Seminiamo la speranza. Una catechesi con gli adulti

Riflessioni e schede per i gruppi

di Carmelo Sciuto

Il sussidio intende contribuire al rilancio della formazione degli adulti, così come è stato richiesto dagli Orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020 Educare alla vita buona del Vangelo e dal motu proprio Porta Fidei con il quale Benedetto XVI ha indetto l‘Anno della fede, con lo scopo di intensificare la riflessione sulla fede per aiutare tutti i credenti in Cristo a rendere più consapevole e a rinvigorire la loro adesione al Vangelo.

Il testo si propone di aiutare gli adulti a riappropriarsi del dono della loro fede per poterla adeguatamente trasmettere, anche attraverso l’approfondimento diretto dei temi tratti dal Catechismo della Chiesa Cattolica, accompagnato dal Catechismo CEI degli adulti la Verità vi farà liberi e dalle quattro grandi costituzioni del Concilio Vaticano II, di cui celebriamo il cinquantesimo anniversario dall’apertura.

Il tutto, in un orizzonte di speranza: in un tempo di incertezze e di preoccupazioni come il nostro, infatti, il cristiano è chiamato a riscoprire nel Cristo risorto la sorgente della propria “grande speranza” che riassume in sè tutte le piccole speranze quotidiane.

L’itinerario proposto in questo sussidio intende proprio condurre l’adulto a ri-partire nell’avventura della fede cristiana da questa speranza affidabile, che chiede di essere seminata abbondantemente nei solchi dei nostri ambiti di vita quotidiana.



XIII DOMENICA TEMPO ORDINARIO Lectio-Anno B

Prima lettura: Sapienza 1,13-15;2,23-24

Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi. Egli infatti ha creato tutte le cose perché esistano; le creature del mondo sono portatrici di salvezza, in esse non c’è veleno di morte, né il regno dei morti è sulla terra. La giustizia infatti è immortale. Sì, Dio ha creato l’uomo per l’incorruttibilità, lo ha fatto immagine della propria natura. Ma per l’invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo e ne fanno esperienza coloro che le appartengono.

Un Gesù sinceramente turbato dalla morte, specialmente dei piccoli e degli innocenti, ci suggerisce l’immagine vera di Dio Padre, anch’egli non contento della soggezione dell’uomo alla morte. Tale percezione, che ci fa accorgere che Dio è molto più solidale con noi di quanto si possa immaginare, viene ripresa con parole intense dall’autore del libro della Sapienza, il quale, alludendo in maniera più o meno esplicita ai primi tre capitoli della Genesi, si esprime così: «Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi. Egli infatti ha creato tutte le cose perché esistano; le creature del mondo sono portatrici di salvezza, in esse non c’è veleno di morte, né il regno dei morti è sulla terra. La giustizia infatti è immortale» (1,13-15).

Occorre però chiarire che l’autore di Sapienza non intende la morte puramente in senso biologico, bensì soprattutto in senso «escatologico». La morte biologica non dipende infatti da una nostra scelta. Eppure essa può segnare la completa disfatta dell’esistenza qualora la si accompagni alla «rovina», o meglio, alla perdizione, che si rivela quale diretta conseguenza di errate scelte morali: «Non provocate la morte con gli errori della vostra vita, non attiratevi la rovina con le opere delle vostre mani» (1,12). Dio, dunque, ha creato tutto per il bene, come il racconto sacerdotale della creazione ci ricorda (Gen 1,31: «Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona»); suo obiettivo era l’affermazione della vita, dell’armonia, del benessere, perché tutto era orientato positivamente alla salvezza, come la frase «le creature del mondo sono portatrici di salvezza, in esse non c’è veleno di morte» testimonia. Alla stessa umanità egli ha voluto dare piena fiducia e libertà, infatti era essa a governare, mentre il regno della morte non aveva alcun diritto di cittadinanza (2,23: «Sì, Dio ha creato l’uomo per l’incorruttibilità, lo ha fatto immagine della propria natura»).

Purtroppo, «la morte è entrata nel mondo e ne fanno esperienza coloro che le appartengono» (2,24): il diavolo, quindi, invidioso di un uomo reso da Dio immortale (ossia sempre in comunione con Dio), suo luogotenente sulla terra e felice, cerca il modo di introdurre un «cuneo» di separazione, agendo ovviamente sulla parte più debole, che è appunto l’uomo. A quest’ultimo è però possibile sottrarsi alla morte «seconda», come direbbe Francesco d’Assisi, testimoniando nella propria esistenza la vicinanza a Dio con l’operare la giustizia e il bene.

Seconda lettura: 2 Corinzi 8,7.9.13-15

Fratelli, come siete ricchi in ogni cosa, nella fede, nella parola, nella conoscenza, in ogni zelo e nella carità che vi abbiamo insegnato, così siate larghi anche in quest’opera generosa. Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà.
Non si tratta di mettere in difficoltà voi per sollevare gli altri, ma che vi sia uguaglianza. Per il momento la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza, e vi sia uguaglianza, come sta scritto: «Colui che raccolse molto non abbondò e colui che raccolse poco non ebbe di meno».

Il brano paolino è, invece, un forte invito alla solidarietà e alla generosità, sulla scorta dell’esempio del Maestro Gesù Cristo: «come siete ricchi in ogni cosa, nella fede, nella parola, nella conoscenza, in ogni zelo e nella carità che vi abbiamo insegnato, così siate larghi anche in quest’opera generosa. Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà» (8,7.9). Paolo, infatti, era impegnato a coinvolgere tutte le comunità ecclesiali da lui fondate in una colletta a favore della chiesa-madre di Gerusalemme, che versava in condizioni poco floride. Ai corinzi, probabilmente non molto propensi a collaborare nonostante la loro migliore situazione economica, viene ricordato con discrezione che persino chi è più povero di loro (ossia le comunità della Macedonia) ha insistito per partecipare. Colpisce, però, il profondo motivo della «ricchezza» di Cristo, che nella lettera ai Filippesi Paolo esprime così: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini» (2.5-7). In realtà. Gesù non si è mai risparmiato per coloro che Dio Padre gli ha affidato in quanto fratelli, poiché è stato generoso e disponibile durante la sua missione e, nel momento supremo della croce, ha rivelato la ricchezza della grazia, ossia l’incommensurabile abbondanza della salvezza ponendola a disposizione di chiunque creda, senza alcuna distinzione in base all’età, al censo, alla nazionalità.

Se quindi tale ricchezza costituisce una grazia per l’umanità, questa allora non si vede trattata in modo disuguale da Dio. Proprio per sottolineare l’«imparzialità» divina che non vuole creare sperequazioni, l’Apostolo richiama esplicitamente in 8,13-15 il caso della raccolta della manna nel deserto da parte degli ebrei: «Non si tratta di mettere in difficoltà voi per sollevare gli altri, ma che vi sia uguaglianza. Per il momento la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza, e vi sia uguaglianza, come sta scritto: “Colui che raccolse molto non abbondò e colui che raccolse poco non ebbe di meno”» (precisiamo che il testo prodotto da Paolo si trova in Es 16,18 secondo la versione greca dei Settanta).

Vangelo: Marco 5,21-43

In quel tempo, essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno. Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male. E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?”». Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male». Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.

Esegesi

A conclusione della giornata delle parabole (4,1-34), il vangelo di Marco ci presenta Gesù che prosegue la sua opera di formazione dei discepoli attraverso la realizzazione di miracoli. Il primo è quello della tempesta sedata, alla fine del quale i discepoli si chiedono chi sia realmente Gesù, che domina persino le forze della natura (cf. 4,41). Segue poi la liberazione dell’indemoniato di Gerasa (5,1-20) e, infine, il brano di questa domenica. Rientra nel piano di tale formazione anche la difficoltà e l’insuccesso: in 5,17, nonostante Gesù avesse guarito un pericoloso indemoniato, i Geraseni «si misero a pregarlo di andarsene dal loro territorio»; in 6,1-6 si riporta che Gesù, pur trovandosi a Nazaret, la propria patria, «non vi potè operare nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi ammalati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità».

