Papa Francesco: “Custodire e Custodirsi…”

“…custodire, però, non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. E’ il custodire l’intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d’Assisi: è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo. E’ il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore. E’ l’aver cura l’uno dell’altro nella famiglia: i coniugi si custodiscono reciprocamente, poi come genitori si prendono cura dei figli, e col tempo anche i figli diventano custodi dei genitori. E’ il vivere con sincerità le amicizie, che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene. In fondo, tutto è affidato alla custodia dell’uomo, ed è una responsabilità che ci riguarda tutti. Siate custodi dei doni di Dio!”

(omelia 19 marzo – papa Francesco)

Cari fratelli e sorelle! 
Ringrazio il Signore di poter celebrare questa Santa Messa di inizio del ministero petrino nella solennità di San Giuseppe, sposo della Vergine Maria e patrono della Chiesa universale: è una coincidenza molto ricca di significato, ed è anche l’onomastico del mio venerato Predecessore: gli siamo vicini con la preghiera, piena di affetto e di riconoscenza. 
Con affetto saluto i Fratelli Cardinali e Vescovi, i sacerdoti, i diaconi, i religiosi e le religiose e tutti i fedeli laici. Ringrazio per la loro presenza i Rappresentanti delle altre Chiese e Comunità ecclesiali, come pure i rappresentanti della comunità ebraica e di altre comunità religiose. Rivolgo il mio cordiale saluto ai Capi di Stato e di Governo, alle Delegazioni ufficiali di tanti Paesi del mondo e al Corpo Diplomatico.

Abbiamo ascoltato nel Vangelo che «Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’Angelo del Signore e prese con sé la sua sposa» (Mt 1,24). In queste parole è già racchiusa la missione che Dio affida a Giuseppe, quella di essere custos, custode. Custode di chi? Di Maria e di Gesù; ma è una custodia che si estende poi alla Chiesa, come ha sottolineato il beato Giovanni Paolo II. 
Così: «San Giuseppe, come ebbe amorevole cura di Maria e si dedicò con gioioso impegno all’educazione di Gesù Cristo, così custodisce e protegge il suo mistico corpo, la Chiesa, di cui la Vergine Santa è figura e modello» (Esort. ap. Redemptoris Custos, 1). 

Come esercita Giuseppe questa custodia? Con discrezione, con umiltà, nel silenzio, ma con una presenza costante e una fedeltà totale, anche quando non comprende. Dal matrimonio con Maria fino all’episodio di Gesù dodicenne nel Tempio di Gerusalemme, accompagna con premura e con amore ogni momento. E’ accanto a Maria sua sposa nei momenti sereni e in quelli difficili della vita, nel viaggio a Betlemme per il censimento e nelle ore trepidanti e gioiose del parto; nel momento drammatico della fuga in Egitto e nella ricerca affannosa del figlio al Tempio; e poi nella quotidianità della casa di Nazaret, nel laboratorio dove ha insegnato il mestiere a Gesù.

Come vive Giuseppe la sua vocazione di custode di Maria, di Gesù, della Chiesa? Nella costante attenzione a Dio, aperto ai suoi segni, disponibile al suo progetto, non tanto al proprio; ed è quello che Dio chiede a Davide, come abbiamo ascoltato nella prima Lettura: Dio non desidera una casa costruita dall’uomo, ma desidera la fedeltà alla sua Parola, al suo disegno; ed è Dio stesso che costruisce la casa, ma di pietre vive segnate dal suo Spirito. E Giuseppe è “custode”, perché sa ascoltare Dio, si lascia guidare dalla sua volontà, e proprio per questo è ancora più sensibile alle persone che gli sono affidate, sa leggere con realismo gli avvenimenti, è attento a ciò che lo circonda, e sa prendere le decisioni più sagge. In lui cari amici, vediamo come si risponde alla vocazione di Dio, con disponibilità, con prontezza, ma vediamo anche qual è il centro della vocazione cristiana: Cristo! Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato!

La vocazione del custodire, però, non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. 

E’ il custodire l’intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d’Assisi: è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo. 
E’ il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore. 
E’ l’aver cura l’uno dell’altro nella famiglia: i coniugi si custodiscono reciprocamente, poi come genitori si prendono cura dei figli, e col tempo anche i figli diventano custodi dei genitori. 
E’ il vivere con sincerità le amicizie, che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene. In fondo, tutto è affidato alla custodia dell’uomo, ed è una responsabilità che ci riguarda tutti. Siate custodi dei doni di Dio! 

E quando l’uomo viene meno a questa responsabilità, di custodire, quando non ci prendiamo cura del creato e dei fratelli, allora trova spazio la distruzione e il cuore inaridisce. In ogni epoca della storia, purtroppo, ci sono degli “Erode” che tramano disegni di morte, distruggono e deturpano il volto dell’uomo e della donna.

Vorrei chiedere, per favore, a tutti coloro che occupano ruoli di responsabilità in ambito economico, politico o sociale, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà: siamo “custodi” della creazione, del disegno di Dio iscritto nella natura, custodi dell’altro, dell’ambiente; non lasciamo che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo! Ma per “custodire” dobbiamo anche avere cura di noi stessi!

Ricordiamo che l’odio, l’invidia, la superbia sporcano la vita! Custodire vuol dire allora vigilare sui nostri sentimenti, sul nostro cuore, perché è da lì che escono le intenzioni buone e cattive: quelle che costruiscono e quelle che distruggono! Non dobbiamo avere paura della bontà, anzi neanche della tenerezza! 
E qui aggiungo, allora, un’ulteriore annotazione: il prendersi cura, il custodire chiede bontà, chiede di essere vissuto con tenerezza. Nei Vangeli, san Giuseppe appare come un uomo forte, coraggioso, lavoratore, ma nel suo animo emerge una grande tenerezza, che non è la virtù del debole, anzi, al contrario, denota fortezza d’animo e capacità di attenzione, di compassione, di vera apertura all’altro, capacità di amore. Non dobbiamo avere timore della bontà, della tenerezza! 

Oggi, insieme con la festa di san Giuseppe, celebriamo l’inizio del ministero del nuovo Vescovo di Roma, Successore di Pietro, che comporta anche un potere. Certo, Gesù Cristo ha dato un potere a Pietro, ma di quale potere si tratta? 
Alla triplice domanda di Gesù a Pietro sull’amore, segue il triplice invito: pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle. Non dimentichiamo mai che il vero potere è il servizio e che anche il Papa per esercitare il potere deve entrare sempre più in quel servizio che ha il suo vertice luminoso sulla Croce; (applausi) deve guardare al servizio umile, concreto, ricco di fede, di san Giuseppe e come lui aprire le braccia per custodire tutto il Popolo di Dio e accogliere con affetto e tenerezza l’intera umanità, specie i più poveri, i più deboli, i più piccoli, quelli che Matteo descrive nel giudizio finale sulla carità: chi ha fame, sete, è straniero, nudo, malato, in carcere (cfr Mt 25,31-46). Solo chi serve con amore sa custodire! 

Nella seconda Lettura, san Paolo parla di Abramo, il quale «credette, saldo nella speranza contro ogni speranza» (Rm 4,18). Saldo nella speranza, contro ogni speranza! Anche oggi davanti a tanti tratti di cielo grigio, abbiamo bisogno di vedere la luce della speranza e di dare noi stessi la speranza. Custodire il creato, ogni uomo ed ogni donna, con uno sguardo di tenerezza e amore, è aprire l’orizzonte della speranza, è aprire uno squarcio di luce in mezzo a tante nubi, è portare il calore della speranza! 
E per il credente, per noi cristiani, come Abramo, come san Giuseppe, la speranza che portiamo ha l’orizzonte di Dio che ci è stato aperto in Cristo, è fondata sulla roccia che è Dio. 

