Muore Don Gallo, il prete degli ultimi

Il sigaro, il cappello, la voce roca, le sue verità rivoluzionarie. E’ morto a Genova Don Gallo (si chiamava Andrea, ma restava sempre sottinteso), da diversi giorni in condizioni di salute critiche. Don Gallo lo guardavi, lo sentivi parlare, e non potevi fare a meno di pensare che strano corpaccione fosse la Chiesa cattolica italiana, capace di contenere lui insieme a Ruini, Scola, Andreotti, Comunione e liberazione… Prete, comunista, anarchico, no global, irriducibile dei “movimenti”, sempre dalla parte degli “ultimi”. La copertina di uno dei suoi tanti libri (“Non uccidete il futuro dei giovani”) lo ritrae in campo rosso con il basco, il pugno alzato, la bandiera della pace: un Che Guevara anziano e con la tonaca. Al G8 di Genova, nel 2001, si spese moltissimo. Incontrò Manu Chao per organizzare il concerto del musicista-icona dell’epoca, vide l’attacco immotivato dei carabinieri al corteo dei Disobbedienti di Casarini: “Una vera imboscata”, dirà a caldo pochi giorni dopo, e “Carlo muore”. Anche lui, di fronte alla “caccia all’uomo” in piazza e “al vergognoso termine della Diaz”,  prova in quei giorni lo spiazzamento di chi ha “tutt’ora tanti amici nelle forze dell’ordine”. 

«Sogno una Chiesa non separata dagli altri, che non sia sempre pronta a condannare, ma sia solidale, compagna»: l’ultimo messaggio su twitter datato lunedì sera è quasi un testamento spirituale. Lanciato e lasciato in rete, quella rete che aveva imbrigliato centomila fans. Del resto Don Andrea Gallo si è sempre arrabbiato moltissimo quando lo definivano «prete contro»: «Io sono un prete per…». E quando la rete, dopo le dimissioni di Benedetto XVI, lo voleva «Papa subito», la sua risposta era stata una vecchia battuta di tanti anni fa: «Sono un sacerdote che non potrà mai diventare un Papa..gallo». 

Ma prete da marciapiede sì, prete degli ultimi. Prete, come diceva lui stesso, «con un piede sulla strada e uno in chiesa»

 Don Andrea Gallo era nato a Genova l’8 luglio del 1928. Furono i Salesiani di don Bosco, i preti che stavano coi ragazzi, ad accendere la sua vocazione precoce. Con le gerarchie ecclesiastiche i rapporti non furono mai facili, anche se dopo molte “liti” con i superiori, l’elezione di Papa Francesco sembra andare proprio nella direzione da lui auspicata. Tanti gli incarichi di frontiera – riformatorio, carcere – tanti gli stop e i trasferimenti forzati. Tra i suoi primi avversari Giuseppe Siri, storico cardinale di Genova. Siri, si ricorda nella biografia ufficiale di don Gallo sul sito della Comunità di San Benedetto al Porto, era preoccupato per le sue predicazioni, per tutti quei discorsi che “non erano religiosi ma politici, non cristiani ma comunisti”.

Nel 1970, quando davanti agli altari di molte chiese italiane il cristianesimo sposava pericolosamente i fermenti dell’estrema sinistra, fu “licenziato” dalla parrocchia del Carmine a Genova, perché alla Curia non piacque affatto il suo paragone tra i danni della droga e quelli determinati da disuguaglianze e guerre. Da quel momento don Gallo resta un prete senza parrocchia, ma con tanti fedeli. Uno di questi è Fabrizio De Andrè, che gli diceva: “Ti sono amico perché sei un prete che non mi vuol mandare in Paradiso per forza”.

Pochi anni dopo, dall’incontro con don Federico Rebora, nasce la comunità di San Benedetto al Porto, che accoglie tossicodipendenti, alcolisti, malati psichici… La bella trattoria della comunità, “‘A lanterna”, di fronte al mare, è sempre stata aperta a ospiti e agitatori di passaggio in città. Il pensiero graffiante di don Gallo non se ne andrà con lui perché ci restano i suoi tanti libri, pubblicati anche per finanziare la comunità di San Benedetto. Totalmente eterodosse, quasi superfluo dirlo, le sue opinioni su sesso e omosessualità. Sporcarsi le mani con la politica, poi, non è mai stato un problema. Alle ultime elezioni comunali di Genova ha sostenuto apertamente l’outsider di sinistra Marco Doria, poi eletto, e alle primarie nazionali del centrosinistra si è schierato con il leader di Sel Nichi Vendola. Quanto a Silvio Berlusconi, lo avrebbe visto bene “volontario in Africa”. Tra i suoi interventi più recenti, l’appello a Beppe Grillo: “Non fare il padreterno”, detto da uno che di queste cose se ne intende. Don Gallo se ne va a 84 anni, dopo infinite dispute coi suoi superiori sul senso della Chiesa e del Vangelo. Ora, finalmente, scoprirà chi aveva ragione. 

 

La vera teologia unisce. La teologia che divide è una ideologia

L’arcivescovo Gerhard Ludwig Müller, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, esprime il suo punto di vista sulla teologia della liberazione.

In certi ambienti la nomina del mons. Gerhard Ludwig Müller a prefetto della Congregazione che si occupa della dottrina cattolica e l’elezione dell’arcivescovo di Buenos Aires a Vescovo di Roma sono stati visti come una rivincita della teologia della liberazione, criticata da Giovanni Paolo II e dal card. Joseph Ratzinger.

Per chiarire queste illazioni Włodzimierz Rędzioch ha intervistato lo stesso mons. Müller. La sua intervista è stata pubblicata in polacco dal settimanale Niedziela, e apparirà sul prossimo numero del mensile statunitenseInside the Vatican.ZENIT la pubblica in italiano. 

 

Dal 2 luglio 2012 la Congregazione per la Dottrina della Fede, il più importante Dicastero della Curia Romana, ha un nuovo prefetto: per la seconda volta nella storia recente della Chiesa è stato scelto un teologo tedesco, l’ex vescovo di Ratisbona, Gerhard Ludwig Müller, amico personale di Benedetto XVI. 

La scelta del Papa non è stata in alcun modo dettata da motivi personali: il Vescovo Müller è stato nominato prefetto, perché è uno dei più valenti teologi della Chiesa, come dimostra chiaramente la sua carriera accademica.

Gerhard Ludwig Müller è nato il 31 dicembre 1947 a Mainz-Finthen in una famiglia operaia. Ha studiato teologia e filosofia a Magonza, Monaco di Baviera e Friburgo. Nel 1977 ha conseguito il dottorato in teologia e un anno dopo è stato ordinato sacerdote dal cardinale Herman Volk. Nel 1986 è stato chiamato alla cattedra di teologia dogmatica dell’Università Ludwig-Maximilian di Monaco di Baviera: aveva allora 38 anni ed è stato uno dei più giovani professori dell’Università. 

Ha insegnato come visiting professor presso le università in Perù, Spagna, Stati Uniti, India, Italia e Brasile. E’ autore di più di 400 pubblicazioni scientifiche, di cui la più nota è la monumentale “Dogmatica cattolica”. 

Papa Giovanni Paolo II lo ha nominato vescovo di Ratisbona nel 2002 (il suo motto episcopale è “Dominus Iesus”). Müller era già conosciuto in precedenza in Vaticano: negli anni 1998-2003 è stato membro della Commissione Teologica Internazionale, e ha lavorato presso il Consiglio per l’Unità dei Cristiani come un esperto di ecumenismo.  Nel 2008, il Santo Padre gli ha chiesto di fondare l’Istituto di Papa Benedetto XVI, con sede a Ratisbona, di cui scopo principale è la pubblicazione delle Opere complete di Joseph Ratzinger.

In alcuni ambienti cattolici la nomina del vescovo di Ratisbona come Prefetto dell’ortodossia cattolica ha suscitato preoccupazione, perché è stato accusato di contatti con i rappresentanti della teologia della liberazione, essendo stato amico di Padre Gustavo Gutierrez, con il quale ha anche scritto un libro Dalla parte dei poveri. Teologia della Liberazione

Eppure la teologia della liberazione è stata condannata sia da Papa Giovanni Paolo II che da l’ex Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il cardinale Ratzinger. Pertanto, la teologia della liberazione è diventata l’argomento principale della nostra conversazione… 

Lei da sacerdote e da vescovo è stato sempre molto sensibile ai valori di giustizia, solidarietà e dignità della persona. Come mai questo suo interesse per i problemi sociali? 

Arcivescovo Müller: Io stesso vengo da Magonza. Nella mia città all’inizio del XIX secolo, c’è stato un grande vescovo, il barone Wilhelm Emmanuel von Ketteler, che fu un precursore della dottrina sociale della Chiesa. Io da bambino vivevo in questa atmosfera dell’impegno sociale. E non dobbiamo scordarci che se in Europa, dopo la seconda guerra mondiale e dopo le varie dittature, siamo riusciti a costruire una società democratica, questo lo dobbiamo anche alla dottrina sociale cattolica. Grazie al cristianesimo i valori come giustizia, solidarietà e dignità della persona sono stati introdotti nelle Costituzioni dei nostri Paesi.

Guardando il suo curriculum si può constatare che ha avuto tanti rapporti con l’America Latina. Come è nato questo legame con la Chiesa latinoamericana?

Arcivescovo Müller: Per quindici anni mi recavo in America latina, in Perù, ma anche in altri Paesi. Vi trascorrevo sempre due o tre mesi l’anno, vivendo come vive la gente comune, cioè in condizioni molto semplici. All’inizio per un Europeo questo è difficile, ma quando s’impara a conoscere la gente di persona e si vede come vive, allora lo si può accettare. Un cristiano è a casa dovunque; dove c’è un altare, è presente Cristo; ovunque sei, fai parte della grande famiglia di Dio.

Quando l’anno scorso Lei, Eccellenza, è stato nominato prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, si sono sollevate le voci che La accusavano per gli stretti legami con padre Gustavo Gutiérrez, creatore della teologia della liberazione. Cosa potrebbe dirci a questo proposito?

