Il Papa: la gioia del Vangelo e la «missione permanente»

Viene pubblicata oggi l’esortazione apostolica Evangelii gaudium, e c’è dentro la summa del pensiero di papa Francesco sulla Chiesa di oggi e su quella che verrà.
«La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù»: inizia così l’Esortazione apostolica con cui papa Francesco sviluppa il tema dell’annuncio del Vangelo nel mondo attuale, raccogliendo, tra l’altro, il contributo dei lavori del Sinodo che si è svolto in Vaticano dal 7 al 28 ottobre 2012 sul tema “La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede”. “Desidero indirizzarmi ai fedeli cristiani – scrive il Papa – per invitarli a una nuova tappa evangelizzatrice marcata da questa gioia e indicare vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni”.

«Stato di missione permanente». Un appello forte a tutti i battezzati perché portino agli altri l’amore di Gesù in uno “stato permanente di missione”, vincendo “il grande rischio del mondo attuale”: quello di cadere in “una tristezza individualista”. 

Il Papa invita a “recuperare la freschezza originale del Vangelo”, trovando “nuove strade” e “metodi creativi”, a non imprigionare Gesù nei nostri “schemi noiosi”. Occorre “una conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose come stanno” e una “riforma delle strutture” ecclesiali perché “diventino tutte più missionarie” . Il Pontefice pensa anche ad “una conversione del papato” perché sia “più fedele al significato che Gesù Cristo intese dargli e alle necessità attuali dell’evangelizzazione”. L’auspicio che le Conferenze episcopali potessero dare un contributo affinché “il senso di collegialità” si realizzasse “concretamente” – afferma – “non si è pienamente realizzato”. E’ necessaria “una salutare decentralizzazione”. 

«L’Eucaristia non è un premio per i perfetti». In questo rinnovamento non bisogna aver paura di rivedere consuetudini della Chiesa “non direttamente legate al nucleo del Vangelo, alcune molto radicate nel corso della storia”. Segno dell’accoglienza di Dio è “avere dappertutto chiese con le porte aperte” perché quanti sono in ricerca non incontrino “la freddezza di una porta chiusa”. “Nemmeno le porte dei Sacramenti si dovrebbero chiudere per una ragione qualsiasi”. Così, l’Eucaristia “non è un premio per i perfetti ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli. Queste convinzioni hanno anche conseguenze pastorali che siamo chiamati a considerare con prudenza e audacia”.  Ribadisce di preferire una Chiesa “ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa … preoccupata di essere il centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti. Se qualcosa deve santamente inquietarci … è che tanti nostri fratelli vivono” senza l’amicizia di Gesù. Il Papa indica le “tentazioni degli operatori pastorali”: individualismo, crisi d’identità, calo del fervore. “La più grande minaccia” è “il grigio pragmatismo della vita quotidiana della Chiesa, nel quale tutto apparentemente procede nella normalità, mentre in realtà la fede si va logorando”. 

«Dio ci liberi da una Chiesa mondana». Esorta a non lasciarsi prendere da un “pessimismo sterile” e ad essere segni di speranza attuando la “rivoluzione della tenerezza”. Occorre rifuggire dalla “spiritualità del benessere” che rifiuta “impegni fraterni”  e vincere “la mondanità spirituale” che “consiste nel cercare, al posto della gloria del Signore, la gloria umana”. Il Papa parla di quanti “si sentono superiori agli altri” perché “irremovibilmente fedeli ad un certo stile cattolico proprio del passato” e “invece di evangelizzare … classificano gli altri” o di quanti hanno una “cura ostentata della liturgia, della dottrina e del prestigio della Chiesa, ma senza che li preoccupi il reale inserimento del Vangelo” nei bisogni della gente. Questa “è una tremenda corruzione con apparenza di bene … Dio ci liberi da una Chiesa mondana sotto drappeggi spirituali o pastorali!” 

«Chi vogliamo evangelizzare con questi comportamenti?». Un appello è anche alle comunità ecclesiali a non cadere nelle invidie e nelle gelosie: “all’interno del Popolo di Dio e nelle diverse comunità, quante guerre!”. “Chi vogliamo evangelizzare con questi comportamenti?”. Sottolinea la necessità di far crescere la responsabilità dei laici, tenuti “al margine delle decisioni” da “un eccessivo clericalismo”. Afferma che “c’è ancora bisogno di allargare gli spazi per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa”, in particolare “nei diversi luoghi dove vengono prese le decisioni importanti”. “Le rivendicazioni dei legittimi diritti delle donne …non si possono superficialmente eludere”. I giovani devono avere “un maggiore protagonismo”. Di fronte alla scarsità di vocazioni in alcuni luoghi afferma che “non si possono riempire i seminari sulla base di qualunque tipo di motivazione”. Affrontando il tema dell’inculturazione, ricorda che “il cristianesimo non dispone di un unico modello culturale” e che il volto della Chiesa è “pluriforme”. “Non possiamo pretendere che tutti i popoli … nell’esprimere la fede cristiana, imitino le modalità adottate dai popoli europei in un determinato momento della storia”. 