Custodire Gesù con Maria, custodire l’intera creazione, custodire ogni persona, specie la più povera, custodire noi stessi: ecco un servizio che il Vescovo di Roma è chiamato a compiere, ma a cui tutti siamo chiamati per far risplendere la stella della speranza: Custodiamo con amore ciò che Dio ci ha donato! 
Chiedo l’intercessione della Vergine Maria, di san Giuseppe, dei santi Pietro e Paolo, di san Francesco, affinché lo Spirito Santo accompagni il mio ministero, e a voi tutti dico: pregate per me! 
Amen.

ARTICOLI COLLEGATI

Un Papa narratore che sa “farsi parabola”  del 20/03/13

Povertà di cose ma ricchezza in Dio

Le mamme hanno sempre ragione… All’annuncio dell’elezione del Santo Padre e alla scoperta della sua identità, la mia mamma mi ha scritto un sms che diceva così: “Lo Spirito Santo non legge il giornale. Evviva il Papa!”. Mi spiace solo che, siccome leggerà queste righe, stavolta devo darle ragione. Penso e spero, sorriderà… visti i nostri dialoghi spesso “vivaci”. Ma non è di questo che intendevo scrivere. Stamattina ho celebrato la Santa Messa per il Papa pregando per lui, per la Chiesa, per la sua missione. Soprattutto, ringraziando il Signore per il dono di questo Papa:

«Il mondo si troverà sempre più in una posizione in cui perfino i politici e gli uomini che esercitano una professione si troveranno a dire: “Se il Papa non esistesse, bisognerebbe inventarlo”» (Gilbert Keith Chesterton, La mia fede)

Lo ringrazio perché papa Francesco è un Papa povero per una Chiesa povera di cose… e piena di Dio. Una semplice Croce, nessuna mantellina, un nome che rimanda al santo che parlava di Madonna Povertà. Un Papa per una Chiesa che possa parlare alla gente semplice, alle tante persone che cercano conforto in mezzo a tante peripezie quotidiane. Lo ringrazio perché papa Francesco è un papa che prega e fa pregare… Mi ha molto colpito questa sua “azione pastorale” iniziale: un Padre nostro, un’Ave Maria e un Gloria. Come nei nostri oratori, quando a metà pomeriggio si prega insieme con le preghiere del buon cristiano. Come don Bosco, che al termine della giornata faceva pregare e dava un buon pensiero di “Buonanotte”. Soprattutto, sono rimasto stupito dalla sua umile richiesta di preghiere per lui. Il silenzio nella Piazza in quel momento è stato la parola più forte:

Adesso vorrei dare la benedizione, ma prima vi chiedo un favore. Prima che il Vescovo benedica il popolo io vi chiedo che voi pregate il Signore perchè mi benedica: la preghiera del popolo chiedendo la benedizione per il suo Vescovo. Facciamo in silenzio questa preghiera di voi su di me.

Ora sta a noi accompagnare il Santo Padre in questo cammino che ci ha invitato a fare insieme…

E adesso incominciamo questo cammino, Vescovo e popolo, questo cammino della Chiesa di Roma, che è quella che presiede nella carità a tutte le chiese. Un cammino di fratellanza, di amore e di fiducia tra noi.  Con un cuore pieno di affabilità, entusiasmo ed umiltà. Quello di Papa Francesco.

Don Elio Cesari – SdB  –www.mgslombardiaemilia.it

Added by Giu Trapani on 14 marzo 2013.
Saved under coverEcclesiaHabemus Papam Francescotracce giovani di fede viva!

Messaggio del Rettor Maggiore per l’elezione di Papa Francesco

Ai Salesiani e membri tutti della Famiglia Salesiana

 

Ho avuto la grazia di essere stato a Piazza San Pietro gremita di migliaia e miglia di persone, particolarmente giovani, nel momento in cui abbiamo sentito il messaggio tanto atteso:

“Annuntio vobis gaudium magnum. 
Habemus Papam
Georgiumg Marium Bergoglio
qui sibi nomen imposuit
FRANCISCUM”.

Anche se il suo nome non era stato menzionato tra i papabili, e dunque causò perplessità in coloro che non sapevano di chi si trattava, l’accoglienza del Nuovo Successore di Pietro non si fece attendere e la risposta fu un grandissimo applauso, espressione di una grande gioia, accompagnata dai primi gridi: Francesco, Francesco, Francesco….

Ancora una volta, è stato lo Spirito Santo a guidare i Cardinali elettori nella elezione dell’Uomo che Dio stesso aveva scelto come Vicario di Cristo.

Assieme a tutti voi, cari fratelli e sorelle, membri tutti della Famiglia Salesiana, e giovani, rendo lode e grazie al Signore per il grandissimo dono che ci ha dato nella persona del Card. Jorge Mario Bergoglio, Jesuita, Arcivescovo di Buenos Aires, che avevo avuto la grazia di conoscere e trattare personalmente nella Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano ad Aparecida e, posteriormente, nella Beatificazione di Zeffirino Namuncurà.

L’elezione del suo nome, Francisco, è già significativa perché in certo senso raccoglie alcuni dei tratti più caratteristici del Nuovo Papa: la semplicità, la povertà, l’autenticità, e, al tempo stesso, diventa programmatica perché evidenzia alcuni degli elementi che oggi devono definire il volto della Chiesa e il suo rapporto con il Mondo.

Prima di impartire la prima benedizione ci ha chiesto di benedirlo. In un profondo silenzio ciascuno dal fondo del proprio cuore lo ha fatto lasciandosi guidare dallo Spirito. Oggi vi invito a invocare su di Lui l’abbondanza dei doni dello Spirito affinché abbia la Luce per discernere ciò che il Signore si attende della Sua Chiesa oggi e trovi l’Energia per portarlo alla vita.

Con spirito di fede e grande stima e devozione accogliamo il Papa Francesco, come lo avrebbe fatto don Bosco, e, mentre lo affidiamo alla cura e guida materna di Maria, le assicuriamo il nostro affetto, la nostra obbedienza e la più sincera e decisa collaborazione in questo tempo di Nuova Evangelizzazione.