Arcivescovo Müller: E’ vero che conosco bene p. Gustavo Gutiérrez. Nel 1988 sono stato invitato a partecipare a un seminario con lui. Ci sono andato con qualche riserva perché conoscevo bene le due dichiarazioni della Congregazione per la Dottrina della Fede sulla teologia della liberazione pubblicate nel 1984 e nel 1986. Però ho potuto constatare che bisogna distinguere tra una teologia della liberazione sbagliata e una corretta. Ritengo che ogni buona teologia parta da Dio e dal Suo amore e abbia a che fare con la libertà e la gloria dei figli di Dio. Perciò la teologia cristiana, che parla della salvezza donata da Dio, non può essere mischiata con l’ideologia marxista che parla di un’auto-redenzione dell’uomo. L’antropologia marxista è completamente diversa dall’antropologia cristiana perché tratta l’uomo come privo di libertà e di dignità. Il comunismo parla della dittatura del proletariato, invece la buona teologia parla della libertà e dell’amore. Il comunismo, ma anche il capitalismo neoliberale, rifiutano la dimensione trascendentale dell’esistenza e si limitano all’orizzonte materiale della vita. Il capitalismo e il comunismo sono due facce della stessa moneta, la moneta falsa. Invece per costruire il regno di Dio la vera teologia della libertà attinge dalla Bibbia, dai Padri dall’insegnamento del Concilio Vaticano II. 

In certi ambienti la sua nomina a prefetto della Congregazione che si occupa della dottrina cattolica e recente elezione dell’arcivescovo di Buenos Aires a Vescovo di Roma sono stati visti come una vera rivincita della teologia della liberazione criticata da Giovanni Paolo II e dal card. Joseph Ratzinger. Cosa risponde a queste voci?

Arcivescovo Müller: Prima di tutto vorrei sottolineare che non c’è nessuna rottura tra il card. Ratzinger/Benedetto XVI e il Papa Francesco per quanto riguarda la teologia della liberazione. I documenti dell’allora Prefetto della Congregazione della Fede servivano per chiarire cosa bisognava evitare per rendere la teologia della liberazione l’autentica teologia della Chiesa. La mia nomina non significa che si apre un nuovo capitolo nei rapporti con tale teologia, ma è un segno di continuità.

Benedetto XVI ricevendo il 7 dicembre 2009 un gruppo di vescovi del Brasile in visita ad limina apostolorum ha detto ”che valeva la pena ricordare che nell’agosto scorso sono stati commemorati i 25 anni dell’Istruzione Libertatis nuntius della Congregazione per la Dottrina della Fede, su alcuni aspetti della teologia della liberazione. Parlando di tale teologia ha aggiunto, che “le sue conseguenze più o meno visibili fatte di ribellione, divisione, dissenso, offesa, anarchia, si fanno ancora sentire, creando nelle vostre comunità diocesane grande sofferenza e una grave perdita di forze vive”. Concorda con questa analisi del Pontefice delle conseguenze della teologia della liberazione?

Arcivescovo Müller: Questi aspetti negativi di cui parla Benedetto XVI sono il risultato della mal compresa e mal applicata teologia della liberazione. Non ci sarebbero stati questi fenomeni negativi se fosse applicata l’autentica teologia. Le differenze ideologiche creano le divisioni nella Chiesa. Ma questo succede anche in Europa dove ci sono per esempio dei cosiddetti cattolici progressisti e conservatori. Questo ricorda la situazione in Corinto dove c’era chi si riferiva a Paolo, c’era chi si riferiva a Pietro, gli altri invece a Cristo. Ma noi tutti dobbiamo essere uniti in Cristo, perché Dio unisce, il male divide. La teologia che crea le divisioni è piuttosto una ideologia. La vera teologia deve indirizzare a Dio allora non può creare le divisioni.    

Lei, Eccellenza, ricevendo nel 2008 il dottorato “honoris causa” presso la Pontificia Università Cattolica del Perù, ha condannato nel suo intervento “l’infamia della nostra epoca: il capitalismo neoliberale”. Il capitalismo neoliberale è una struttura del male?

Arcivescovo Müller: E’ difficile fare dei paragoni tra una struttura del male e un peccato personale, perché ogni peccato ha una dimensione sociale, essendo inserito in qualche “struttura”: famiglia, ambiente di lavoro, società, nazione. Il capitalismo neoliberale è una di quelle strutture del male del XIX e XX secolo che volevano eliminare i valori del cristianesimo. Ma, ripeto, dietro ogni struttura ci sono le persone che accettano i suoi principi, allora dietro qualsiasi struttura del male ci sono dei peccati personali.   

Papa Francesco: «Se lo Spirito guida la diversità è una ricchezza»

Vincere la paura, rinunciare a schemi e sicurezze, per aprirsi agli orizzonti di Dio. E dire no a particolarismi, esclusivismi, cammini paralleli che portano divisioni. Così Papa Francesco nell’omelia della Messa di Pentecoste, celebrata ieri mattina in una piazza San Pietro gremita dai pellegrini di movimenti, nuove comunità, associazioni, aggregazioni laicali di tutto il mondo, giunti a Roma in occasione dell’Anno della Fede. 70 tra cardinali e vescovi e 400 sacerdoti hanno concelebrato la liturgia. 

Il servizio di Roberta Gisotti: Novità, armonia, missione: tre parole che esprimono l’azione dello Spirito Santo, che “sprigiona il suo dinamismo irresistibile, con esiti sorprendenti”. Così Papa Francesco riflettendo sulla “effusione dello Spirito Santo operata da Cristo risorto sulla sua Chiesa”. “Un evento di grazia che ha riempito il cenacolo di Gerusalemme per espandersi al mondo intero”. Gli apostoli nel Cenacolo a Gerusalemme “colpiti nella mente e nel cuore” da “segni precisi e concreti”, un fragore improvviso dal cielo, quasi un vento impetuoso e lingue infuocate che si posano su di loro, vengono colmati di Spirito Santo, cominciano a parlare alla folla, in altre lingue dalla loro, delle grandi opere di Dio. Tutti fanno un’esperienza nuova. 

Ma noi siamo pronti a questa novità? “La novità ci fa sempre un po’ di paura, perché ci sentiamo più sicuri se abbiamo tutto sotto controllo, se siamo noi a costruire, a programmare, a progettare la nostra vita secondo i nostri schemi, le nostre sicurezze, i nostri gusti”. “E questo avviene anche con Dio. – ha osservato il Papa – “Lo seguiamo, lo accogliamo ma fino a un certo punto; ci è difficile abbandonarci a Lui con piena fiducia, lasciando che sia lo Spirito Santo l’anima, la guida della nostra vita, in tutte le scelte”: “Abbiamo paura che Dio ci faccia percorrere strade nuove, ci faccia uscire dal nostro orizzonte spesso limitato, chiuso, egoista, per aprirci ai suoi orizzonti”. 

Ma “la novità che Dio porta nella nostra vita è ciò che veramente ci realizza, – ha ricordato Francesco – ciò che ci dona la vera gioia, la vera serenità, perché Dio ci ama e vuole solo il nostro bene”. “Non è la novità per la novità, la ricerca del nuovo per superare la noia, come avviene spesso nel nostro tempo”. Da qui l’interrogativo: “Siamo aperti alle ‘sorprese di Dio’? O ci chiudiamo, con paura, alla novità dello Spirito Santo? Siamo coraggiosi per andare per le nuove strade che la novità di Dio ci offre o ci difendiamo, chiusi in strutture caduche che hanno perso la capacità di accoglienza? 

Queste domande, ci farà bene, anche, farle durante tutta la giornata”. E se lo Spirito Santo sembra creare disordine nella Chiesa, portando diversità dei carismi, dei doni, tutto ciò “sotto la sua azione – ha spiegato il Papa – è una grande ricchezza, perché lo Spirito Santo è lo Spirito di unità, che non significa uniformità”, ma armonia. 

Ma solo lui può operare in tal modo. “Anche qui, quando siamo noi a voler fare la diversità e ci chiudiamo nei nostri particolarismi, nei nostri esclusivismi, portiamo la divisione; e quando siamo noi a voler fare l’unità secondo i nostri disegni umani, finiamo per portare l’uniformità, l’omologazione.” “Il camminare insieme, guidati dai pastori, che hanno uno speciale carisma e ministero, è un segno dell’azione dello Spirito Santo”, ha ricordato Francesco ai fedeli dei movimenti e associazioni e comunità di tutto il mondo. 

“E’ la Chiesa che mi porta Cristo e mi porta a Cristo; i cammini paralleli sono tanto pericolosi!”. Quindi il monito: “Non ci si avventura oltre la dottrina e la Comunità ecclesiale”. “Chiediamoci allora: sono aperto all’armonia dello Spirito Santo, superando ogni esclusivismo? Mi faccio guidare da Lui vivendo nella Chiesa e con la Chiesa?”. E, lo Spirito Santo è anche “l’anima della missione”: “Lo Spirito Santo ci fa entrare nel mistero del Dio vivente e ci salva dal pericolo di una Chiesa gnostica e di una Chiesa autoreferenziale, chiusa nel suo recinto”. “La Pentecoste del Cenacolo di Gerusalemme è l’inizio, un inizio che si prolunga”, ha concluso Francesco con un ultima domanda: “Chiediamoci se abbiamo la tendenza di chiuderci in noi stessi, nel nostro gruppo, o se lasciamo che lo Spirito Santo ci apra alla missione. Ricordiamo, oggi, queste tre parole: novità, armonia, missione”.

 

Il Tirocinio per l’IRC: finalità pedagogiche e modalità organizzative

Il 29 maggio 2013 si svolgerà a Roma un seminario sul tema Il Tirocinio per l’IRC: finalità pedagogiche e modalità organizzative. Scopo dell’incontro è promuovere, nelle comunità di ricerca e di docenza delle Istituzioni abilitate a formare i futuri docenti di IRC, un momento intenso di confronto e di studio circa la progettazione e lo svolgimento dei percorsi di Tirocinio.
 
