Convegno della Equipe Europea di Catechesi

Si è svolto a Malta (30 maggio- 4 giugno) il Convegno della Equipe Europea di Catechesi sul tema: “Le verbe s’est fait chair (Jn 1,14) Langage et langages en catéchèse” che ha approfondito la questione del “linguaggio” come “universo simbolico”, come luogo del progressivo divenire umani e della possibilità in questo percorso umano di divenire credenti.

Delle relazioni, che hanno affrontato la tematica da diverse prospettive, riportiamo l’introduzione di Enzo Biemmi, presidente dell’associazione EEC, nella quale sono indicate la scelta del tema e gli obiettivi del congresso.

EEC Malta – Biemmi LINGUAGGIO E LINGUAGGI IN CATECHESI. PROBLEMATICA DEL CONGRESSO EEC 2012

Inoltre proponiamo la relazione d’indole teologica di Salvatore Currò

EEC Malta – Currò LA PAROLA SI è FATTA CARNE … E LA CARNE PARLA. SUL LINGUAGGIO RELIGIOSO IN RAPPORTO ALLA CATECHESI

… e quella di Joe Borg, che mette in luce le sfide che provengono dal mondo dei media al linguaggio religioso

EEC Malta – Borg UN LAVORO IN PROGRESS SUL LINGUAGGIO DELLA FEDE E (O “IN”?) IL LINGUAGGIO DEI MEDIA. ALCUNE QUESTIONI PERTINENTI, PRELIMINARI E DOMANDE


50° Congresso eucaristico internazionale

Si è aperto ieri il 50° Congresso eucaristico internazionale (IEC 2012 – www.iec2012.ie), che si terrà a Dublino dal 10 al 17 giugno su “The Eucharist: Communion with Christ and with one another” (L’Eucaristia: Comunione con Cristo e tra noi), “un momento di rinnovamento e di riconciliazione” per la Chiesa cattolica in Irlanda.

Diarmuid Martin, arcivescovo di Dublino e presidente del Comitato organizzatore locale, presentando l’appuntamento in sala stampa vaticana afferma:

L’evento “deve rivolgersi a coloro che vi partecipano nel contesto della cultura in cui essi vivono” e “sarà più piccolo e modesto nelle sue celebrazioni e aspettative”. Esso, ha precisato mons. Martin, “rifletterà e presenterà la Chiesa in Irlanda, una Chiesa che ha affrontato e ancora affronta sfide grandissime, ma una Chiesa che è viva e vitale, e ansiosa di avviarsi su un cammino di rinnovamento”. “Esistono divisioni all’interno della Chiesa irlandese e a volte divisioni non sane”, ha detto ancora l’arcivescovo di Dublino, ma “l’Eucaristia ha il potere di riconciliare. La comunione con Cristo alimenta la comunione e la riconciliazione con il prossimo”. 

Sottolineando che “il Congresso di Dublino ha luogo nel periodo in cui celebriamo il cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II”, mons. Martin ha evidenziato che l’assise conciliare “ha apportato enormi doni dello spirito nella vita della Chiesa e i suoi frutti sono ancora tutti da scoprire”, mentre in Irlanda “vi è a volte” una sorta di “riduzione” dei suoi insegnamenti che spesso si concentra sulla necessità di riforma delle strutture esterne. “Ma non basta cambiare” queste ultime, ha avvertito mons. Martin rispondendo alle domande dei giornalisti, “oggi occorre un rinnovamento spirituale, della fede, una maggiore conoscenza di Cristo e del suo messaggio in una Chiesa che mostra segni di stanchezza”.

Per mons. Martin “dobbiamo riscoprire lo spirito missionario della Chiesa irlandese delle origini, adeguandolo al nostro tempo”. Al riguardo, ha osservato, “ho più speranza oggi che qualche mese fa”, anche perché “vi è un crescente interesse nella società irlandese per il Congresso”.

Una particolare sollecitudine l’arcivescovo la riserva ai giovani dell’Isola verde: “I più catechizzati ma i meno evangelizzati d’Europa”. Per quanto riguarda lo scandalo degli abusi sessuali sui minori, spiega che alle vittime “sarà dedicata una giornata di riconciliazione” durante la quale verrà celebrata una liturgia penitenziale con testi preparati con il loro contributo. Anche il Papa, conclude, è stato invitato al Congresso, “ma riconosciamo che ha i suoi anni”. Tuttavia mons. Martin non esclude una visita del Pontefice in Irlanda, “che dovrebbe inserirsi nel processo di rinnovamento della Chiesa e potrebbe addirittura costituirne il culmine”. 

er presiedere ufficialmente l’evento, il Papa ha nominato come legato pontificio il card. Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i vescovi, ha ricordato mons. Piero Marini, arcivescovo titolare di Martirano e presidente del Pontificio Comitato per i Congressi eucaristici internazionali. Sarà proprio il card. Ouellet, domenica 10 giugno, solennità del Corpus Domini, a presiedere la liturgia d’apertura del Congresso nel cuore di Dublino, nell’area della Rds (Royal Dublin Society. “La settimana congressuale si concluderà domenica 17 giugno con l’Eucaristia celebrata nel moderno stadio del Croke Park, sede della Gaelic Athletic Association, davanti a 80 mila fedeli”. Venticinquemila partecipanti al giorno; quasi tremila volontari; oltre 100 stand e più di 150 workshop; autorevoli relatori internazionali; messe, processioni, adorazioni eucaristiche e momenti di preghiera in sette lingue; spazi e attività per giovani e bambini: questi i dati resi noti da mons. Marini, che ha ricordato come “riportare l’attenzione sull’ecclesiologia eucaristica di comunione” sia “l’obiettivo dell’evento” per il quale è stato predisposto un testo-base, e che sarà preceduto da un Simposio teologico. I riti di apertura e chiusura “saranno trasmessi dalla televisione nazionale Rte, mentre sette website, cinque canali televisivi cattolici o locali e centinaia di testate giornalistiche e fotografiche copriranno quasi integralmente l’evento” che, ha concluso l’arcivescovo, intende “testimoniare ancora una volta la centralità della celebrazione eucaristica e la sua forza plasmatrice per la vita della Chiesa”. La prima giornata (11 giugno) sarà ecumenica per sottolineare la comunione dei cristiani attraverso il Battesimo. Matrimonio e famiglia, sacerdozio, giustizia e riconciliazione, sofferenza e guarigione, Maria e la Parola, gli altri temi. Questi congressi “possono sembrare reliquie del passato che si inseriscono ormai con difficoltà nel mondo d’oggi”, ha osservato padre Vittore Boccardi (Pontificio Comitato per i Congressi eucaristici internazionali); essi invece “offrono l’occasione per l’inculturazione del Vangelo e l’evangelizzazione delle culture”.

GIORNATA D’APERTURA

Nell’umiltà quotidiana

È stata una bella celebrazione”, grazie alla partecipazione, alla “gioia” dei presenti e al silenzio, ma è anche stata “l’immagine di cos’è un Congresso eucaristico internazionale (Iec), una Chiesa locale che invita altre Chiese del mondo a celebrare l’Eucaristia, che è il cuore della nostra fede”. Così mons. Piero Marini, presidente del Pontificio Consiglio per i Congressi eucaristici, che il Sir ha incontrato al termine della cerimonia di apertura del 50° Congresso eucaristico internazionale, sul tema “La Comunione con Cristo e tra di noi”, che ha preso il via ieri a Dublino e che si concluderà il 17 giugno (www.iec2012.ie). 

Forte presenza dei laici. Sono 12.500 le persone presenti all’Arena della Royal Dublin Society (Rds), la grande struttura in cui si svolgeranno i vari eventi, provenienti dagli oltre 120 Paesi che si sono iscritti al Congresso. Hanno sfilato con le loro bandiere e le vesti colorate delle loro terre; con altrettanto entusiasmo hanno sfilato le parrocchie e i gruppi delle quattro province ecclesiastiche dell’Irlanda: Armagh, Cashel, Dublino e Tuam. Molto forte l’aspetto musicale, con canti in latino o in altre lingue che hanno favorito la partecipazione e che sono stati proposti da quattro cori e da tre tenori irlandesi. Mons. Marini ha notato che uno degli elementi più positivi di questo Congresso è che viene “fatto nell’umiltà, se così possiamo dire; è vicino alla quotidianità della vita della Chiesa, nel senso che non ci sono quelle grandi manifestazioni che erano tipiche dei Congressi del secolo passato e di fine Ottocento. È un Congresso ecclesiale, non trionfalistico”, che ha assunto il carattere di “un’assemblea” dove ci sono molti “laici che con il Concilio hanno imparato a partecipare alla Messa, a fare una distinzione tra le cose essenziali e le cose superflue. La loro è una partecipazione di fede”. Altro elemento positivo, “che viene dal Concilio Vaticano II – ha sottolineato mons. Marini – è il tema del Congresso ‘La comunione con Cristo e tra di noi’: è la cosa essenziale su cui costruire la Chiesa del futuro”. 

Un’opportunità per la Chiesa in Irlanda. Durante l’omelia il legato pontificio, il card. Marc Ouellet, che presiedeva la Messa, ha sottolineato che la celebrazione del Congresso in Irlanda è un “segno della Provvidenza di Dio”, perché il Paese “è conosciuto per la sua naturale bellezza, per la sua ospitalità e ricca cultura, ma soprattutto per sua lunga storia di fedeltà alla fede cattolica”, che attraverso l’opera dei suoi missionari “ha aiutato a portare il Vangelo fino alle rive più lontane”. Il cardinale ha ricordato che “ora la Chiesa irlandese sta soffrendo e affrontando nuove e serie sfide alla fede” ma consapevoli di questo “ci rivolgiamo insieme a Nostro Signore, che rinnovi, guarisca e rafforzi la fede del suo popolo. Dalla mia esperienza personale, durante l’ultimo Congresso eucaristico di Quebec City, so che un evento come questo porta molte grazie alla Chiesa locale e a tutti i partecipanti, compresi quelli che lo sostengono con la preghiera, il volontariato e la solidarietà”.