Roma,13 Marzo 2013

don Pascual Chávez V., SDB
Rettor Maggiore

Nel nome di una missione

 Forse è la volta buona. Forse oggi, a distanza di mezzo secolo, il rinnovamento all’insegna del Vangelo che papa Giovanni XXIII e il Vaticano II avevano voluto e intrapreso, può finalmente diventare realtà. Forse i cardinali elettori hanno veramente ascoltato lo Spirito Santo, operazione che non contiene nulla di magico, ma è sol…o la pura disposizione della mente e del cuore a volere sempre e solo il bene, perché quando un uomo dispone la sua mente e il suo cuore nella ricerca del bene lo Spirito della santità agisce in lui, sia egli credente o non credente. E questo io sento che i cardinali elettori hanno fatto, allontanando ogni calcolo politico o diplomatico, ogni ragionamento all’insegna del potere, e scegliendo un uomo di Dio. Si è trattato di una scelta assolutamente inaspettata, il nome di Jorge Mario Bergoglio non figurava quasi mai tra le liste dei principali papabili. Ma si è trattato soprattutto di una scelta completamente innovativa: da ieri abbiamo il primo papa non europeo, il primo papa latino-americano, il primo papa che ha scelto di presentarsi al mondo come “vescovo di Roma” e soprattutto il primo papa che ha scelto di chiamarsi Francesco. Nell’unione di queste quattro assolute novità, unite alla preghiera che ha da subito caratterizzato la sua prima apparizione da papa, io intravedo quella speranza di rinnovamento all’insegna del Vaticano II che Francesco I può realizzare e di cui la Chiesa ha un immenso bisogno. Né si può tacere il fatto che Bergoglio nel Conclave del 2005 fu il principale antagonista di Ratzinger: i cardinali elettori quindi non solo non hanno scelto un ratzingeriano di ferro come Scola o come Schönborn, ma hanno scelto colui che a Ratzinger contese la maggioranza dei voti in Conclave. Questa scelta contiene un giudizio non del tutto positivo sugli otto anni di pontificato dell’attuale papa emerito. Ma ciò che maggiormente colpisce è il nome che il nuovo pontefice ha scelto per sé. Che cosa significa aver deciso di chiamarsi Francesco? Bergoglio non è un francescano, è un gesuita e se avesse seguito il suo cuore avrebbe dovuto chiamarsi Ignazio, visto che è sant’Ignazio di Loyola il fondatore dei gesuiti. Ma egli ha scelto di chiamarsi Francesco, sottolineando con questo non la sua storia personale (anche se chi lo conosce racconta che vive da sempre in assoluta semplicità, lontano dal lusso che la qualifica di arcivescovo di Buenos Aires gli permetterebbe) ma l’intento animatore del suo programma di governo all’insegna della testimonianza profetica e della radicalità evangelica. Francesco è il santo che più di ogni altro nel secondo millennio cristiano ha rappresentato l’ideale della purezza evangelica, l’ideale di vivere le beatitudini, lontano dalle seduzioni del potere e della gloria. Penso che tutti abbiano in mente l’affresco di Giotto nella Basilica superiore di Assisi che rappresenta il sogno di Innocenzo III: egli vede un uomo vestito con un semplice saio che sorregge una chiesa che sta per cadere,e ovviamente quell’uomo è Francesco il poverello di Dio, di cui a Innocenzo III in sogno viene anticipata la venuta. Ora a nessuno è dato sapere che cosa abbia sognato in queste notti Jorge Mario Bergoglio quando sentiva approssimarsi la scelta dei cardinali elettori su di lui, ma certamente il fatto che egli abbia scelto di chiamarsi Francesco indica nel modo più esplicito la sua chiara percezione della gravità della situazione che la Chiesa cattolica sta vivendo e soprattutto la sua convinzione riguardo alla via per uscirne: la radicalità evangelica, la povertà, la mitezza, la lontananza dal potere, l’amore per ogni uomo e per gli animali, la cura per tutto il creato. Il primo, indispensabile passo che la Chiesa deve compiere è tornare a credere al Vangelo anzitutto nelle sue strutture di comando: l’evangelizzazione, prima di riguardare il mondo, riguarda la gerarchia della Chiesa, in primo luogo la Curia, e dalla scelta effettuata sembra che i cardinali abbiano capito alla perfezione tutto ciò e abbiano individuato chi, tra di loro, era l’uomo giusto per questa svolta all’insegna della mitezza e insieme del rigore. Ieri, sentendo parlare per la prima volta il nuovo papa, mi ha molto colpito il suo rivolgersi ai fedeli e al mondo chiamandosi più di una volta “vescovo di Roma”. Anzi si può dire che ieri sera Bergoglio non si è presentato al mondo, infatti non ha detto una sola parola in spagnolo per la sua terra, non ha detto una sola parola in inglese rivolgendosi alla mondovisione. Si è presentato solo alla sua diocesi, alla città di Roma, e non a caso ha fatto il nome del suo vicario per la città, il cardinal Vallini, volendolo accanto a sé sul balcone. Questo è molto importante. Mostra infatti che le indicazioni del VaticanoII e soprattutto del Nuovo Testamento sono quanto mai chiare a papa Francesco I. Da papa egli vuole anzitutto essere un vescovo, il vescovo di una città, e anzi sa che può essere veramente papa in fedeltà al Vangelo e al Vaticano II solo nella misura in cui non cesserà mai di essere vescovo, cioè una guida concreta a contatto con i problemi reali della gente reale. Bergoglio è un gesuita, è mite e insieme austero, amante della semplicità, della povertà, di una vita all’insegna dell’essenziale, privo di decorazioni barocche e dal linguaggio semplice e asciutto. Assomiglia molto a Carlo Maria Martini, di cui certamente era amico. E forse quei 200 anni con cui Martini nella sua ultima profetica intervista dell’8 agosto scorso segnò la distanza tra la Chiesa e il mondo («la Chiesa è rimasta indietro di 200 anni») con Francesco I sono destinati a essere colmati.
 
Vito Mancuso, La Repubblica 14 marzo 2013

Le prime parole di Papa Francesco

“Fratelli e sorelle buonasera. Voi sapete che il dovere del Conclave è di dare un Vescovo a Roma. Sembra che i miei fratelli cardinali sono andati a prenderlo quasi alla fine del mondo. Ma siamo qui… Vi ringrazio dell’accoglienza, alla comunità diocesana di Roma, al suo Vescovo, grazie. E prima di tutto vorrei fare una preghiera per il nostro Vescovo emerito Benedetto XVI. Preghiamo tutti insieme per lui, perché il Signore lo benedica e la Madonna lo custodisca”.
Quindi ha recitato il Padre nostro, l’Ave Maria e il Gloria.
“E adesso – ha proseguito – incominciamo questo cammino, Vescovo e popolo, questo cammino della Chiesa di Roma, che è quella che presiede nella carità a tutte le chiese. Un cammino di fratellanza, di amore e di fiducia tra noi. Preghiamo sempre per noi, l’uno per l’altro, preghiamo per tutto il mondo, perchè ci sia una grande fratellanza. Vi auguro che questo cammino di Chiesa che oggi incominciamo – mi aiuterà il mio cardinale vicario qui presente – sia fruttuoso per la evangelizzazione di questa sempre bella città… Adesso vorrei dare la benedizione, ma prima vi chiedo un favore. Prima che il Vescovo benedica il popolo io vi chiedo che voi pregate il Signore perchè mi benedica: la preghiera del popolo chiedendo la benedizione per il suo Vescovo. Facciamo in silenzio questa preghiera di voi su di me”.
“Adesso darò la benedizione a voi e a tutto il mondo, a tutti gli uomini e donne di buona volontà”, ha proseguito, impartendo la benedizione in latino e concedendo l’indulgenza plenaria. “Grazie tante dell’accoglienza. Pregate per me e a presto, ci vediamo presto. Domani voglio andare a pregare la Madonna perchè custodisca tutta Roma. Buona notte e buon riposo”.

Miserando atque Eligendo: il motto di un papato che inizia sotto il segno della Misericordia

«Un cristiano sul trono di Pietro». Così Hannah Arendt, per parlare di papa Giovanni, inventò per il New Yorker uno di quei titoli così taglienti ma altrettanto immediati e indimenticabili. Non per denigrare “gli altri” che sono saliti sul soglio di Pietro ma perché i vari titoli che si applicavano al papa finivano per lasciare l’essere cristiano in fondo o fuori dalla lista delle qualità papali.

Mai avremmo immaginato che ci sarebbe stato concesso di nuovo di vedere «un cristiano sul trono di Pietro» e con nome impegnativo di Francesco.  Dopo la gioia dell’ Habemus papam, l’emozione delle sue prime parole e dei suoi primi gesti che profumano di vangelo, sono andato a ricercare qualche notizia in più sulla sua vita e il suo ministero di padre gesuita e di vescovo. 

Quello che mi ha colpito più di tutto è stato il suo motto: Miserando atque Eligendo, tradotto alla lettera sarebbe “guardò con misericordia e lo scelse”. E possiamo dire che i cardinali (che nelle sue prime parole ha chiamato “fratelli” e non “signori”) l’hanno preso in parola! 

Queste due parole sono in realtà prese di peso dall’ Omelia 21 di Beda il Venerabile, proposta dalla liturgia per l’ufficio delle letture della festa dell’apostolo Matteo, il pubblicano pentito, l’apostolo che prima era esattore delle tasse.

    Vidit ergo Iesus publicanum, et quia miserando atque eligendo vidit, ait illi, Sequere me. Sequere autem dixit imitare. Sequere dixit non tam incessu pedum, quam executione morum.

