III domenica lectio – Anno B
Prima lettura: Giona 3.1-5.10
Fu rivolta a Giona questa parola del Signore: «Alzati, va’ a Nìnive, la grande città, e annuncia loro quanto ti dico». Giona si alzò e andò a Nìnive secondo la parola del Si-gnore. Nìnive era una città molto grande, larga tre giornate di cammino. Giona comin-ciò a percorrere la città per un giorno di cammino e predicava: «Ancora quaranta giorni e Nìnive sarà distrutta». I cittadini di Nìnive credettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, grandi e piccoli. Dio vide le loro opere, che cioè si erano convertiti dal-la loro condotta malvagia, e Dio si ravvide riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece.
* Incontrare Dio e farlo incontrare anche agli altri è l’idea fondamentale della prima lettu-ra.
Senza addentrarci nel ginepraio dei problemi sollevati dal testo, consideriamo Giona un libro più da meditare che da studiare. Vogliamo solo ricordare che il libro, annoverato di solito tra i profeti, è collocato oggi da molti studiosi tra i libri didattici. Infatti, diversamen-te dagli altri testi profetici, non presenta una raccolta di oracoli, limitandosi a quello scarno annuncio: «Ancora 40 giorni e Ninive sarà distrutta» che rimangono le uniche parole del suo messaggio. L’assenza di oracoli è felicemente compensata dalla vita stessa del profeta che annuncia più con i fatti che con le parole, a tal punto da poter affermare che tutta la sua vi-cenda diventa epifania di Dio. L’insegnamento allora non sta tanto nelle parole, quanto piuttosto nella trama che rivela così il suo intento didattico. Il brano liturgico propone un profeta che ha già sperimentato sulla sua pelle il significa-to della conversione: non voleva recarsi a Ninive ad annunciare la salvezza ai pagani, ha voluto fare di testa sua. Si è ritrovato solo, in mezzo al mare, con l’unica possibilità: quella di morire annegato. L’amorosa provvidenza divina lo salva (è il significato del grosso pe-sce) e li riporta al punto di partenza. Troviamo ora Giona in seconda edizione, riveduta e migliorata. Di nuovo gli è rivolto l’invito del Signore che lo invia a Ninive con un ultimatum; « Ancora 40 giorni e Ninive sarà distrutta » (v. 4). Il numero 40 indica un tempo opportuno per fare qualcosa e prendere de-cisioni, indica un’occasione decisiva e forse irripetibile. È il momento di grazia per i Nini-viti. Di fatto costoro accolgono l’occasione e, sebbene pagani, acconsentono al Dio di Giona con un’adesione plebiscitaria che interessa re e animali, due estremi per indicare tutti. Il brano liturgico salta i vv. 6-9 che mostrano l’itinerario di conversione dei Niniviti. La conclusione del v. 10 sottolinea: — Dio si qualifica come Dio della vita perché vuole la salvezza di ogni uomo e di tutti gli uomini (universalismo). — Dio si serve degli uomini per operare i suoi prodigi (collaborazione): Dio ha voluto aver bisogno degli uomini. Finché Giona privatizzava la sua vita, lontano da Dio, non solo non poteva essere utile agli altri, ma neppure realizzava la propria persona. Aderendo al programma divino, da una parte Giona realizza se stesso perché fa il profeta e dall’altra diviene elemento e tramite di salvezza per gli altri. Così è ciascun uomo quando accetta di far parte dell’organigramma divino. A questo punto parrebbe di poter concludere il libro di Giona, visto che la sua missione ha avuto successo, convertendo prima se stesso e poi i Niniviti. Ma terminando così, sem-brerebbe che la conversione sia un tornare indietro una volta sola, il lasciarsi convincere da Dio una volta per tutte. Il che non è proprio vero. Lo ricorda il capitolo che segue: la con-versione è un’opera continua. Lo afferma, per aliam viam anche la seconda lettura.
Seconda lettura: 1Corinti 7,29-31
Questo vi dico, fratelli: il tempo si è fatto breve; d’ora innanzi, quelli che hanno mo-glie, vivano come se non l’avessero; quelli che piangono, come se non piangessero; quelli che gioiscono, come se non gioissero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano i beni del mondo, come se non li usassero pienamente: passa infatti la figura di questo mondo!