I due “casi” che la liturgia oggi ci propone, invece, costituiscono un esempio positivo della stima e dell’attenzione di cui godeva Gesù in terra di Galilea. Infatti, partito dalla sponda gadarena del lago di Tiberiade, egli si vide immediatamente circondato da molta folla appena giunse sulle rive galilaiche. Qui incontrò un uomo molto autorevole, uno dei capi della sinagoga, di nome Giairo (che in ebraico significherebbe “l’illuminato”). Il vangelo ce lo presenta esplicitamente come un padre disperato: «E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giairo, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva» (5,22-23).

Possiamo immaginare la partecipazione emotiva di Gesù a questo dramma, al quale si associa la folla accompagnando fisicamente il Maestro e il padre. Al v. 25 si incastra un’altra storia, quella di una donna che ormai ha tentato in ogni modo, ma senza successo, di guarire dalla malattia che l’affliggeva: «Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando» (5,25-26). Il ragionamento della donna è lineare: il solo toccare Gesù può procurarmi la guarigione. Ed è ciò che avviene. Ci possiamo meravigliare del fatto che Gesù abbia quasi “preteso” che chi aveva ricevuto la guarigione testimo-niasse pubblicamente: non doveva egli avere fretta di recarsi a casa di Giairo? Eppure egli ha da dire qualcosa alla donna che ha nutrito una fede tanto grande: «E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male» (5,33-34).

Queste parole di sollievo e liberazione in fondo servono anche a Giairo, che a sua volta riceverà un segno ancora più strepitoso. Benché infatti fosse stato annunciato che la bambina era morta, «Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!» (5,36), perché ciò che costituisce la sorte irreparabile e irrimediabile per l’uomo, per il Figlio di Dio non è un ostacolo al dispiegamento della propria potenza. La bambina viene quindi risuscitata e, con grande senso di delicatezza umana e far certificare meglio la realtà della risurrezione. Gesù «raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare» (5,43).

In questi due segni emerge con chiarezza un elemento che potremmo definire “discriminante”, ossia la fede. In primo luogo la donna, la quale aveva ormai sperimentato ampiamente la limitatezza dei mezzi della scienza umana, incapace di guarirla ma non di impoverirla. Perciò, piena di speranza, ella fa quello che tanti altri malati prima di lei hanno fatto, secondo la stessa testimonianza di Marco: «Infatti ne aveva curati molti, così che quanti avevano qualche male gli si gettavano addosso per toccarlo» (Mc 3.10). La sua non è fiducia in eventuali virtù magiche detenute da Gesù, bensì vera e propria fede che addirittura suscita quel tremore tipico di chi ha compiuto una forte esperienza dell’ingresso di Dio nella sua vita. A Giairo, poi, viene chiesto qualcosa di autenticamente eroico: aver fede che Gesù è in grado di «risvegliare» sua figlia, per la quale era già pronto il funerale.

Gesù parla in realtà come figlio di Dio, per il quale la morte è solamente sonno; il suo scopo è rivelare ai genitori della fanciulla e ai tre apostoli, in quanto testimoni qualificati, che la mano potente di Dio, unita all’efficacia della sua parola, è in grado di restituire la vita. Perciò Gesù prende la fanciulla per mano e le dice «Talità kum», frase che i genitori suoi forse tante volte avranno adoperato per destare la propria figlia dal sonno. Quanta gioia avrà investito il cuore di Giairo e della moglie! Ma è lo sconcerto a prendere il sopravvento. Non è difficile da comprendere che anch’essi, «toccato con mano» l’intervento rivelatore e salvatore di Dio nella propria vita, siano rimasti spiazzati. Come è suo solito nel vangelo di Marco, Gesù raccomanda vivamente di non far sapere niente ad alcuno, perché questo miracolo sarebbe frainteso al di fuori del contesto che gli è proprio: la rivelazione del Figlio di Dio sulla croce.

Meditazione

La vita! La vita risanata, risuscitata, esaltata. Dio ama e vuole la vita. Come recita la prima lettura, tratta dal libro della Sapienza, «Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi. Ha creato tutto per l’esistenza» (1,13-14). La vita: ecco il tema che prepotentemente emerge dalla liturgia della Parola odierna.

Nonostante le genealogie che Matteo (1,1-17) e Luca (3,23-38) riportano nei loro vangeli sembrino attribuire ai maschi la dimensione generativa, tutti sanno che è la donna a partorire. Il lungo brano evangelico, insolito per l’evangelista Marco che ci ha abituato a brevi schizzi vivaci, ci trasmette quest’oggi l’esperienza di due figure femminili: l’una fisicamente segnata dalla malattia proprio nella sua femminilità, l’altra ‘ritornata alla vita’ a dodici anni, età ‘ufficiale’ della maturità riproduttiva. Tre quadri: al centro, quasi pietra preziosa incastonata, la vicenda della donna emorroissa; ai bordi, in due tempi, la narrazione della risurrezione della figlia di Giairo.

Un primo elemento che stupisce nel nostro brano è la presenza della folla, avvolgente e pervasiva come un mantello: accompagna Gesù e i suoi discepoli nel tragitto verso la casa del capo della sinagoga, funge da inconsapevole schermo tra l’emorroissa e Gesù stesso, tenta di bloccare il cammino del maestro, ne irride le parole; non può che essere «cacciata fuori» (v. 40) ne deve essere messa a conoscenza (cfr. v. 43) di quanto successo all’interno della casa. Malgrado – o forse proprio grazie a questo tratto, per cui ognuno di noi può riconoscersi nei soggetti del racconto – delle due donne ‘protagoniste’ non venga riportato il nome, bisogna prendere posizione personalmente ed uscire allo scoperto (cfr. vv. 22-23.33), senza paura della propria storia e senza vergogna di Gesù. La relazione con il Signore non può mai essere anonima ed indistinta, non può accontentarsi di fare da spettatore esterno, dentro una folla: è chiamata ad una sequela consapevole, libera e matura.

Ma cosa può spingere una figura pubblica come Giairo ed una donna legalmente impura (cfr. Lv 15,25) a gettarsi a piedi di Gesù, dinanzi a tutti, se non un pericolo ‘mortale’, una situazione in cui la morte sta tentando di inghiottire la vita? Ne nasce allora una lotta tra la paura (cfr. vv. 33.36) e la fede, nella speranza che Gesù possa operare qualcosa e comprendere il dramma di chi lo supplica. Costoro chiedono una vicinanza ‘fisica’ ai loro cari o alla loro persona: «Vieni a imporle le mani» (v. 23), «Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello» (v. 28). La guarigione, e la salvezza che ne segue, in quanto riapre ad una relazione nuova con la vita, passa attraverso un contatto. Se questa dimensione è stata assunta con serietà dalla comunità dei discepoli attraverso le forme sacramentali, non deve essere intesa magicamente, superstiziosamente: l’incontro con Gesù è anche sempre mediato dalla parola, dallo sguardo ed è tra persone, non è incontro con un oggetto o un talismano!