Il Seminario, che avrà luogo dalle ore 10:00 alle ore 17:00 presso il Centro Congressi CEI (Via Aurelia 796), è organizzato dal Servizio Nazionale per gli Studi superiori di teologia e di scienze religiose, in collaborazione con il Servizio nazionale per l’Insegnamento della religione cattolica ed è rivolto ai Presidi delle Facoltà Ecclesiastiche, ai Direttori degli ISSR e ai di docenti di Tirocinio dell’IRC che sono in servizio presso le Facoltà Ecclesiastiche indicate nell’elenco delle Istituzioni abilitate a rilasciare titoli di qualificazione professionale per l’IRC e strutture accademiche annesse (Centri Teologici, ISSR, Seminari Maggiori). Sono invitati a partecipare anche i Responsabili Regionali dell’IRC.
 
 
Per la partecipazione al Seminario è stata presentata domanda di esonero al MIUR.
In allegato, il Programma del Seminario e le Note tecniche per la partecipazione.
Di seguito, il link riservato ai Presidi, Direttori ISSR, Docenti di tirocinio e ai Direttori Regionali IRC per l’ISCRIZIONE on-line*.
 
* poiché l’iscrizione è sempre individuale, per la prima iscrizione si prega di leggere le “Modalità di registrazione”.
 

Corsi Estivi per Insegnanti di Religione

Pozza di Fassa 16-22 giugno / 30 giugno – 6 luglio

I due Corsi estivi che l’Istituto di Catechetica  dell’UPS propone tendono a mettere a fuoco le nuove dinamiche educative che si impongono nel rinnovamento della Scuola, nell’accentuazione della competenza, ormai condivisa dalle varie discipline, nelle Indicazioni Nazionali  della CEI per lRC.  Una progettazione che sappia integrare correttamente le molteplici sollecitazioni educative che attraversano la scuola e si impongono all’Insegnamento della Religione è la condizione non tanto della presenza dell’IRC, quanto della sua efficacia e legittimazione attuali.

I Corsi, con particolare attenzione alle Secondarie in quello di Luglio, vogliono garantire consapevolezza e padronanza al Docente di Religione nell’esercizio sereno della sua professionalità.

– I Corsi sono organizzati ai sensi delle Direttive Ministeriali n. 305 (art. 2 comma 7) del 1 luglio 1996,  n. 156 (art. 1 comma 2) del 26 marzo 1998.

Ai sensi dell’art. 14 comma 1, 2 e 7 del CCNL, rientra nelle iniziative di formazione e aggiornamento progettate e realizzate dalle Agenzie di Formazione riconosciute dal MIUR.

– Ai partecipanti sarà rilasciato un attestato di partecipazione.

– Il primo Corso ha ottenuto il finanziamento da parte del Ministero, per il secondo si è in attesa di approvazione.

 

1° Corso

Progettualità e competenza nell’IRC

Corso estivo: 16-22 giugno

 

Lunedì 17 giugno

Mattino

Michele Pellerey: Programmazione curricolare per competenze

Guglielmo Malizia: Le riforme della Scuola e l’IRC

Pomeriggio

Laboratori

Martedì 18 giugno

Mattino

Bissoli Cesare:            La componente biblica nelle NIN dell’IRC. Una lettura pedagogico-didattica

Michele Pellerey: Competenze chiave europee per l’apprendimento permanente e l’IRC

Romio Roberto: Progettare e valutare le competenze religiose scolastiche

Pomeriggio

Laboratori

Mercoledì 19 giugno

Mattino

Diana Massimo: Competenza relazionale nell’Idr

Castegnaro Alessandro: Studente e apprendimento nell’IRC

Pomeriggio

Tavola rotonda:

Coordinatore: Maurizio Lucillo

Diana,  Malizia, Pellerey, Moral, Romio, Kannheiser, Castegnaro, Escudero, Wierzbicki

Giovedì 20 giugno

Mattino

Trenti Zelindo: Competenza e linguaggio nell’IRC

Kannheiser Franca: Compiti di sviluppo e competenze IRC

Pomeriggio

Laboratori

Venerdì 21 giugno

Mattino

Escudero Antonio: Il sapere religioso nell’IRC

Moral José Luis: Linguaggio, comunicazione e religione

Pomeriggio

Laboratori

Sabato 22 giugno

Mattino

Wierzbicki Miroslaw – Trenti Zelindo:            

Sintesi laboratori. Competenza nell’IRC?. La Progettazione didattica

Presentazione di Ospite Inatteso.

Verifica dei laboratori. Conclusioni

            

2° Corso

Traguardi di competenza nell’IRC:

progettazione e valutazione

 

Corso estivo: 30 giugno-6 luglio

 

Lunedì 1 luglio

Mattino

Cicatelli Sergio: Programmazione curricolare per competenze

Guglielmo Malizia: Le riforme della Scuola e l’IRC

Pomeriggio

Laboratori

Martedì 2 luglio

Mattino

Trenti Zelindo: Linguaggio e competenza nell’IRC

Romio Roberto: Progettare e valutare le competenze religiose scolastiche

Pomeriggio

Laboratori

Mercoledì 3 luglio

Mattino

Moral José Luis: Linguaggio, comunicazione e religione

Usai Gianpaolo: Studente e apprendimento nell’IRC

Pomeriggio

Tavola rotonda:

Coordinatore: Maurizio Lucillo

Cicatelli, Romio, Usai, Diana, Malizia, Wierzbicki, Kannheiser, Moral.

Giovedì 4 luglio

Mattino

Diana Massimo: Competenza relazionale nell’Idr

Kannheiser Franca: Compiti di sviluppo e competenze IRC

Pomeriggio

Laboratori

Venerdì 5 luglio

Mattino

Bissoli Cesare:            La componente biblica nelle NIN dell’IRC. Una lettura pedagogico-didattica

Wierzbicki Miroslaw: Processi di apprendimento nell’IRC

Pomeriggio

Laboratori

Sabato 6 luglio

Mattino

Equipe Ospite Inatteso: La elaborazione didattica. Presentazione di Ospite Inatteso

Verifica dei laboratori. Conclusioni

                                         

Iscrizioni

Segreteria Istituto di Catechetica

Università Pontificia Salesiana

Piazza Ateneo Salesiano, 1 – 00139 ROMA

Tel 06. 87.290.651; 06. 87.290.808 –  Fax 06. 87.290.354

e-mail: catechetica@unisal.it

orario di Ufficio: 8.30-12 (martedì e giovedì)

 

Inviare la scheda di iscrizione direttamente presso la Segreteria dell’Istituto di Catechetica all’Università Salesiana nei termini indicati.

SCHEDA D’ISCRIZIONE

 

Le iscrizioni al Corso di giugno devono pervenire via Fax o Mail entro il 20 giugno 2013 alla Segreteria dell’Istituto di Catechetica.

 Le iscrizioni al Corso di luglio devono pervenire via Fax o Mail entro il 20 giugno 2013 alla Segreteria dell’Istituto di Catechetica.

 

Il numero massimo di partecipanti è di 50 persone, oltrepassato il quale si elabora una lista di attesa.

Fede, sviluppo, etica e politica: le risposte del Papa

La fede, l’evangelizzazione, l’etica pubblica, il modello di sviluppo la politica, la testimonianza e la sofferenza di chi nel mondo cammina per una Chiesa-movimento. Sono questi i temi affrontati nelle domande che sono state poste al Papa in piazza San Pietro da rappresentanti dei movimenti, delle comunità, delle associazioni e delle aggregazioni laicali in occasione dell’Anno della fede e presenti oggi e domani a Roma con quasi 150mila persone. Una sorta di question time a cui il Pontefice non si è sottratto. 
La prima domanda affrontava il tema della fede. Troppe volte ci si rende conto di come la fede sia un inizio di
cambiamento e però poi si stenta a investire la totalità della  vita, cioè non diventa l’origine di tutto il nostro conoscere e agire. E allora – è stato chiesto a Papa Francesco – come fare?, come egli stesso ha potuto raggiungere nella sua vita la certezza della fede e “quale strada ci indica perchè ciascuno di noi possa
vincere la fragilità della fede?”. Una seconda domanda puntava sull’evangelizzazione, nel vivere la fede in ogni ambiente, anche al lavoro. Spesso – ha detto il rappresentante dei movimenti che ha posto il tema – capita che molti cerchino la felicità in tanti itinerari individuali in cui la vita e le sue grandi domande spesso si riducono al materialismo di chi vuole avere tutto e resta perennemente insoddisfatto o al nichilismo per cui nulla ha senso. Come attuare la nuova evangelizzazione che la Chiesa chiede, “quale è – è stata la domanda al Papa – la cosa più importante cui tutti noi movimenti, associazioni e comunità dobbiamo guardare per attuare il compito cui siamo chiamati? In che modo comunicare la fede oggi?”.

Il terzo quesito è partito dalle parole di papa Bergoglio in occasione della sua prima udienza pubblica, quella
per gli operatori dei media: “Come vorrei una Chiesa povera per i poveri”. Parole che subito diedero il senso del pontificato che si apriva con Papa Francesco. E però oggi quelle stesse persone che pur già si impegnano nella vicinanza e nell’aiuto ai poveri devono fare i conti con la crisi che ha aggravato tutto, con la povertà che si è affacciata anche nel mondo del benessere, la mancanza di lavoro, i movimenti migratori di massa, le nuove schiavitù, l’abbandono e la solitudine di tante famiglie, di tanti anziani e di tante persone che
non hanno casa e/o lavoro. E dunque al Papa viene chiesto di spiegare come si può vivere una Chiesa povera e per i poveri? In che modo l’uomo sofferente è una domanda per la fede? Quale contributo concreto ed efficace possono tutti, come movimenti e associazioni laicali, dare alla Chiesa e alla società per affrontare questa grave crisi “che tocca l’etica pubblica, il modello di sviluppo, la politica?”. In sostanza, come arrivare a un nuovo modo di essere uomini e donne?