Così scrive dunque, in traduzione italiana, Beda a commento del brano del Vangelo di Matteo:

    Gesù vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi» (Mt 9, 9). Vide non tanto con lo sguardo degli occhi del corpo, quanto con quello della bontà interiore. Vide un pubblicano e, siccome lo guardò con sentimento di amore e lo scelse, gli disse: «Seguimi». Gli disse «Seguimi», cioè imitami. Seguimi, disse, non tanto col movimento dei piedi, quanto con la pratica della vita. Infatti «chi dice di dimorare in Cristo, deve comportarsi come lui si è comportato» (1Gv 2,6).

«Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori!» (Matteo 9,13). Il peccatore è chiamato a seguire il Signore perché gli ha rimesso il peccato e l’ha accolto. Dio non è legge, ma amore; non è sanzione e punizione, ma perdono e “medicina di misericordia”.

Il peccato non esclude dal Regno. Rappresenta anzi un “privilegio” in due sensi: Dio ama di più il peccatore, perché ha più bisogno, e anche il peccatore lo amerà di più, perché ha ricevuto maggiore amore (Luca 7,36-50). Il peccatore, più è lontano, più ha diritto di misericordia e maggiori sono i doveri di Dio nei suoi confronti. Inoltre il suo peccato non gli impedisce l’esperienza di Dio: anzi, proprio in esso lo chiama per il suo vero nome, che è Gesù, Dio-salva (Matteo 1,21). 

Fedele al suo motto episcopale, la prima giornata di Papa Francesco è iniziata nel segno della misericordia. Infatti così si è rivolto ai penitenzieri della Basilica di Santa Maria maggiore: «Voi siete i confessori – ha aggiunto il Papa – quindi siate misericordiosi verso le anime. Ne hanno bisogno».  Ecco Papa Francesco. Il nome che porta è una responsabilità grande, una duplice eredità porta questo nome: la semplicità e la radicalità evangelica di Francesco d’Assisi  e l’arditezza missionaria di Francesco Saverio (il compagno missionario di Ignazio di Loyola). Davvero grande è la speranza che si apre con questo pontificato.

Agostino Greco 

Processi educativi e traguardi di competenza nell’IRC

L’istituto di Catechetica della Facoltà di Scienze dell’Educazione dell’Università

Salesiana di Roma promuove un Convegno di due giorni con gli Insegnanti di religione

di ogni ordine e grado, che avrà luogo a Roma il 13 – 14 aprile 2013,

con sede presso l’Istituto Salesiano S. Cuore in Via Marsala 42.

SCARICARE PROGRAMMA

IRC. Dépliant 2013

 che: la prenotazione delle camere all’istituto Sacro Cuore scade il 15 marzo ‘13 e l’iscrizione al Corso scade il 28 marzo 2013.

Per utile informazione notiamo che la quota di Iscrizione al Corso comprende anche il saggio:

Insegnamento della religione. Competenza e professionalità. Prontuario dell’Insegnante di Religione, di  prossima edizione presso la Elle Di Ci. 

Per comodità aggiungiamo i soliti, indispensabili riferimenti:

 Le iscrizioni

devono pervenire via Fax o Mail alla Segreteria dell’Istituto di Catechetica, mediante 

· Invio della scheda di iscrizione unitamente alla ricevuta comprovante il versamento della quota di iscrizione (70 Euro)

· Direttamente presso la Segreteria dell’Istituto di Catechetica all’Università Salesiana nei termini indicati

Tel 06 87290.651; 06 87290808
Fax 06 87290.354
e-mail: catechetica@unisal.it
orario di ufficio: 8-12 Martedì e Giovedì

La prenotazione delle camere 

dovrà avvenire direttamente presso l’ufficio Ospitalità dell’Istituto Sacro Cuore 

Mail: sacrocuoreosp@tiscali.it

Tel. 06 49.27.22.88 – Fax: 06 – 44.63.352

 

V DOMENICA DI QUARESIMA

Prima lettura: Isaia 43,16-21

Così dice il Signore, che aprì una strada nel mare e un sentiero in mezzo ad acque possenti, che fece uscire carri e cavalli, esercito ed eroi a un tempo; essi giacciono morti, mai più si rialzeranno, si spensero come un lucignolo, sono estinti: «Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa. Mi glorificheranno le bestie selvatiche, sciacalli e struzzi, perché avrò fornito acqua al deserto, fiumi alla steppa, per dissetare il mio popolo, il mio eletto. Il popolo che io ho plasmato per me celebrerà le mie lodi». 

 

Il brano fa parte del secondo Isaia, la cui raccolta comprende i capitoli 40-55, divisi in due serie di vaticini: gli inni di JHWH e di Israele (40-48) e gli inni di Sion Gerusalemme (49-55). Il testo della lettura descrive la restaurazione di Israele come un nuovo esodo che supera in grandiosità quello dell’Egitto. La pericope contiene una sintesi dei principali temi del profeta.

     Israele celebra sempre i prodigi dell’antico Esodo come il passaggio del Mar Rosso e la sconfitta degli Egiziani; quei prodigi non sono nulla in confronto a ciò che Dio sta preparando: gli esiliati ritorneranno direttamente attraverso il deserto, trasformato in oasi. Le immagini della descrizione profetica sono molto belle. Il profeta ha il dono di far rinascere la speranza. L’inizio allude all’esodo dall’Egitto; le nuove gesta che stanno per essere descritte ne sono una sublimazione. «Non ricordate più le cose passate» è espressione che segna il transito dal passato al futuro immediato; il ricordo è di per sé legge fondamentale; ricordare, trasmettere di generazione in generazione, proclamare le azioni di Dio; da questo nasce il senso della storia; però la memoria non deve essere una fuga psicologica nostalgica verso il passato ma deve aprirsi verso il futuro: è la profezia; la memoria si cambia in speranza; il paradosso della descrizione sottolinea la superiorità dell’avvenire e prepara gli uditori a farne l’esperienza: «Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa. Mi glorificheranno le bestie selvatiche, sciacalli e struzzi, perché avrò fornito acqua al deserto, fiumi alla steppa, per dissetare il mio popolo, il mio eletto» (Is 43,19-20).

     La cosa nuova che sta germogliando, che Dio sta operando è la fine della prigionia; si tratta di un evento inatteso, senza precedenti; il nuovo prodigio sarà mirabile; come nell’esodo antico il mare era stato reso asciutto, così ora il deserto riceverà fiumi di acqua, così che tutti potranno essere dissetati. Anche le bestie selvatiche saranno pacificate; il paradiso degli animali è la raffigurazione della giustizia che regnerà nel mondo. La frase finale: «Il popolo che io ho plasmato per me celebrerà le mie lodi» rivela che il nuovo esodo non produce una condizione magica di salvezza; la storia continua; la proclamazione della lode ha significato soltanto in un progresso storico.

 

Seconda lettura: Filippesi 3,8-14

Fratelli, ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere trovato in lui, avendo come mia giustizia non quella derivante dalla Legge, ma quella che viene dalla fede in Cristo, la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede: perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze, facendomi conforme alla sua morte, nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti. Non ho certo raggiunto la mèta, non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di correre per conquistarla, perché anch’io sono stato conquistato da Cristo Gesù. Fratelli, io non ritengo ancora di averla conquistata. So soltanto questo: dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù.

 

Il tratto della lettura si trova nel punto in cui san Paolo polemizza contro i Giudei o i Giudeocristiani, che ritengono indispensabile la pratica della circoncisione anche per chi crede in Cristo. Ora la nuova fede è unione totale a Cristo nella più grande libertà spirituale. Anche la più scrupolosa osservanza della legge è solo pratica umana, che appartiene alla sfera della carne. L’incontro di Paolo con Gesù è il suo unico centro di orientamento e di interesse; tutto il resto non vale.