Gesù cerca l’incontro personale ma non ha paura di agire e di compromettersi dinanzi a tutti. Se lascia fuori dalla casa di Giairo folla e parenti in trambusto per evitare ogni possibile spettacolarizzazione del suo operato, non si lascia distogliere dall’obiezione dei discepoli (cfr. v. 31) per porre invece dinanzi alla folla la donna che ha sentito «nel suo corpo che era stata guarita da quel male» (v. 29): vuole che tutti ne attestino la guarigione, così da reintrodurla nella comunità dei ‘viventi’! Ma la lotta tra la vita e la morte non lascia attimo di requie: per una figlia risanata e riconsegnata alla vita, un’altra muore a dodici anni (cfr. vv. 34-35). Non si è ancora avuto modo di rendersi conto della meraviglia operata che – sembra di sentire l’opprimente ed incalzante serie di sciagure riportate all’inizio del libro di Giobbe (cfr. 1,16-18) – subito subentra la temuta notizia della dipartita della figlioletta di Giairo. Se Gesù è riuscito a ridare all’emorroissa la capacità di generare vita, potrà fare qualcosa anche in questa situazione limite, disperata, dove la vita sembra aver capitolato per sempre? Qualcuno suggerisce addirittura di non disturbare ulteriormente Gesù… «Soltanto abbi fede!» (v. 36). Un gesto semplice e discreto, accompagnato dalla parola più importante di tutto il vocabolario cristiano – «Alzati!» (v. 41): è il verbo della risurrezione – producono il contatto vivificante anche con questa fanciulla, riportandola letteralmente in vita.

Stare lontani da Gesù apre la strada alla morte, toccarlo con la fede strappa da ogni vincolo di morte e sveglia la vita deposta in noi. Accogliamo la testimonianza di queste donne anonime che non si lasciano morire ma sperano in colui che è «venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10).

Preghiere e racconti

Che significato ha una malattia?

Sono molti i fattori che fanno ammalare gli alberi, ancora di più quelli che debilitano gli uomini.

Quando, in un albero, la malattia va troppo in là è difficile salvarlo: marciscono le radici, si gonfia il tronco, il ricambio si interrompe e le foglie cadono private della linfa.

Quando si ammala un uomo si pensa subito a un virus o a un batterio, che probabilmente c’è, ma nessuno si chiede da dove viene, come mai si e insinuato là dentro, perché proprio oggi e non un mese fa, in quella persona e non in quell’altra che magari era molto più esposta al rischio di un contagio? Perché, a parità di cure, uno guarisce e un altro soccombe?

Basta che un fulmine sfiori la corteccia di una quercia secolare per innescarne la distruzione, in quel varco si insinuano batteri, funghi e coleotteri destinati in breve a propagarsi a discapito della sua vita.

Gli alberi da frutto diventano fragili quando perdono la verticalità: un pino può crescere anche se è piegato dal vento ma non un albicocco: è la perpendicolarità perfetta al suolo a permettergli di vivere e fruttificare.

Per distruggere un uomo, per farlo ammalare, invece, cosa ci vuole? E per guarirlo? Che significato ha una malattia nel corso di una vita? Dannazione? sfortuna? o forse un’occasione improvvisa, un dono prezioso che il cielo ci offre?

(Susanna TAMARO, Ascolta la mia voce, Milano, Rizzoli, 2006, 129-130).

La vita umana, “prezioso scrigno da custodire e curare”

“[…] Oggi ci è data l’opportunità di riflettere sull’esperienza della malattia, del dolore, e più in generale sul senso della vita da realizzare pienamente anche quando è sofferente. Nel messaggio per l’odierna ricorrenza ho voluto porre in primo piano i bambini ammalati, che sono le creature più deboli e indifese. E’ vero! Se già si resta senza parole davanti a un adulto che soffre, che dire quando il male colpisce un piccolo innocente? Come percepire anche in situazioni così difficili l’amore misericordioso di Dio, che mai abbandona i suoi figli nella prova? Sono frequenti e talora inquietanti tali interrogativi, che in verità sul piano semplicemente umano non trovano adeguate risposte, poiché il dolore, la malattia e la morte restano, nel loro significato, insondabili per la nostra mente. Ci viene però in aiuto la luce della fede. La Parola di Dio ci svela che anche questi mali sono misteriosamente “abbracciati” dal disegno divino di salvezza; la fede ci aiuta a ritenere la vita umana bella e degna di essere vissuta in pienezza pur quando è fiaccata dal male. Dio ha creato l’uomo per la felicità e per la vita, mentre la malattia e la morte sono entrate nel mondo come conseguenza del peccato. Ma il Signore non ci ha abbandonati a noi stessi; Lui, il Padre della vita, è il medico per eccellenza dell’uomo e non cessa di chinarsi amorevolmente sull’umanità sofferente. Il Vangelo mostra Gesù che “scaccia gli spiriti con la sua parola e guarisce coloro che sono ammalati” (Mt 8, 16), indicando la strada della conversione e della fede come condizioni per ottenere la guarigione del corpo e dello spirito, è la guarigione voluta dal Signore sempre. È la guarigione, d’amore integrale, di corpo e anima, perciò scaccia gli spiriti con la parola. La sua parola è parola d’amore, parola purificatrice: scaccia gli spiriti del timore, della solitudine, dell’opposizione a Dio, perché così purifica la nostra anima e dà pace interiore. Così ci dà lo spirito dell’amore e la guarigione che comincia dall’interno. Ma Gesù non ha solo parlato: è Parola incarnata. Ha sofferto con noi, è morto. Con la sua passione e morte Egli ha assunto e trasformato fino in fondo la nostra debolezza. Ecco perché – secondo quanto ha scritto il Servo di Dio Giovanni Paolo II nella Lettera apostolica Salvifici doloris – “soffrire significa diventare particolarmente suscettibili, particolarmente aperti all’opera delle forze salvifiche di Dio, offerte all’umanità in Cristo” (n. 23).

Cari fratelli e sorelle, ci rendiamo conto sempre più che la vita dell’uomo non è un bene disponibile, ma un prezioso scrigno da custodire e curare con ogni attenzione possibile, dal momento del suo inizio fino al suo ultimo e naturale compimento. La vita è mistero che di per se stesso chiede responsabilità, amore, pazienza, carità, da parte di tutti e di ciascuno. Ancor più è necessario circondare di premure e rispetto chi è ammalato e sofferente. Questo non è sempre facile; sappiamo però dove poter attingere il coraggio e la pazienza per affrontare le vicissitudini dell’esistenza terrena, in particolare le malattie e ogni genere di sofferenza. Per noi cristiani è in Cristo che si trova la risposta all’enigma del dolore e della morte. La partecipazione alla Santa Messa, come voi avete appena fatto, ci immerge nel mistero della sua morte e della sua risurrezione. Ogni Celebrazione eucaristica è il memoriale perenne di Cristo crocifisso e risorto, che ha sconfitto il potere del male con l’onnipotenza del suo amore. E’ dunque alla “scuola” del Cristo eucaristico che ci è dato di imparare ad amare la vita sempre e ad accettare la nostra apparente impotenza davanti alla malattia e alla morte […]”.

(Benedetto XVI, Intervento in occasione della Giornata Mondiale del Malato, 11.02.2009).

Per Dio la morte è un sonno

Ogni testo del vangelo ci è molto utile sia per la vita presente che per la futura, ma il testo di oggi ancora di più perché contiene la totalità della nostra speranza e bandisce ogni motivo di disperazione. […] Ma parliamo del capo della sinagoga che, mentre conduce Cristo presso sua figlia, offre a una donna l’occasione di venire a Gesù. Così comincia la lettura di questo giorno: «Ecco che un capo si avvicinò, si prosternò davanti a Gesù dicendo: “Mia figlia è morta proprio ora; ma vieni, imponi la tua mano sopra di lei ed essa vivrà”» (Mt 9,18). Cristo conosceva l’avvenire e non ignorava che questa donna le sarebbe venuta incontro. È lei che farà capire al capo dei giudei che Dio non ha bisogno di spostarsi, che non è necessario mostrargli il cammino né sollecitare la sua presenza fisica. Bisogna credere, invece, che Dio è presente ovunque, con tutto il suo essere, sempre; e ancora che lui può fare tutto senza fatica, donando un ordine, che invia la sua potenza senza trasportarla, che mette in fuga la morte con un ordine senza muovere la mano, che rende la vita per sua decisione, senza far ricorso alla medicina.

«Mia figlia è morta proprio ora, ma vieni». Questo significa: «Il suo corpo conserva ancora il calore della vita, vi sono ancora dei segni della sua anima, il suo spirito non l’ha ancora lasciata. La famiglia ha ancora la figlia, il regno dei morti non la riconosce ancora come sua. Vieni presto a trattenere la sua anima pronta a partire».