«No a una teologia da tavolino». l Papa ribadisce “la forza evangelizzatrice della pietà popolare” e incoraggia la ricerca dei teologi invitandoli ad avere “a cuore la finalità evangelizzatrice della Chiesa” e a non accontentarsi “di una teologia da tavolino”. Si sofferma “con una certa meticolosità, sull’omelia” perché “molti sono i reclami in relazione a questo importante ministero e non possiamo chiudere le orecchie”. L’omelia “deve essere breve ed evitare di sembrare una conferenza o una lezione”, deve saper dire “parole che fanno ardere i cuori”, rifuggendo da una “predicazione puramente moralista o indottrinante” (142). Sottolinea l’importanza della preparazione: “un predicatore che non si prepara non è ‘spirituale’, è disonesto ed irresponsabile”. “Una buona omelia … deve contenere ‘un’idea, un sentimento, un’immagine’” (157). La predicazione deve essere positiva perché offra “sempre speranza” e non lasci “prigionieri della negatività”.

«Questa economia uccide». Parlando delle sfide del mondo contemporaneo, il Papa denuncia l’attuale sistema economico: “è ingiusto alla radice”. “Questa economia uccide” perché prevale la “legge del più forte”. L’attuale cultura dello “scarto” ha creato “qualcosa di nuovo”: “gli esclusi non sono ‘sfruttati’ ma rifiuti, ‘avanzi’”. Viviamo “una nuova tirannia invisibile, a volte virtuale” di un “mercato divinizzato” dove regnano “speculazione finanziaria”, “corruzione ramificata”, “evasione fiscale egoista”.

Denuncia gli “attacchi alla libertà religiosa” e le “nuove situazioni di persecuzione dei cristiani … In molti luoghi si tratta piuttosto di una diffusa indifferenza relativista”. La famiglia – prosegue il Papa – “attraversa una crisi culturale profonda”. Ribadendo “il contributo indispensabile del matrimonio alla società” sottolinea che “l’individualismo postmoderno e globalizzato favorisce uno stile di vita … che snatura i vincoli familiari”. Ribadisce “l’intima connessione tra evangelizzazione e promozione umana”  e il diritto dei Pastori “di emettere opinioni su tutto ciò che riguarda la vita delle persone”. “Nessuno può esigere da noi che releghiamo la religione alla segreta intimità delle persone, senza alcuna influenza nella vita sociale”. Cita Giovanni Paolo II dove dice che la Chiesa “non può né deve rimanere al margine della lotta per la giustizia”.

 “La politica, tanto denigrata” – afferma – “è una delle forme più preziose di carità”. “Prego il Signore che ci regali più politici che abbiano davvero a cuore … la vita dei poveri!”. Poi un monito: “Qualsiasi comunità all’interno della Chiesa” si dimentichi dei poveri corre “il rischio della dissoluzione”. 

«Chiamati a prenderci cura della fragilità», la difesa della vita umana. Il Papa invita ad avere cura dei più deboli: “i senza tetto, i tossicodipendenti, i rifugiati, i popoli indigeni, gli anziani sempre più soli e abbandonati” e i migranti, per cui esorta i Paesi “ad una generosa apertura”. Parla delle vittime della tratta e di nuove forme di schiavismo: “Nelle nostre città è impiantato questo crimine mafioso e aberrante, e molti hanno le mani che grondano sangue a causa di una complicità comoda e muta” . “Doppiamente povere sono le donne che soffrono situazioni di esclusione, maltrattamento e violenza”. “Tra questi deboli di cui la Chiesa vuole prendersi cura” ci sono “i bambini nascituri, che sono i più indifesi e innocenti di tutti, ai quali oggi si vuole negare la dignità umana”. “Non ci si deve attendere che la Chiesa cambi la sua posizione su questa questione … Non è progressista pretendere di risolvere i problemi eliminando una vita umana”. Quindi, un appello al rispetto di tutto il creato: “siamo chiamati a prenderci cura della fragilità del popolo e del mondo in cui viviamo”.

AVVENIRE DEL 26/11/13

La Parola sempre con te

Da sabato 23 novembre può essere scaricata gratuitamente APP BIBBIA CEI da APP Store. La versione per tablet Android sarà disponibile dal 21 dicembre.
Voluta dalla Segreteria Generale della Conferenza Episcopale Italiana, l’APP è stata realizzata da “SEED -Edizioni Informatiche”.L’applicazione è gratuita e offre a tutti una nuova esperienza di lettura della Sacra Scrittura. È la prima e unica APP a proporre il testo biblico nella traduzione ufficiale 2008 della CEI, completo dell’apparato critico.
Offre accurate funzioni di lettura, navigazione e ricerca. Permette di inserire segnalibri e annotazioni personali per archiviarli e portarli sempre con sé. Consente condivisioni in diverse modalità.
 