     San Paolo, che apparteneva all’ebraismo, ha reputato i vantaggi che gliene potevano provenire come una perdita a confronto del guadagno della persona di Gesù Cristo che egli ha incontrato. La conoscenza di Cristo accordata all’apostolo sulla via di Damasco ha iniziato un rapporto tra lui e Cristo che è infinitamente superiore a tutti i privilegi del passato. Ciò che prima egli teneva in grandissima considerazione ora è diventato come spazzatura, come immondizie. Lo scopo è guadagnare Cristo; ciò significa avere di lui non soltanto una conoscenza intellettuale, ma una comunione di vita intima; la quale viene significata con l’espressione: essere trovato in lui. Questa identificazione mistica con Cristo fa si che l’apostolo è rivestito dalla giustizia della fede la quale proviene dal dono di Dio. Le parole che seguono descrivono la relazione di Paolo con Cristo; egli desidera arrivare a conoscere la potenza della sua risurrezione, ad avere la partecipazione alla sofferenza del Signore per comunicare alla sua condizione di risuscitato.

            Una tale tensione di assimilazione a Cristo non diventerà perfetta che al momento della morte: «Ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere trovato in lui, avendo come mia giustizia non quella derivante dalla Legge, ma quella che viene dalla fede in Cristo, la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede: perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze, facendomi conforme alla sua morte, nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti. Non ho certo raggiunto la mèta, non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di correre per conquistarla, perché anch’io sono stato conquistato da Cristo Gesù. Fratelli, io non ritengo ancora di averla conquistata. So soltanto questo: dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù (Fil 3,8-14)». Questa descrizione che san Paolo fa per se stesso costituisce la fenomenologia della vita di fede, della vita cristiana; essa è un continuo tendere alla meta più alta, mai raggiungibile perfettamente fin che siamo nell’esilio terreno; l’influsso di Cristo pone il credente nella situazione di assimilarsi a lui, di identificarsi in un certo modo con lui, nelle sofferenze e poi nella risurrezione di cui i sacramenti hanno già deposto il germe; l’ultimo traguardo sarà raggiunto dopo la vita terrena, nella esistenza futura.

 

Vangelo: Giovanni 8,1-11

In quel tempo, Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».

 

Esegesi

     Il brano della lettura che contiene il racconto dell’incontro di Gesù con la donna adultera, è collocato nella prima parte del vangelo, denominata: libro dei segni. Tuttavia l’opinione comune degli studiosi è che questo racconto non sia giovanneo. Esso infatti interrompe la sequenza dei discorsi tenuti nella festa delle capanne, è omesso da molti testimoni importanti, era sconosciuto ai santi padri e manca in molte versioni antiche. Lo stile letterario è affine a quello di Luca e si pensa che probabilmente faceva parte del suo vangelo. Una delle ragioni per cui può essere stato collocato qui sta nel fatto che l’episodio è una illustrazione di quanto Gesù dirà in Gv 8,15: «Voi giudicate secondo la carne, io non giudico nessuno».

     I nemici di Gesù cercano di metterlo in difficoltà proponendogli un caso difficile, in modo che qualunque sia la sua risposta possa essere rivolta contro di lui. «Gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo» (Gv 8,3-5). È un caso di adulterio; la legge puniva di morte tale trasgressione. Coloro che interpellano Gesù pensavano di avere buon gioco contro di lui; se avesse detto che la colpevole non doveva essere lapidata, l’avrebbero accusato come violatore della legge; se l’avesse condannata, si poteva accusarlo di durezza di cuore, di mancanza di misericordia.

     Gesù di fronte alla proposizione del caso si mette a scrivere in terra; questo gesto ha dato luogo a molte congetture; con esso molto probabilmente il Signore intende mostrare il proprio disinteresse per quanto stava accadendo. È caratteristico che Gesù si rifiuti di trattare il caso come una questione puramente legale; egli trasferisce il caso sul livello pratico; quando si trattava di una sentenza capitale il testimone a carico doveva essere il primo a dare inizio all’esecuzione secondo la prescrizione: «La mano dei testimoni sarà la prima contro di lui per farlo morire; poi la mano di tutto il popolo» (Dt 17,7). Gesù invita gli astanti a pensare anzitutto se la loro coscienza li proclama degni di essere giudici e condannatori: «Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra» (Gv 8,7-8). Rendendosi conto della ineccepibilità della risposta di Gesù e avvertendo anche un senso di vergogna per avere cercato di sfruttare l’umiliazione di una donna allo scopo di mettere in difficoltà Gesù, gli accusatori si allontanano cominciando dai più vecchi.

     A questo punto si delinea l’incontro tra Gesù e la donna; è l’incontro dell’innocenza con chi ha commesso peccato: la scena diventa una illustrazione plastica dell’invito al pentimento. Dio odia il peccato e ama il peccatore; tale atteggiamento si attua in Gesù. Il quale, benché non giudichi e non condanni, invita la donna a non peccare più: «Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più» (Gv 8,9-11). La legge condanna il peccato non perché gli uomini si giudichino a vicenda, ma perché essi sentano il bisogno di essere salvati da Dio. Gesù porta in sé questa salvezza: odia infinitamente il peccato, ama infinitamente il peccatore. Questo è possibile soltanto a Dio.

 

Meditazione

     Il volto di Dio che la parabola di Lc 15,11-32 ci ha rivelato nell’abbraccio accogliente del padre misericordioso (il testo evangelico della IV domenica di Quaresima) si riflette nello sguardo e nella parola che Gesù rivolge a una donna adultera in procinto di essere condannata alla lapidazione dagli scribi e dai farisei, secondo i dettami della legge mosaica. Il perdono che Gesù offre a questa donna è come un cammino rinnovato, una rigenerazione, una possibilità inaspettata di salvezza. Solo Dio ha il coraggio di dimenticare ciò che è passato e aprire «nel deserto una strada» (Is 43,19) che conduce al luogo della vita e della pace. La parola di Gesù è come un balsamo che ridà alla donna peccatrice la forza per camminare nuovamente verso la vita: «neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più» (Gv 8,11). Lo sguardo di quella donna, attraverso la potenza e la gratuità del perdono, è ormai proiettato verso un futuro carico di speranza; il peccato che la tratteneva prigioniera è alle spalle, è passato, è stato consumato dalla misericordia di Gesù. Sulle labbra di quella donna si potrebbero porre le parole con cui Paolo esprime la dinamica della sua vita, ormai afferrata dall’amore di Cristo: «dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la meta… mi sforzo di correre per conquistarla, perché anch’io sono stato conquistato da Gesù Cristo» (Fil 3,12-14).

     Il racconto di Gv 8,1-11 è realmente una parabola che ci rivela la capacità di Dio di creare e rinnovare la vita dell’uomo. La promessa di Dio ai deportati di Israele a Babilonia, riportata nel testo di Isaia (prima lettura), trova come una realizzazione personale nel cammino di vita che Gesù apre a una donna peccatrice: «Non ricordate più le cose passate – dice il Signore attraverso il suo profeta – non pensate più alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa nuova» (Is 43,18-19). E sotto il segno della novità è, infatti, tutto l’episodio dell’incontro di Gesù con la donna adultera. Sorprendentemente questa pericope, inserita nel racconto di Giovanni, ma mancante in molti manoscritti del quarto vangelo, ci è stata conservata come un racconto a se stante, irriducibile alle tradizioni evangeliche che noi conosciamo.

     Pur presentando agganci con lo stile narrativo di Luca (si pensi all’episodio quasi speculare dell’incontro di Gesù con la peccatrice nella casa di Simone in Lc 7,36-50), questo racconto è carico di originalità, nella forma, ma soprattutto nel contenuto. E probabilmente il comportamento di Gesù è apparso scandaloso alla stessa comunità cristiana, se ha faticato a inserirlo nel canone dei vangeli. Certamente, in questo racconto si cammina sul filo del rasoio. Si ha quasi l’impressione che la gravità di un comportamento moralmente negativo non venga presa in seria considerazione dalle parole di Gesù. Ma tutto, in questo racconto, conduce a un luogo di rivelazione: il cuore di Dio colmo di compassione. Si può allora dire – e questo di per sé è già un messaggio fondamentale – che l’agire inaudito di Gesù, il perdono e la misericordia che emergono nell’incontro con i peccatori, sono il riflesso di quel volto di Dio a cui la stessa comunità cristiana è chiamata a convertirsi. Il testo di Gv 8 diventa come una icona che deve plasmare e motivare non solo il cammino personale di conversione, ma la prassi ecclesiale di fronte a ogni peccatore. Anche la comunità dei credenti deve incessantemente mettersi alla scuola di Colui che ha detto: «voi giudicate secondo la carne; io non giudico nessuno» (Gv 8,15).