Infine la quarta domanda. Camminare, costruire, confessare: sono i pilastri indicati da papa Francesco nell’omelia tenuta in occasione della Messa tenuta al collegio cardinalizio nella Cappella Sistina all’indomani della sua elezione al soglio pontificio. Un vero e proprio programma per una Chiesa-movimento. E però confessare, cioè testimoniare la fede, provoca turbamento se si pensa a quanti soffrono a causa dela fede stessa, se si pensa “a chi si sente accerchiato e discriminato – ha detto il rappresentante dei movimenti – per la sua fede cristiana in tante, troppe parti del nostro mondo”. E di fronte a queste situazioni la testimonianza appare timida e impacciata. E allora – la domanda al Papa – “cosa fare di più, come aiutare questi nostri
fratelli? Come alleviare la loro sofferenza non potendo fare nulla, o ben poco, per cambiare il loro contesto politico e sociale?”.

 
TESTO INTEGRALE
 
Questo il testo integrale con le risposte a braccio del Papa a quattro domande:

Domanda 1
“La verità cristiana è attraente e persuasiva perché risponde al bisogno profondo dell’esistenza umana, annunciando in maniera convincente che Cristo è l’unico Salvatore di tutto l’uomo e di tutti gli uomini”. Santo Padre, queste Sue parole ci hanno profondamente colpito: esse esprimono in maniera diretta e radicale l’esperienza che ciascuno di noi desidera vivere soprattutto nell’Anno della fede e in questo pellegrinaggio che stasera ci ha portato qui. Siamo davanti a Lei per rinnovare la nostra fede, per confermarla, per rafforzarla. Sappiamo che la fede non può essere una volta per tutte. Come diceva Benedetto XVI nella Porta fidei: “la fede non è un presupposto ovvio”. Questa affermazione non riguarda soltanto il mondo, gli altri, la tradizione da cui veniamo: questa affermazione riguarda innanzitutto ciascuno di noi. Troppe volte ci rendiamo conto di come la fede sia un germoglio di novità, un inizio di cambiamento, ma stenti poi a investire la totalità della vita. Non diventa l’origine di tutto il nostro conoscere e agire. Santità, come Lei ha potuto raggiungere nella Sua vita la certezza sulla fede? E quale strada ci indica perché ciascuno di noi possa vincere la fragilità della fede?

Domanda 2
Padre Santo, la mia è una esperienza di vita quotidiana come tante. Cerco di vivere la fede nell’ambiente di lavoro a contatto con gli altri come testimonianza sincera del bene ricevuto nell’incontro con il Signore. Sono, siamo “pensieri di Dio”, investiti da un Amore misterioso che ci ha dato la vita. Insegno in una scuola e questa coscienza mi dà il motivo per appassionarmi ai miei ragazzi e anche ai colleghi. Verifico spesso che molti cercano la felicità in tanti itinerari individuali in cui la vita e le sue grandi domande spesso si riducono al materialismo di chi vuole avere tutto e resta perennemente insoddisfatto o al nichilismo per cui nulla ha senso. Mi chiedo come la proposta della fede, che è quella di un incontro personale, di una comunità, di un popolo, possa raggiungere il cuore dell’uomo e della donna del nostro tempo. Siamo fatti per l’infinito -“giocate la vita per cose grandi!” ha detto Lei recentemente -, eppure tutto attorno a noi e ai nostri giovani sembra dire che bisogna accontentarsi di risposte mediocri, immediate e che l’uomo deve adattarsi al finito senza cercare altro. A volte siamo intimiditi, come i discepoli alla vigilia della Pentecoste. La Chiesa ci invita alla Nuova Evangelizzazione. Penso che tutti noi qui presenti sentiamo fortemente questa sfida, che è al cuore delle nostre esperienze. Per questo vorrei chiedere a Lei, Padre Santo, di aiutare me e tutti noi a capire come vivere questa sfida nel nostro tempo. Quale è per Lei la cosa più importante cui tutti noi movimenti, associazioni e comunità dobbiamo guardare per attuare il compito cui siamo chiamati? Come possiamo comunicare in modo efficace la fede oggi?

Domanda 3
Padre Santo, ho ascoltato con emozione le parole che ha detto all’udienza con i giornalisti dopo la Sua elezione: “Come vorrei una Chiesa povera e per i poveri”. Molti di noi sono impegnati in opere di carità e giustizia: siamo parte attiva di quella radicata presenza della Chiesa lì dove l’uomo soffre. Sono una impiegata, ho la mia famiglia e, come posso, mi impegno personalmente nella vicinanza e nell’aiuto ai poveri. Ma non per questo mi sento a posto. Vorrei poter dire con Madre Teresa: tutto è per Cristo. Il grande aiuto a vivere questa esperienza sono i fratelli e le sorelle della mia comunità che si impegnano per lo stesso scopo. E in questo impegno siamo sostenuti dalla fede e dalla preghiera. Il bisogno è grande. Ce lo ha ricordato Lei: “Quanti poveri ci sono ancora nel mondo e quanta sofferenza incontrano queste persone”. E la crisi ha aggravato tutto. Penso alla povertà che affligge tanti Paesi e che si è affacciata anche nel mondo del benessere, alla mancanza di lavoro, ai movimenti migratori di massa, alle nuove schiavitù, all’abbandono e alla solitudine di tante famiglie, di tanti anziani e di tante persone che non hanno casa o lavoro. Vorrei chiederle, Padre Santo: come io e tutti noi possiamo vivere una Chiesa povera e per i poveri? In che modo l’uomo sofferente è una domanda per la nostra fede? Noi tutti, come movimenti e associazioni laicali, quale contributo concreto ed efficace possiamo dare alla Chiesa e alla società per affrontare questa grave crisi che tocca l’etica pubblica, il modello di sviluppo, la politica, insomma un nuovo modo di essere uomini e donne?

Domanda 4
Camminare, costruire, confessare. Questo Suo “programma” per una Chiesa-movimento, così almeno l’ho inteso sentendo una Sua omelia all’inizio del Pontificato, ci ha confortati e spronati. Confortati, perché ci siamo ritrovati in una unità profonda con gli amici della comunità cristiana e con tutta la Chiesa universale. Spronati, perché in un certo senso Lei ci ha costretto a togliere la polvere del tempo e della superficialità dalla nostra adesione a Cristo. Ma devo dire che non riesco a superare il senso di turbamento che una di queste parole mi provoca: confessare. Confessare, cioè testimoniare la fede. Pensiamo ai tanti nostri fratelli che soffrono a causa di essa, come abbiamo sentito anche poco fa. A chi la domenica mattina deve decidere se andare a Messa perché sa che andando a Messa rischia la vita. A chi si sente accerchiato e discriminato per la fede cristiana in tante, troppe parti del nostro mondo. Davanti a queste situazioni ci pare che il mio confessare, la nostra testimonianza sia timida e impacciata. Vorremmo fare di più, ma cosa? E come aiutare questi nostri fratelli? Come alleviare la loro sofferenza non potendo fare nulla, o ben poco, per cambiare il loro contesto politico e sociale?

Risposte del Santo Padre Francesco

Buonasera a tutti!

Sono contento di incontrarvi e che tutti noi ci incontriamo in questa piazza per pregare, per essere uniti e per aspettare il dono dello Spirito. Io conoscevo le vostre domande e ci ho pensato – questo, quindi, non è senza conoscenza! Primo, la verità! Le ho qui, scritte.

La prima – “come lei ha potuto raggiungere nella sua vita la certezza sulla fede; e quale strada ci indica perché ciascuno di noi possa vincere la fragilità della fede?” – è una domanda storica, perché riguarda la mia storia, la storia della mia vita!

Io ho avuto la grazia di crescere in una famiglia in cui la fede si viveva in modo semplice e concreto; ma è stata soprattutto mia nonna, la mamma di mio padre, che ha segnato il mio cammino di fede. Era una donna che ci spiegava, ci parlava di Gesù, ci insegnava il Catechismo. Ricordo sempre che il Venerdì Santo ci portava, la sera, alla processione delle candele, e alla fine di questa processione arrivava il “Cristo giacente”, e la nonna ci faceva – a noi bambini – inginocchiare e ci diceva: “Guardate, è morto, ma domani risuscita”. Ho ricevuto il primo annuncio cristiano proprio da questa donna, da mia nonna! E’ bellissimo, questo! Il primo annuncio in casa, con la famiglia! E questo mi fa pensare all’amore di tante mamme e di tante nonne nella trasmissione della fede. Sono loro che trasmettono la fede. Questo avveniva anche nei primi tempi, perché san Paolo diceva a Timoteo: “Io ricordo la fede della tua mamma e della tua nonna” (cfr 2Tm 1,5). Tutte le mamme che sono qui, tutte le nonne, pensate a questo! Trasmettere la fede. Perché Dio ci mette accanto delle persone che aiutano il nostro cammino di fede. Noi non troviamo la fede nell’astratto; no! E’ sempre una persona che predica, che ci dice chi è Gesù, che ci trasmette la fede, ci dà il primo annuncio. E così è stata la prima esperienza di fede che ho avuto. 

