, della morte e della gloria del suo Signore! Come è bella la Chiesa, famiglia dei credenti, che professano la loro fede e sanno portare ancora al mondo la “santa poesia” del Natale e la luce del Cristo Risorto!

La nostra vera gloria è la povertà e la essenzialità di Betlemme, l’umiltà e il silenzio di Nazaret, il solenne trionfo della Croce. La vera gloria sono le nostre pene, offerte con amore; è la fatica di pregare, quando incombono lo scoraggiamento, la tiepidezza e la stanchezza. La vera gloria è la fatica di perdonare; la vera regalità è il dominio di se stessi, è servizio, è pazienza, è mitezza, è misericordia. Sia tutto questo – e tanto di più ancora – il Santo Natale del 2011.

Sia questo l’augurio più bello, sgorgato dal cuore in festa, perché abitato dalla Grazia. Sia questo il cammino che prosegue, ogni giorno, con fatica ma con santa pazienza e con cristiana speranza, sorretto dalla “compagnia” della Chiesa, dalla intercessione dei Santi, verso la Gerusalemme del Cielo.

(Tratto da Maria di Fatima, mensile del Movimento Famiglia del Cuore Immacolato di Maria).

 

La presentazione al Tempio

Certo le porte al vostro incedere

si sono aperte vibrando da sole

e strana luce si accese sugli archi:

il tempio stesso pareva più grande!

 

Quando si mise a cantare il vegliardo,

a salutare felice la vita,

la lunga vita che ardeva in attesa;

e anche la donna più annosa cantava!

 

Erano l’anima stessa di Sion

del giusto Israele mai stanco di attendere.

E lui beato che ha visto la luce

se pure in lotta già contro le tenebre.

 

Oh, le parole che disse, o Madre,

solo a te il profeta le disse!

Così ti chiese il cielo impaziente

pure la gioia di essergli madre.

 

Nemmeno tu puoi svelare, Maria,

cosa portavi nel puro tuo grembo:

or la Scrittura comincia a svelarsi

e a prender forma la storia del mondo.

(David Maria Turoldo)

 

 

I vostri figli

I vostri figli non sono i vostri figli.

Essi sono i figli e le figlie del desiderio che la vita ha di se stessa.

Essi arrivano grazie a voi, ma non da voi, e sebbene siano con voi, non vi appartengono affatto.

Potete donare loro il vostro amore, ma non i vostri pensieri.

Perché essi posseggono i loro pensieri.

Potete dare una casa ai loro corpi ma non alle loro anime, perché le loro anime hanno dimora nella casa del domani, che voi nemmeno in sogno potete visitare.

Potete sforzarvi di farvi simili a loro, ma non pretendete di renderli simili a voi.

Poiché la vita non va all’indietro né indugia su ciò che è stato.

(Kahlil Gibran)

 

* Per l’elaborazione della «lectio» di questa domenica, oltre al nostro materiale di archivio, ci siamo serviti di:

o serviti di:

– Temi di predicazione, Napoli, Editrice Domenicana Italiana, 2002-2003; 2005-2006.

G. TURANI, Avvento e natale 2011. Sarà chiamato Dio con noi. Sussidio liturgico-pastorale, San Paolo, 2011.

– Messalino festivo dell’Assemblea, Bologna, EDB, 2007.

– Eucaristia e Parola. Testi per le celebrazioni eucaristiche di Avvento e Natale, a cura di Enzo Bianchi et al., Milano, Vita e Pensiero, 2005.

– La Bibbia per la famiglia, a cura di G. Ravasi, Milano, San Paolo, 1998.

– J.B. METZ, Avvento-Natale, Brescia, Queriniana, 1974.

– E. BIANCHI, Le parole della spiritualità. Per un lessico della vita interiore, Milano, Rizzoli, 21999.

– T. BELLO, Avvento e Natale. Oltre il futuro, Padova, Messaggero, 2007.