* La conversione è uno stato di premurosa e amorosa attenzione alla volontà di Dio, un impegno a sintonizzare sempre più e sempre meglio la propria vita alle esigenze del Re-gno di Dio. Ogni attaccamento morboso viene bocciato, così come risulta un perditempo ogni cocciutaggine a perpetuare ciò che è effimero. Potrebbe essere questa una chiave di lettura del minuscolo brano liturgico proposto come seconda lettura. A partire dal cap. 7 della prima lettera ai Corinti, Paolo, apostolo e catecheta, risponde ai quesiti che la comunità gli aveva sottoposto. Il primo di essi trattava del matrimonio e della verginità. Paolo ribadisce il valore del matrimonio (forse contro tendenze che lo sva-lutavano) anche se la verginità sembra rispondere ad un ideale maggiore (cf. v. 7). La cosa più importante, al di là di possibili gerarchie, consiste nel rispondere alla vocazione del Si-gnore (cf. v. 17 ss.). Il brano liturgico è racchiuso tra due affermazioni di transitorietà: «il tempo si è fatto bre-ve» e «passa infatti la figura di questo mondo!». All’interno sono elencate alcune situazioni e il loro contrario (aver moglie / non aver moglie; piangere / non piangere…). Paolo non intende fare previsioni cronologiche, quando afferma che il tempo è breve. Egli ha di mira il Signore morto e risorto che ha dato avvio ad una situazione nuova e de-finitiva: siamo ormai nel tempo finale, quello definitivo. In altre parole, non c’è da aspet-tarsi nulla di nuovo perché la vera novità, quella definitiva, è Lui, il Signore risorto. Se siamo alla svolta finale, significa che la realtà prende senso e colore solo alla luce di Cristo risorto. Viene tolto il plusvalore che normalmente viene attribuito alle situazioni (sposarsi, piangere, possedere), soprattutto se considerate solo nel loro aspetto esteriore (possibile traduzione del greco schema, reso in italiano con «scena», v. 31). Ciò che rimane, oltre il tempo, è l’attaccamento a Cristo Signore, la configurazione a Lui nel mistero pasquale. Il brano è quindi una calda esortazione a orientare tutto e a orientarsi definitivamente verso Lui. Anche questo è conversione. Paolo ha il merito di averci insegnato un altro aspetto del mai esaurito tema della conversione.
Vangelo: Marco 1,14-20
Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo». Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». E subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro pa-dre Zebedèo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui.
Esegesi
Le letture bibliche della presente domenica sono caratterizzate dalla duplice nota: la conversione è accoglienza dell’invito divino al rinnovamento; tale rinnovamento porta però sulla strada della solidarietà: alcuni annunciano ad altri la loro esperienza di salvezza, per-ché tutti ne possono beneficiare. C’è lievitazione per tutti. La preziosità del brano evangelico poggia sul duplice motivo di novità: incontriamo le prime parole di Gesù riportate dal Vangelo secondo Marco (vv. 14 -15), cui segue la prima azione di Gesù, quella di convocare alcune persone, introducendole al suo seguito, con lo scopo di allargare la cerchia con nuove persone, per la costruzione di una nuova famiglia,quella della Chiesa (vv. 16-20). 1. Quando Gesù incomincia a parlare, fa riferimento a qualcosa che si è concluso e, più ancora, ad una novità che irrompe nella storia e alla quale bisogna prepararsi. Tutto que-sto è espresso con la categoria a noi nota anche se non sempre molto familiare, come «re-gno di Dio». Si tratta di un tema centrale che il novello predicatore propone subito al suo uditorio. Ma è pure una chiave interpretativa per aprire in parte il mistero della sua per-sona. Egli, certamente «rabbi» e pure «profeta» come lo chiama la gente (cf Mc 6,14s; 8,28), si definisce piuttosto come l’annunciatore del Regno, colui che con la parola dice che il Re-gno è presente e con la sua azione lo visibilizza. Mc 1,15, diventa sotto questo aspetto par-ticolarmente illuminante. Mediante le coordinate spazio-temporali l’annuncio di Gesù viene situato in un contesto geografico ben preciso, la Galilea, e in un contesto storico definito, l’arresto del Battista, il quale, in veste di precursore, era stato l’ultima voce autorevole capace