La strada del rinnovamento. Intervenendo alla cerimonia, mons. Diarmuid Martin, arcivescovo di Dublino e presidente del Congresso, ha rivolto un pensiero ai giovani irlandesi, perché durante l’evento “vengano condotti a conoscere la felicità e la realizzazione, la gioia e la speranza, la chiamata per l’amore e l’impegno che viene da un incontro con Gesù Cristo”. L’arcivescovo ha aggiunto che “la Chiesa in Irlanda è sulla strada del rinnovamento”, anche se “non dipende da noi ridisegnarla, ma è un dono che riceviamo dal Signore attraverso la guida dello Spirito Santo e l’esempio di Maria e dei Santi”. Nella conferenza stampa di ieri mattina, a proposito del tema degli abusi, ha rivelato che alcune delle vittime partecipano individualmente al Congresso, “ma non ci sarà una rappresentanza ufficiale anche per rispetto della loro privacy”. Comunque sia, durante la cerimonia di apertura è stata scoperta e collocata all’ingresso della Rds la “Healing stone”, letteralmente “pietra di guarigione”, per tener viva la memoria delle vittime degli abusi sessuali. Nella pietra, che è in granito, è incisa una preghiera composta da una persona che ha subito abusi. A tal proposito, padre Kevin Doran, segretario generale dell’evento, ha spiegato che, “quando si usa l’espressione ‘scavata nella pietra’, si parla di qualcosa che è qui per restare e non di un pensiero che passa. La pietra rappresenta la ferma determinazione a lavorare per la guarigione e il rinnovamento”.

Il nome del futuro Famiglia: il messaggio forte dell’incontro mondiale a Milano

Non c’è futuro dell’umanità senza la famiglia”, perché la “causa della famiglia” è “la causa stessa dell’uomo e della civiltà”.

A ribadirlo è stato il Papa, che nella catechesi dell’udienza generale di oggi, ha ripercorso i momenti salienti della sua visita pastorale a Milano, per il VII Incontro mondiale delle famiglie, “indimenticabile e meraviglioso evento, che ha trasformato Milano in una città delle famiglie”.

L’incontro mondiale di Milano, per Benedetto XVI, è risultato “un’eloquente ‘epifania’ della famiglia” come “comunione d’amore, fondata sul matrimonio e chiamata a essere santuario della vita, piccola Chiesa, cellula della società”. Da Milano, dunque, “è stato lanciato a tutto il mondo un messaggio di speranza, sostanziato di esperienze vissute: è possibile e gioioso, anche se impegnativo, vivere l’amore fedele, ‘per sempre’, aperto alla vita; è possibile partecipare come famiglie alla missione della Chiesa e alla costruzione della società”.

L’organizzazione dell’incontro, ha detto il Papa nel finale della catechesi, “ha avuto grande successo pastorale ed ecclesiale, come pure vasta eco in tutto il mondo”, visto che ha richiamato a Milano “oltre un milione di persone, che per diversi giorni hanno pacificamente invaso le strade, testimoniando la bellezza della famiglia, speranza per l’umanità”. 

L’abbraccio e la luce. “In particolare i giovani, per apprendere i valori che danno senso all’esistenza – ha esordito Benedetto XVI – hanno bisogno di nascere e di crescere in quella comunità di vita e di amore che Dio stesso ha voluto per l’uomo e per la donna”. Nel primo incontro con la città, ha ricordato il Papa citando “l’abbraccio caloroso della folla dei milanesi” e la “distesa di famiglie in festa” provenienti da tutto il mondo, “ho voluto anzitutto parlare al cuore dei fedeli ambrosiani, esortandoli a vivere la fede nella loro esperienza personale e comunitaria, privata e pubblica”. Poi il concerto al Teatro alla Scala, dedicato “ai tanti fratelli e sorelle provati dal terremoto”, cui il Papa ha additato il “Dio vicino”, che condivide “le nostre sofferenze”. Al termine del concerto, il riferimento alla “famiglia del terzo millennio”: “È in famiglia – ha sottolineato il Santo Padre – che si sperimenta per la prima volta come la persona umana non sia creata per vivere chiusa in se stessa, ma in relazione con gli altri; ed è in famiglia che si inizia ad accendere nel cuore la luce della pace perché illumini questo nostro mondo”.

Un “sì” libero. “Celibato e verginità nella Chiesa sono un segno luminoso dell’amore per Dio e per i fratelli, che parte da un rapporto sempre più intimo con Cristo nella preghiera e si esprime nel dono totale di se stessi”. Con queste parole il Papa ha riassunto l’Ora Terza celebrata in duomo secondo la liturgia ambrosiana, che è stata occasione per “ribadire il valore del celibato e della verginità consacrata, tanto cara al grande sant’Ambrogio”. Poi l’appuntamento allo stadio Meazza con i ragazzi che hanno ricevuto o stanno per ricevere la Cresima, ai quali il Papa ha rivolto l’appello a “dire un ‘sì’ libero e consapevole al Vangelo di Gesù, accogliendo i doni dello Spirito Santo che permettono di formarsi come cristiani, di vivere il Vangelo e di essere membri attivi della comunità”, impegnandosi in particolare “nello studio e nel servizio al prossimo”.

A servizio della famiglia. Nell’incontro con le autorità, il Papa ha evidenziato “l’importanza che la legislazione e l’opera delle istituzioni statali siano a servizio e a tutela della persona nei suoi molteplici aspetti, a cominciare dal diritto alla vita, di cui non può mai essere consentita la deliberata soppressione, e dal riconoscimento dell’identità della propria famiglia, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna”. Altro momento in cui Benedetto XVI ha avuto la “gioia” d’incontrare “un arcobaleno di famiglie italiane e di tutto il mondo”, la Festa delle testimonianze nel Parco di Bresso, in cui rispondendo alle domande delle famiglie è stato “molto colpito dalle testimonianze toccanti di coniugi e figli di diversi continenti, sui temi scottanti dei nostri tempi: la crisi economica, la difficoltà di conciliare i tempi del lavoro con quelli della famiglia, il diffondersi di separazioni e divorzi, come anche di interrogativi esistenziali che toccano adulti, giovani e bambini”. Il “tempo della famiglia”, ha ribadito il Papa, è oggi “minacciato da una sorta di ‘prepotenza’ degli impegni lavorativi”: la domenica, invece, “è il giorno del Signore e dell’uomo, un giorno in cui tutti devono poter essere liberi, liberi per la famiglia e liberi per Dio”, perché “difendendo la domenica, si difende la libertà dell’uomo”.

Evangelizzare per irradiazione. Infine, la Messa all’aeroporto di Bresso, “diventata quasi una grande cattedrale a cielo aperto” che ha ospitato “un’immensa assemblea orante”. In quell’occasione, il Papa ha lanciato un appello “a edificare comunità ecclesiali che siano sempre più famiglia”, capaci di “evangelizzare non solo con la parola, ma per irradiazione, con la forza dell’amore vissuto, perché l’amore è l’unica forza che può trasformare il mondo”.

SS. CORPO E SANGUE DI CRISTO Lectio – Anno B

Prima lettura: Esodo 24,3-8

In quei giorni, Mosè andò a riferire al popolo tutte le parole del Signore e tutte le norme. Tutto il popolo rispose a una sola voce dicendo: «Tutti i comandamenti che il Signore ha dato, noi li eseguiremo!». Mosè scrisse tutte le parole del Signore. Si alzò di buon mattino ed eresse un altare ai piedi del monte, con dodici stele per le dodici tribù d’Israele. Incaricò alcuni giovani tra gli Israeliti di offrire olocausti e di sacrificare giovenchi come sacrifici di comunione, per il Signore. Mosè prese la metà del sangue e la mise in tanti catini e ne versò l’altra metà sull’altare. Quindi prese il libro dell’alleanza e lo lesse alla presenza del popolo. Dissero: «Quanto ha detto il Signore, lo eseguiremo e vi presteremo ascolto». Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo, dicendo: «Ecco il sangue dell’alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole!».

Il capitolo 24 del libro dell’Esodo narra la conclusione dell’alleanza stipulata tra il Signore Dio e Israele con la mediazione di Mosè. Questi, infatti, era stato più volte convocato da Dio sul monte per ricevere le “parole”, riferirle poi al popolo e ritornare da Dio per portare la risposta affermativa del popolo. Anche questa volta troviamo Mosè che «andò a riferire al popolo tutte le parole del Signore e tutte le norme. Tutto il popolo rispose a una sola voce dicendo: «Tutti i comandamenti che il Signore ha dato, noi li eseguiremo!» (24,3).

Ricevuto l’assenso da parte del popolo, Mosè diede inizio a un rito: prima costruì un altare con dodici stele, una per ogni tribù d’Israele (cf. 24,4), poi fece offrire da alcuni giovani olocausti e sacrifici di comunione in onore del Signore (cf. 24,5). Infine, completò il rito così: «Mosè prese la metà del sangue e la mise in tanti catini e ne versò l’altra metà sull’altare. Quindi prese il libro dell’alleanza e lo lesse alla presenza del popolo. Dissero: «Quanto ha detto il Signore, lo eseguiremo e vi presteremo ascolto». Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo, dicendo: «Ecco il sangue dell’alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole!» (24,6-8).

Attraverso questo rito Mosè vuole quindi esprimere una profonda realtà: egli è situato tra i due contraenti: il primo è Dio, che viene rappresentato dall’altare; il secondo è il popolo, al quale viene di nuovo letto l’intero libro dell’alleanza affinché, in modo consapevole, possa pronunciare il suo sì.

Che cosa può unire i due contraenti, per suggellare solennemente il patto? Mosè sceglie allora il segno del sangue, il quale, versato per metà sull’altare e per l’altra metà sul popolo, stabilisce tra i due una ”comunione”. Non è difficile, nelle parole del versetto 8, riconoscere l’analogia con il sangue di un’altra vittima, ben più importante di quegli animali sacrificati. Infatti, Gesù Cristo, sull’altare della croce, versa il proprio sangue con cui viene aspersa l’umanità per ritrovare, finalmente la pace e la riconciliazione con il Padre (cf. Col 1,19-20). Il sangue, tra l’altro indica anche un rapporto di “parentela”, che ci viene guadagnato da Gesù Cristo. In virtù di questo sangue, allora, non siamo «più stranieri né ospiti, ma siamo concittadini dei santi e familiari di Dio» (Ef 2,19), addirittura figli di adozione di un Padre eccezionale, che per farci entrare nella sua famiglia non ha esitato di mandare sulla croce il suo Figlio Unigenito.