Insensato! Non credeva che Cristo poteva resuscitare una morta, ma soltanto trattenerla. Così, come Cristo giunse nella casa e vide che la gente piangeva la fanciulla come una morta, volle condurre alla fede i loro cuori increduli e disse che la figlia del capo dormiva, non era morta poiché essi pensavano che risorgere dai morti non fosse più facile che levarsi dal sonno. «La fanciulla non è morta, ma dorme» (Mt 9,23). E, in verità, per Dio la morte è un sonno. […] Ascolta ciò che dice l’Apostolo: «All’istante, in un batter d’occhio i morti resusciteranno» (2Cor 15,52).

(PIETRO CRISOLOGO, Discorso 34,1.5, CCL 24, pp. 193.197-199).

Cerca qualcuno che ti faccia sorridere

Quando la porta della felicità si chiude,

un’altra si apre, ma tante volte guardiamo

così a lungo a quella chiusa,

che non vediamo quella che è stata aperta per noi.

Cerca qualcuno che ti faccia sorridere

perché ci vuole solo un sorriso

per far sembrare brillante una giornataccia.

Trova quello che fa sorridere il tuo cuore.

L’amore comincia con un sorriso.

Quando sei nato, piangevi

e tutti intorno a te sorridevano.

Vivi la vita in modo che quando morirai,

tu sia l’unico che sorride

e tutti intorno a te piangano.

(Paulo Coelho).

«Sei un pellegrino in viaggio, ma prova a goderti il viaggio»

Una mia ex-studentessa, una ragazza tranquilla e riservata, venne a trovarmi. Chiacchierammo per un po’, quindi le domandai se stava utilizzando il suo diploma di infermiera. «No», rispose. «Vede, sto morendo. Ho la leucemia e sono in fase terminale». Naturalmente, rimasi senza fiato. Quando mi ripresi dall’emozione, chiesi a Betty che cosa provasse: «Che cosa si prova a ventiquattro anni, quando pensi che hai davanti tutta la vita e all’improvviso ti metti a contare i giorni che ti restano?». Col suo solito atteggiamento riservato e sereno, mi rispose: «Forse non riuscirò a spiegarmi, ma questi sono i giorni più felici della mia vita. Quando pensi di avere tanti anni davanti è facile rimandare le cose. Uno dice a se stesso: «Mi fermerò e annuserò il profumo dei fiori la prossima primavera». Ma quando sai che i giorni della tua vita sono limitati, ti fermi ad annusare il profumo dei fiori e a sentire il calore dei raggi solari proprio oggi. A causa della malattia di cui soffro, ho subìto numerosi prelievi del midollo spinale. E’ un procedimento doloroso, ma il mio ragazzo mi stava vicino e mi teneva la mano. Credo che fossi più consapevole del conforto della sua mano nella mia che dell’ago inserito nel mio midollo spinale».

Parlammo a lungo della morte e delle prospettive che essa apre. Avevo sempre sentito dire che non si potrebbe vivere in pienezza se non si sapesse che la vita un giorno o l’altro finirà. Betty mi aiutò a capire questa verità. Adesso è morta, la leucemia se l’ è presa. Grazie a lei ho capito che è indispensabile godere di tutte le cose buone di questa vita. Era come se Dio mi stesse dicendo attraverso di lei: «Sei un pellegrino in viaggio, ma prova a goderti il viaggio».

(John Powell, Esercizi di felicità, Cantalupa, Effatà, 41997, 134-135).

La vita eterna  che cos’è?

«Forse oggi molte persone rifiutano la fede semplicemente perché la vita eterna non sembra loro una cosa desiderabile. Non vogliono affatto la vita eterna, ma quella presente, e la fede nella vita eterna sembra, per questo scopo, piuttosto un ostacolo.

Continuare a vivere in eterno  senza fine  appare più una condanna che un dono. La morte, certamente, si vorrebbe rimandare il più possibile. Ma vivere sempre, senza un termine –  questo, tutto sommato, può essere solo noioso e alla fine insopportabile.

È precisamente questo che, per esempio, dice il Padre della Chiesa Ambrogio nel discorso funebre per il fratello defunto Satiro: “È vero che la morte non faceva  parte della natura, ma fu resa realtà di natura; infatti Dio da principio non stabilì la morte, ma la diede quale rimedio […] A causa della trasgressione, la vita degli uomini cominciò ad essere miserevole nella fatica quotidiana e nel pianto insopportabile. Doveva essere posto un termine al male, affinché la morte restituisse ciò che la vita aveva perduto. L’immortalità è un peso piuttosto che un vantaggio, se non illumina la grazia”. Già prima Ambrogio aveva detto: “Non dev’essere pianta la morte, perché è causa di salvezza…”».

(BENEDETTO XVI, Spe Salvi, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2007, 24-25).

Signore, fa di me uno strumento della tua pace

Signore, fa di me uno strumento della tua pace,

dove c’ è l’odio che io porti l’amore,

dove c’è l’offesa che io porti il perdono,

dove c’ è la discordia che io porti l’unione,

dove c’ è l’errore che io porti la verità,

dove c’ è il dubbio che io porti la fede,

dove c’ è la disperazione che io porti la speranza,

dove c’ è il buio che io porti la luce,

dove c’ è la tristezza che io porti la gioia.

Fa’, o Signore, che io non cerchi tanto

di essere consolato quanto di consolare,

di essere compreso quanto di comprendere,

di essere amato quanto di amare.

Perché è dimenticando se stesso che ci si trova,

è morendo che si risuscita

alla vita eterna”.

(Preghiera Semplice, attribuita a S. Francesco).

* Per l’elaborazione della «lectio» di questa domenica, oltre al nostro materiale di archivio, ci siamo serviti di:

– Temi di predicazione, Napoli, Editrice Domenicana Italiana, 2002-2003; 2005-2006- .

La Bibbia per la famiglia, a cura di G. Ravasi, Milano, San Paolo, 1998.

———

COMUNITÀ DI S. EGIDIO, La Parola e la storia. Tempo ordinario. Parte prima, Milano, Vita e Pensiero, 2012.

COMUNITÀ MONASTICA SS. TRINITÀ DI DUMENZA, La voce, il volto, la casa e le strade, Milano, Vita e Pensiero, 2008-2009.

– J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret, Milano, Rizzoli, 2007.

– J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret. II: Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2011.

XIII DOM TEMP ORD ANNO B

“percorsi di vita”: un progetto dei salesiani contro l’esclusione sociale

Si è concluso sabato 23 giugno con il Convegno Incontro previsto alle ore 11.00 presso la Sala don bosco di Via Marsala 42 a Roma, il progetto Percorsi di Vita promosso dall’Associazione Nazionale CGS in partenariato con il TGS e la Fede-razione nazionale SCS, finanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (L. 383/2000 – Direttiva annualità 2010).

Il progetto ha offerto nel periodo 2011 – 2012 la possibilità a 12 realtà locali presenti sul territorio nazionale di misurarsi con il tema della povertà in una azione – intervento a favore dei minori. 

Il progetto “Percorsi di vita” nasce dalla domanda di percorsi di animazione culturale riferiti alla produzione audiovisiva, all’animazione di turismo sociale che facilitino l’acquisizione di abilità di affrancamento per cittadinanza attiva e che superino lo stato di “povertà” del mondo dell’adolescenza e dei giovani nella società contemporanea.
Si è articolato nella proposizione di esperienze di narrazione audiovisiva e di turismo sociale rivolte a quei ragazzi che vivono l’esperienza dell’esclusione sociale, e/o di migranti, che si aggregano nei gruppi informali, già rilevati dagli operatori e dagli animatori nelle articolazioni territoriali delle Associazioni Nazionali CGS e TGS.