In dialogo con… l’Islam.

FIRENZE – Si è tenuta nei giorni scorsi, all’interno del Chiostro di Santa Maria Novella,  la giornata di studio organizzata dalla Commissione Regionale per l’Ecumenismo e il dialogo interreligioso della Conferenza Episcopale Toscana ed in particolare da don Mauro Lucchesi, incaricato regionale per l’Ecumenismo e docente all’Istituto di Scienze Religiose “Beato Niccolò Stenone” di Pisa. Ad introdurre l’incontro è stato Mons Rodolfo Cetoloni, Presidente della Commissione per l’Ecumenismo e il Dialogo Interreligioso CEI, che ha dichiarato: “L’obiettivo di questo incontro è quello di imparare a guardare la diversità con meno paura, alla ricerca di strade possibili per un dialogo fattivo.
Anche l’Islam sta vivendo una situazione difficile all’interno, per la mancanza di dialogo tra le varie “voci”  dell’Islam. I vari paesi islamici stanno vivendo una profonda crisi sia politico-economica, sia religiosa (primavera araba). E il problema non è da sottovalutare per gli immigrati, che incontriamo nel nostro paese”.  “Con questi incontri – ha ribadito il professorMarco Bontempi dell’Università di Firenze – vogliamo iniziare un percorso di formazione e informazione per un fattivo dialogo tra Cristianesimo-Islam in Toscana”. A ripercorrere la “via” della Rivelazione e del Corano, ci ha pensato il professor Adnane Mokrani, del Pont. Istituto di Studi Arabi e Islamistica e Pont. Università Gregoriana. Poi la parola è passata aCaterina Greppi, docente al Pontificio Istituto Orientale di  Roma, che ha trattato con un linguaggio tecnico e particolareggiato, della norma giuridica dell’Islam. A chiudere i lavori ci ha pensato don Giuliano Zatti, direttore del servizio per le relazioni cristiano-islamiche della Diocesi di Padova, che ha detto: “Non basta parlare di un Dio Padre e di un Allah padre, di una generica solidarietà, ma poiché il volto dell’altro per noi deve diventare il volto di Cristo, mi devo porre il problema: “come pormi di fronte all’altro? E alla sua fede?”. “E’ possibile dire Gesù senza creare barriere?”.
“Come formare la vocazione al dialogo?”. A un vero cristiano – ha concluso – non basta parlare di “tolleranza”, è meglio parlare di rispetto”.
 
Eleonora Prayer

Progetto Policoro, passi di fede nella storia

Un nutrito staff di formatori accompagnerà i partecipanti in questo percorso formativo, svolto alla luce del Vangelo e della Dottrina sociale della Chiesa. È l’occasione per recuperare lo spirito fondativo del Progetto e acquisire gli strumenti base per accompagnare altri giovani soprattutto attraverso la ricerca attiva del lavoro, la creazione d’impresa e i rapporti di reciprocità tra le varie Diocesi italiane. Accanto a loro, i rappresentanti di alcune tra le Associazioni e Istituzioni (Gioc, Mlac, Acli, Cisl, Confcooperative, Libera, Tertio Millennio, Fondazione Operti, Banca Etica e Banche di Credito Cooperativo) che, mettendo a disposizione il loro patrimonio esperienziale, contribuiscono a creare una “rete” a sostegno del cammino.
Il Corso di formazione si apre alle 18 di martedì 26 con la preghiera e i saluti di benvenuto da parte dei Direttori dei tre Uffici nazionali che coordinano il Progetto Policoro (Ufficio Nazionale per i problemi sociali e il lavoro, Servizio Nazionale per la pastorale giovanile e Caritas Italiana).
Giovedì 28 i partecipanti al Corso saranno “pellegrini sulle orme di Francesco”: una visita ad alcuni tra i luoghi di Assisi più impregnati dallo spirito del Santo (Basilica Papale, Istituto Serafico e Vescovado) e dove Papa Francesco stesso è passato lo scorso 4 ottobre. Il Vescovo di Assisi, S.E. Mons. Sorrentino, li accoglierà con la Celebrazione Eucaristica delle 18.00.
Sono ormai 18 anni che il Progetto Policoro si snoda come percorso nella storia lavorativa di tanti giovani che non si lasciano “rubare la speranza”, che cercano di tracciare sentieri con mete concrete in tempi sempre costellati da fatiche e difficoltà. “Troppe volte si parla in riferimento ai giovani di scommessa, mentre il Progetto Policoro è una realtà – osserva Mons. Fabiano Longoni, neo-Direttore dell’Ufficio Nazionale per i problemi sociali e il lavoro della CEI –. I giovani non sono oggetto, ma soggetto, persone che, attraverso l’impegno della Chiesa italiana e delle singole Diocesi hanno assunto e assumeranno in proprio ruoli sempre più attivi nei loro territori. Non una scommessa, quindi, ma una sfida già vinta per il lavoro e il futuro di questo Paese”.
 