di invitare gli uo-mini ad un rinnovamento, espresso esternamente con l’abluzione battesimale. Spentasi questa voce profetica, ben si può dire: «II tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino, convertitevi e credete al vangelo». Numerosi commentatori sono concordi nel leggere in queste parole la visione riassunti-va del pensiero di Gesù, non necessariamente la citazione ad litteram delle sue parole. È certo comunque che esse segnano il trapasso da un’epoca ad un’altra, da un atteggiamento di fiduciosa attesa ad uno di imminente realizzazione. Infatti nel dire «il tempo è compiu-to» si capisce che un processo è arrivato al suo termine dopo uno sviluppo più o meno lungo. Nel linguaggio di Mc l’espressione fa riferimento al tempo preparatorio dell’A.T. e presuppone la conoscenza delle varie tappe del piano divino, collegate tra loro da quella continuità che in Dio è semplice unità, nell’uomo è progressiva rivelazione. Solo Gesù, pienezza della rivelazione, può dire che il tempo preparatorio è giunto al suo termine e so-lo dopo la Pasqua, pienezza della manifestazione di Gesù, la comunità dei credenti può aderire alla verità secondo cui lui, figlio dell’uomo e figlio di Dio, da inizio ad un’epoca nuova. Questo tempo allora non è un chronos ma un kairos, vale a dire, non una successione di attimi fuggenti qualitativamente simili ad altri, bensì un’occasione unica da vivere ora nel-la sua interezza ed esclusività, perché questo tempo che «è compiuto» (al perfetto in greco per indicare un’azione del passato ma con effetti presenti) è la porta di accesso alla situa-zione nuova, che Paolo chiama «pienezza dei tempi» (Gal 4,4) e che Marco riconosce nella presenza del Regno di Dio. Infatti il verbo greco enghiken si può tradurre tanto «è vicino», «è arrivato», quanto «è giunto», «è presente». La venuta del Regno di Dio deve essere veramente qualcosa di straordinario se esige un cambiamento radicale espresso dall’imperativo «convertitevi» che unito al seguente «cre-dete al vangelo» indica che passato e presente non si possono mescolare; lo conferma lin-guisticamente il termine greco «metanoia» che allude ad un cambiamento di mentalità (nous = mente), corrispondente all’ebraico shub che esprime il ritorno da una strada sba-gliata, ovviamente per imboccare quella giusta. Bisogna cambiare o ritornare per aderire con cuore nuovo al «vangelo». 2. Alle prime parole di Gesù segue la prima azione. Anch’essa merita attenzione, pro-prio per capire le intenzioni di Gesù. La conversione appena annunciata ha bisogno di mediatori, di persone che abbiano sperimentato per prime che cosa significhi. Due coppie di fratelli, Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni, colti nella quotidianità del loro lavoro, sono chiamati ad un nuovo servizio. Non dovranno più interessarsi di pesci, ma di uomi-ni, non tirarli fuori dall’acqua, ma da una vita scialba e insulsa. Devono prospettare loro «il Regno» che è l’amorosa presenza di Dio nella storia, così come è dato percepirlo con la ve-nuta di Gesù. Con la chiamata dei primi discepoli alla sequela di Gesù, si pongono le basi della co-munità ecclesiale. Alcuni punti sono di grande attenzione: — Sono persone coinvolte nel Regno. Se l’annuncio del Regno è stata la ‘passione’ di Gesù, anche loro dovranno avere a cuore la diffusione del Regno. — Sono persone chiamate ad una vita di comunione, con Gesù prima di tutto e poi tra lo-ro. Esse non aderiscono ad un programma, ad un ‘manifesto’, ma ad una persona.— I chiamati, rispondono con un’adesione personale, pronta e totale. Si aderisce con tutta la vita e per sempre. Non sono ammessi lavoratori part time.— Il gruppo non ha nulla della setta. È vero che all’inizio sono solo quattro, ma poi diven-teranno dodici e tutti avranno come compito primario l’annuncio del Regno, la sua diffu-sione in mezzo agli uomini (cf. 6,6ss). Ciò vuol dire che la loro esperienza di incontro con il Signore e di vita con Lui diventa l’oggetto del loro annuncio. Andranno a presentare una persona, quella verso la quale vale la pena orientare tutta la propria vita. Sono dei ‘convertiti’ che avranno la passione di con-vertire altre persone. Per la stessa causa. Per il Regno. Perché Dio sia tutto in tutti.