Seconda lettura: Ebrei 9,11-15

Fratelli, Cristo è venuto come sommo sacerdote dei beni futuri, attraverso una tenda più grande e più perfetta, non costruita da mano d’uomo, cioè non appartenente a questa creazione. Egli entrò una volta per sempre nel santuario, non mediante il sangue di capri e di vitelli, ma in virtù del proprio sangue, ottenendo così una redenzione eterna.  Infatti, se il sangue dei capri e dei vitelli e la cenere di una giovenca, sparsa su quelli che sono contaminati, li santificano purificandoli nella carne, quanto più il sangue di Cristo – il quale, mosso dallo Spirito eterno, offrì se stesso senza macchia a Dio – purificherà la nostra coscienza dalle opere di morte, perché serviamo al Dio vivente? Per questo egli è mediatore di un’alleanza nuova, perché, essendo intervenuta la sua morte in riscatto delle trasgressioni commesse sotto la prima alleanza, coloro che sono stati chiamati ricevano l’eredità eterna che era stata promessa.

Su questa linea si trova anche lo stupendo brano della Lettera agli Ebrei. L’autore, in poche battute, evidenzia i due grandi mezzi con i quali Cristo entra nel santuario. Egli, venuto in mezzo all’umanità in qualità di sommo sacerdote dei beni futuri per il fatto che ci ha ottenuto la redenzione eterna, entrò nel santuario «attraverso una tenda più grande e più perfetta, non costruita da mano d’uomo, cioè non appartenente a questa creazione. Egli entrò una volta per sempre nel santuario, non mediante il sangue di capri e di vitelli, ma in virtù del proprio sangue» (9,11-12).

Ma occorre chiarire bene a che cosa si riferisca l’autore con i termini ‘tenda” e “santuario”. Infatti, la tenda, più grande e perfetta, non può essere paragonata con la tenda che Mosè eresse nel deserto per custodire l’arca dell’alleanza, perché designa un’altra realtà, che era ben nota ai primi cristiani. Inoltre essa va intesa in rapporto all’altro mezzo ossia al sangue, e alle ulteriori qualificazioni, su cui bisogna fare delle precisazioni: quando si dice che la tenda è «non costruita da mano di uomo» ci si collega con Mc 14,58, dove i falsi testimoni, durante il processo, accusarono Gesù dicendo: «Noi lo abbiamo udito mentre diceva: Io distruggerò questo tempio fatto da mani d’uomo e in tre giorni ne edificherò un altro non fatto da mani d’uomo». Benché tale affermazione si trovi in una deposizione di falsi testimoni, il suo tenore orienta chiaramente a capire che non è questo che l’evangelista considera falso, poiché un confronto con Gv 2,19 conferma che Gesù ha realmente affermato tale “profezia”. La tenda è, quindi, il corpo glorioso di Cristo, nuova creazione realizzata in tre giorni per mezzo dell’effusione del suo sangue.

La tenda, che è il corpo glorioso di Cristo, consente all’umanità aspersa dal sangue di lui, di entrare in contatto, o meglio in comunione, con il santuario, ossia con la santità e la trascendenza di Dio Padre. Cristo ha, in altre parole, portato a compimento ciò che nell’Antico Testamento era desiderato ma impossibile da realizzare. D’altronde, se Dio si accontentava di considerare efficaci i sacrifici animali, come non doveva reputare “definitivo” quello di suo Figlio? «Infatti, se il sangue dei capri e dei vitelli e la cenere di una giovenca, sparsa su quelli che sono contaminati, li santificano purificandoli nella carne, quanto più il sangue di Cristo – il quale, mosso dallo Spirito eterno, offrì se stesso senza macchia a Dio – purificherà la nostra coscienza dalle opere di morte, perché serviamo al Dio vivente?» (9,13-14).

In forza di tutto questo, Cristo può ben essere considerato «mediatore di una nuova alleanza, perché, essendo ormai intervenuta la sua morte per la redenzione delle colpe commesse sotto la prima alleanza, coloro che sono stati chiamati ricevano l’eredità eterna che è stata promessa» (9,15).

Vangelo: Marco 14,12-16.22-26

Il primo giorno degli Àzzimi, quando si immolava la Pasqua, i discepoli dissero a Gesù: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?».
Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi». I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua. Mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: «Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio».
Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.

Esegesi

Il brano evangelico proposto in quest’anno liturgico ci riconduce immediatamente al contesto insieme semplice e solenne della Pasqua. Così infatti inizia Marco: «Il primo giorno degli Àzzimi, quando si immolava la Pasqua, i discepoli dissero a Gesù: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?» (14,12). La Pasqua rappresentava la festa più importante dell’anno liturgico ebraico: con essa il popolo d’Israele si ricollega ancora oggi all’evento salvifico vissuto con Mosè e ricorda la liberazione dalla schiavitù in Egitto, emblema di liberazione da ogni qualsivoglia forma di schiavitù e dipendenza, sia materiale che spirituale. Fondamentale risulta il patto che viene stipulato: Dio consegna la Legge e s’impegna a essere il Dio d’Israele, svolgendo anche la funzione di padre, di soccorritore, di giudice e medico, di ispiratore e difensore. Da parte sua, Israele promette fedeltà, cioè di eseguire tutto ciò che il Signore comanda. Tale alleanza viene suggellata attraverso il sangue di animali quali vittime offerte in sacrificio, come poi vedremo nella prima lettura.

Alla festa di Pasqua ne fu associata un’altra, pur importante, tanto da divenire un tutt’uno, ossia la festa degli Azzimi. Quest’ultima era connessa all’usanza primaverile agricola di iniziare l’anno nuovo con il primo raccolto dell’orzo. Perciò tale inizio veniva espresso con l’eliminazione del vecchio lievito (durante la settimana degli azzimi gli alimenti fatti con il lievito vecchio devono sparire, perché si mangia pane non lievitato in attesa del lievito nuovo alla fine della festa). Il tutto confluisce nella cena pasquale, quando si mangia il pane azzimo, unitamente all’agnello, maschio, senza difetto e nato nell’anno (cf. Es 12,5), secondo l’usanza dei pastori per la loro festa di primavera. Con questi cibi, che indicano il rinnovarsi della vita nella tradizione pastorale e in quella agricola, Israele rammenta che la propria origine è legata all’azione salvifica e liberatrice di Dio.

Il momento in cui i discepoli pongono a Gesù la domanda circa la preparazione della cena pasquale è quello dell’inizio della settimana degli Azzimi, il giorno in cui i sacerdoti, nel tempio, di pomeriggio, immolavano gli agnelli che sarebbero poi stati consumati a Pasqua. Marco, però, mostra che Gesù aveva già pensato al luogo della cena e, addirittura, indica ai discepoli pure a chi devono rivolgersi appena entrati in città: «Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi». I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua» (14,13-16). La pericope letta non comprende i versetti che ci presentano lo smascheramento di Giuda (vv. 17-21), per cui si passa subito al racconto dell’istituzione.

Non è certo facile commentare in poco spazio il racconto dell’istituzione dell’eucaristia, perciò è preferibile soffermarsi sul senso del sangue in rapporto all’alleanza, argomento poi da completare con la trattazione delle altre letture bibliche.

Che cosa sia il sangue per l’uomo biblico viene chiarito da Lv 17,11.14: «Poiché la vita della carne è nel sangue. Perciò vi ho concesso di porlo sull’altare in espiazione per le vostre vite; perché il sangue espia, in quanto è la vita […]; perché la vita di ogni essere vivente è il suo sangue, in quanto sua vita; perciò ho ordinato agli Israeliti: Non mangerete sangue di alcuna specie di essere vivente, perché il sangue è la vita d’ogni carne; chiunque ne mangerà sarà eliminato». Esso è dunque un elemento vitale, necessario all’uomo per la sua vita biologica della quale, in qualche modo, segna anche il limite, la peribilità. Difatti, quando tra i giudei si voleva alludere alla fragilità della condizione umana, si usava spesso la formula basar wadam (carne e sangue), come Gesù stesso fece in Mt 16,17. Ma il sangue è anche elemento di trasmissione di vita da un essere a un altro. Se il sangue è legato inscindibilmente alla vita e alla sua trasmissione, l’espressione “versare il sangue”, invece, ha il significato di “uccidere”.

Tenendo presente tutto ciò, noi ci orientiamo alla contemplazione di Gesù crocifisso, che non ha rifiutato di “versare il sangue”, ossia di venire ucciso per noi, perché egli sapeva bene che dal suo sangue sparso scaturisce l’espiazione e la vita per chi confida in Lui: «E disse loro: Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti » (14,24). Egli, dunque, è libero e sovrano nel suo donarsi a nostro favore, non solo attraverso una morte violenta, che manifesta tutto il livore dei suoi avversari, bensì anche con l’atto di imbandire una mensa con il pane-corpo e il vino-sangue, a sostegno della nostra cronica debolezza. È il banchetto eucaristico, il quale, mentre ci fa ricordare la tragica morte del Giusto per eccellenza, ci restituisce la gioia di “proclamare” la sua risurrezione, per cui egli è presente e vivo in mezzo a noi, sostenendo con fedeltà, il peso dell’alleanza.

Meditazione

Sullo sfondo dell’ultima cena di Gesù si stende idealmente la grande scena dell’alleanza al Sinai. Nella cornice aspra e solitaria di quel monte del dialogo tra Dio e Israele si compie un rito, solennemente descritto dal capitolo 24 dell’Esodo. Il sangue è il simbolo della vita, l’altare è il segno della presenza di Dio, il popolo è tutto attorno all’altare come un’unica comunità spirituale. Il sangue sacrificale è versato da Mosè sull’altare e sul popolo, quindi su Dio e sull’uomo. Un patto di sangue lega ormai il Signore e Israele in una relazione di intimità e di amore. È proprio a quelle parole che Gesù rimanda nell’ultima sera della sua vita terrena, quando nella «grande sala con i tappeti» del Cenacolo celebra la cena pasquale coi suoi discepoli.