Giornata per la custodia del creato

Alle ore 12.20 di oggi, nell’Aula Paolo VI in Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza scolari e studenti delle Scuole italiane partecipanti al progetto Ambientiamoci a scuola promosso dalla Fondazione “Sorella Natura” di Assisi, in occasione della “Giornata per la Custodia del Creato”, che si celebra domani 29 novembre, nell’anniversario della proclamazione di San Francesco di Assisi quale Patrono dei cultori dell’ecologia. Sono presenti nell’Aula Paolo VI il Presidente della Fondazione, Signor Roberto Leoni e il Presidente onorario, Cardinale Oscar Andrés Rodríguez Maradiaga, SDB, che rivolge al Papa un indirizzo di omaggio.
 
La Fondazione Sorella Natura invita tutti gli scolari delle Scuole Medie Italiane ad una riflessione-creativa sulPerché il Papa ha scelto il nome di Francesco?
 

GESU’ CRISTO RE DELL’UNIVERSO

Prima lettura: 2Samuele 5,1-3

In quei giorni, vennero tutte le tribù d’Israele da Davide a Ebron, e gli dissero: «Ecco noi siamo tue ossa e tua carne. Già prima, quando regnava Saul su di noi, tu conducevi e riconducevi Israele. Il Signore ti ha detto: “Tu pascerai il mio popolo Israele, tu sarai capo d’Israele”». Vennero dunque tutti gli anziani d’Israele dal re a Ebron, il re Davide concluse con loro un’alleanza a Ebron davanti al Signore ed essi unsero Davide re d’Israele.  

 

Cristo re dell’universo ha una prefigurazione in Davide che riunisce tutto il popolo in un unico regno. La breve lettura proposta dalla liturgia odierna contiene le tre motivazioni che spingono gli anziani a chiedere l’unificazione del regno (vv. 1-2) e quindi il fatto dell’unificazione con l’unzione regale di Davide (v. 3).

     Le tre motivazioni sono rispettivamente: una certa familiarità con Davide che era loro ‘fratello’ di razza perché membro dello stesso popolo; Davide di fatto aveva già assunto il comando militare e quindi era loro capo; infine, un oracolo divino aveva manifestato la predilezione per lui.

     Troviamo qui alcuni tratti perché ci sia un buon regno. Si parte da un consenso di adesione e da un riconoscimento nella figura del re che diventa una ‘persona corporativa’. La frase «ecco noi siamo tue ossa e tua carne», riecheggia il grido osannante del primo uomo che si ‘specchiava’ nella sua donna (cf. Gn 2,23). Si crea una sintonia che si avvicina molto all’identità. Davide ha, dal canto suo, il compito di essere pastore, di pascere il suo popolo. Quella del pastore è una delle più remote e simpatiche denominazioni del re, forse già presente al tempo dell’antico re babilonese Hammurabi (XVIII secolo a.C.). Il termine esprime la responsabilità e la cura indefessa che il re esercita a vantaggio della sua gente. Egli è lì per loro.

     L’unzione sancisce un’alleanza che è impegno reciproco di fedeltà e di amore. Si stabilisce nel medesimo tempo un’alleanza in orizzontale, con tutti i mèmbri del popolo, di cui il re, come pastore, è il primo responsabile. Oggi diremmo, con un linguaggio a noi più familiare, che egli è il ‘padre’ di tutti. Poi sussiste un’alleanza in verticale, in quanto il re è il rappresentante di tutto il popolo presso Dio.

     La figura di Davide, re ideale e prefigurazione del re messia, non ha avuto buoni imitatori nei suoi successori. Le delusioni causate dal comportamento scorretto di tanti re che si sono avvicendati sul trono, non ha affievolito la speranza messianica, perché questa si fondava essenzialmente sulla sovranità divina e sulla sua promessa. Sempre di più i giudei hanno atteso qualcuno che sarebbe venuto dall’alto e avrebbe avuto tutte le qualità necessario all’avvento del tempo messianico. Gesù mostra di avere le qualità richieste, deludendo però i suoi contemporanei che attendevano un paradiso in terra.