Meditazione
Da questa domenica la liturgia ci fa ascoltare il Vangelo di Marco, il primo dei Vangeli. Marco a Roma raccolse la predicazione dell’aposto¬lo Pietro e, intorno all’anno 70, la ordinò nel suo Vangelo, che divenne poi di riferimento per i Vangeli di Matteo e Luca. Oggi ci viene propo¬sto l’inizio della vita pubblica di Gesù e le sue prime parole. Giovani Battista era stato arrestato da Erode e ucciso. Il Signore sente giunto il suo tempo, il tempo del re-gno di Dio, che egli è venuto ad inaugurare con la buona notizia, il vangelo di Dio. Anche il mondo di oggi ha biso¬gno di questa buona notizia in un tempo dove solo le cattive noti-zie fanno cronaca. Le parole di questa buona notizia sono semplici, piene di speranza, ma anche impegnative: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo».È giunto a compimento il tempo dell’attesa, quello preparato da Dio mediante i sapienti e i profeti di Israele, rappresentato da Giovanni Battista, l’ultimo dei profeti. Ora è il tempo del regno di Dio che pren¬de avvio con la vita e le opere del Signore Gesù. Gesù non co-mincia da Gerusalemme, la capitale della provincia romana di Giudea, ma dalla periferia, la Galilea, la più settentrionale delle tre regioni abitate dal popolo d’Israele. Ai tempi di Gesù la Galilea era diventata una regione malfamata a motivo di forti infiltrazioni pagane che contaminavano la purezza della fede e la correttezza dei riti ebraici. Terra anche di gente rivoltosa, mal sopportata dai romani, che allora governavano la Palestina. Ma Gesù, proprio da questa terra periferica e lontana dalla capitale, inizia la predicazione del Regno di Dio; qui raccoglie i primi seguaci e qui, da risorto, attenderà i discepoli per il «secondo» inizio della predicazione evangelica. Insomma, la Galilea sembra assurgere a terra simbo-lica per ogni missione evangelica. Si potrebbe dire che se c’è da scegliere un luogo da cui partire per annunciare il Vangelo, que¬sto dev’essere il luogo periferico, marginale, escluso, disprezzato, pove¬ro, che non conta nulla. Nella «Galilea delle genti» si sentì risuonare per la prima volta il Vangelo, la buona notizia. Qui, dove poveri, pagani ed emarginati, zelati rivoluzionari si mescolavano, Gesù cominciò a dire: «il tempo è compiuto», ossia sono fini-ti i giorni nei quali la violen¬za, l’odio, l’abbandono, l’ingiustizia e l’inimicizia hanno il so-pravvento, e sono iniziati gli ultimi tempi, quelli della vittoria di Dio sul demonio, del be-ne sul male, della vita sulla morte. La storia degli uomini subisce una svolta: «il Regno di Dio è vicino», annuncia Gesù.Il tempo di Dio irrompe nella vita degli uomini in modo inaspettato, mettendo in di-scussione le abitudini e i tempi consolidati di ciascuno. Questo inizio chiede una scelta in un mondo di uomini e donne trasci¬nati dal conformismo, in cui si ha paura di scegliere, di impegnarsi per qualcosa che non sia solo a proprio vantaggio. Due sono le richieste di questo inizio: «Convertitevi e credete nel Vangelo». La novità del Vangelo di Gesù inizia con una richiesta rivolta a ciascuno personal¬mente, che è anche il segreto rivoluzionario del cristianesimo. Per cambiare il mondo non si deve innanzitutto chiedere agli altri di cam¬biare, ma bisogna cominciare da se stessi. Conversione è infatti cambia¬mento di se stessi, del proprio cuore, dei sentimenti, dei pensieri, dell’agire. Insomma un vero sovver-timento di se stessi. Oggi è facile ed istintivo pretendere che gli altri cambino, ma Gesù lo chiede per prima cosa a ciascuno dei suoi discepoli. Solo così si può vivere da cristiani, al-trimenti si è come tutti, conformisti nel lamento e nella rassegnazio¬ne, senza sogni e senza visioni per sé e per il mondo. La conversione tuttavia non è un atto magico, ma una rispo-sta al Signore che parla agli uomini. Essa comincia quando si «crede al Vangelo», smetten-do di cre¬dere solo in se stessi. La fede nasce e cresce in una chiamata, come avvenne quel giorno sul lago di Galilea, quando Gesù incontrò Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni. Erano pescatori, un mestiere che per¬metteva una vita dignitosa. In ambedue le situazioni tutto comincia con il «vedere» di Gesù, come avevamo ascoltato già domenica nel Vangelo di Giovanni. Gesù «vede», non è distratto, si accorge di noi, ci guarda nella quotidianità delle diverse occupazioni, cogliendo il desiderio di una vita migliore. Non disprezza il la-voro di quegli uomini, ma rivolge loro un invito: «Venite dietro a me, vi farò diventare pe-scatori di uomi¬ni». «Venite dietro a