Ma c’è un giorno per me molto importante: il 21 settembre del ‘53. Avevo quasi 17 anni. Era il “Giorno dello studente”, per noi il giorno della Primavera – da voi è il giorno dell’Autunno. Prima di andare alla festa, sono passato nella parrocchia dove andavo, ho trovato un prete, che non conoscevo, e ho sentito la necessità di confessarmi. Questa è stata per me un’esperienza di incontro: ho trovato che qualcuno mi aspettava. Ma non so cosa sia successo, non ricordo, non so proprio perché fosse quel prete là, che non conoscevo, perché avessi sentito questa voglia di confessarmi, ma la verità è che qualcuno m’aspettava. Mi stava aspettando da tempo. Dopo la Confessione ho sentito che qualcosa era cambiato. Io non ero lo stesso. Avevo sentito proprio come una voce, una chiamata: ero convinto che dovessi diventare sacerdote. Questa esperienza nella fede è importante. Noi diciamo che dobbiamo cercare Dio, andare da Lui a chiedere perdono, ma quando noi andiamo, Lui ci aspetta, Lui è prima! Noi, in spagnolo, abbiamo una parola che spiega bene questo: “Il Signore sempre ci primerea”, è primo, ci sta aspettando! E questa è proprio una grazia grande: trovare uno che ti sta aspettando. Tu vai peccatore, ma Lui ti sta aspettando per perdonarti. Questa è l’esperienza che i Profeti di Israele descrivevano dicendo che il Signore è come il fiore di mandorlo, il primo fiore della Primavera (cfr Ger 1,11-12). Prima che vengano gli altri fiori, c’è lui: lui che aspetta. Il Signore ci aspetta. E quando noi Lo cerchiamo, troviamo questa realtà: che è Lui ad aspettarci per accoglierci, per darci il suo amore. E questo ti porta nel cuore uno stupore tale che non lo credi, e così va crescendo la fede! Con l’incontro con una persona, con l’incontro con il Signore. Qualcuno dirà: “No, io preferisco studiare la fede nei libri!”. E’ importante studiarla, ma, guarda, questo solo non basta! L’importante è l’incontro con Gesù, l’incontro con Lui, e questo ti dà la fede, perché è proprio Lui che te la dà! Anche voi parlavate della fragilità della fede, come si fa per vincerla. Il nemico più grande che ha la fragilità – è curioso, eh? – è la paura. Ma non abbiate paura! Siamo fragili, e lo sappiamo. Ma Lui è più forte! Se tu vai con Lui, non c’è problema! Un bambino è fragilissimo – ne ho visti tanti, oggi -, ma era con il papà, con la mamma: è al sicuro! Con il Signore siamo sicuri. La fede cresce con il Signore, proprio dalla mano del Signore; questo ci fa crescere e ci rende forti. Ma se noi pensiamo di poterci arrangiare da soli… Pensiamo che cosa è successo a Pietro: “Signore, io mai ti rinnegherò!” (cfr Mt 26,33-35); e poi ha cantato il gallo e l’aveva rinnegato per tre volte! (cfr vv. 69-75). Pensiamo: quando noi abbiamo troppa fiducia in noi stessi, siamo più fragili, più fragili. Sempre con il Signore! E dire con il Signore significa dire con l’Eucaristia, con la Bibbia, con la preghiera… ma anche in famiglia, anche con la mamma, anche con lei, perché lei è quella che ci porta al Signore; è la madre, è quella che sa tutto. Quindi pregare anche la Madonna e chiederle che, come mamma, mi faccia forte. Questo è quello che io penso sulla fragilità, almeno è la mia esperienza. Una cosa che mi rende forte tutti i giorni è pregare il Rosario alla Madonna. Io sento una forza tanto grande perché vado da lei e mi sento forte.

Passiamo alla seconda domanda.

“Penso che tutti noi qui presenti sentiamo fortemente la sfida, la sfida della evangelizzazione, che è al cuore delle nostre esperienze. Per questo vorrei chiedere a Lei, Padre Santo, di aiutare me e tutti noi a capire come vivere questa sfida nel nostro tempo, qual è per lei la cosa più importante cui tutti noi movimenti, associazioni e comunità dobbiamo guardare per attuare il compito cui siamo chiamati. Come possiamo comunicare in modo efficace la fede di oggi?”.

Dirò soltanto tre parole.
La prima: Gesù. Chi è la cosa più importante? Gesù. Se noi andiamo avanti con l’organizzazione, con altre cose, con belle cose, ma senza Gesù, non andiamo avanti, la cosa non va. Gesù è più importante. Adesso, vorrei fare un piccolo rimprovero, ma fraternamente, tra noi. Tutti voi avete gridato nella piazza “Francesco, Francesco, Papa Francesco”. Ma, Gesù dov’era? Io avrei voluto che voi gridaste: “Gesù, Gesù è il Signore, ed è proprio in mezzo a noi!”. Da qui in avanti, niente “Francesco”, ma “Gesù”! La seconda parola è: la preghiera. Guardare il volto di Dio, ma soprattutto – e questo è collegato con quello che ho detto prima – sentirsi guardati. Il Signore ci guarda: ci guarda prima. La mia esperienza è ciò che sperimento davanti al sagrario [Tabernacolo] quando vado a pregare, la sera, davanti al Signore. Alcune volte mi addormento un pochettino; questo è vero, perché un po’ la stanchezza della giornata ti fa addormentare. Ma Lui mi capisce. E sento tanto conforto quando penso che Lui mi guarda. Noi pensiamo che dobbiamo pregare, parlare, parlare, parlare… No! Làsciati guardare dal Signore. Quando Lui ci guarda, ci dà forza e ci aiuta a testimoniarlo – perché la domanda era sulla testimonianza della fede, no? Primo “Gesù”, poi “preghiera” – sentiamo che Dio ci sta tenendo per mano. Sottolineo allora l’importanza di questo: lasciarsi guidare da Lui. Questo è più importante di qualsiasi calcolo. Siamo veri evangelizzatori lasciandoci guidare da Lui. Pensiamo a Pietro; forse stava facendo la siesta, dopo pranzo, e ha avuto una visione, la visione della tovaglia con tutti gli animali, e ha sentito che Gesù gli diceva qualcosa, ma lui non capiva. In quel momento, sono venuti alcuni non-ebrei a chiamarlo per andare in una casa, e ha visto come lo Spirito Santo era laggiù. Pietro si è lasciato guidare da Gesù per giungere a quella prima evangelizzazione ai gentili, che non erano ebrei: una cosa inimmaginabile in quel tempo (cfr At 10,9-33). E così, tutta la storia, tutta la storia! Lasciarsi guidare da Gesù. E’ proprio il leader; il nostro leader è Gesù. E terza: la testimonianza. Gesù, preghiera – la preghiera, quel lasciarsi guidare da Lui – e poi testimonianza. Ma vorrei aggiungere qualcosa. Questo lasciarsi guidare da Gesù ti porta alle sorprese di Gesù. Si può pensare che l’evangelizzazione dobbiamo programmarla a tavolino, pensando alle strategie, facendo dei piani. Ma questi sono strumenti, piccoli strumenti. L’importante è Gesù e lasciarsi guidare da Lui. Poi possiamo fare le strategie, ma questo è secondario. Infine, la testimonianza: la comunicazione della fede si può fare soltanto con la testimonianza, e questo è l’amore. Non con le nostre idee, ma con il Vangelo vissuto nella propria esistenza e che lo Spirito Santo fa vivere dentro di noi. E’ come una sinergia fra noi e lo Spirito Santo, e questo conduce alla testimonianza. La Chiesa la portano avanti i Santi, che sono proprio coloro che danno questa testimonianza. Come ha detto Giovanni Paolo II e anche Benedetto XVI, il mondo di oggi ha tanto bisogno di testimoni. Non tanto di maestri, ma di testimoni. Non parlare tanto, ma parlare con tutta la vita: la coerenza di vita, proprio la coerenza di vita! Una coerenza di vita che è vivere il cristianesimo come un incontro con Gesù che mi porta agli altri e non come un fatto sociale. Socialmente siamo così, siamo cristiani, chiusi in noi. No, questo no! La testimonianza!

La terza domanda: “Vorrei chiederle, Padre Santo, come io e tutti noi possiamo vivere una Chiesa povera e per i poveri. In che modo l’uomo sofferente è una domanda per la nostra fede? Noi tutti, come movimenti, associazioni laicali, quale contributo concreto ed efficace possiamo dare alla Chiesa e alla società per affrontare questa grave crisi che tocca l’etica pubblica” – questo è importante! – “il modello di sviluppo, la politica, insomma un nuovo modo di essere uomini e donne?”. 