 

Seconda lettura: Colossesi 1,12-20

Fratelli, ringraziate con gioia il Padre che vi ha resi capaci di partecipare alla sorte dei santi nella luce. È lui che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del Figlio del suo amore, per mezzo del quale abbiamo la redenzione, il perdono dei peccati. Egli è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione, perché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potenze. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono. Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa. Egli è principio, primogenito di quelli che risorgono dai morti, perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose. È piaciuto infatti a Dio che abiti in lui tutta la pienezza e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli.

 

Il primato di Cristo o, se si preferisce, la sua eccellenza che lo incorona re, è mirabilmente scolpita nel famoso inno che la lettura propone. Siamo in presenza di una composizione semplicemente stupenda, anche se irta di difficoltà per gli studiosi. Tralasciando le questioni tecniche e le spinose problematiche connesse, ci limitiamo ad alcuni accenni in sin-tonia con la liturgia odierna.

     L’inno presenta due strofe che celebrano Cristo come il primogenito di tutta la creazione (vv. 15-18a) e come il primogenito dei morti (vv. 18b-20): alla cristologia cosmica della prima strofa corrisponde la soteriologia cosmica della seconda. Creazione e redenzione sono rapportate reciprocamente. Cristo in quanto esaltato nella redenzione totale è pensato anche come il detentore di una sovranità cosmica, quella che presiede, dirige e orienta tutta la creazione. L’inno è un canto di lode al Cristo trionfatore che ha fatto della sua risurrezione una nuova creazione, più completa della prima. La nuova creazione, riconciliata in Cristo, riceve la pienezza, quella che la prima non possedeva. Senza trovare il termine, vi ravvisiamo una celebrazione della regalità di Cristo, signore dell’universo.

     Il fondamento di tutto sta nella sua divinità, che lo rende uguale a Dio, e nella sua umanità, attraverso la quale può esprimere il suo amore che arriva fino al dono della vita.

     L’inno parla sempre di Cristo, senza mai nominarlo. Egli viene presentato al v. 15 come «immagine del Dio invisibile». Qui per «immagine» non si intende una creazione (come in Gn 1,26), ma la riproposizione della stessa natura, come tutto l’inno si impegnerà a dimostrare. Egli è superiore al creato perché «generato prima di ogni creatura» (lett. «primogenito di tutta la creazione»), indicando più una preminenza che una precedenza nel tempo (cf. Sl 89,28). Il primogenito, nel diritto familiare palestinese, godeva di alcune prerogative (cf. Gn 43,33; Dt 21,17). In base a questo sottofondo, si comprende meglio il titolo dato a Cristo, primogenito in senso di eccellenza, e non in senso di anteriorità, come il testo italiano potrebbe lasciar intendere.

     Oltre che la preminenza sul creato, Cristo è presentato come il principio vitale nascosto in «tutte le cose». Egli è causa effettiva di tutto e anche fine ultimo, è il punto di riferimento necessario. Per ogni cosa egli è la possibilità di continuare ad esistere, una specie di fondamento universale. Se tutto è riferito a Cristo, egli è celebrato come il mediatore della signoria di Dio, veramente la sua icona.

     Dopo il Cristo creatore, la seconda parte dell’inno (vv. 18b-20) celebra Cristo come salvatore. Se non è presente il termine, chiara ne è l’idea. È sempre in vista di una celebrazione della superiorità di Cristo che continua l’inno, riprendendo il concetto che egli è «principio, il primogenito». Come la creazione aveva dato la vita a chi non l’aveva, così ora l’opera di Cristo dà la vita a chi l’ha persa. Cristo dà vita. Sta qui uno dei concetti principali del primato: essere ‘fonte di vita’. Occupa il primo posto, non perché ha bisogno di essere salvato, ma perché ha sperimentato per primo il morire-risorgere: «il primogenito di quelli che risorgono dai morti». Cristo porta la comunità dei credenti, la Chiesa, a formare la ‘sua’ Chiesa. Sottomessi a lui, ma anche intimamente legati a lui, i fedeli prendono parte alla sua vita, entrano in un ordine nuovo, più alto, soprannaturale. Così diventa principio e primogenito dei morti, sia perché si trova alla testa, sia, soprattutto, perché gli altri senza di lui non esisterebbero: nella sua risurrezione è garantita quella degli altri. Ecco perché ottiene «il primato su tutte le cose».

     Ora Paolo passa a presentare un altro motivo di primato: la pienezza di Cristo. Non si parla di dimensioni, ma di capacità di dominare ogni cosa. «Pienezza» (in greco pléroma) richiama ai Colossesi l’idea che Cristo è in se stesso totalmente ricco; non ha quindi bisogno di nessuna integrazione.

     La redenzione è presentata in tutta la sua tragica storicità, «avendo pacificato con il sangue della sua croce», per ricordare al lettore un dato che ancora alla concretezza di un avvenimento e al dono personale di un individuo che ama. Il richiamo al sangue conserva un ricordo storico di impressionante realismo (cf. il Vangelo di oggi).