Il rito pasquale giudaico entrava nel vivo con la benedizione del pane nuovo azzimo, cioè senza lievito (Esodo 12-13). «Sii lodato tu, Signore, Dio nostro, re del mondo, che hai fatto nascere pane dalla terra»; così si esprimeva l’antica benedizione del pane. A quel punto il capofamiglia spezzava la focaccia azzima e la offriva ai commensali in segno di comunione e di benedizione. Gesù, pur seguendo il rituale, ne offre all’improvviso un significato sorprendente e inedito. Decisive, infatti, sono le parole della sua “benedizione del pane”: «Prendete, questo è il mio corpo», che nel linguaggio semitico significano semplicemente e paradossalmente: «Questo sono io stesso». Spezzando quel pane e offrendolo ai commensali Cristo stabiliva con loro un legame di comunione profonda, facendo sì che essi entrassero nella sua stessa vita, nella sua morte e nella sua gloria.

Nel rito giudaico, alla consumazione del pane azzimo e dell’agnello pasquale seguiva la benedizione solenne del calice, che spesso veniva anche inghirlandato. Anche a questo punto Gesù imprime al rituale una svolta con le parole del suo “ringraziamento” (in greco il termine è “eucaristia”): «Questo è il mio sangue, il sangue dell’alleanza, versato per molti». È qui che riecheggiano le parole di Mosè al Sinai: il vino della Pasqua è ora il sangue di Cristo e il sangue di Cristo crea l’alleanza piena e perfetta tra Dio e l’uomo. È un «sangue versato per molti», espressione orientale per indicare che è il sangue di una persona sacrificata per salvare tutti gli uomini.

Gesù indirizza infine ai suoi discepoli un ultimo messaggio che si affaccia sul suo futuro: egli annunzia che, dopo la cena eucaristica e la pausa buia della morte, berrà il calice del vino nuovo nel regno di Dio. È il banchetto della perfezione celeste cantato da Isaia, durante il quale si «eliminerà la morte per sempre e il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto» (25,8; vedi Apocalisse 21,4). La cena eucaristica che noi oggi celebriamo nella solennità del Corpo e del Sangue del Signore è, quindi, una pregustazione di un’intimità senza incrinature e senza frontiere con Dio. È per questo che l’eucaristia domenicale è celebrata sempre «nell’attesa della venuta» gloriosa del Cristo. L’eucaristia è espressione della presente vicinanza di Dio al suo popolo, che pellegrina in mezzo alle oscurità della storia, ma è anche squarcio di luce verso la speranza che il dolore e la morte saranno espulsi dalla storia. Quando celebriamo l’eucaristia dovremmo scoprire un bagliore del senso ultimo della vita nostra e dell’umanità, anche se attorno – come in quella sera – calano le tenebre della morte, si consuma il tradimento.

Preghiere e racconti

«Amen»

Celebrando l’eucaristia, la comunità ecclesiale partecipa al gesto di autoconsegna e di compassione di Gesù, lo rivive in sé e accetta di lasciarsi plasmare da esso, impegnandosi a trasformare i rapporti tra gli uomini in rapporti di consegna e di compassione.

L’eucaristia porta in sé la forza di cambiare in ciò che essa è coloro che la celebrano e mangiano di quell’unico pane e bevono di quel calice. Una prospettiva che trova il suo fondamento nell’atto stesso di istituzione dell’eucaristia ed appare tipica della patristica e della grande tradizione teologica. Basta ricordare, per tutti, uno straordinario testo di Agostino rivolto ai battezzati che, per la prima volta, si accostavano alla mensa eucaristica:                                                        alla mensa eucaristica:

«Se voi siete il corpo e le membra di Cristo, il vostro mistero è deposto sulla tavola del Signore: voi ricevete il vostro proprio mistero!

Voi rispondete “Amen” a ciò che voi siete, e con la vostra risposta sottoscrivete. Sentite dire: “Corpus Christi, il Corpo di Cristo” e rispondete: “Amen”! Siate dunque membra del corpo di Cristo, affinché il vostro “Amen” sia vero».

(S. AGOSTINO, Sermo 272, in PL 38, 1247).

Il nascondimento di Dio nell’eucaristia

Anche in questa lettera voglio tornare per un istante sul tema dell’eucaristia, perché l’eucaristia può definirsi a buon diritto il sacramento in cui Dio si nasconde. Che c’è di più comune di un po’ di pane e di un bicchiere di vino? Che c’è di più semplice delle parole: «Prendete e mangiate, prendete e bevete: questo è il mio corpo e sangue. Fate questo in memoria di me»?.

Mi sono trovato spesso con degli amici intorno a una piccola tavola, ho preso del pane e del vino e ho ripetuto le parole dette da Gesù quando si congedò dai suoi discepoli. Niente di speciale o di spettacolare, nessuna grande folla, nessun canto straordinario, nessuna formalità. Solo alcune persone che mangiano un pezzo di pane che non basta a sfamarli e bevono un sorso di vino che non basta a dissetarli. Eppure… in questo nascondimento è presente Gesù risorto e si rivela l’amore di Dio. Come Dio si fece uomo per noi nel nascondimento, così pure nel nascondimento egli si fa per noi cibo e bevanda. Tanta gente passa vicino all’eucaristia senza curarsene, eppure l’eucaristia è il più grande avvenimento che possa accadere tra noi uomini.

Durante il mio soggiorno all’‘Arca’, in Francia, ho scoperto la stretta relazione tra il nascondimento di Dio nell’eucaristia e il suo nascondimento nel popolo di Dio. Mi ricordo che una volta madre Teresa mi disse che non si può vedere Dio nei poveri, se non lo si vede nell’eucaristia. Quelle parole mi sembrarono allora un po’ esagerate; ma ora che ho passato un anno intero con gli handicappati comincio a capirne meglio il significato. Non è realmente possibile vedere Dio negli esseri umani, se non lo si vede nella realtà nascosta del pane che scende dal cielo. Fra gli esseri umani puoi vedere tipi di ogni specie: angeli e demoni, santi e bruti, anime caritatevoli e malevoli maniaci del potere. Tuttavia, è solo quando hai imparato per esperienza personale quanto Gesù si curi di te e quanto egli desideri essere il tuo cibo quotidiano, è solo allora che impari anche a vedere ogni cuore come dimora di Gesù. Quando il tuo cuore è toccato dalla presenza di Gesù nell’eucaristia, ricevi occhi nuovi, capaci di conoscere la stessa presenza nel cuore degli altri. I cuori si parlano fra loro. Il Gesù che è nel nostro cuore parla al Gesù che è nel cuore dei nostri fratelli e delle sorelle. È questo il mistero eucaristico di cui noi facciamo parte. Noi vogliamo vedere dei risultati e  se possibile – vogliamo vederli subito. Ma Dio opera in segreto e con pazienza divina. Partecipando all’eucaristia riuscirai un po’ alla volta a comprendere questa verità. E allora il tuo cuore potrà cominciare ad aprirsi al Dio che soffre in chi ti sta intorno.

(H.J.M. NOUWEN, Lettere a un giovane sulla vita spirituale, Brescia, Queriniana, 72008, 78).

Parola ed eucaristia

L’eucaristia, con tutta la realtà sacramentale che da essa promana, è memoria della Pasqua di Gesù, non nel senso psicologico del ricordo, sulla misura e secondo le leggi della memoria umana, bensì nella luce della potenza dell’amore divino manifestato nella Pasqua. In Gesù morto e risorto Dio proclama e attua la sua amorosa volontà di vicinanza all’uomo, di presenza nella storia, di perdono del peccato, di vittoria sulla morte, di inizio di una vita nuova. L’eucaristia è la concreta modalità storica con cui l’amore onnipotente di Dio, culminante nella Pasqua di Gesù, raggiunge il suo intento di rendersi realmente presente e operante in ogni momento della storia umana.

L’eucaristia è presenza viva e reale di Gesù, del suo mistero, del suo sacrificio, della sua Pasqua. Tutta la vicenda di Gesù, dall’incarnazione del Figlio preesistente alla dolorosa umiliazione del Crocifisso, alla glorificazione del Cristo risuscitato e datore dello Spirito, si ripropone a noi nell’eucaristia, in forza dell’interiore efficacia del sacrificio pasquale.

(Carlo Maria MARTINI, Incontro al Signore risorto, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2009, 142-143).

Diventare segni di Cristo amore

Lo Spirito di Cristo che ha parlato per mezzo dei profeti, e che nel Cristo morto e risorto ha ridato al mondo la speranza dell’amore, è presente e operante nella Chiesa, che non cessa di ripresentare all’uomo d’oggi l’istanza suprema della verità e della carità [ … ].

La Chiesa, infatti, ha la missione, umile e ardente, povera e fiduciosa insieme, di riconciliare con l’amore la società e di restituire l’unità al mondo.

Noi Chiesa, come comunione d’amore, come luogo della perfetta amicizia, siamo chiamati, partendo dalla nostra povertà, fragilità, dal nostro peccato, a essere principio da cui procede la vita autentica del singolo; siamo chiamati come Chiesa – perché Gesù ci ama – a essere il noi del mondo riconciliato che ha come legge suprema, e in un certo senso unica, la carità, cioè l’amore gratuito e autentico.

Questa Chiesa, di cui siamo grati di essere membra e servitori, ci presenta Gesù, esempio e fonte di carità perfetta principalmente nell’eucaristia. È Gesù nell’atto di dare la vita per te che ti viene proposto nel mistero della Cena.

O Gesù, Cristo amore,

manifesta la tua presenza in mezzo a noi!

Fa’ che ci accostiamo alla tua cena

non come Giuda, che pensa ai suoi trenta denari:

ma come Pietro che ti dice: Signore, purificami interamente!

Lavami piedi, testa e tutte le membra,

purifica ogni mio amore sbagliato,

rendimi capace di amore vero.

Fammi, o Signore, segno di unità

nella tua Chiesa;

fammi strumento della tua pace nel mondo!

(Carlo Maria MARTINI, Incontro al Signore risorto, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2009, 156-157).