Riprendo dalla testimonianza. Prima di tutto, vivere il Vangelo è il principale contributo che possiamo dare. La Chiesa non è un movimento politico, né una struttura ben organizzata: non è questo. Noi non siamo una ONG, e quando la Chiesa diventa una ONG perde il sale, non ha sapore, è soltanto una vuota organizzazione. E in questo siate furbi, perché il diavolo ci inganna, perché c’è il pericolo dell’efficientismo. Una cosa è predicare Gesù, un’altra cosa è l’efficacia, essere efficienti. No, quello è un altro valore. Il valore della Chiesa, fondamentalmente, è vivere il Vangelo e dare testimonianza della nostra fede. La Chiesa è sale della terra, è luce del mondo, è chiamata a rendere presente nella società il lievito del Regno di Dio e lo fa prima di tutto con la sua testimonianza, la testimonianza dell’amore fraterno, della solidarietà, della condivisione. Quando si sentono alcuni dire che la solidarietà non è un valore, ma è un “atteggiamento primario” che deve sparire… questo non va! Si sta pensando ad un’efficacia soltanto mondana. I momenti di crisi, come quelli che stiamo vivendo – ma tu hai detto prima che “siamo in un mondo di menzogne” –, questo momento di crisi, stiamo attenti, non consiste in una crisi soltanto economica; non è una crisi culturale. E’ una crisi dell’uomo: ciò che è in crisi è l’uomo! E ciò che può essere distrutto è l’uomo! Ma l’uomo è immagine di Dio! Per questo è una crisi profonda! In questo momento di crisi non possiamo preoccuparci soltanto di noi stessi, chiuderci nella solitudine, nello scoraggiamento, nel senso di impotenza di fronte ai problemi. Non chiudersi, per favore! Questo è un pericolo: ci chiudiamo nella parrocchia, con gli amici, nel movimento, con coloro con i quali pensiamo le stesse cose… ma sapete che cosa succede? Quando la Chiesa diventa chiusa, si ammala, si ammala. Pensate ad una stanza chiusa per un anno; quando tu vai, c’è odore di umidità, ci sono tante cose che non vanno. Una Chiesa chiusa è la stessa cosa: è una Chiesa ammalata. La Chiesa deve uscire da se stessa. Dove? Verso le periferie esistenziali, qualsiasi esse siano, ma uscire. Gesù ci dice: “Andate per tutto il mondo! Andate! Predicate! Date testimonianza del Vangelo!” (cfr Mc 16,15). Ma che cosa succede se uno esce da se stesso? Può succedere quello che può capitare a tutti quelli che escono di casa e vanno per la strada: un incidente. Ma io vi dico: preferisco mille volte una Chiesa incidentata, incorsa in un incidente, che una Chiesa ammalata per chiusura! Uscite fuori, uscite! Pensate anche a quello che dice l’Apocalisse. Dice una cosa bella: che Gesù è alla porta e chiama, chiama per entrare nel nostro cuore (cfr Ap 3,20). Questo è il senso dell’Apocalisse. Ma fatevi questa domanda: quante volte Gesù è dentro e bussa alla porta per uscire, per uscire fuori, e noi non lo lasciamo uscire, per le nostre sicurezze, perché tante volte siamo chiusi in strutture caduche, che servono soltanto per farci schiavi, e non liberi figli di Dio? In questa “uscita” è importante andare all’incontro; questa parola per me è molto importante: l’incontro con gli altri. Perché? Perché la fede è un incontro con Gesù, e noi dobbiamo fare la stessa cosa che fa Gesù: incontrare gli altri. Noi viviamo una cultura dello scontro, una cultura della frammentazione, una cultura in cui quello che non mi serve lo getto via, la cultura dello scarto. Ma su questo punto, vi invito a pensare – ed è parte della crisi – agli anziani, che sono la saggezza di un popolo, ai bambini… la cultura dello scarto! Ma noi dobbiamo andare all’incontro e dobbiamo creare con la nostra fede una “cultura dell’incontro”, una cultura dell’amicizia, una cultura dove troviamo fratelli, dove possiamo parlare anche con quelli che non la pensano come noi, anche con quelli che hanno un’altra fede, che non hanno la stessa fede. Tutti hanno qualcosa in comune con noi: sono immagini di Dio, sono figli di Dio. Andare all’incontro con tutti, senza negoziare la nostra appartenenza. E un altro punto è importante: con i poveri. Se usciamo da noi stessi, troviamo la povertà. Oggi – questo fa male al cuore dirlo – oggi, trovare un barbone morto di freddo non è notizia. Oggi è notizia, forse, uno scandalo. Uno scandalo: ah, quello è notizia! Oggi, pensare che tanti bambini non hanno da mangiare non è notizia. Questo è grave, questo è grave! Noi non possiamo restare tranquilli! Mah… le cose sono così. Noi non possiamo diventare cristiani inamidati, quei cristiani troppo educati, che parlano di cose teologiche mentre prendono il tè, tranquilli. No! Noi dobbiamo diventare cristiani coraggiosi e andare a cercare quelli che sono proprio la carne di Cristo, quelli che sono la carne di Cristo! Quando io vado a confessare – ancora non posso, perché per uscire a confessare… di qui non si può uscire, ma questo è un altro problema – quando io andavo a confessare nella diocesi precedente, venivano alcuni e sempre facevo questa domanda: “Ma, lei dà l’elemosina?” – “Sì, padre!”. “Ah, bene, bene”. E gliene facevo due in più: “Mi dica, quando lei dà l’elemosina, guarda negli occhi quello o quella a cui dà l’elemosina?” – “Ah, non so, non me ne sono accorto”. Seconda domanda: “E quando lei dà l’elemosina, tocca la mano di quello al quale dà l’elemosina, o gli getta la moneta?”. Questo è il problema: la carne di Cristo, toccare la carne di Cristo, prendere su di noi questo dolore per i poveri. La povertà, per noi cristiani, non è una categoria sociologica o filosofica o culturale: no, è una categoria teologale. Direi, forse la prima categoria, perché quel Dio, il Figlio di Dio, si è abbassato, si è fatto povero per camminare con noi sulla strada. E questa è la nostra povertà: la povertà della carne di Cristo, la povertà che ci ha portato il Figlio di Dio con la sua Incarnazione. Una Chiesa povera per i poveri incomincia con l’andare verso la carne di Cristo. Se noi andiamo verso la carne di Cristo, incominciamo a capire qualcosa, a capire che cosa sia questa povertà, la povertà del Signore. E questo non è facile. Ma c’è un problema che non fa bene ai cristiani: lo spirito del mondo, lo spirito mondano, la mondanità spirituale. Questo ci porta ad una sufficienza, a vivere lo spirito del mondo e non quello di Gesù. La domanda che facevate voi: come si deve vivere per affrontare questa crisi che tocca l’etica pubblica, il modello di sviluppo, la politica. Siccome questa è una crisi dell’uomo, una crisi che distrugge l’uomo, è una crisi che spoglia l’uomo dell’etica. Nella vita pubblica, nella politica, se non c’è l’etica, un’etica di riferimento, tutto è possibile e tutto si può fare. E noi vediamo, quando leggiamo i giornali, come la mancanza di etica nella vita pubblica faccia tanto male all’umanità intera. Vorrei raccontarvi una storia. L’ho fatto già due volte questa settimana, ma lo farò una terza volta con voi. E’ la storia che racconta un midrash biblico di un Rabbino del secolo XII. Lui narra la storia della costruzione della Torre di Babele e dice che, per costruire la Torre di Babele, era necessario fare i mattoni. Che cosa significa questo? Andare, impastare il fango, portare la paglia, fare tutto… poi, al forno. E quando il mattone era fatto doveva essere portato su, per la costruzione della Torre di Babele. Un mattone era un tesoro, per tutto il lavoro che ci voleva per farlo. Quando cadeva un mattone, era una tragedia nazionale e l’operaio colpevole era punito; era tanto prezioso un mattone che se cadeva era un dramma. Ma se cadeva un operaio, non succedeva niente, era un’altra cosa. Questo succede oggi: se gli investimenti nelle banche calano un po’… tragedia… come si fa? Ma se muoiono di fame le persone, se non hanno da mangiare, se non hanno salute, non fa niente! Questa è la nostra crisi di oggi! E la testimonianza di una Chiesa povera per i poveri va contro questa mentalità.

La quarta domanda: “Davanti a queste situazioni, mi pare che il mio confessare, la mia testimonianza sia timida e impacciata. Vorrei fare di più, ma cosa? E come aiutare questi nostri fratelli, come alleviare la loro sofferenza non potendo fare nulla o ben poco per cambiare il loro contesto politico-sociale?”.

Per annunciare il Vangelo sono necessarie due virtù: il coraggio e la pazienza. Loro [i cristiani che soffrono] sono nella Chiesa della pazienza. Loro soffrono e ci sono più martiri oggi che nei primi secoli della Chiesa; più martiri! Fratelli e sorelle nostri. Soffrono! Loro portano la fede fino al martirio. Ma il martirio non è mai una sconfitta; il martirio è il grado più alto della testimonianza che noi dobbiamo dare. Noi siamo in cammino verso il martirio, dei piccoli martìri: rinunciare a questo, fare questo… ma siamo in cammino. E loro, poveretti, danno la vita, ma la danno – come abbiamo sentito la situazione nel Pakistan – per amore a Gesù, testimoniando Gesù. Un cristiano deve sempre avere questo atteggiamento di mitezza, di umiltà, proprio l’atteggiamento che hanno loro, confidando in Gesù, affidandosi a Gesù. Bisogna precisare che tante volte questi conflitti non hanno un’origine religiosa; spesso ci sono altre cause, di tipo sociale e politico, e purtroppo le appartenenze religiose vengono utilizzate come benzina sul fuoco. Un cristiano deve saper sempre rispondere al male con il bene, anche se spesso è difficile. Noi cerchiamo di far sentire loro, a questi fratelli e sorelle, che siamo profondamente uniti – profondamente uniti! – alla loro situazione, che noi sappiamo che sono cristiani “entrati nella pazienza”. Quando Gesù va incontro alla Passione, entra nella pazienza. Loro sono entrati nella pazienza: farlo sapere a loro, ma anche farlo sapere al Signore. Vi pongo la domanda: pregate per questi fratelli e queste sorelle? Voi pregate per loro? Nella preghiera di tutti i giorni? Io non chiederò ora che alzi la mano colui che prega: no. Non lo chiederò, adesso. Ma pensatelo bene. Nella preghiera di tutti i giorni diciamo a Gesù: “Signore, guarda questo fratello, guarda a questa sorella che soffre tanto, che soffre tanto!”. Loro fanno l’esperienza del limite, proprio del limite tra la vita e la morte. E anche per noi: questa esperienza deve portarci a promuovere la libertà religiosa per tutti, per tutti! Ogni uomo e ogni donna devono essere liberi nella propria confessione religiosa, qualsiasi essa sia. Perché? Perché quell’uomo e quella donna sono figli di Dio. E così, credo di avere detto qualcosa sulle vostre domande; mi scuso se sono stato troppo lungo. Grazie tante! Grazie a voi, e non dimenticate: niente di una Chiesa chiusa, ma una Chiesa che va fuori, che va alle periferie dell’esistenza. Che il Signore ci guidi laggiù. Grazie.

Ultimo aggiornamento: 20 maggio

Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2013/05/19/testo_integrale_con_le_risposte_del_papa_nella_veglia_di_pentecoste/it1-693634 
del sito Radio Vaticana 

Insegnamento della religione: competenza e professionalità

Prontuario dell’insegnante di Religione

Il Prontuario vuol essere uno strumento agevole e puntuale a servizio del Docente di religione. È stato progettato su un disegno unitario ma elaborato da competenze specialistiche diverse. Intende coprire i settori più importanti nell’esercizio della professionalità docente. La Scuola nel giro di poco più che un decennio è stata radicalmente riformata; l’insegnamento di Religione Cattolica va di conseguenza seriamente ripensato.

Nell’orientare in forma organica una proposta pedagogica per l’oggi dell’IRC ci si è dunque mossi nell’orizzonte ermeneutico; secondo noi straordinariamente fecondo nell’ambito specifico dell’apprendimento. L’attuale accento portato sulla competenza è stato spesso richiamato, anzi verificato con ponderata attenzione.