     Possiamo cogliere il centro del racconto proprio a partire da Gesù, dal suo sguardo su coloro che gli stanno di fronte (gli scribi, i farisei, la donna adultera), dalle sue parole, dai suoi silenzi (essenziali e autorevoli), dai suoi gesti, misteriosi ed eloquenti allo stesso tempo. Parole, silenzi, gesti, sguardo, hanno il peso del giudizio di Dio e, nella misura in cui vengono accolti e lasciati macerare nel cuore, aprono l’orizzonte interiore spostando il nostro sguardo dalla realtà del peccato (che non viene assolutamente minimizzata) al volto stesso di Dio. E ancora una volta ci viene rivelata l’autentica traiettoria della conversione, la forza che permette un cammino di liberazione dal peccato: il perdono inaspettato e totalmente gratuito di Dio.

     E in questa dinamica di liberazione, in questo paradossale esodo interiore, sono invitati a entrare sia la donna adultera che gli scribi e i farisei. Ci soffermiamo soprattutto sul confronto tra Gesù e gli scribi e i farisei. Coloro che conducono davanti a Gesù una donna, colta in flagrante adulterio, possiedono già una chiave di lettura della situazione in cui quella donna è stata coinvolta. Si tratta della legge di Mosè, un testo della Scrittura che prevede una soluzione drastica per questa sorta di peccato: la lapidazione (cfr. Lv 20,10 e Dt 22,21). La sicurezza di questi uomini (hanno la parola di Dio dalla loro parte) contrasta con il fatto che esigono da Gesù un coinvolgimento, un’interpretazione del caso. Perché rivolgere a Gesù quella domanda – «ora Mosè nella legge ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?» (v. 5) – quando il ‘caso’ era già risolto nella Legge? C’è forse un desiderio di uscire dalle strettoie legalistiche per percorrere una via nuova oppure c’è l’intenzione di mettere alla prova Gesù, metterlo in contrasto con Mosè?

     Questi maestri si aspettano che Gesù rompa il silenzio iniziando la sua risposta con quella parola che spesso hanno udito: «Mosè vi ha detto… ma io vi dico…». Ciò che Gesù fa, invece, è sorprendente e mette costoro con le spalle al muro. In due successivi momenti, ritmati dal silenzio e dalla parola, Gesù riesce a creare il vuoto attorno a questi uomini e, quasi sospendendoli su di esso come su di un abisso, li obbliga a spostare lo sguardo sul loro cuore, sul loro comportamento, sul loro modo di giudicare, sul loro modo di rapportarsi a Dio. E tutto avviene attraverso un gesto e una parola. Un gesto misterioso ripetuto due volte, un gesto che ha suscitato molte interpretazioni: «Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra… e chinatesi di nuovo, scriveva per terra» (vv. 6,8). È un gesto profetico, simbolicamente carico della forza del giudizio di Dio su ogni uomo, un gesto che potrebbe tradurre questa parola di Geremia: «coloro che si allontanano da me, saranno scritti per terra» (Ger 17,13). Gesù non pronuncia alcun giudizio contro questi uomini così sicuri della loro giustizia; li rimanda al tribunale della loro coscienza perché in esso facciano la verità. E la parola che finalmente Gesù pronuncia, rompendo quel silenzio carico di attesa, è come una spada che penetra nel cuore di questi uomini: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei» (v. 7). Gesù non nega il giudizio di Dio o la Legge e neppure chiede pietà per la donna, scusandola o difendendola per un peccato che sicuramente ha commesso; vuole che ciascuno rivolga il giudizio della parola di Dio anzitutto verso se stesso. Adulteri o no, tutti siamo peccatori e bisognosi di conversione e di perdono.

     Gesù vuole che il giudizio di Dio sia di Dio, non dell’uomo; l’uomo non può arrogarsi questo diritto. E in Dio il giudizio non è mai senza una possibilità di salvezza, perché Dio non vuole la morte ma la vita. E il cerchio mortale attorno a quella donna viene così spez-zato, aprendosi alla vita: «quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani» (v. 9), «accusati dalla loro coscienza», come aggiunge un manoscritto. Ora Gesù è solo di fronte alla donna adultera. E per quella donna la solitudine del peccato che quasi la rendeva anonima (è semplicemente una ‘adultera’; è identificata con il suo peccato, è prigioniera di esso) si apre all’incontro con la misericordia.

     Con una espressione lapidaria, sant’Agostino così dice: «rimasero solo loro due: la misera e la misericordia». E il dialogo tra Gesù e quella donna rivela la profondità del cuore di Dio: è un dialogo in cui ogni parola trasmette compassione, pace, libertà, gioia; un dialogo in cui ogni parola è carica della serietà dell’amore di Dio e attende dall’uomo una risposta responsabile e fedele. La parola di Gesù non è la parola di chi semplicemente invita a dimenticare e a fuggire un passato fatto di morte e di schiavitù, ma una parola che impegna a guardare la propria vita con serietà, con gli occhi di Dio, e ad aprirla a un orizzonte di grazia e di misericordia. Quella donna perdonata perché non condannata ma salvataneppure io ti condanno»), d’ora in poi dovrà vivere in conformità con la liberazione ricevuta («va’ e d’ora in poi non peccare più»). L’essere perdonati gratuitamente, senza condizioni, è la forza per riprendere il cammino. Possiamo mettere sulle labbra di questa donna, sulle nostre labbra di peccatori perdonati, queste parole tratte dal Sal 103,10-14 e dal Sal 32,1.11: «Il Signore non ci tratta secondo i nostri peccati e non ci ripaga secondo le nostre colpe… egli sa bene di che siamo plasmati, ricorda che noi siamo polvere»… «Beato l’uomo a cui è tolta la colpa e coperto il peccato… Rallegratevi nel Signore ed esultate, o giusti! Voi tutti, retti di cuore, ridete di gioia».

Preghiere e racconti

Racconto

Un brigante del deserto venne un giorno a morire davanti alle porte del monastero di Scete.

Dio mi perdonerà -disse al fratello che era subito accorso.

Perché ne sei sicuro? -chiese questi.

Perché è il suo mestiere.

(R. KERN, Arguzie e facezie dei Padri del deserto, Torino, 21987, 87).

Nostalgia della fede

Mi manca la fede e non potrò mai, quindi, essere un uomo felice, perché un uomo felice non può avere il timore che la propria vita sia solo un vagare insensato verso una morte certa. Non ho ereditato né un dio né un punto fermo sulla terra da cui poter attirare l’attenzione di un dio. Non ho ereditato nemmeno il ben celato furore dello scettico, il gusto del deserto del razionalista o l’ardente innocenza dell’ateo. Non oso dunque gettare pietre sulla donna che crede in cose in cui io dubito e sull’uomo che venera il suo dubbio come se non fosse anch’esso circondato dalle tenebre. Quelle pietre colpirebbero anche me.

«Abbi sempre misericordia»

San Francesco d’Assisi, in una commovente lettera ad un ministro/ superiore, dava le seguenti istruzioni circa eventuali debolezze personali dei suoi frati: «E in questo voglio conoscere se tu ami il Signore e ami me servo suo e tuo, se farai questo, e cioè: che non ci sia mai alcun frate al mondo, che abbia peccato quanto poteva peccare, il quale, dopo aver visto i tuoi occhi, se ne torni via senza il tuo perdono misericordioso, se egli lo chiede; e se non chiedesse misericordia, chiedi tu a lui se vuole misericordia. E se, in seguito, mille volte peccasse davanti ai tuoi occhi, amalo più di me per questo: che tu possa attirarlo al Signore; e abbi sempre misericordia di tali fratelli».