Il Progetto è stato implementato in 8 regioni e 11 Comuni tra le quali 4 regioni e 5 comuni del Sud Italia. 
L’intervento ha avuto l’Obiettivo Generale di valorizzare l’esperienza aggregativa come fattore di superamento delle condizioni di povertà nelle quali vivono le giovani generazioni. Tale superamento è stato sperimentato attraverso i codici della comunicazione contemporanea (audiovisiva e digitale) e le attività proposte di turismo sociale. Oltre 180 i ragazzi che hanno partecipato al percorso. Oltre 2.000 coloro che hanno seguito la rassegna itinerante.

ATTIVITÀ PRINCIPALI
1.    formazione degli operatori coinvolti
2.    la rassegna cinematografica
KAKÀ SHIRIN, STUDENTE LAVORATORE di Beppe Gaudino, Isabella Sandri, PIAZZÀTI di Giorgio Di-ritti, YARAPA di Franck Provvedi
3.    i clip prodotti
IL BINARIO DELLA VITA e UNA SERATA TRANQUILLA CGS LIFE – Biancavilla (CT), IL CANCELLO CGS ATHENAS – Reggio Calabria, L’UOMO NERO CGS CASSIOPEA – Napoli, MIO POVERO DIARIO CGS DON BOSCO – Pomigliano d’Arco (NA), IL VOLANO CGS DORICO – Ancona, FILASTROKKA CGS CRISTALLO – Casale Monferrato (AL), L’ANIMA DI CRISTALLO CGS LA GIOSTRA – Cagliari, PERCORSI DI VITA CGS CLUB AMICI DEL CINEMA – Genova.

Il Progetto ha beneficiato di un finanziamento di 54.000€ con una partecipazione delle Associazioni CGS e TGS pari a 10.800€

Hanno partecipato  al Convegno-Incontro di fine progetto:
Candido COPPETELLI Presidente Nazionale CGS e Massimiliano SPEZZANO Presidente Nazionale TGS; presenteranno il percorso progettuale realizzato a livello nazionale. Andrea IACOMINI Portavoce UNICEF ITALIA, illustrerà l’ultimo Report Unicef sulla povertà tra i bambini e gli adolescenti in Italia. Ernesto G. LAURA Storico del Cinema, insieme a Gianluca ARNONE della Rivista del Cinematografo, esporranno un breve escursus sulla narrazione cinematografica che ha trattato il tema della povertà giovanile. I registi Beppe GAUDINO e Isabella SANDRI presenteranno l’esperienza di KAKÀ SHIRIN, STUDENTE LAVORATORE girato in Afganistan tra il 2003 ed il 2006.
Inoltre gli interventi di Natale Cennamo, Nadia Ciambrignoni, Ima Ganora, Giancarlo Giraud, Et-tore Grimaldi, Demetrio Labate, Federica Lippi, Mariarita Merola animatori e operatori culturali impegnati nel progetto.

“Valorizzare l’esperienza aggregativa come fattore di superamento delle condizioni di povertà nelle quali vivono le giovani generazioni”. Questi gli obiettivi del progetto “Percorsi di vita” promosso daiCircoli giovanili socioculturali dei salesiani (Cgs). I risultati del progetto saranno presentati domani a Roma durante un convegno. A 12 realtà locali presenti sul territorio nazionale il progetto ha offerto nel periodo 2011-2012 la possibilità di misurarsi con il tema della povertà in “un’azione-intervento a favore dei minori ed è nato – spiega Candido Coppetelli, presidente nazionale del Cgs – dalla domanda di percorsi di animazione culturale riferiti alla produzione audiovisiva, all’animazione di turismo sociale che facilitino l’acquisizione di abilità di affrancamento per cittadinanza attiva e che superino lo stato di ‘povertà’ del mondo dell’adolescenza e dei giovani nella società contemporanea”. Il progetto ha proposto esperienze di narrazione audiovisiva e di turismo sociale a quei ragazzi che vivono l’esperienza dell’esclusione sociale. Oltre 180 sono stati i ragazzi che hanno partecipato.(Sir)

Omelia del Papa per l’anno della fede

OMELIA DEL SANTO PADRE

Venerati Fratelli, 
cari fratelli e sorelle!

Con gioia celebro oggi la Santa Messa per voi, che siete impegnati in molte parti del mondo sulle frontiere della nuova evangelizzazione. Questa Liturgia è la conclusione dell’incontro che ieri vi ha chiamato a confrontarvi sugli ambiti di tale missione e ad ascoltare alcune significative testimonianze. Io stesso ho voluto presentarvi alcuni pensieri, mentre oggi spezzo per voi il pane della Parola e dell’Eucaristia, nella certezza –condivisa da tutti noi – che senza Cristo, Parola e Pane di vita, non possiamo fare nulla (cfr Gv 15,5).

Sono lieto che questo convegno si collochi nel contesto del mese di ottobre, proprio una settimana prima della Giornata Missionaria Mondiale: ciò richiama la giusta dimensione universale della nuova evangelizzazione, in armonia con quella della missione ad gentes.
Rivolgo un saluto cordiale a tutti voi, che avete accolto l’invito del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione. In particolare saluto e ringrazio il Presidente di questo Dicastero di recente istituzione, Mons. Salvatore Fisichella, e i suoi collaboratori.
Veniamo ora alle Letture bibliche, nelle quali oggi il Signore ci parla. La prima, tratta dal Secondo Isaia, ci dice che Dio è uno, è unico; non ci sono altri dèi all’infuori del Signore, e anche il potente Ciro, imperatore dei persiani, fa parte di un disegno più grande, che solo Dio conosce e porta avanti. Questa Lettura ci dà il senso teologico della storia: i rivolgimenti epocali, il succedersi delle grandi potenze stanno sotto il supremo dominio di Dio; nessun potere terreno può mettersi al suo posto. La teologia della storia è un aspetto importante, essenziale della nuova evangelizzazione, perché gli uomini del nostro tempo, dopo la nefasta stagione degli imperi totalitari del XX secolo, hanno bisogno di ritrovare uno sguardo complessivo sul mondo e sul tempo, uno sguardo veramente libero, pacifico, quello sguardo che il Concilio Vaticano II ha trasmesso nei suoi Documenti, e che i miei Predecessori, il Servo di Dio Paolo VI e il Beato Giovanni Paolo II, hanno illustrato con il loro Magistero.
La seconda Lettura è l’inizio della Prima Lettera ai Tessalonicesi, e già questo è molto suggestivo, perché si tratta della lettera più antica a noi pervenuta del più grande evangelizzatore di tutti i tempi, l’apostolo Paolo. Egli ci dice anzitutto che non si evangelizza in maniera isolata: anche lui infatti aveva come collaboratori Silvano e Timoteo (cfr 1 Ts 1,1), e molti altri. E subito aggiunge un’altra cosa molto importante: che l’annuncio dev’essere sempre preceduto, accompagnato e seguito dalla preghiera. Scrive infatti: “Rendiamo sempre grazie a Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere” (v. 2). L’Apostolo si dice poi ben consapevole del fatto che i membri della comunità non li ha scelti lui, ma Dio: “siete stati scelti da lui” – afferma (v. 4). Ogni missionario del Vangelo deve sempre tenere presente questa verità: è il Signore che tocca i cuori con la sua Parola e il suo Spirito, chiamando le persone alla fede e alla comunione nella Chiesa. Infine, Paolo ci lascia un insegnamento molto prezioso, tratto dalla sua esperienza. 