Riteniamo (A conti fatti) che l’orizzonte ermeneutico abbia consentito coerenza ai molteplici contributi e possa legittimare la presunzione di… organicità a una proposta elaborata a più mani e con sensibilità e competenze diverse, ma non incompatibili.

Naturalmente ci auguriamo che il ’Prontuario’ possa offrire al Docente di Religione Cattolica uno strumento attuale pertinente ed efficace per qualificare la propria professionalità.

 

Le dimensioni che qualificano il ‘Prontuario’ sono quattro.

– La prima analizza il contesto educativo scolastico. È evidente la provocazione che la Scuola costituisce: la riforma, meglio il cumulo di riforme che lo attraversano e ne rendono difficile se non impraticabile l’esercizio professionale sereno e precisamente padroneggiato. Gli interventi di Chiosso, Malizia e Cicatelli mettono a frutto una competenza sicura e attentamente aggiornata per identificare i nodi importanti della situazione: il significato dell’IRC, i traguardi di competenza delle riforme, l’analisi delle Indicazioni Nazionali, fino all’ultima che riguarda la Secondaria di secondo grado, vi trovano elaborazione puntuale e chiara.

– Anche l’identità della disciplina è accuratamente esplorata nella natura, nel linguaggio, nelle fonti, nella distinzione e complementarità rispetto alla Catechesi. Il Prontuario intende fare chiarezza sull’identità disciplinare dell’IRC; rilevare la sua legittima collocazione scolastica, evidenziare l’apporto qualificato e irrinunciabile che offre al progetto globale della Scuola italiana.

– Ha inteso soprattutto dare risaldo preciso alla centralità dello studente; si è voluto tracciarne il profilo, vagliarne la disponibilità, evidenziarne i processi di sviluppo, garantire la pertinenza della proposta e la specificità del linguaggio. Lo studente vi risulta il protagonista con cui la Scuola è chiamata a fare i conti; con cui l’IRC è sollecitato a confrontarsi per consentirgli una padronanza consapevole del mondo religioso, in cui è immerso. Anche i risultati di una recente ricerca sulla qualità e le dimensioni dell’apprendimento sono proposti a verifica.

– È sembrato importante anche dare risonanza adeguata alla Scuola Cattolica; essa offre un ambiente educativo privilegiato, specificamente per l’educazione religiosa. Costituisce spesso una situazione in cui l’IRC può trovare adeguata considerazione e spazio significativo di verifica e di approfondimento sia per il progetto in se stesso della stessa Scuola cattolica, sia per una sperimentazione attenta circa le condizioni innovative di un rapporto interdisciplinare esemplare.

– La conclusione ha inteso richiamare l’attenzione sulla peculiare metodologia pedagogica e didattica che l’Istituto di Catechetica privilegia: evidenzia la scelta ermeneutica quale sfondo adeguato per dare coerenza al ‘Prontuario’, per garantire il processo di apprendimento della Religione e portarlo ai traguardi di competenza auspicati. 

 

                                                                                     Zelindo Trenti – Corrado Pastore

 

SOMMARIO 

Introduzione

Parte Prima

IL CONTESTO EDUCATIVO SCOLASTICO 

1. Il significato dell’IRC nella Scuola italiana: Giorgio Chiosso

2. Le riforme della Scuola e l’IRC: Guglielmo Malizia – Sergio Cicatelli

3. Le Indicazioni nazionali per l’IRC: Sergio Cicatelli

 

Parte Seconda

LA DISCIPLINA 

4. Natura e finalità dell’IRC: Zelindo Trenti

5. La Bibbia e le fonti dell’IRC: Cesare Bissoli

6. Il linguaggio nell’“IRC”:           José Luis Moral

7. L’insegnamento della religione cattolica e la Catechesi: distinzione e complementarietà: Vincenzo Annicchiarico

 

Parte Terza

DAI PROFILI ALLE COMPETENZE 

8. Lo studente e la religione. In un’ottica “laica” e “cosmopolita”: Vittorio Pieroni

9. L’attenzione allo studente e l’apprendimento della religione: Alessandro Castegnaro

10. Le esperienze di crescita e i passaggi di vita: Franca Feliziani Kannheiser

11. Pensare e presentare il cristianesimo nella scuola: Antonio Escudero

12. Verso una didattica delle competenze religiose: Roberto Romio

 

Parte Quarta

LA SCUOLA CATTOLICA 

13. L’IRC nella scuola cattolica: Guglielmo Malizia – Sergio Cicatelli              

Conclusione

14. La scelta della pedagogia ermeneutica: Zelindo Trenti – Miroslaw Wierzbicki

Insegnamento della religione: competenza e professionalità

Il Prontuario vuol essere uno strumento agevole e puntuale a servizio del Docente di religione. È stato progettato su un disegno unitario ma elaborato da competenze specialistiche diverse. Intende coprire i settori più importanti nell’esercizio della professionalità docente. La Scuola nel giro di poco più che un decennio è stata radicalmente riformata; l’insegnamento di Religione Cattolica va di conseguenza seriamente ripensato.

Nell’orientare in forma organica una proposta pedagogica per l’oggi dell’IRC ci si è dunque mossi nell’orizzonte ermeneutico; secondo noi straordinariamente fecondo nell’ambito specifico dell’apprendimento. L’attuale accento portato sulla competenza è stato spesso richiamato, anzi verificato con ponderata attenzione.

Riteniamo (A conti fatti) che l’orizzonte ermeneutico abbia consentito coerenza ai molteplici contributi e possa legittimare la presunzione di… organicità a una proposta elaborata a più mani e con sensibilità e competenze diverse, ma non incompatibili.

Naturalmente ci auguriamo che il ’Prontuario’ possa offrire al Docente di Religione Cattolica uno strumento attuale pertinente ed efficace per qualificare la propria professionalità.

 

Le dimensioni che qualificano il ‘Prontuario’ sono quattro.

– La prima analizza il contesto educativo scolastico. È evidente la provocazione che la Scuola costituisce: la riforma, meglio il cumulo di riforme che lo attraversano e ne rendono difficile se non impraticabile l’esercizio professionale sereno e precisamente padroneggiato. Gli interventi di Chiosso, Malizia e Cicatelli mettono a frutto una competenza sicura e attentamente aggiornata per identificare i nodi importanti della situazione: il significato dell’IRC, i traguardi di competenza delle riforme, l’analisi delle Indicazioni Nazionali, fino all’ultima che riguarda la Secondaria di secondo grado, vi trovano elaborazione puntuale e chiara.

– Anche l’identità della disciplina è accuratamente esplorata nella natura, nel linguaggio, nelle fonti, nella distinzione e complementarità rispetto alla Catechesi. Il Prontuario intende fare chiarezza sull’identità disciplinare dell’IRC; rilevare la sua legittima collocazione scolastica, evidenziare l’apporto qualificato e irrinunciabile che offre al progetto globale della Scuola italiana.

– Ha inteso soprattutto dare risaldo preciso alla centralità dello studente; si è voluto tracciarne il profilo, vagliarne la disponibilità, evidenziarne i processi di sviluppo, garantire la pertinenza della proposta e la specificità del linguaggio. Lo studente vi risulta il protagonista con cui la Scuola è chiamata a fare i conti; con cui l’IRC è sollecitato a confrontarsi per consentirgli una padronanza consapevole del mondo religioso, in cui è immerso. Anche i risultati di una recente ricerca sulla qualità e le dimensioni dell’apprendimento sono proposti a verifica.

– È sembrato importante anche dare risonanza adeguata alla Scuola Cattolica; essa offre un ambiente educativo privilegiato, specificamente per l’educazione religiosa. Costituisce spesso una situazione in cui l’IRC può trovare adeguata considerazione e spazio significativo di verifica e di approfondimento sia per il progetto in se stesso della stessa Scuola cattolica, sia per una sperimentazione attenta circa le condizioni innovative di un rapporto interdisciplinare esemplare.

– La conclusione ha inteso richiamare l’attenzione sulla peculiare metodologia pedagogica e didattica che l’Istituto di Catechetica privilegia: evidenzia la scelta ermeneutica quale sfondo adeguato per dare coerenza al ‘Prontuario’, per garantire il processo di apprendimento della Religione e portarlo ai traguardi di competenza auspicati. 

 

                                                                                     Zelindo Trenti – Corrado Pastore

 

SOMMARIO 

Introduzione

Parte Prima

IL CONTESTO EDUCATIVO SCOLASTICO 

1. Il significato dell’IRC nella Scuola italiana: Giorgio Chiosso

2. Le riforme della Scuola e l’IRC: Guglielmo Malizia – Sergio Cicatelli

3. Le Indicazioni nazionali per l’IRC: Sergio Cicatelli

 

Parte Seconda

LA DISCIPLINA 

4. Natura e finalità dell’IRC: Zelindo Trenti

5. La Bibbia e le fonti dell’IRC: Cesare Bissoli

6. Il linguaggio nell’“IRC”:           José Luis Moral

7. L’insegnamento della religione cattolica e la Catechesi: distinzione e complementarietà: Vincenzo Annicchiarico

 

Parte Terza

DAI PROFILI ALLE COMPETENZE 

8. Lo studente e la religione. In un’ottica “laica” e “cosmopolita”Vittorio Pieroni

9. L’attenzione allo studente e l’apprendimento della religione: Alessandro Castegnaro

10. Le esperienze di crescita e i passaggi di vita: Franca Feliziani Kannheiser

11. Pensare e presentare il cristianesimo nella scuolaAntonio Escudero

12. Verso una didattica delle competenze religiose: Roberto Romio

 

Parte Quarta

LA SCUOLA CATTOLICA 

13. L’IRC nella scuola cattolica: Guglielmo Malizia – Sergio Cicatelli              

Conclusione

14. La scelta della pedagogia ermeneutica: Zelindo Trenti – Miroslaw Wierzbicki

Il messaggio del card. Scola sulla libertà religiosa

Libertà religiosa. Fondamentalismo. Ecumenismo. Questi i temi sui quali si sono confrontati gli ospiti del cardinale Angelo Scola oggi, nel palazzo arcivescovile della diocesi di Milano. All’incontro sulla libertà religiosa, hanno partecipato il sindaco di Milano Giuliano Pisapia, il presidente della provincia, Guido Podestà, il presidente della Regione Lombardia, Roberto Maroni. Presente anche il neo-ministro della Difesa Mario Mauro.
 
«Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv 8,32). Non sembra esagerato affermare che queste parole del Signore Gesù intercettano, in modo immediato e sorprendente, l’anelito più profondo che qualifica da sempre il cuore dell’uomo. Se si tiene conto del contesto in cui il celebre versetto si colloca non sfugge però la sua componente altamente drammatica.
Nella storia, tra verità e libertà si da inevitabilmente una tensione. La Verità in senso pieno, si offre e non può non farlo, come assoluta, totalizzante; la libertà, sua interlocutrice propria, d’altra parte, non accetta coercizioni.
L’anelito di libertà proprio dell’uomo, costitutivamente orientato alla ricerca della verità, esprime il carattere inviolabile della sua coscienza: «La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità» (GS 16).
La coscienza è il luogo dell’incontro tra la verità e la libertà, la dimora del loro connubio. Essa è un cardine di ogni forma di ordine sociale a misura d’uomo.
Il versetto biblico propone un rapporto dinamico con la persona di Gesù che rende pienamente liberi. Esso ‘merita’ paradossalmente la celebre accusa che il Grande inquisitore, nei Fratelli Karamazov di Dostoevskij, rivolge a Cristo: «Invece di impadronirti della libertà degli uomini, Tu l’hai ancora accresciuta!».
L’evangelista ci mette di fronte alla ‘pretesa’ di Gesù di farci conoscere la verità. Afferma, in altri termini, che la verità ci viene incontro per offrirsi a noi in dono. È vero che l’uomo postmoderno spesso mette in questione la possibilità stessa di accedere alla verità. Eppure le parole di Gesù, «conoscerete la verità e la verità vi farà liberi», continuano indomite a risuonare e sfidano, dopo 2000 anni, ogni preclusione e pregiudizio.
La capacità di Gesù di interloquire con ogni uomo, in ogni tempo storico, scaturisce dal fatto che Egli sa parlare ‘al cuore’ della persona. Infatti porre la domanda circa la verità e circa la libertà e stabilire quale nesso debba sussistere tra loro, significa andare al centro dell’io, da cui ogni uomo parte per il percorso che lo porti al compimento di sé, cioè alla felicità, in termini cristiani alla santità.
La celebrazione dei 1700 anni dal cosiddetto Editto di Milano costituisce un’occasione privilegiata per rimettere a fuoco tali questioni in se stesse irrinunciabili ultimamente legate alla natura ineliminabile della dimensione religiosa dell’uomo. La riconosce acutamente l’eccentrico pensatore George Steiner: «Potessi soltanto buttare via la zavorra di una visione religiosa del mondo.
Potessi soltanto lasciarmi alle spalle quella ‘malattia infantile’… L’ordinanza positivista che impone alla mente adulta di chiedere al mondo e all’esistenza soltanto ‘Come?’ e non ‘Perché?’ è una censura fra le più oscurantiste. Vorrebbe imbavagliare la voce sotto le altri voci dentro di noi.
Persino al livello del ‘Come?’ non è affatto certo che le scienze maestose troveranno risposte dimostrabili… Per me esiste la pressione assolutamente innegabile di una Presenza aliena alla spiegazione» (cfr
Errata ). Come non cogliere, in ultima analisi, in questa Presenza la forza stessa della verità che interpella l’umana libertà?
In questo contesto possiamo svolgere qualche considerazione sul tema della libertà religiosa in quanto tale. Essa non comporta l’imposizione della verità, ma piuttosto l’accettare che sia la verità stessa, per essere riconosciuta in quanto tale, a chiamare in causa la libertà. In quest’ottica il Concilio Vaticano II, nella Dichiarazione Dignitatis humanae, si è occupato della libertà religiosa non in termini generali come libertà morale nei confronti della verità o di un valore – tesi essenziale, esplicitamente richiamata dalla celebre Dichiarazione – ma si è volutamente limitato a considerare la libertà giuridica nell’ambito dei rapporti tra le persone e nella vita sociale. Tale libertà implica che nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità alla sua coscienza. Così concepito, il diritto alla libertà religiosa è un diritto negativo che stabilisce i limiti dello Stato e dei poteri civili, escludendo una loro competenza diretta sulla scelta in materia religiosa.
La strenua affermazione e difesa della libertà religiosa dice la centralità e l’inviolabilità della persona umana, la sua dignità, fondamento dell’organizzazione sociale. Secondo alcuni le parole della Dignitatis humanae potrebbero ultimamente essere lette come una resa da parte della Chiesa cattolica, non più in grado di mantenere i propri privilegi, alle pretese della secolarizzazione, siano esse ritenute benefiche o meno.
Interpretare in questo modo l’insegnamento conciliare significa subire un clima culturale che non riesce più a pensare la realtà nella sua origine, cioè nell’orizzonte della creazione opera della Santa Trinità. Così facendo si ignora la presenza benefica del Dio Uno e Trino, sorgente della vita della persona, della comunità e del cosmo. A differenza dei nostri fratelli d’Oriente, noi cristiani di Occidente ci siamo spesso rassegnati a non fare più della confessione della nostra fede ­basata sul credo che ogni domenica professiamo comunitariamente nella celebrazione eucaristica – il cardine del nostro pensiero. Veniamo colti da uno strano pudore a comunicare l’esperienza che scaturisce dalla nostra fede, nel timore che questo possa minare l’universale solidarietà con tutta la famiglia umana, i cui componenti si riferiscono a visioni diverse della realtà. Eppure è vero il contrario.
L’autentica tradizione ha sempre riconosciuto e affermato «quanto viva sia la relazione tra il più inavvicinabile di tutti i misteri [la Santa Trinità appunto] e la nostra vita quotidiana» (Romano Guardini). Il perfetto ed eterno scambio di amore, nello Spirito Santo, tra il Padre e il Figlio da Lui generato apre lo spazio, nel mondo creato – cioè nell’umana esperienza – ad una comunicazione della verità che chiede di essere accolta dalla libertà. Una libertà che non percepisce il legame di dipendenza da Dio in termini di sudditanza, ma in termini di filiazione. L’uomo creato ad immagine della Trinità come maschio e come femmina – differenza questa interna ad ogni persona – si compie accogliendo la verità che sempre chiede il dono della libertà. Non a caso la costituzione pastorale Gaudium et spes al n. 24 insegna che «l’uomo, il quale in terra è la sola creatura che Iddio abbia voluto per se stesso, non possa ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé».
I l nesso Trinità, verità e libertà, lungi dal restare relegato nell’ambito cristiano, illumina anche la comune vita sociale. E rappresenta un decisivo contributo che i cristiani debbono offrire, in quanto cittadini, a tutti i soggetti che abitano la società plurale. Dalla contemplazione della Trinità emerge una visione dell’uomo e L’ della società praticabile da tutti, che supera in radice qualunque pensiero incapace di riconoscere la differenza come un bene e nello stesso tempo non rinuncia a quell’unità che è il marchio inconfondibile del vero.
Dal punto di vista dell’organizzazione sociale ne derivano conseguenze decisamente notevoli. Infatti, il riconoscimento del bene della differenza permette di combattere l’utopia del collettivismo in cui l’uomo è dissolto nello Stato. D’altra parte, non rinunciare mai all’unità come orizzonte necessario di ogni realizzazione sociale mette al riparo dall’utopia dell’individualismo, incapace di concepire la logica del dono necessaria, invece, al bene personale e sociale. Afferma il nostro padre Ambrogio: «Nulla si accorda tanto con l’equità quanto la giustizia, la quale [è] inseparabile compagna della benevolenza». E così scrive l’enciclica Deus caritas est al n. 28: «L’amore -caritas- sarà sempre necessario, anche nella società più giusta. Non c’è nessun ordinamento statale giusto che possa rendere superfluo il servizio dell’amore. Chi vuole sbarazzarsi dell’amore si dispone a sbarazzarsi dell’uomo in quanto uomo». Il servizio della carità fa emergere ciò che è specificamente umano ed esalta il necessario ordine di giustizia.
L’annuncio della Trinità Santa e della salvezza compiuta nel Crocifisso Risorto trova la Chiesa ortodossa e la Chiesa cattolica unite nel cammino comune dell’evangelizzazione e del contributo all’edificazione di una civiltà dal volto umano. Sua Santità Bartolomeo ebbe a dire l’11 ottobre 2012 in Piazza San Pietro: «La nostra presenza qui – e quindi anche quella di oggi a Milano – significa e segna il nostro impegno a testimoniare insieme il messaggio di salvezza e guarigione per i nostri fratelli più piccoli: i poveri, gli oppressi, gli emarginati nel mondo creato da Dio». E il Santo Padre Francesco ha affermato nell’omelia dell’Eucaristia per l’inizio del ministero petrino: «Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato!».
Questo slancio missionario universale del cristianesimo è stato ed è la strada più importante per perseguire l’unità dei cristiani. A questo compito appartiene intrinsecamente la promozione della libertà religiosa sia in Occidente che in Oriente.
Sono diverse le forme in cui questa libertà viene conculcata o non pienamente attuata. Promuoverla a beneficio delle nostre società e promuoverla insieme con i fratelli d’Oriente è un dovere che la Chiesa cattolica non intende disertare.
I cristiani stanno progressivamente rendendosi conto della necessità di un senso di vita adeguato ai grandi cambiamenti in atto che necessitano un approfondimento della dimensione affettiva e dell’esperienza del bell’amore, l’accettazione cordiale della società plurale ed il contributo costruttivo alla vita buona e al buon governo. Fattori che implicano un pensiero positivo e deciso della ‘differenza’. Esso, se rettamente perseguito, non spezza l’unità. Ne è garanzia proprio il mistero del Dio Uno e Trino.
 
Angelo Scola