Il mistero del corpo e del sangue

Concluse le antiche feste della Pasqua che si celebravano per ricordare l’antica liberazione dalla schiavitù d’Egitto del popolo di Dio, Cristo è passato alla nuova Pasqua e ha voluto che la chiesa la celebrasse in memoria della sua redenzione. Al posto della carne e del sangue dell’agnello sostituì il mistero del suo corpo e del suo sangue. […] Egli stesso spezza il pane che porge ai discepoli per dimostrare che il suo corpo sarà in futuro spezzato non contro la sua volontà, ma, come dice altrove, egli ha il potere di offrire la sua vita da se stesso e di riprenderla di nuovo (cfr. Gv 10,18). E prima di spezzare il pane, lo benedice con la grazia sicura del sacramento perché insieme con il Padre e lo Spirito santo ricolma di grazia divina la natura umana che ha assunto per sottostare alla passione. Benedisse dunque il pane e lo spezzò perché volle sottomettersi alla morte in modo da dimostrare che in lui era veramente la potenza della divina immortalità e insegnare così che il suo corpo ben presto sarebbe risorto dalla morte. «E preso un calice, rese grazie, lo diede loro e tutti ne bevvero» (Mc 14,23). Nell’imminenza della passione rese grazie dopo aver preso il pane. […] E lui che non meritò affatto di soffrire, umilmente nella sofferenza benedisse per mostrare come deve comportarsi chiunque non soffre per propria colpa. Infatti, nel momento stesso in cui per compiere ogni giustizia si addossa il peso della nostra colpa, rende ugualmente grazie al Padre proprio per mostrare in che modo dobbiamo sottometterci alla correzione. «E disse loro: Questo è il mio sangue della nuova alleanza, versato per molti» (Mc 14,24). Poiché il pane rinvigorisce il corpo, mentre il vino agisce sul sangue, misticamente il primo si riferisce al corpo di Cristo e il secondo al suo sangue. Ma poiché è necessario che noi restiamo in Cristo e Cristo in noi, il vino del Signore si mischia nei calici con l’acqua, dato che Giovanni testimonia: «Le acque sono i popoli» (Ap 17,15). A nessuno è consentito di fare offerta di sola acqua o solo vino, come neppure di grano che non sia stato impastato con l’acqua per fame pane. E questo perché non si pensi che il corpo debba essere separato dalle membra, o che Cristo abbia sopportato la passione non per amore della nostra redenzione, o che noi possiamo essere salvati e offerti al Padre senza la passione di Cristo.

(BEDA IL VENERABILE, Commento al vangelo di Marco 4, COL 120, pp. 611-612).

La singolarità dell’eucaristia

«Allora Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede a loro» (Gv 21, 18). Questa comunione di mensa tra Gesù e i suoi, anche se non è un’eucaristia propriamente detta, riprende il vocabolario eucaristico del Nuovo Testamento e ci invita a riflettere sulla cena e sull’eucaristia.

L’eucaristia, così come è accolta nella fede della Chiesa, presenta un aspetto sorprendente, che sconvolge l’intelligenza e commuove il cuore. Siamo di fronte a uno di quei gesti abissali dell’amore di Dio, davanti ai quali l’unico atteggiamento possibile all’uomo è una resa adorante piena di sconfinata gratitudine.

L’eucaristia non è solo la modalità voluta da Gesù per rendere perennemente presente l’efficacia salvifica della Pasqua.

In essa non è presente soltanto la volontà di Gesù che istituisce un gesto di salvezza; in essa è presente semplicemente (ma quali misteri in questa semplicità!) Gesù stesso.

Nell’eucaristia Gesù dona a noi se stesso. Solo lui può lasciare in dono a noi se stesso, perché solo lui è una cosa sola con l’amore infinito di Dio, che può fare ogni cosa.

Certo, occorre badare anche agli strumenti umani, di cui Gesù si serve. Poiché la Pasqua rivela e insieme celebra l’amore di Dio che attrae l’uomo a sé, troviamo plausibile che Gesù nell’ultima cena abbia valorizzato la tensione alla comunione con Dio espressa nel gesto del mangiare insieme e soprattutto abbia fatto riferimento al valore commemorativo dell’alleanza, che era proprio della liturgia pasquale veterotestamentaria. È quindi normale e doveroso che la Chiesa, nel configurare concretamente la liturgia eucaristica, abbia assunto nel passato e debba assumere e aggiornare continuamente le espressioni celebrative provenienti dalla nativa spiritualità umana e dalla liturgia veterotestamentaria.

Ma tutto questo è percorso e oltrepassato da una novità assoluta: è tale la forza di camminare manifestata e attuata nel sacrificio della croce, che essa rende presente nell’eucaristia il Cristo stesso nell’atto di donarsi al Padre e agli uomini per restare sempre con loro.

Gesù, che già in molti modi attrae a sé la Chiesa con la forza del suo Spirito e della sua Parola, suscita nella Chiesa la volontà di obbedire al suo comando: «Fate questo in memoria di me» (Lc 22,19).

E quando la Chiesa, nell’umiltà e nella semplicità della sua fede, obbedisce a questo comando, Gesù, con la potenza del suo Spirito e della sua Parola, porta l’attrazione della Chiesa a sé al livello di una comunione così intensa, da diventare vera e reale presenza di lui stesso alla Chiesa: il pane e il vino diventano realmente, per quella misteriosa trasformazione che è chiamata transustanziazione, il corpo dato e il sangue versato sulla croce; nei segni conviviali del mangiare, bere, festeggiare si attua la reale comunione dei credenti col Signore; le funzioni sacerdotali si svolgono non per designazione o delega umana, ma per una reale assunzione dei ministri umani nel sacerdozio di Cristo, secondo le modalità stabilite da Cristo stesso.

L’eucaristia si presenta così come la maniera sacramentale con cui il sacrificio pasquale di Gesù si rende perennemente presente nella storia, dischiudendo a ogni uomo l’accesso alla viva e reale presenza del Signore.

Si tratta di prodigi che fioriscono su quel prodigio di inesauribile amore, che è il mistero pasquale. D’altra parte si potrebbe dire che si tratta della cosa più semplice: Dio, nell’eucaristia di Gesù, prende sul serio la propria volontà di alleanza, cioè la decisione di stare realmente con gli uomini, di accoglierli come figli, di attrarli nell’intimità della sua vita.

(Carlo Maria MARTINI, Incontro al Signore risorto, vol. II: Dalla croce alla gloria, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2007, 91-94).

Non di solo pane vive l’uomo

Che cosa voleva dire Gesù affermando che l’uomo non vivrà di solo pane? Perché usa questa espressio­ne al futuro invece che al presente? Il Maestro ci vuo­le far comprendere che la vita vera, quella che atten­de l’uomo, non la puoi conseguire con i beni mate­riali. Essi tutt’ al più permettono alla carne e al sangue di sopravvivere nel frammento di tempo presente, ma senza le prospettive che si aprono sull’ eternità. Se vuoi vivere in pienezza, oltre i limiti dello spazio e la corrosione del tempo, devi nutrirti di un altro pane, il pane della vita, che viene dal cielo e non dalla ter­ra: «Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno» (Gv 6,51). Caro amico, la realtà del nostro tempo è sotto i tuoi occhi. Guardati intorno ed esamina la tua situazione esistenziale. Quante sono le persone che hanno fame del pane vivo che dà la vita eterna? Quanti sono quelli che sentono il bisogno di cercare Gesù e di scoprirlo nella loro vita? I beni materiali so­no divenuti una droga, di cui hanno continuamente bisogno, ma che li irretiscono nella tela che il ragno infernale tende instancabilmente. Non attendere che la clessidra del tempo si sia svuotata del tutto per ren­derti conto dell’inganno mortale.

(Padre Livio FANZAGA, Fa’ posto a Dio, San Paolo, Cinisello Balsamo, 2009, 9).

Nel tuo tabernacolo

Signore Gesù,

c’è grande silenzio nel tuo tabernacolo.

Dov’è la tua luce? Chi sente la tua voce?

Chi ode i tuoi passi?

Nel tuo tabernacolo, o Signore,

tutto è immobile, tutto è silenzio, tutto è mistero.

Eppure, ogni giorno la tua parola invita alla lode.

Eppure, ogni giorno, tu imbandisci una mensa

per coloro che ti amano.

Davanti al tuo santo altare

quanti hanno ritrovato la fede,

quanti hanno riacquistato la grazia,

quanti si sono votati alla tua causa!

Tu solo conosci l’intima storia di innumerevoli anime

che qui, dinanzi a te,

hanno espresso la loro gioia,

hanno versato calde lacrime,

hanno ritrovato fiducia e speranza.

Nel tuo tabernacolo, o Signore, c’è pienezza di vita.

Tu parli, o Signore.

Tu ascolti, o Signore,

Tu ami, o Signore.

Preghiera

Signore Gesù,

con gioia ci prostriamo in adorazione presso il tuo santo altare.

Con te, o Gesù,

tutto è merito di vita eterna,

tutto è luce che rischiara la vita,

tutto aiuta a proseguire il cammino,

tutto è dolcezza… anche il dolore!

Tu sei fonte copiosa di purissima gioia.

Gioia che cominciamo a gustare qui,

nella valle del pianto,

e che sarà piena quando ci svelerai la tua gloria:

al gaudio della fede subentrerà quello della visione.

Signore Gesù,

tu, pane vivo disceso dal cielo, ci basti.

Non abbiamo bisogno di altri.

Tu sei la nostra vita.

Tu sei la nostra gioia.

Tu sei il nostro tutto.

Ci affidiamo a te:

nostro conforto,

nostro gaudio,

nostra pace.

(Paolo VI).

* Per l’elaborazione della «lectio» di questa domenica, oltre al nostro materiale di archivio, ci siamo serviti di:

– Temi di predicazione, Napoli, Editrice Domenicana Italiana, 2002-2003; 2005-2006- .

La Bibbia per la famiglia, a cura di G. Ravasi, Milano, San Paolo, 1998.

———

COMUNITÀ DI S. EGIDIO, La Parola e la storia. Tempo di Quaresima e Pasqua, Milano, Vita e Pensiero, 2012.

– J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret. II: Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2011.

COMUNITÀ MONASTICA SS. TRINITÀ DI DUMENZA, La voce, il volto, la casa e le strade, Milano, Vita e Pensiero, 2008-2009.