me» è l’invito alla sequela, ad andare dietro a Gesù, non davanti. Davanti sta lui. Il discepolo lo segue per poter imi¬tarlo, essere come lui, smet-tere di fare il protagonista e il padrone della sua vita. Seguire Gesù è la vita del cristiano, per il quale non esiste un tempo di apprendimento dopo il quale si diventa maturi e si smette di seguire Gesù, perché si è diventati maestri. Chi non rimane discepolo per tutta la vita, sarà un pessimo maestro. Poi segue una promessa: «Vi farò diventare pescatori di uomini». Gesù vuole trasformare la vita di quei pescatori, e insegnerà loro un nuovo modo di lavorare, non solo per sé, bensì per gli altri. Il mondo ha bisogno di pescatori, di gente che nel mare cerca uomini e donne che si uniscano con loro a Gesù. È l’inizio della missio-ne. Fin dal primo momento il Signore mostra che chiamata e missione vanno di pari passo. Infatti non esiste cristiano autentico che non sia anche uno che comunica il Vangelo ricevu-to, come non esiste Chiesa se non missionaria.Lo possiamo capire bene dalla vicenda di Giona, profeta difficile che non accetta di buon grado la chiamata di Dio, anche perché lo voleva mandare a Ninive, la capitale di un grande impero, la grande nemica di Israele. Per questo era fuggito una prima volta, ma poi aveva accetta¬to di annunciare la Parola di Dio dopo essere stato salvato dall’abisso della morte. Il testo evidenzia la grandezza della città, che Giona cominciò a percorrere. La sor-presa fu grande: non era ancora arrivato a percorrerne la metà, che già i cittadini di Ninive «credettero a Dio» e si convertirono. Avevano ascoltato la parola di Dio proclamata da Giona e questo aveva cambiato il loro cuore. La parola di Dio compie il mira¬colo della conversione se viene ascoltata. E Dio mostra la sua grande misericordia davanti a un po-polo che ascolta. Erano lontani da Dio, erano nemici di Israele, eppure Dio si preoccupò di loro, perché Dio si accorge della forza del male e cerca uomini che possano essere suoi pro-feti, comunicare che è possibile cambiare, cessare di compiere il male ascoltando la parola di Dio e facendo il bene.«Il tempo si è fatto breve», dice Paolo ai cristiani di Corinto. «D’ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero; quel¬li che piangono, come se non piangesse-ro; quelli che gioiscono come se non gioissero; quelli che comprano come se non possedes-sero; quel¬li che usano i beni del mondo come se non li usassero pienamente; passa infatti la figura di questo mondo» (7, 29-31). Gli affetti, il pianto, il godere, il comprare, l’usare… spesso esauriscono le nostre giornate, la nostra mente, la nostra vita, a tal punto da rin-chiuderla come in una rete inestricabile. C’è come una corsa inarrestabile verso il vivere indi¬viduale, con il problema centrale dell’affermazione di sé, con il culto scatenato del proprio corpo, con la paura di invecchiare, di non preva¬lere… Dopo la fine delle ideologie e dei sogni sul mondo, sembra che l’unica vera passione sia l’amore per se stessi e l’unico vero oltranzismo sia l’individualismo. Il Signore viene dentro questa rete ingarbugliata che imprigiona, mortifica e intristisce con sempre più violenza la nostra vita per scioglierla e per allargarla. Gesù vuole ampliare il nostro cuore all’amore per tante altre persone, vuole che piangiamo non solo su noi stessi ma che ci uniamo semmai al pianto di coloro che so-no nell’affli¬zione, vuole che la gioia non sia riservata a pochi fortunati ma che tanti possa-no gioire, vuole che i beni di questo mondo non siano privilegio di alcuni, perché essi sono destinati da Dio a tutti. È quello che intuiro¬no i quattro discepoli, dopo aver ascoltato l’in-vito di Gesù. Il Vangelo è «la» parola sulla nostra vita: indica a ciascuno la sua vocazione, la sua strada, il suo cammino. Quei quattro, anche se non lo avevano capito appieno, si fi-darono di quella chiamata e, «subito, lasciarono le reti e lo seguirono». Il Regno di Dio ini-zia in questo modo, sulle rive del lago di Galilea. E continua lungo la storia con la stessa logica: la parola di Gesù, il Vangelo, percorre le rive delle tante Galilee di oggi cercando uomini e donne disponibili a diventare «pescatori di uomini».
* Per l’elaborazione della «lectio» di questa domenica, oltre al nostro materiale di archivio, ci siamo serviti di:
– Temi di predicazione, Napoli, Editrice Domenicana Italiana, 2002-2003; 2005-2006-.
– Comunità di S. Egidio, La Parola e la storia, Milano, Vita e Pensiero, 2011
– La Bibbia per la famiglia, a cura di G. Ravasi, Milano, San Paolo, 1998.