Egli scrive: “Il nostro Vangelo, infatti, non si diffuse tra voi soltanto per mezzo della parola, ma anche con la potenza dello Spirito Santo e con piena certezza” (v. 5). L’evangelizzazione, per essere efficace, ha bisogno della forza dello Spirito, che animi l’annuncio e infonda in chi lo porta quella “piena certezza” di cui parla l’Apostolo. Questo termine “certezza”, nell’originale greco, è pleroforìa: un vocabolo che non esprime tanto l’aspetto soggettivo, psicologico, quanto piuttosto la pienezza, la fedeltà, la completezza – in questo caso dell’annuncio di Cristo. Annuncio che, per essere compiuto e fedele, chiede di venire accompagnato da segni, da gesti, come la predicazione di Gesù. Parola, Spirito e certezza – così intesa – sono dunque inseparabili e concorrono a far sì che il messaggio evangelico si diffonda con efficacia.
Ci soffermiamo ora sul brano del Vangelo. Si tratta del testo sulla legittimità del tributo da pagare a Cesare, che contiene la celebre risposta di Gesù: “Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” (Mt 22,21). Ma, prima di giungere a questo punto, c’è un passaggio che si può riferire a quanti hanno la missione di evangelizzare. 

Infatti, gli interlocutori di Gesù – discepoli dei farisei ed erodiani – si rivolgono a Lui con un apprezzamento, dicendo: “Sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno” (v. 16). E’ proprio questa affermazione, seppure mossa da ipocrisia, che deve attirare la nostra attenzione. I discepoli dei farisei e gli erodiani non credono in ciò che dicono. Lo affermano solo come una captatio benevolentiae per farsi ascoltare, ma il loro cuore è ben lontano da quella verità; anzi, essi vogliono attirare Gesù in una trappola per poterlo accusare. Per noi, invece, quell’espressione è preziosa: Gesù, in effetti, è veritiero e insegna la via di Dio secondo verità. Egli stesso è questa “via di Dio”, che noi siamo chiamati a percorrere. Possiamo richiamare qui le parole di Gesù stesso, nel Vangelo di Giovanni: “Io sono la via, la verità e la vita” (14,6). E’ illuminante in proposito il commento di sant’Agostino: “Era necessario che Gesù dicesse: «Io sono la via, la verità e la vita», perché, una volta conosciuta la via, restava da conoscere la meta. La via conduceva alla verità, conduceva alla vita … E noi dove andiamo, se non a Lui? e per quale via camminiamo, se non attraverso di Lui?” (In Ioh 69, 2). I nuovi evangelizzatori sono chiamati a camminare per primi in questa Via che è Cristo, per far conoscere agli altri la bellezza del Vangelo che dona la vita. E su questa Via non si cammina da soli, ma in compagnia: un’esperienza di comunione e di fraternità che viene offerta a quanti incontriamo, per partecipare loro la nostra esperienza di Cristo e della sua Chiesa. Così, la testimonianza unita all’annuncio può aprire il cuore di quanti sono in ricerca della verità, affinché possano approdare al senso della propria vita.

Una breve riflessione anche sulla questione centrale del tributo a Cesare. Gesù risponde con un sorprendente realismo politico, collegato con il teocentrismo della tradizione profetica. Il tributo a Cesare va pagato, perché l’immagine sulla moneta è la sua; ma l’uomo, ogni uomo, porta in sé un’altra immagine, quella di Dio, e pertanto è a Lui, e a Lui solo, che ognuno è debitore della propria esistenza.

I Padri della Chiesa, prendendo spunto dal fatto che Gesù fa riferimento all’immagine dell’Imperatore impressa sulla moneta del tributo, hanno interpretato questo passo alla luce del concetto fondamentale di uomo immagine di Dio, contenuto nel primo capitolo del Libro della Genesi. Un Autore anonimo scrive: “L’immagine di Dio non è impressa sull’oro, ma sul genere umano. La moneta di Cesare è oro, quella di Dio è l’umanità … Pertanto da’ la tua ricchezza a Cesare, ma serba per Dio l’innocenza unica della tua coscienza, dove Dio è contemplato … Cesare, infatti, ha richiesto la sua immagine su ogni moneta, ma Dio ha scelto l’uomo, che egli ha creato, per riflettere la sua gloria” (Anonimo, Opera incompleta su Matteo, Omelia 42). E Sant’Agostino ha utilizzato più volte questo riferimento nelle sue omelie: “Se Cesare reclama la propria immagine impressa sulla moneta – afferma -, non esigerà Dio dall’uomo l’immagine divina scolpita in lui?” (En. in Ps., Salmo 94, 2). E ancora: “Come si ridà a Cesare la moneta, così si ridà a Dio l’anima illuminata e impressa dalla luce del suo volto … Cristo infatti abita nell’uomo interiore” (Ivi, Salmo 4, 8).

Questa parola di Gesù è ricca di contenuto antropologico, e non la si può ridurre al solo ambito politico. La Chiesa, pertanto, non si limita a ricordare agli uomini la giusta distinzione tra la sfera di autorità di Cesare e quella di Dio, tra l’ambito politico e quello religioso. La missione della Chiesa, come quella di Cristo, è essenzialmente parlare di Dio, fare memoria della sua sovranità, richiamare a tutti, specialmente ai cristiani che hanno smarrito la propria identità, il diritto di Dio su ciò che gli appartiene, cioè la nostra vita.

Proprio per dare rinnovato impulso alla missione di tutta la Chiesa di condurre gli uomini fuori dal deserto in cui spesso si trovano verso il luogo della vita, l’amicizia con Cristo che ci dona la vita in pienezza, vorrei annunciare in questa Celebrazione eucaristica che ho deciso di indire un “Anno della Fede”, che avrò modo di illustrare con un’apposita Lettera apostolica. Esso inizierà l’11 ottobre 2012, nel 50° anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, e terminerà il 24 novembre 2013, Solennità di Cristo Re dell’Universo. Sarà un momento di grazia e di impegno per una sempre più piena conversione a Dio, per rafforzare la nostra fede in Lui e per annunciarLo con gioia all’uomo del nostro tempo.

Cari fratelli e sorelle, voi siete tra i protagonisti dell’evangelizzazione nuova che la Chiesa ha intrapreso e porta avanti, non senza difficoltà, ma con lo stesso entusiasmo dei primi cristiani. In conclusione, faccio mie le espressioni dell’apostolo Paolo che abbiamo ascoltato: ringrazio Dio per tutti voi, e vi assicuro che vi porto nelle mie preghiere, memore del vostro impegno nella fede, della vostra operosità nella carità e della vostra costante speranza nel Signore nostro Gesù Cristo. La Vergine Maria, che non ebbe paura di rispondere “sì” alla Parola del Signore e, dopo averla concepita nel grembo, si mise in cammino piena di gioia e di speranza, sia sempre il vostro modello e la vostra guida. Imparate dalla Madre del Signore e Madre nostra ad essere umili e al tempo stesso coraggiosi; semplici e prudenti; miti e forti, non con la forza del mondo, ma con quella della verità
Amen.

Indizione dell’anno della fede. L’annuncio del Santo Padre

Il Papa, nella Messa per i nuovi evangelizzatori, nella Basilica Vaticana, ha indetto un Anno della Fede. Queste le sue parole:

“Proprio per dare rinnovato impulso alla missione di tutta la Chiesa di condurre gli uomini fuori dal deserto in cui spesso si trovano verso il luogo della vita, l’amicizia con Cristo che ci dona la vita in pienezza, vorrei annunciare in questa Celebrazione eucaristica che ho deciso di indire un “Anno della Fede”, che avrò modo di illustrare con un’appositaLettera apostolica. Esso inizierà l’11 ottobre 2012, nel 50° anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, e terminerà il 24 novembre 2013, Solennità di Cristo Re dell’Universo. Sarà un momento di grazia e di impegno per una sempre più piena conversione a Dio, per rafforzare la nostra fede in Lui e per annunciarLo con gioia all’uomo del nostro tempo”.