– C.M. MARTINI (card.), Incontro al Signore risorto, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2009.

– J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, Giovanni Paolo II. Il mio amato predecessore, Cinisello Balsamo/Città del Vaticano, San Paolo/Libreria Editrice Vaticana, 2007.

– J.M. NOUWEN, Un ricordo che guida, in ID., Mostrami il cammino. Meditazioni per il tempo di Quaresima, Brescia, Queriniana, 2003.

AMPLIAMENTO:

SS. CORPO E SANGUE DI CRISTO (B)

Le Indicazioni per l’Irc nel Sistema Educativo di Istruzione e Formazione

Anche quest’anno ci sarà il laboratorio riservato ai Direttori/Responsabili diocesani dell’Irc, nominati nell’arco dell’ultimo quinquennio.

Si svolgerà mercoledì 13 giugno p.v., a Roma presso il “Centro Congressi” della CEI sito in via Aurelia 796, dalle ore 10,00 alle ore 17.00, sul tema “Le Indicazioni per l’Irc nel Sistema Educativo di Istruzione e Formazione”.

Oltre alla gestione quotidiana del lavoro d’ufficio, legata spesso a questioni di tipo istituzionale, ci si trova impegnati anche nella progettazione della proposta formativa al fine di offrire un’Irc sempre di qualità. Naturalmente, per far questo, bisogna puntare su insegnanti di religione cattolica davvero preparati, che possano essere una risorsa culturale non solo per la scuola, ma anche per la stessa diocesi. Questi insegnanti, per i contenuti che affrontano e per la modalità d’approccio alle domande di tipo religioso, sono oggi, nella scuola, espressione di quell’attenzione culturale della Chiesa che si vorrebbe maggiormente evidente. Curare la formazione in servizio degli Idr significa, da una parte, cogliere le esigenze formative dei docenti e, dall’altra, progettare consci del nuovo assetto scolastico e delle indicazioni dell’Irc.

Lo stile laboratoriale adottato negli ultimi incontri si è rivelato molto vantaggioso, di fatto ha consentito ai partecipanti non solo di confrontarsi su temi all’ordine del giorno in un ufficio/servizio diocesano, ma anche di esercitarsi a costruirne l’impegno secondo alcune coordinate di riferimento.

E’ possibile scaricare il programma.

per informazioni:

www.chiesacattolica.it

Benedetto XVI al Family 2012 di Milano

Una piazza cosmopolita, allegra, piena di lingue e di colori diversi. Così la piazza del Duomo si presenta davanti a Benedetto XVI.

Ci sono pellegrini da tutta la diocesi di Milano, naturalmente. Ma anche da tutta la Lombardia e non solo. Ci sono i turisti, che si fermano appoggiati alle transenne scrutando la folla che si assiepa. Ci sono i partecipanti al Family 2012 che arrivano alla spicciolata nella zona loro dedicata. Vengono da 150 diversi Paesi del mondo. Si stringono le mani, si abbracciano. È una festa. E il clima della festa è tutto intorno. In galleria, sotto i portici… Milano, sempre in movimento, sembra aspettare il momento buono per fermarsi. In piazza si allestiscono gli striscioni, si levano le bandiere. La gente cerca riparo dal sole con gli ombrelli, i foulard distribuiti dal servizio d’ordine. E tra un canto e l’altro – ci sono gruppi e scolaresche che fanno la loro parte – l’entusiasmo sale, si prepara. Esplode nell’applauso quando arriva il Papa.

“Essere un crocevia – Mediolanum – di popoli e di culture”. È questa la vocazione di Milano, come ha detto, stasera, Benedetto XVI, incontrando la cittadinanza a piazza Duomo, nel suo primo impegno per la visita pastorale all’arcidiocesi di Milano, in occasione del VII Incontro mondiale delle famiglie. Il Papa è stato accolto dai cardinali Angelo Scola, Ennio Antonelli e Dionigi Tettamanzi. “La storia e i destini di questa ‘terra di mezzo’ (Mediolanum) sono impregnati da un solido intreccio di cristianesimo e civiltà” ha detto il card. Scola rivolgendosi al Pontefice. L‘arcivescovo ha quindi aggiunto che i cristiani “sono a loro agio nella società plurale, non sono profeti di sventura, ma testimoni e quindi edificatori tenaci di vita buona”.

Tra le autorità presenti il ministro per la cooperazione internazionale e l‘integrazione, Andrea Riccardi, e il presidente della Giunta regionale della Lombardia, Roberto Formigoni. La città ha saputo “coniugare sapientemente – ha osservato il Papa – l’orgoglio per la propria identità con la capacità di accogliere ogni contributo positivo che, nel corso della storia, le veniva offerto. Ancora oggi, Milano è chiamata a riscoprire questo suo ruolo positivo, foriero di sviluppo e di pace per tutta l’Italia”.

ll Pontefice ha quindi lodato “quanto la diocesi di Milano ha fatto e continua a fare per andare incontro concretamente alle necessità delle famiglie più colpite dalla crisi economico-finanziaria, e per essersi attivata subito, assieme all’intera Chiesa e società civile in Italia, per soccorrere le popolazioni terremotate dell’Emilia Romagna, che sono nel nostro cuore e nella nostra preghiera e per le quali invito, ancora una volta, ad una generosa solidarietà”. “Spetta ora a voi, eredi di un glorioso passato e di un patrimonio spirituale di inestimabile valore – ha sostenuto Benedetto XVI -, impegnarvi per trasmettere alle future generazioni la fiaccola di una così luminosa tradizione”.

“Voi – ha proseguito – ben sapete quanto sia urgente immettere nell’attuale contesto culturale il lievito evangelico. La fede in Gesù Cristo, morto e risorto per noi, vivente in mezzo a noi, deve animare tutto il tessuto della vita, personale e comunitaria, privata e pubblica, così da consentire uno stabile e autentico ‘ben essere’, a partire dalla famiglia, che va riscoperta quale patrimonio principale dell’umanità, coefficiente e segno di una vera e stabile cultura in favore dell’uomo”. Per il Papa, “la singolare identità di Milano non la deve isolare né separare, chiudendola in se stessa”.

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IL SALUTO DI BENEDETTO XVI

«La Milano positivamente laica e la Milano della fede collaborino per il bene comune»

Cari fratelli e sorelle dell’Arcidiocesi di Milano!
Saluto cordialmente tutti voi qui convenuti così numerosi, come pure quanti seguono questo evento attraverso la radio o la televisione. Grazie per la vostra calorosa accoglienza! Ringrazio il Signor Sindaco per le cortesi espressioni di benvenuto che mi ha indirizzato a nome della comunità civica. Saluto con deferenza il Rappresentante del Governo, il Presidente della Regione, il Presidente della Provincia, nonché gli altri rappresentanti delle Istituzioni civili e militari, ed esprimo il mio apprezzamento per la collaborazione offerta per i diversi momenti di questa visita.
Sono molto lieto di essere oggi in mezzo a voi e ringrazio Dio, che mi offre l’opportunità di visitare la vostra illustre Città. Il mio primo incontro con i Milanesi avviene in questa Piazza del Duomo, cuore di Milano, dove sorge l’imponente monumento simbolo della Città. Con la sua selva di guglie esso invita a guardare in alto, a Dio. Proprio tale slancio verso il cielo ha sempre caratterizzato Milano e le ha permesso nel tempo di rispondere con frutto alla sua vocazione: essere un crocevia – Mediolanum – di popoli e di culture. La città ha così saputo coniugare sapientemente l’orgoglio per la propria identità con la capacità di accogliere ogni contributo positivo che, nel corso della storia, le veniva offerto. Ancora oggi, Milano è chiamata a riscoprire questo suo ruolo positivo, foriero di sviluppo e di pace per tutta l’Italia. Il mio «grazie» cordiale va al Pastore di questa Arcidiocesi, il Cardinale Angelo Scola, per l’accoglienza e le parole che mi ha rivolto a nome dell’intera Comunità diocesana; con lui saluto i Vescovi Ausiliari e chi lo ha preceduto su questa gloriosa e antica Cattedra, il Cardinale Dionigi Tettamanzi e il Cardinale Carlo Maria Martini.
Rivolgo un particolare saluto ai rappresentanti delle famiglie – provenienti da tutto il mondo – che partecipano al VII Incontro Mondiale. Un pensiero affettuoso indirizzo poi a quanti hanno bisogno di aiuto e di conforto, e sono afflitti da varie preoccupazioni: alle persone sole o in difficoltà, ai disoccupati, agli ammalati, ai carcerati, a quanti sono privi di una casa o dell’indispensabile per vivere una vita dignitosa. Non manchi a nessuno di questi nostri fratelli e sorelle l’interessamento solidale e costante della collettività. A tale proposito, mi compiaccio di quanto la Diocesi di Milano ha fatto e continua a fare per andare incontro concretamente alle necessità delle famiglie più colpite dalla crisi economico-finanziaria, e per essersi attivata subito, assieme all’intera Chiesa e società civile in Italia, per soccorrere le popolazioni terremotate dell’Emilia Romagna, che sono nel nostro cuore e nella nostra preghiera e per le quali invito, ancora una volta, ad una generosa solidarietà.
Il VII Incontro Mondiale delle Famiglie mi offre la gradita occasione di visitare la vostra Città e di rinnovare i vincoli stretti e costanti che legano la comunità ambrosiana alla Chiesa di Roma e al Successore di Pietro. Come è noto, sant’Ambrogio proveniva da una famiglia romana e ha mantenuto sempre vivo il suo legame con la Città Eterna e con la Chiesa di Roma, manifestando ed elogiando il primato del Vescovo che la presiede. In Pietro – egli afferma – «c’è il fondamento della Chiesa e il magistero della disciplina» (De virginitate, 16, 105); e ancora la nota dichiarazione: «Dove c’è Pietro, là c’è la Chiesa» (Explanatio Psalmi 40, 30, 5). La saggezza pastorale e il magistero di Ambrogio sull’ortodossia della fede e sulla vita cristiana lasceranno un’impronta indelebile nella Chiesa universale e, in particolare, segneranno la Chiesa di Milano, che non ha mai cessato di coltivarne la memoria e di conservarne lo spirito. La Chiesa ambrosiana, custodendo le prerogative del suo rito e le espressioni proprie dell’unica fede, è chiamata a vivere in pienezza la cattolicità della Chiesa una, a testimoniarla e a contribuire ad arricchirla.
Il profondo senso ecclesiale e il sincero affetto di comunione con il Successore di Pietro, fanno parte della ricchezza e dell’identità della vostra Chiesa lungo tutto il suo cammino, e si manifestano in modo luminoso nelle figure dei grandi Pastori che l’hanno guidata. Anzitutto san Carlo Borromeo: figlio della vostra terra. Egli fu, come disse il Servo di Dio Paolo VI, «un plasmatore della coscienza e del costume del popolo» (Discorso ai Milanesi, 18 marzo 1968); e lo fu soprattutto con l’applicazione ampia, tenace e rigorosa delle riforme tridentine, con la creazione di istituzioni rinnovatrici, a cominciare dai Seminari, e con la sua sconfinata carità pastorale radicata in una profonda unione con Dio, accompagnata da una esemplare austerità di vita. Ma, insieme con i santi Ambrogio e Carlo, desidero ricordare altri eccellenti Pastori più vicini a noi, che hanno impreziosito con la santità e la dottrina la Chiesa di Milano: il beato Cardinale Andrea Carlo Ferrari, apostolo della catechesi e degli oratori e promotore del rinnovamento sociale in senso cristiano; il beato Alfredo Ildefonso Schuster, il «Cardinale della preghiera», Pastore infaticabile, fino alla consumazione totale di se stesso per i suoi fedeli. Inoltre, desidero ricordare due Arcivescovi di Milano che divennero Pontefici: Achille Ratti, Papa Pio XI; alla sua determinazione si deve la positiva conclusione della Questione Romana e la costituzione dello Stato della Città del Vaticano; e il Servo di Dio Giovanni Battista Montini, Paolo VI, buono e sapiente, che, con mano esperta, seppe guidare e portare ad esito felice il Concilio Vaticano II. Nella Chiesa ambrosiana sono maturati inoltre alcuni frutti spirituali particolarmente significativi per il nostro tempo. Tra tutti voglio oggi ricordare, proprio pensando alle famiglie, santa Gianna Beretta Molla, sposa e madre, donna impegnata nell’ambito ecclesiale e civile, che fece splendere la bellezza e la gioia della fede, della speranza e della carità.
Cari amici, la vostra storia è ricchissima di cultura e di fede. Tale ricchezza ha innervato l’arte, la musica, la letteratura, la cultura, l’industria, la politica, lo sport, le iniziative di solidarietà di Milano e dell’intera Arcidiocesi. Spetta ora a voi, eredi di un glorioso passato e di un patrimonio spirituale di inestimabile valore, impegnarvi per trasmettere alle future generazioni la fiaccola di una così luminosa tradizione. Voi ben sapete quanto sia urgente immettere nell’attuale contesto culturale il lievito evangelico. La fede in Gesù Cristo, morto e risorto per noi, vivente in mezzo a noi, deve animare tutto il tessuto della vita, personale e comunitaria, privata e pubblica, così da consentire uno stabile e autentico “ben essere”, a partire dalla famiglia, che va riscoperta quale patrimonio principale dell’umanità, coefficiente e segno di una vera e stabile cultura in favore dell’uomo. La singolare identità di Milano non la deve isolare né separare, chiudendola in se stessa. Al contrario, conservando la linfa delle sue radici e i tratti caratteristici della sua storia, essa è chiamata a guardare al futuro con speranza, coltivando un legame intimo e propulsivo con la vita di tutta l’Italia e dell’Europa. Nella chiara distinzione dei ruoli e delle finalità, la Milano positivamente “laica” e la Milano della fede sono chiamate a concorrere al bene comune.
Cari fratelli e sorelle, grazie ancora per la vostra accoglienza! Vi affido alla protezione della Vergine Maria, che dalla più alta guglia del Duomo maternamente veglia giorno e notte su questa Città. A tutti voi, che stringo in un grande abbraccio, dono la mia affettuosa Benedizione.