     Cristo è il re universale perché ha creato tutto e tutto ha ricreato con l’amore di una vita totalmente donata.

 

Vangelo: Luca 23,35-43

In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto». Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei». Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».            

 

Esegesi

Siamo alle battute finali della passione. Il clima di ostilità è surriscaldato al massimo. La scelta del presente brano è motivata dalla presenza del titolo di re, dato a Gesù, che ben si intona alla festa di oggi. Si gioca su questo titolo; per qualcuno di dileggio, per altri esprimente una costitutiva qualità di Gesù. Due realtà opposte si fronteggiano: da una parte sono schierate, in forza massiccia, le potenze del male (vv. 35-39), dall’altra, in forza esigua, quelle del bene (vv. 40-43). La theologia crucis sta proprio nel fatto che il piccolo sconfigge il grande, come Davide ha vinto il gigante. Il negativo è impersonato dal triplice scherno: quello dei capi, quello dei soldati e quello di uno dei malfattori. Sono in tanti a credere che siamo alla fine di un’avventura, alimentata da vuota speranza: «Ha salvato altri! Salvi se stesso… Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso… Salva te stesso e noi!» Rimane solo il tempo per l’esecuzione capitale.

     Il fatto ostico di un condannato che muore, suscita, paradossalmente, uno sconfinato interesse. In una situazione di per sé ripugnante, fiorisce una attenzione che lascia presagire una novità. Quella morte riveste un medito valore, quasi di pubblicità. Il mistero pasquale è già abbozzato, o meglio, già definito in questa morte così carica di promessa.

     Sul Calvario, la sofferenza e la morte di Gesù diventano uno spartiacque che divide gli uomini: alcuni troveranno motivo per negare in lui la presenza di Dio, altri vi vedranno una misteriosa, anche se non facilmente comprensibile, presenza divina. La morte di Gesù è uguale e anche diversa dalle altre. Con la morte di tutti gli uomini condivide la tragica impotenza, il senso di fine, il dramma della separazione da tutto e da tutti. Diversamente da quella degli altri, la morte di Cristo porta i germi di trionfo. Lo attestano la scritta che campeggia sul cartiglio: «Costui è il re dei Giudei», le parole del buon ladrone e, soprattutto, la sentenza finale di Gesù: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso» (v. 43). Davvero strano questo condannato che, sul punto di morire, determina la vita degli altri con un’autorità che assomiglia molto a quella divina. Consideriamo la cosa più da vicino.

     Gesù reagisce con potere sovrano ad una felice provocazione. Il ladrone che si era rivolto a lui, forse in un ultimo, disperato S.O.S., non si rende pienamente conto del tenore delle sue parole. Egli chiede un ricordo (forse una ‘raccomandazione’) nel regno. Senza che egli ne abbia lucida coscienza, il regno invocato è quello che cresce in terra, ma che si radica in cielo, quello che avviene nel tempo, ma che ha caratteri di eternità. È il regno che Gesù sta meritando con il sacrificio della sua vita. È il regno che potrebbe avere il suo archetipo in quel giardino, un tempo luogo di incontro amoroso tra Dio e la sua creatura (cf. Gn 2), e ora sigillato dal peccato. Gesù si appresta a riaprirlo. Non servono chiavi. Occorre un atto di amore infinito che può compiere solo il Figlio dell’uomo che è altresì Figlio di Dio.

     La risposta di Gesù si apre con la solennità della grandi dichiarazioni: «In verità io ti dico». C’è da aspettarsi qualche parola che farà storia. Infatti, giunge una solenne e inaspettata promessa: «oggi con me sarai nel paradiso». Il giardino è riaperto. La comunione con il Padre è ripristinata, un nuovo abbraccio lega l’uomo al suo Creatore. Questo abbraccio è Cristo crocifisso. Tutti gli uomini sono compresi nelle sue braccia allargate; veramente tutti sono ‘abbracciati’. La scena della morte, tratteggiata con colori drammatici, mai funerei, si illumina improvvisamente con il bagliore della vita. È subito apoteosi.

     Il brano liturgico si interrompe qui, senza passare a descrivere la morte. Interessava, nel presente contesto, individuare e ribadire la regalità di Cristo. Ora sì, è possibile morire. Ma non è più vera morte. È solo passaggio. Veramente la morte è vinta dalla croce e s’inaugura il tempo finale profetizzato da Ezechiele (cf Ez 37,12), da Daniele (cf Dn 12,1-2) e da tanti altri. Gesù realizza le profezie e la sua morte è già principio di vita. L’atto finale della vita di Gesù è di per sé redentore ed è il motivo del suo trionfo sulla morte. Con Cristo s’inaugura un’umanità nuova. Dopo la sua morte non è più concessa la scelta tra il dolore e la felicità, ma tra il dolore senza senso e senza compenso e la felicità raggiunta attraverso il dolore; non tra la morte e la vita senza morte, ma tra la morte senza vita di gloria e la gloria nella quale la morte è diventata premessa indispensabile di vita eterna.