(Francesco d’Assisi, Lettera a un Ministro, 7-10).

La polvere del peccato

Benché, Signore, non abbia quasi mai infilato la perla dell’obbedienza alla tua legge, benché non abbia spesso lavato la polvere del peccato dal mio volto, io non dispero della tua bontà, della tua generosità, del tuo perdono. Confesso il mio grande peccato; tormentami, se tu lo vorrai; accarezzami, se tu lo vorrai. Io so però che tu desideri abbracciarmi.

(Ornar Khayyam, poeta persiano).

«Neanch’io ti condanno»

Cari fratelli e sorelle! Siamo giunti alla Quinta Domenica di Quaresima, nella quale la liturgia ci propone, quest’anno, l’episodio evangelico di Gesù che salva una donna adultera dalla condanna a morte (Gv 8,1-11). Mentre sta insegnando nel Tempio, gli scribi e i farisei conducono a Gesù una donna sorpresa in adulterio, per la quale la legge mosaica prevedeva la lapidazione. Quegli uomini chiedono a Gesù di giudicare la peccatrice con lo scopo di “metterlo alla prova” e di spingerlo a fare un passo falso. La scena è carica di drammaticità: dalle parole di Gesù dipende la vita di quella persona, ma anche la sua stessa vita. Gli accusatori ipocriti, infatti, fingono di affidargli il giudizio, mentre in realtà è proprio Lui che vogliono accusare e giudicare. Gesù, invece, è “pieno di grazia e di verità” (Gv 1,14): Egli sa che cosa c’è nel cuore di ogni uomo, vuole condannare il peccato, ma salvare il peccatore, e smascherare l’ipocrisia. L’evangelista san Giovanni dà risalto ad un particolare: mentre gli accusatori lo interrogano con insistenza, Gesù si china e si mette a scrivere col dito per terra. Osserva sant’Agostino che quel gesto mostra Cristo come il legislatore divino: infatti, Dio scrisse la legge col suo dito sulle tavole di pietra (cfr Comm. al Vang. di Giov., 33, 5). Gesù dunque è il Legislatore, è la Giustizia in persona. E qual è la sua sentenza? “Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei”. Queste parole sono piene della forza disarmante della verità, che abbatte il muro dell’ipocrisia e apre le coscienze ad una giustizia più grande, quella dell’amore, in cui consiste il pieno compimento di ogni precetto (cfr Rm 13,8-10). E’ la giustizia che ha salvato anche Saulo di Tarso, trasformandolo in san Paolo (cfr Fil 3,8-14). Quando gli accusatori “se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani”, Gesù, assolvendo la donna dal suo peccato, la introduce in una nuova vita, orientata al bene: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più». È la stessa grazia che farà dire all’Apostolo: “So soltanto questo: dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù” (Fil 3,14).Dio desidera per noi soltanto il bene e la vita; Egli provvede alla salute della nostra anima per mezzo dei suoi ministri, liberandoci dal male col Sacramento della Riconciliazione, affinché nessuno vada perduto, ma tutti abbiano modo di convertirsi.

Cari amici, impariamo dal Signore Gesù a non giudicare e a non condannare il prossimo. Impariamo ad essere intransigenti con il peccato – a partire dal nostro! – e indulgenti con le persone. Ci aiuti in questo la santa Madre di Dio che, esente da ogni colpa, è mediatrice di grazia per ogni peccatore pentito.

(Le parole del Papa alla recita dell’angelus, 21.03.2010).

Delitto e perdono

Se tu conoscessi i tuoi peccati, ti perderesti d’animo.

– Allora mi perderò d’animo, o Signore, se me li rivelerai.

– No, tu non ti dispererai, perché tu li conoscerai nel momento stesso in cui ti saranno perdonati.

(Pascal)

Lo sguardo compassionevole e misericordioso di Cristo

«Un giorno stavo parlando con uno studente nel mio studio, e sul cavalletto avevo appena finito di dipingere un volto di Cristo di grandi dimensioni. Ho chiesto allo studente:

 -Secondo te, chi guarda Cristo?

-Guarda me.

Poi gli ho detto di alzarsi, di continuare a guardare Cristo e, passo per passo, lentamente, venire dalla mia parte. Gli ho chiesto di nuovo:

-Adesso sei da solo, hai la testa piena di pensieri cattivi, violenti. E Cristo?

-Mi guarda, risponde.

Al passo successivo gli dico:

-Sei con i tuoi amici, ubriaco, di sabato sera. E Cristo?

-Mi guarda, risponde ancora.

Ancora un altro passo  gli chiedo:

-Ora sei con la tua fidanzata, e vivi la sessualità nel modo in cui hai parlato, che ti turba la memoria. E Cristo?

-Mi guarda con una grande compassione.

-Ecco, gli dico, quando sentirai addosso in tutte le circostanze della tua vita questo sguardo compassionevole e misericordioso di Cristo, sarai una persona veramente spirituale, sarai di nuovo completamente integro, vicino a ciò che possiamo chiamare pace interiore, serenità dell’anima, felicità della vita».

(M.I. RUPNIK, Paternità spirituale: un cammino regale per l’integrazione personale.« Nella nuova evangelizzazione dell’Est e dell’Ovest», in  CENTRO ALETTI (ed.), In colloquio. Alla scoperta della paternità spirituale, Roma, LIPA, 1995, 203-204).

Rimasero in due: la misera e la misericordia

«Allora i farisei e gli scribi gli conducono una donna sorpresa in adulterio e, postala in mezzo, gli dicono: Maestro, questa donna è stata colta in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che cosa dici? Questo dicevano per metterlo alla prova, onde avere di che accusarlo» (Gv 8,3-6). Che cosa rispose il Signore Gesù? Che cosa rispose la Verità? Che cosa rispose la Sapienza? Che cosa rispose la stessa giustizia contro la quale era rivolta la calunnia? Non disse: «Non sia lapidata» Si sarebbe messo contro la legge. Ma si guarda bene anche dal dire: «Sia lapidata!». Egli era venuto non per perdere ciò che aveva trovato, ma per cercare ciò che era perduto. Che cosa rispose dunque? Considerate che risposta colma di giustizia e insieme di mansuetudine e di verità.

Dice: Chi di voi è senza peccato, getti per primo una pietra contro di lei (Gv 8,7). O risposta della Sapienza! Come li costrinse a rientrare in se stessi! Stavano fuori, intenti a calunniare gli altri, invece di scrutare se stessi; vedevano l’adultera, ma non la capivano […] Se Gesù dicesse: «Non lapidate l’adultera!», verrebbe accusato come ingiusto. Se dicesse: «Lapidatela!», non si mostrerebbe mansueto. Dica quel che deve dire colui che è mansueto e giusto: Chi di voi è senza peccato, getti per primo una pietra contro di lei. Questa è la voce della giustizia: «Si punisca la peccatrice, ma non per mano di peccatori; si adempia la legge ma non per opera di trasgressori della legge». Questa è veramente la voce della giustizia. E quelli colpiti dalla sua giustizia come da una grande freccia, guardando dentro di sé e trovandosi colpevoli, uno dopo l’altro, tutti se ne andarono (Gv 8,9). Rimasero in due: la misera e la misericordia […] Gesù poi dopo aver respinto gli avversari della donna con la voce della giustizia, levando verso di lei gli occhi della mansuetudine, le chiese: Nessuno ti ha condannato? Essa rispose: Signore, nessuno. Ed egli: Neppure io ti condanno, neppure io dal quale forse hai temuto di essere condannata, perché in me non hai trovata nessun peccato. Neppure io ti condanno. Come, Signore? Favorisci il peccato? No. Ascoltate ciò che segue : Va’e d’ora innanzi non peccare più. Il Signore condanna il peccato, non il peccatore.