 

Benedetto XVI

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

Giovani e famiglia secondo un’indagine

Il 60% dei giovani italiani, anche nell’attuale situazione di crisi, “punta sulla famiglia”, pensa che essa “tiene, non rinuncia a pensare di poter formare una propria famiglia”, e la vede costituita mediamente da due figli o più. Solo il 9,2% dei ragazzi e il 6,2% delle ragazze pensa di non avere figli. Questa, in sintesi, la fotografia che emerge dai primi risultati della ricerca “Giovani e famiglia”, avviata dall’Istituto Giuseppe Toniolo di studi superiori e da un team di docenti dell’Università Cattolica avvalendosi di Ipsos per la raccolta dei dati. L’indagine, resa nota oggi mentre è in corso il VII Incontro mondiale delle famiglie, ha riguardato un universo di 9 mila giovani tra i 18 e i 29 anni. 

Forte “desiderio” di famiglia. I risultati diffusi in data odierna si riferiscono al primo “sottocampione” di 2.400 interviste. Con riferimento ai dati sul “desiderio di famiglia e di figli”, i ricercatori osservano: “Se questi giovani fossero semplicemente aiutati a realizzare i propri progetti di vita, la denatalità italiana diventerebbe un problema superato”. Lo conferma la percentuale di coloro che sostengono che “in assenza di impedimenti e costrizioni” vorrebbero avere “tre o più figli” (più del 40%). Per oltre il 60% degli intervistati “la famiglia è la cellula fondamentale della nostra società e si fonda sul matrimonio”; solo l’11.6% è in disaccordo con questa tesi, si legge nell’indagine. Le relazioni tra genitori e figli “sono sempre molto forti nel nostro Paese”, e “non solo per motivazioni di natura economica”. La famiglia, oltre al sostegno materiale, “fornisce anche supporto emotivo” e costituisce “un punto di riferimento stabile e affidabile”. Di fronte a un futuro incerto la famiglia d’origine rappresenta una “fondamentale certezza”.

Il più a lungo possibile. Ampiamente riconosciuto il ruolo della famiglia nel raggiungimento di importanti traguardi esistenziali. Oltre l’80% degli intervistati afferma che la propria esperienza familiare gli è stata di aiuto “nel coltivare le sue passioni e nell’affermarsi nella vita”; oltre l’85% rivela che la famiglia rappresenta un sostegno nel perseguire i propri obiettivi. In Italia inoltre, a differenza che nella maggior parte dei Paesi europei, il 61,95% dei giovani considera “un fatto normale” continuare a vivere con i propri genitori anche dopo i 25 anni; il 27,38% lo definisce “un piacere”. Solo il 6% lo mette in relazione a “problemi economici”. La maggioranza degli intervistati pensa di poter contare su un aiuto concreto anche dopo avere lasciato la casa d’origine. Oltre il 90% ritiene che verrà aiutato nell’accudimento di eventuali figli; oltre l’80% per l’acquisto della casa. Il 54,51% pensa di poter contare anche su una “integrazione regolare del reddito”. Per i ricercatori, “questa disponibilità all’aiuto da un lato è senz’altro positiva, dall’altro può produrre effetti ambivalenti sul giovane e sulla sua responsabilizzazione nelle scelte di vita”.

Processi di compensazione più che di trasformazione. La famiglia d’origine viene intesa dai giovani come “luogo in cui ciascuno può esprimere se stesso” (d’accordo con questa affermazione il 39,7%; abbastanza d’accordo il 47,3%). Due intervistati su tre la ritengono un “luogo di apprendimento primario” sia delle modalità di relazione con il contesto sociale, sia dal punto di vista normativo, cioè delle “regole da rispettare”. Per oltre la metà la famiglia si configura come “rifugio dal mondo”. “Questi dati – commenta Alessandro Rosina (Università Cattolica) – sono di estremo interesse e ci mostrano come le generazioni adulte si muovano con modalità molto diverse all’interno della famiglia e della società: nella famiglia danno vita a un luogo dove ciascuno può dire come la pensa e aprirsi agli altri, nella società danno vita a luoghi di sfiducia per fuggire dai quali i giovani vanno a ‘rifugiarsi’ in famiglia”. Per Rosina, quindi, “la dinamica di scambio tra famiglia e società” si conferma basata su “processi di scissione e compensazione anziché su processi di trasformazione”. “Prolungando gli aspetti protettivi”, conclude, i genitori “compensano l’ingiustizia del sociale che inconsapevolmente contribuiscono a produrre”.

da: SIR 31/05/12

«Promuovere la famiglia solida»

Il VII Incontro mondiale delle famiglie, all’apertura dei lavori al Centro congressi MiCo a Fieramilanocity “ha riportato all’attenzione di tutta la società la famiglia normocostituita, cosa che mi sembra un bene“: lo ha detto l’arcivescovo di Milano, Angelo Scola, durante la conferenza stampa di apertura.

La famiglia normocostituita – afferma Scola -, formata da un rapporto fedele e aperto alla vita tra un uomo e una donna, sta al centro del desiderio e della realizzazione concreta degli uomini e delle donne di oggi: ci sono tanti problemi da approfondire ma questa famiglia è stata un po’ riportata all’attenzione di tutta la società“.

L’Incontro mondiale, che culminerà domenica con la messa celebrata dal Papa all’aeroporto di Bresso, “ha potenziato e potenzia – dice Scola – la vita ordinaria dei cristiani sia nella dimensione ecclesiale sia in quella civile di cittadini“.

CARD. ANTONELLI: PROMUOVERE LA FAMIGLIA
La famiglia normale, cioè una coppia stabile unita in matrimonio e con due o più figli, è più felice e più vantaggiosa per la società“: è quanto afferma il cardinale Ennio Antonelli, presidente del Pontificio Consiglio per la famiglia, in apertura dei lavori del VII Incontro mondiale della famiglia, al centro congressi MiCo di Fieramilanocity.
Questa affermazione, sostiene Antonelli, “emerge da ricerche sociologiche e sarà messa in evidenza durante il congresso teologico pastorale che inizia domani“. “Sebbene mediamente più povera – dice Antonelli – la famiglia normale è più ricca di relazioni umane, produce un capitale umano di qualità“.
Per questo, prosegue il cardinale, “il mondo culturale, politico e economico non dovrebbe ostacolare ma sostenere la famiglia normale, con equità fiscale, occupazione, armonizzazione famiglia-lavoro, difesa della domenica come giorno di riposo“. “In tempo di crisi – conclude il religioso – occorre più che mai promuovere la famiglia solida, e non liquida“.