All’Angelus il Papa ha ribadito:

“Come già ho fatto poc’anzi durante l’omelia della Messa, approfitto volentieri di questa occasione per annunciare che ho deciso di indire uno speciale Anno della Fede, che avrà inizio l’11 ottobre 2012 – 50° anniversario dell’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II – e si concluderà il 24 novembre 2013, Solennità di Cristo Re dell’universo. 
Le motivazioni, le finalità e le linee direttrici di questo “Anno”, le ho esposte in una Lettera Apostolica che verrà pubblicata nei prossimi giorni. Il Servo di Dio Paolo VI indisse un analogo “Anno della fede” nel 1967, in occasione del diciannovesimo centenario del martirio degli Apostoli Pietro e Paolo, e in un periodo di grandi rivolgimenti culturali. Ritengo che, trascorso mezzo secolo dall’apertura del Concilio, legata alla felice memoria del Beato Giovanni XXIII, sia opportuno richiamare la bellezza e la centralità della fede, l’esigenza di rafforzarla e approfondirla a livello personale e comunitario, e farlo in prospettiva non tanto celebrativa, ma piuttosto missionaria, nella prospettiva, appunto, della missione ad gentes e della nuova evangelizzazione”
.

Parole del Papa alla preghiera dell’Angelus, 16 ottobre 2011 (Audio)

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Giovani e sport3. Le figure educative

 

Roma – Via Aurelia 468, 23 giugno 2012

La comunità cristiana offre il suo contributo e sollecita quello di tutti perché la società diventi sempre più terreno favorevole all’educazione. Favorendo condizioni e stili di vita sani e rispettosi dei valori, è possibile promuovere lo sviluppo integrale della persona, educare all’accoglienza dell’altro e al discernimento della verità, alla solidarietà e al senso della festa, alla sobrietà e alla custodia del creato, alla mondialità e alla pace, alla legalità, alla responsabilità etica nell’economia e all’uso saggio delle tecnologie.
Ciò richiede il coinvolgimento non solo dei genitori e degli insegnanti, ma anche degli uomini politici, degli imprenditori, degli artisti, degli sportivi, degli esperti della comunicazione e dello spettacolo.
(dagli Orientamenti pastorali dell’episcopato italiano per il decennio 2010-2020)
La partecipazione al Cantiere è gratuita.

Sono a perte le iscrizioni online
Bozza di Programma

 

 

Omelia Giornata Mondiale Migrazioni

La Liturgia della Parola di questa domenica presenta un tema centrale: la vocazione.

La Prima Lettura racconta la chiamata del giovane Samuele, che diventerà un grande profeta; il Vangelo, invece, narra la vocazione dei primi apostoli al seguito di Gesù.Si tratta di un argomento cruciale per chi si riconosce nel messaggio evangelico. Infatti, essere cristiani significa accordare la propria libera adesione ad un appello rivolto da Cristo Signore. Anche se nel linguaggio comune accostiamo la parola “vocazione” alla vita dei preti e delle suore, in realtà i testi biblici – soprattutto quelli paolini – indicano che essa riguarda ogni battezzato e abbraccia l’intero cammino verso la santità.Già nei primi racconti della Bibbia, Dio chiama l’umanità ad una relazione di amicizia. Questo rapporto assume connotazioni speciali nelle vicende di grandi uomini e donne della storia della salvezza. Abramo, Mosè, Maria la Madre del Signore sono solo alcuni esempi di personaggi illustri che vengono raggiunti da un particolare invito di Dio. Tale invito è sempre funzionale ad una missione importante e rischiosa, che spesso costringe anche a peregrinare in terre sconosciute, assai lontane dalle proprie sicurezze familiari. Percependo le difficoltà di questo incarico, non di rado, nella Bibbia, la persona chiamata è assalita dal timore e muove qualche iniziale obiezione. Ciò non impedisce però di sperimentare e ricordare la gioia e la dolcezza della predilezione, nonché la fedeltà di Dio che mai abbandona il suo eletto. L’assenso iniziale e la difficile sequela – in cui quell’assenso viene prolungato quotidianamente – terminano con il “sì” conclusivo della vita, quando, ricordando le tappe cruciali della vocazione, col linguaggio silenzioso della gratitudine, il chiamato diventa testimone, offrendo a tutti una garanzia: “se tornassi indietro, lo rifarei”. Così, ad esempio, Maria di Nazaret, dopo il consenso iniziale (Lc 1,38) – insolitamente gioioso, se messo a confronto con altre vocazioni bibliche – affronterà mille peripezie, fino a seguire il Figlio sotto la croce (Gv 19,25), per poi comparire, dopo la resurrezione, nel consesso degli apostoli (At 1,14), nel cuore della Chiesa.La vocazione di Samuele, narrata dalla Prima Lettura odierna, presenta alcune peculiarità. Questo ragazzo è stato concepito dai suoi genitori dopo una lunghissima e sofferta attesa. Sua madre, finalmente liberata dall’umiliazione della sterilità, lo ha offerto al Signore. Per questo, Samuele svolge il proprio servizio nel santuario di Dio, dove alloggia vicino alla cella del vecchio Eli, il sacerdote. Ancora inesperto nelle cose sante, Samuele non riconosce la chiamata che per tre volte Dio gli rivolge; la parola illuminante del sacerdote, però, lo aiuta a comprendere ciò che avviene ed a rispondere in modo adeguato: “Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta”. Da quel momento, Samuele non lasceràandare a vuoto nessuna delle parole di Dio, camminando fedelmente alla sua presenza. La sua apertura di cuore troverà eco nelle parole degli oranti della Bibbia, come nella preghiera dell’odierno Salmo Responsoriale: “Ecco, io vengo, Signore, per fare la tua volontà”.L’offerta dei genitori di Samuele è quindi accolta da Dio, che fa di questo giovanotto l’ultimo grande Giudice d’Israele. La direzione del sacerdote è però provvidenziale per il suo discernimento e per la sua adesione. Poi, una volta iniziata la sequela, la costante accoglienza della Parola sarà garanzia di perseveranza.Questa perseveranza si nutre anche delle indicazioni concrete offerte da Dio. Nella Seconda Lettura, San Paolo ricorda ai turbolenti cristiani di Corinto la necessità di mantenersi liberi dalla fornicazione. L’accoglienza della fede suscita ed esige una condotta morale conseguente; non si può avere Dio sulle labbra e abbandonarsi alle opere della carne. Ciò deturpa la vocazione del cristiano alla santità e può condurre all’annientamento spirituale.Un tono personale e persino struggente scorgiamo, infine, nella narrazione evangelica odierna. Andrea e Giovanni evangelista – che scrive sulla base dei ricordi più cari – sentono dire che Gesù è “l’Agnello di Dio”. A parlare è il loro maestro, il grande Giovanni Battista che, come ha fatto Eli con Samuele, tramite una parola illuminante, orienta questi suoi discepoli verso il Cristo di Dio. Comincia così la loro attività di ricerca: sembrano predatori a caccia del Tesoro. A Gesù, che non può non accogliere questo desiderio sincero, domandano: “Dove abiti?” (Gv 1,38); la risposta è un’offerta di amicizia: “Venite e vedrete”. Essi si fermano presso di lui. Deve essere stata un’esperienza indimenticabile, tant’è che l’evangelista annota: “Erano circa le quattro del pomeriggio” (Gv 1,40), come si fa sul taccuino dei propri momenti memorabili. Da quel momento comincerà un’altra ricerca, quella della retta sequela di questo Messia così diverso dagli schemi dominanti. Bisognerà vestire dietro a Lui i panni del viandante, per le strade della Galilea e della Giudea, ma anzitutto nei sentieri del proprio spirito, continuamente chiamato ad emigrare dalle proprie mediocri convinzioni e dai propri egoismi, per approdare nell’unica autentica via, verità e vita.Ma non finisce qui. Come i grandi maestri, anche i buoni amici e i parenti sinceri si dimostrano ottime segnaletiche verso la vera vita. Andrea, infatti, conduce a Gesù suo fratello Simone. Al Maestro basterà uno sguardo per imporre un nuovo nome al Pescatore di Galilea: Cefa, che vuol dire Pietro, la roccia su cui sarà edificata la Chiesa. L’incontro con la verità ri-definisce l’identità del chiamato, trasformandolo in qualcosa di grande, che mai avrebbe potuto immaginare o persino scegliere. È questa la vera identità di Pietro, quella offertagli dal Cristo. Qui c’è la sua grandezza e la sua felicità. L’alternativa conduce piuttosto alla tristezza del giovane ricco.Samuele, Andrea, Giovanni, Pietro: esempi diversi di vocazione. Ogni chiamata è differente, perchè Dio non crea cloni e non fabbrica prodotti in serie. Per ciascuno usa un linguaggio e modalità proprie, perchè di ciascuno ha fatto il cuore. A tutti, però, offre la stessa letizia, che non coincide con l’assenza di sofferenza, ma con l’impagabile gioia di dare tutto per amore.   (Mons. Carmelo Pellegrino) Preghiera dei fedeli.doc
Omelia vescovo Bassetti GMM.pdf

Migrazione e nuova evangelizzazione

Migrazioni e nuova evangelizzazione: questo il tema scelto dal Santo Padre Benedetto XVI per la 98a Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato che sarà celebrata domenica 15 gennaio 2012.