(AGOSTINO, Commento al vangelo di Giovanni 33, 5-6, in Opere di sant’Agostino, pp. 706-710).

Preghiera

Gesù, misericordia del Padre, venuto a incontrare la nostra miseria sulle strade del mondo, nelle piazze di ogni città. Tu dalle braccia infinite sempre aperte a riaccogliere chi era perduto, volgiti a noi, nell’impeto della tua pietà. Noi non vogliamo essere «scribi e farisei», accusatori dei nostri fratelli, ma spesso ci troviamo ma lanciare sugli altri la pietra del nostro peccato.       

Gesù, Signore del sovrano silenzio, in mezzo al tumulto delle nostre passioni rendici capaci di tacere davanti a te mentre, nuda e piena di vergogna, l’anima nostra si confessa semplicemente lasciandosi guardare dai tuoi occhi di mite pastore. Chi ci condannerà se tu ci assolvi? Chi ci disprezzerà se tu ci ami? Tu solo rimani con noi, o Innocente, o Puro, o Santo che non puoi vedere il male. Eccoci purificati dal tuo perdono: noi non vogliamo più peccare. Confermaci nella fedeltà dell’amore. Amen.

                

* Per l’elaborazione della «lectio» di questa domenica, oltre al nostro materiale di archivio, ci siamo serviti di:

– Temi di predicazione, Napoli, Editrice Domenicana Italiana.

La Bibbia per la famiglia, a cura di G. Ravasi, Milano, San Paolo, 1998.

———

M. FERRARI, monaco di Camaldoli, «Oggi di è adempiuta questa scrittura». Tempo di Quaresima e Tempo di Pasqua, Milano, Vita e Pensiero, 2013.

COMUNITÀ MONASTICA SS. TRINITÀ DI DUMENZA, La voce, il volto, la casa e le strade, Milano, Vita e Pensiero, 2008-2009.

– J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret, Milano, Rizzoli, 2007.

– J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret. Seconda parte: Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla Risurrezione, Città del Vaticano, Liberia Editrice Vaticana, 2011.

– C.M. MARTINI, Incontro al Signore risorto. Il cuore dello spirito cristiano, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2009.

– J.M. NOUWEN, Un ricordo che guida, in ID., Mostrami il cammino. Meditazioni per il tempo di Quaresima, Brescia, Queriniana, 2003. 

La ricerca a servizio dell’educazione

Si avvicina ormai la data del convegno La ricerca a servizio dell’educazione”. Il contributo dell’Università Pontificia Salesiana e dei Centri Associati”, che avrà luogo il 13 marzo prossimo, un’intera Giornata in cui verrà presentata la ricerca completata o in atto sulle problematiche dell’educazione dei giovani, con inizio alle ore 9.00 e chiusura alle 19.00.

Si continua intanto a raccogliere le adesioni di quanti, studenti ed esterni, vogliono prenderne parte.

Quella educativa è ormai diventata secondo quanto ha affermato in varie occasioni Papa Benedetto XVI, una emergenza urgente. L’Università Pontificia Salesiana, il cui specifico è l’educazione, si pone come da carisma che gli è proprio, sul solco dell’impegno educativo. In questo secondo anno di preparazione al Bicentenario della nascita di San Giovanni Bosco, fondatore dei salesiani e radice da cui è scaturita la Famiglia Salesiana e il Movimento di persone che hanno a cuore l’educazione integrale della gioventù, l’Università Salesiana ha accolto questa urgenza che ha reso concreta organizzando il Convegno sul tema dell’educazione.

La giornata si struttura attorno a cinque aree di ricerca in cui altrettanti studiosi e specialisti dell’ambito, docenti dell’Università Salesiana, presenteranno il loro lavoro di ricerca. A ciascuna delle cinque relazioni reagirà un discussant che riproporrà gli elementi più significativi e aprire il dibattito in sala che chiude ognuno dei momenti.

Apre la presentazione delle cinque aree di ricerca il Rettore dell’UPS, prof. Carlo Nanni, con un intervento introduttivo. La prima area di ricerca, Educazione ed evangelizzazione, si caratterizza per la interdisciplinarietà.

Il prof. Francis Vincent Anthony, docente della Facoltà di Teologia e coordinatore del CIR presenta una ricerca dal titolo “Evangelizzatori dei Giovani Oggi”;

farà seguito l’intervento del prof. Antonino Romano, docente dell’Istituto Teologico San Tommaso di Messina e docente invitato all’UPS, per introdurre il dibattito in sala.

La seconda area di ricerca è nell’ambito della Educazione Interculturale. Il prof. Vito Orlando, della facoltà di Scienze dell’Educazione, espone i risultati della ricerca da lui condotta con il titolo “Attenzione ai migranti e prospettive per la missione salesiana nella società multiculturale d’Europa”;

al prof. Luca Pandolfi, docente dell’Università Pontificia Urbaniana e dell’UPS, è affidata la sintesi analitica della ricerca che apre al dibattito in sala.

Dopo la pausa del pranzo, il Convegno riprende con la presentazione dei risultati della terza area di ricerca, Adolescenza e relazioni interpersonali, con un intervento del prof. Antonio Dellagiulia, docente della Facoltà di Scienze dell’Educazione, dal titolo “Il tessitore instancabile: l’adolescente e le sue relazioni significative alla luce della teoria dell’attaccamento”,

a cui farà risonanza l’intervento della prof. Susanna Bianchini dell’IFREP/UPS, che avvia il terzo momento di interventi nel dibattito tra i presenti in sala. La quarta area di ricerca riguarda le relazioni tra Adolescenti e Famiglia.

Titolo della ricerca, presentata dal prof. Paolo Gambini, decano della Facoltà di Scienze dell’Educazione, è “Famiglia e bullismo in adolescenza”;

il commento sintetico e introduttivo al dibattito che segue è affidato al prof. Zbigniew Formella, docente della stessa Facoltà dell’UPS.

Infine, la quinta e ultima area di ricerca si centra sul tema della Pedagogia Sociale con la presentazione della ricerca Area di ricerca “Capitale sociale, agire educativo e nuovo welfare” condotta dal prof. Lorenzo Biagi, docente dello IUSVE di Venezia-Mestre, di cui sarà discussant il prof. Vincenzo Salerno, docente della stessa Istituzione Universitaria associata all’UPS.

Fa seguito la serie di interventi liberi in sala. Al prof. Michele Pellerey, docente emerito dell’UPS e suo antico Rettore, è affidata la sintesi della giornata con il suo intervento conclusivo.

Il Convegno è aperto agli studenti dell’Università e a quanti vogliono liberamente partecipare a vario titolo.

L’iscrizione è gratuita ma obbligatoria e va effettuata attraverso la cedolina che si trova nel materiale raccolto dal link pubblicato sulla pagina-web dell’Università Salesiana www.unisal.it.

Attraverso la stessa cedola, è possibile prenotare il pernottamento e il pranzo presso la struttura dell’Università sino a esaurimento delle disponibilità. La cedola regolarmente compilata va spedita o consegnata secondo le modalità indicate dal pieghevole o dalle informazioni che si trovano disponibili sul link su indicato.

Lo stesso link sarà arricchito di informazioni e documenti che si renderanno pubblici durante il tempo che intercorre sino alla celebrazione del Convegno il 13 marzo 2013.

L’iscrizione va fatta comunque anche senza le suddette prenotazioni consegnando a mano la cedola agli addetti alla reception.

Per ulteriori informazioni visitate il sito-web unisal.it, o chiamate al numero 06.872901 chiedendo del responsabile dell’Ufficio stampa; o scrivendo a ufficiostampaups@unisal.it; Fax. 06.87290318.