     La vicenda di Gesù anticipa e rende possibile quella di ogni uomo. Lo documenta la pagina evangelica odierna: il ‘collega’ di supplizio diventa il ‘collega’ nel regno. Del regno Gesù aveva detto qualcosa in precedenza: «Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove; e io preparo per voi un regno, come il Padre l’ha preparato per me, perché

possiate mangiare e bere alla mia mensa nel mio regno e sederete in trono a giudicare le dodici tribù di Israele» (Lc 22,28-30). La citazione richiama elementi analoghi al passo liturgico odierno: il regno è dono del Padre e di Cristo, lo si ottiene ‘contribuendo’ personalmente e uno dei migliori contributi è la sofferenza (idea racchiusa nel concetto di ‘perseverare’). Il regno è comunione e condivisione con la divinità: la prima è espressa con l’immagine classica del banchetto (cf. Is 25,6ss), l’altra con l’immagine del governare (cf. Mt 19,28). Nel regno vige un’unica regola, quella della comunione di amore. Il banchetto e la condivisione del potere, sono mirabilmente riassunte nel «con me sarai», una succosa sin-tesi teologica di ‘paradiso’.

     Essere con Gesù, il Crocifisso di questo momento, presto il Risorto, equivale ad essere con il Padre e con lo Spirito. Il paradiso è comunione con la Trinità.

Meditazione 

     Le letture di questa domenica finale dell’anno liturgico, che celebra Cristo quale Signore e re dell’universo, presentano la regalità nella sua dimensione comunionale, corporativa. Nella prima lettura le tribù di Israele riconoscono Davide come re e mostrano di sentire il messia come figura corporativa. Esse si affidano a lui quasi incorporandosi simbolicamente a lui: «Noi ci consideriamo come tue ossa e tua carne» (1Sam 5,1). Nel vangelo siamo di fronte a Gesù quale messia debole, inerme, che, sulla croce, mentre si affida radicalmente a Dio (Lc 23,46), vede affidarsi a lui un malfattore crocifisso accanto a lui. E Gesù promette comunione a costui, incorpora a sé quest’uomo promettendogli comunione: «Oggi sarai con me nel paradiso» (Lc 23,43). La seconda lettura esprime la fede ormai sviluppata della chiesa che celebra l’incorporazione cosmica nel Cristo Risorto: tutto è stato creato in Cristo, per mezzo di lui, ma anche in vista di lui, per essere ricapitolato in lui (Col 1,12-20).

     Per tre volte Gesù viene deriso come Messia e per tre volte i suoi avversari gli rivolgono l’invito a salvare se stesso, quasi che proprio la capacità di sottrarsi alla croce, di salvare la propria vita sia per loro il sigillo dell’autenticità della messianicità (Lc 23,35.37.39). Invece, è esattamente l’autosalvezza ciò che è impossibile nello spazio cristiano, ciò che contraddice radicalmente la salvezza cristiana. Gesù aveva annunciato: «Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà» (Lc 9,24). Ma prima di annunciare che chi perderà la vita a causa sua, la salverà, egli stesso è passato attraverso l’esperienza del perdere la propria vita, del perdere se stesso. Mettere in salvo la propria vita è la grande tentazione, a cui Gesù si è opposto già durante le tentazioni inaugurali del suo ministero (Lc 4,1-13). Ed è la tentazione perenne del cristiano e della chiesa. Infatti, vale anche per la chiesa il detto di Gesù per cui chi cerca se stesso, chi vuole salvare se stesso, ovvero chi fa di se stesso un fine, il proprio fine, perde se stesso.

     La regalità di Gesù è derisa (Lc 23,35-37) o insultata (Lc 23,39); di essa ci si fa beffe (Lc 23,35-37) o si cerca di sfruttarla a proprio vantaggio (Lc 23,39). Gesù abita lo scandalo del Messia perduto che può così raggiungere chiunque si trovi in situazioni di perdizione. Del resto, noi sappiamo che condizione indispensabile per incontrare e aiutare l’altro nella sua sofferenza, è condividere qualcosa della sua impotenza e debolezza. Scrive Bonhoeffer: «Cristo non aiuta in forza della sua onnipotenza, ma in forza della sua debolezza e della sua sofferenza […] La Bibbia rinvia l’uomo all’impotenza e alla sofferenza di Dio; solo il Dio sofferente può aiutare». La regalità di Gesù capovolge dunque la logica di potenza e forza che regge le regalità umane.