 

MESSAGGIO PER LA GIORNATA MONDIALE DEL MIGRANTE E DEL RIFUGIATO 2012

 

L’Italia ha vissuto lo scorso anno il drammatico esodo dal Nord Africa, che ha coinvolto, però, persone di diversi altri Paesi africani e asiatici. L’esperienza ha dimostrato la necessità di un piano europeo, oltre che nazionale, che garantisca l’esigibilità del diritto d’asilo, ma anche l’organicità di un’accoglienza che si trasformi in una forma di protezione internazionale.

L’Italia da Paese di passaggio per i rifugiati – che per tanti anni la Migrantes ha gestito con il Centro romano di Via delle Zoccolette – si è trasformato in Paese anche di residenza dei richiedenti asilo e rifugiati (oltre 50.000). Per questa ragione, la tutela dei richiedenti asilo e rifugiati non può essere legata alla provvisorietà dei proventi dell’8 per mille destinati dai cittadini allo Stato o alle risorse della Protezione civile nell’emergenza, ma deve prevedere un fondo strutturale che valorizzi anche, e in maniera sussidiaria, la rete dei servizi che il mondo ecclesiale, associativo, cooperativo e del volontariato ha creato in questi anni. Senza un piano, ogni sbarco rischia di diventare un’emergenza e non aiutare l’opinione pubblica a leggere correttamente un fenomeno, quello dei richiedenti asilo, generato da 23 guerre in atto nel mondo e dalle molte persecuzioni politiche e religiose che coinvolgono ancora purtroppo oltre il 70% della popolazione mondiale: in Mali come nel Sudan e in Nigeria, come dimostrano i fatti drammatici di questi giorni.La Migrantes, rinnovata nel suo Statuto dai Vescovi italiani, è chiamata ad essere in ogni regione e diocesi un luogo in cui la mobilità e le migrazioni, con le persone e famiglie diverse coinvolte (oltre gli immigrati e i rifugiati, gli emigrati, la gente dello spettacolo viaggiante, i rom e i sinti), siano riconosciuti come luoghi su cui ripensare la città e la comunità cristiana, le politiche e la pastorale.

ARTICOLI CORRELATI:

Una pastorale migratoria per una Chiesa “differente”

 

 

 

 

 

Mons. Giancarlo Perego, Direttore generale Migrantes

 

 

 

 

 

L’ urgenza di promuovere con nuova forza e rinnovate modalità l’evangelizzazione oggi è favorita dalle migrazioni, che “hanno abbattuto le frontiere” e favorito l’incontro. Questa coniugazione stretta tra migrazioni e nuova evangelizzazione è il tema centrale del Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2012.

 

 

 

 

 

S.E. Mons. Antonio Maria Vegliò Presidente Pontificio Consiglio Pastorale Migranti e Itineranti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

XIV Convegno Nazionale dei direttori degli uffici diocesani di pastorale sanitaria

Dal 18 al 20 giugno a Roma, presso il Centro Congressi di via Aurelia 796, si svolge il XIV Convegno Nazionale dei direttori degli uffici diocesani di pastorale sanitaria, sul tema: «Un nuovo paradigma per la sanità in Italia. La Chiesa a servizio del cambiamento».

Ha aperto i lavori il vescovo Mariano Crociata, Segretario Generale della CEI, che ha preceduto l’intervento del card. Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna, e di Renato Balduzzi, Ministro della Salute, su «Le priorità per il cambiamento in Italia».“Avevamo manifestato già da alcuni anni l’urgenza di una riforma del welfare nella direzione della tutela della dignità della persona umana, dell’equità e della sostenibilità – ha detto mons. Crociata –. A maggior ragione oggi, di fronte allo scenario di grave crisi economico-finanziaria che stiamo attraversando, rinnoviamo un appello alla società civile e alla politica, allo scopo di cogliere l’attuale contesto come opportunità per il rinnovamento, e non come la premessa per lo smantellamento di un sistema di garanzie per le persone più fragili e di un servizio essenziale al bene comune.”“Non possiamo non guardare con preoccupazione – ha proseguito il vescovo – alla diversa quantità e qualità dei servizi offerti da regione a regione, alla rottura dell’alleanza medico-paziente, con le ben note conseguenze di conflittualità e di medicina difensiva, alle prevedibili conseguenze di ulteriori tagli alla spesa sanitaria, se questi non saranno accompagnati da un percorso profondo, efficace e virtuoso di riorganizzazione dei servizi e di eliminazione degli sprechi.”“Ci preoccupa in modo particolare – ha concluso – anche il futuro delle numerose opere sanitarie ecclesiali, che svolgono un servizio totalmente equiparato a quello pubblico, che sono molto apprezzate dai cittadini e che spesso spendono meno degli ospedali pubblici, ma che, a differenza degli ospedali pubblici, in molte regioni non vengono adeguatamente rimborsate per il loro servizio e sono comunque pagate in ritardo e costrette a indebitarsi con le banche”.Il programma completo dei tre giorni di lavori è disponibile nel sito www.chiesacattolica.it/salute.

L’intervento di mons. Crociata

Bertone: “Per il mondo che soffre per la mancanza di pensiero”

Il cardinale Bertone spiega perché è importante che le università cattoliche siano coinvolte nella nuova evangelizzazione.

 

Da: (ZENIT.org)

Riprendiamo la Lectio magistralis tenuta dal cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, al Collegium Maius della Pontificia Università “Giovanni Paolo II” di Cracovia, in Polonia, dove gli è stato conferito un dottorato honoris causa. Il testo integrale della Lectio è stato pubblicato sul sito de L’Osservatore Romano.

***

di Tarcisio Bertone

Permettetemi di rivolgere un cordiale saluto a tutti i presenti; ai Signori Cardinali e Vescovi, in particolare Sua Eccellenza Monsignor Józef Kowalczyk, Primate della Polonia, e Sua Eccellenza Monsignor Celestino Migliore, Nunzio Apostolico. 
Saluto con deferenza le illustri Autorità civili e militari e i membri del Corpo Diplomatico. 
La mia gratitudine va in special modo al Gran Cancelliere, Sua Eminenza Cardinale Stanislaw Dziwisz, al Rettore Magnifico Monsignore Professore Wladyslaw Zuziak e all’intero Senato Accademico di questa Pontificia Università Giovanni Paolo II. 
Sono lieto della presenza dei Rettori degli Atenei e Istituti di Studi Superiori della Polonia, e specialmente di Cracovia, dei Decani delle Facoltà Teologiche della Polonia. 
Vi ringrazio in anticipo per l’ascolto di questa mia esposizione che ha come titolo “Il ruolo delle Università Cattoliche nell’opera della Nuova Evangelizzazione”.

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SABATO 9 GIUGNO 2012. Le Università Cattoliche e la Nuova Evangelizzazione