INDULGENZA PLENARIA AI PARTECIPANTI
“Il Papa concederà indulgenza plenaria a chi parteciperà al VII Incontro mondiale delle famiglie”: lo ha annunciato il cardinale Ennio Antonelli durante la conferenza stampa di apertura dell’evento. L’indulgenza, ha spiegato Antonelli, “è una grazia da parte di Dio concessa per mediazione della Chiesa”

IL PERCORSO DI RIFLESSIONE
All’interno del VII Incontro mondiale delle famiglie, un percorso specifico di riflessione sarà offerto dal Congresso internazionale teologico-pastorale. Mons. Franco Giulio Brambilla, vescovo di Novara e presidente del Comitato scientifico del Congresso, lo ha presentato come un appuntamento che “dipanerà il filo rosso del tema nella tensione tra famiglia e società”. L’esperienza familiare – ha affermato il vescovo – sperimenta la sua fragilità ed è particolarmente vulnerabile di fronte ai processi sociali”. Per questo, le tre giornate del VII Incontro mondiale delle famiglie “partono dalla vita quotidiana per aprirla al mondo, insistendo sulla famiglia come luogo di apertura alla società e sulla società come spazio che deve considerare la famiglia come motore propulsivo”.
Al centro dell’attenzione sono le relazioni familiari, che “da un lato sono da collocare realisticamente nelle forme attuali con cui lavoro e tempo libero influiscono sulla vita di coppia e l’educazione dei figli, dall’altro potranno diventare occasione per trasformare il mondo mediante il lavoro e per umanizzare il tempo mediante il senso cristiano della festa, in particolare della Domenica”.
Grande è l’attesa per l’esito dell’incontro: “Ci aspettiamo che l’esperienza delle diverse nazioni e dei diversi continenti possa mostrare un panorama differenziato con cui famiglia, lavoro e festa si intrecciano”.

 

Aprendo il lavori del Congresso internazionale teologico pastorale  il card. Angelo Scola, arcivescovo di Milano, e il card. Ennio Antonelli, presidente del Pontificio Consiglio per la famiglia, hanno dedicato un pensiero e una preghiera alle vittime del terremoto dell’Emilia Romagna.

Pregheremo per le vittime del terremoto – ha affermato il card. Scola – e troveremo forme di concreta solidarietà nei loro confronti”.

Gli ha fatto eco il card. Antonelli: “Siamo una grande assemblea, riunita in un clima di fraternità e di gioia, ma aleggia su di noi una nube di mestizia, per il disastroso terremoto che non molto lontano da qui ha colpito la popolazione dell’Emilia Romagna. Ai morti, ai feriti, alle famiglie che hanno perduto la casa e ai lavoratori che hanno perduto il lavoro va il nostro commosso pensiero, insieme alla nostra solidarietà, avvalorata dalla preghiera”.

30/05

Il tema che mi è stato assegnato ha due poli estremi: la creazione e la salvezza. Il mio intervento è una sorta di piccolo disegno, un bozzetto all’interno del quale tanti altri relatori aggiungeranno molti elementi. Per questo ho pensato di usare un simbolo fondamentale, che disegnerò e cercherò di colorare, non col pennello ma con le parole e, prima di tutto, con le parole della Scrittura: la casa”. Così il card. Gianfranco Ravasi, presidente del Pontifico Consiglio della cultura, ha iniziato l’intervento su “La famiglia: tra opera della creazione e festa della salvezza” con cui si è aperto il Congresso internazionale teologico pastorale inserito all’interno del VII Incontro mondiale delle famiglie (Milano, 30 maggio – 3 giugno).

La casa, ha spiegato il cardinale, “non è soltanto l’edificio di mattoni, di pietra e di cemento o la capanna o la tenda in cui si dimora, ma è anche chi vi abita, è il ‘casato’ fatto di persone vive e di generazioni. Anzi, talora la ‘casa’ per eccellenza è persino il tempio, residenza terrestre di Dio”. Il simbolo della casa rende possibile la declinazione tematica di altri concetti, a partire dalle fondamenta, ovvero la base da cui sorge la famiglia, la coppia uomo-donna.

Nelle parole del card. Ravasi, la casa ha pareti di pietre vive, rappresentate dai figli. Sulle pareti di pietre vive della casa familiare “sono incise due epigrafi che delineano l’impegno vitale morale dei suoi abitanti.

Sono i due comandamenti capitali della famiglia. Da un lato, il precetto nuziale della fedeltà: ‘Non commetterai adulterio’. Dall’altro lato, il comandamento sociale: ‘Onora tuo padre e tua madre’, dove la figura paterno-materna incarna tutta la complessa rete delle relazioni sociali, essendo appunto la famiglia la cellula germinale del tessuto comunitario”.

Dentro la “casa” che rappresenta la famiglia, ci sono tre stanze: del “dolore”, del “lavoro” e della “festa”. Questi tre ambiti rappresentano la concretezza delle relazioni familiari, delle fatiche del lavoro, della gioia della festa: “L’uomo e la donna, quando celebrano la liturgia festiva, entrano nel tempio/tempo eterno divino”. In quest’ultima stanza – ricorda il card. Ravasi – si presenta Dio per “asciugare ogni lacrima dagli occhi e far scomparire quei cittadini oscuri che ci sono in tutte le città e villaggi del mondo, che non vorremmo: morte, lutto, lamento e affanno. Nella festa piena della salvezza, non ci saranno più”. Guardando dalla finestra di questa casa, ha concluso, “possiamo vedere e apprezzare il dono della tenerezza”.

Seminario degli sperimentatori dell’Irc nel II Ciclo – Maggio 2012

Si svolge martedì 29 maggio 2012, presso la sede CEI di Via Aurelia 796 in Roma, l’incontro conclusivo della sperimentazione sulle Indicazioni per l’Irc nel Secondo Ciclo.

All’incontro parteciperanno gli Idr Sperimentatori nella Scuola Secondaria di 2° grado indicati a suo tempo dai Responsabili Regionali dell’Irc. Per l’occasione sono stati invitati i membri del Gruppo di Supporto dell’Irc nel 2° Ciclo, i quali hanno accompagnato il percorso di sperimentazione.

Sarà importante, dunque, non solo evidenziare le linee fondamentali emerse dalla sperimentazione, ma anche suggerire possibili sviluppi della progettazione educativo-didattica che abbiano un particolare riferimento all’attuale assetto diversificato per tipo di scuola in cui l’Irc deve essere pienamente inserito.

E’ possibile scaricare il programma. E’ disponibile on line la circolare di esonero del MIUR.

Contenuti e scelte di un’umanità matura

L’intervento del Santo Padre alla 64ª Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana – riunita nell’Aula del Sinodo della Città del Vaticano dal 21 al 25 maggio 2012 – da una parte ha contribuito a evidenziare la piena sintonia tra il Magistero pontificio e i contenuti della Prolusione offerta dal Card. Angelo Bagnasco; dall’altra, per molti aspetti ha costituito un’ampia sintesi del confronto che ha animato il complesso dei lavori assembleari e che trova nel primato della fede la sua cifra essenziale.

Seguendo la scansione programmata dal Consiglio Episcopale Permanente per una recezione ordinata degli Orientamenti pastorali del decennio, i Vescovi hanno approfondito nei gruppi di studio, nel dibattito e nelle conclusioni assembleari il tema dell’anno in corso, legato alla formazione degli adulti e della famiglia. Tale lavoro di discernimento è stato introdotto da una relazione magistrale, avente come oggetto “Gli adulti nella comunità: maturi nella fede e testimoni di umanità”.

Nel quadro del cammino che la Presidenza della CEI ha promosso nel corso di quest’anno su temi inerenti la Dottrina sociale della Chiesa, un secondo momento di riflessione ne ha messo a fuoco attualità e importanza.Completando l’opera condotta nelle ultime due Assemblee Generali (Assisi, novembre 2010 e Roma, maggio 2011), i Vescovi hanno esaminato e approvato l’ultima parte dei materiali della terza edizione italiana del Messale Romano, giungendo anche alla sua approvazione complessiva.In Assemblea sono state presentate e rese pubbliche le “Linee guida per i casi di abuso sessuale nei confronti di minori da parte di chierici”, in sintonia con quanto indicato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede.Si è quindi dato spazio ad alcune determinazioni in materia giuridico-amministrativa: la presentazione e l’approvazione del bilancio consuntivo della CEI per l’anno 2011, nonché delle ripartizioni e assegnazioni delle somme derivanti dall’8 per mille per l’anno 2012; la presentazione del bilancio consuntivo dell’Istituto Centrale per il Sostentamento del Clero per l’anno 2011.

Distinte comunicazioni hanno illustrato la pastorale delle migrazioni, la comunicazione pubblica e il Seminario di studio per i Vescovi nell’Anno della Fede.Inoltre, sono stati presentati alcuni appuntamenti di rilievo: l’Incontro Mondiale delle Famiglie, la Giornata della carità del Papa e la Giornata Mondiale della Gioventù. È stato presentato e approvato il calendario delle attività della CEI per l’anno 2012-2013.

L’Assemblea ha anche eletto il Vice Presidente per l’area Sud, mentre il Consiglio Episcopale Permanente – riunito nella sessione del 23 maggio – ha provveduto a una serie di nomine e ha fissato la data della prossima Settimana Sociale dei Cattolici Italiani.Ai lavori assembleari hanno preso parte 232 membri, 17 Vescovi emeriti, 21 delegati di Conferenze Episcopali Europee, rappresentanti di presbiteri, religiosi, consacrati e della Consulta Nazionale delle Aggregazioni Laicali, nonché esperti in ragione degli argomenti trattati. Tra i momenti più significativi vi è stata la Concelebrazione Eucaristica nella Basilica di San Pietro, presieduta da S.Em. il Card. Marc Ouellet, Prefetto della Congregazione per i Vescovi.

Comunicato finale 64ma Assemblea.doc