Gesù mostra la sua signoria manifestando la sua capacità di giudizio e di divisione: egli è segno di contraddizione e di fronte a lui ci si divide, si manifestano i pensieri dei cuori.     Dei due crocifissi con lui uno lo insulta, l’altro lo prega. In particolare, il cosiddetto «buon ladrone» appare tipo del discepolo cristiano. Egli innanzitutto opera la correzione fraterna «rimproverando» (Lc 23,40) l’altro condannato che insulta Gesù, e mettendo così in atto la parola di Gesù: «Se tuo fratello pecca, rimproveralo» (Lc 17,9) ; inoltre egli appare simbolo della responsabilità: riconosce il male che ha commesso e ne accetta le conseguenze (Lc 23,41a); quindi esprime una confessione di fede riconoscendo l’innocenza di Gesù (Lc 23,41b); infine si rivolge a Gesù con la preghiera, la supplica, e riconoscendone la regalità escatologica: «Gesù, ricordati di me, quando verrai [non «entrerai», come traduce la Bibbia CEI] nel tuo regno» (Lc 23,42). Immagine dei credenti e della chiesa che, nella storia, sono chiamati a testimoniare la regalità di Cristo condividendo le sofferenze del Crocifisso, invocando la venuta del Regno, e attendendo il Veniente nella gloria.

Preghiere e racconti

Il Buon ladrone

Coloro ch’egli ama, si accalcano, montano la guardia. Intorno al suo corpo esposto, ricoprendo, velando col loro amore la sua nudità, troppo sanguinante, troppo dolorosa per offendere qualsiasi sguardo. A traverso il sangue e il pus, egli vede la propria pena riflessa sui volti cari: quelli di Maria sua madre, di Maria Maddalena, d’una delle sue zie, moglie di Cleofa. Giovanni ha forse gli occhi chiusi. Ed ecco l’episodio sublime, l’ultima invenzione dell’Amore, innocente e crocifisso, che Luca solo riporta: L’uno dei malfattori appiccati lo ingiuria dicendo: – Se tu sei il Cristo, salva te stesso e noi.  Ma l’altro lo riprendeva dicendo: – Non hai tu timore di Dio, che sei nel medesimo supplizio? Per noi è giustizia, perché riceviamo la pena degna dei nostri misfatti: ma costui non ha commesso nulla di male. E tosto che ha parlato, una grazia immensa gli piove in cuore: quella di credere che quel suppliziato, quel miserevole rifiuto che i cani schiferebbero, è il Cristo, il Figlio di Dio, l’Autore della vita, il Re del cielo. E dice a Gesù: «Signore, ricordati di me, quando sarai entrato nel tuo regno».

« Oggi stesso tu sarai con me in paradiso ».

Un solo moto di puro amore, e un’intera vita criminale è cancellata. Buon ladrone, santo operaio dell’ultima ora, inebriaci di speranza.

(E. MAURIAC, Vita di Gesù, Milano, Mondadori, 1950, 149-150).

 

Voglio che sia una regina

«C’era una volta, tanti secoli fa, una città famosa. Sorgeva in una prospera vallata e, siccome i suoi abitanti erano decisi e laboriosi, in poco tempo crebbe enormemente. Era insomma una città felice nella quale tutti vivevano in pace. Ma un brutto giorno, i suoi abitanti decisero di eleggere un re. Suonate le trombe, gli araldi li riunirono tutti davanti al Municipio. Non mancava nessuno. Lo squillo di una tromba impose il silenzio su tutta l’assemblea. Si fece avanti allora un tipo basso e grasso, vestito superbamente. Era l’uomo più ricco della città. Alzò la mano carica di anelli scintillanti e proclamò: “Cittadini! Noi siamo già immensamente ricchi. Non ci manca il denaro. Il nostro re deve essere un uomo nobile, un conte, un marchese, un principe, perché tutti lo rispettino per il suo alto linguaggio”.

“No! Vattene! Fatelo tacere’ Buuu”. I meno ricchi della città cominciarono una gazzarra indescrivibile. “Vogliamo come re un uomo ricco e generoso che ponga rimedio ai nostri problemi!”.

Nello stesso tempo, i soldati issarono sulle loro spalle un gigante muscoloso e gridarono: “Questo sarà il nostro re! Il più forte!”.

Nella confusione generale, nessuno capiva più niente. Da tutte le parti scoppiavano grida, minacce, applausi, armi che s’incrociavano.

Suonò di nuovo la tromba. Un anziano, sereno e prudente, sali sul gradino più alto e disse: “Amici, non commettiamo la pazzia di batterci per un re che non esiste ancora. Chiamiamo un innocente e sia lui ad eleggere un re tra di noi”.

Presero un bambino e lo condussero davanti a tutti. L’anziano gli chiese: “Chi vuoi che sia il re di questa città così grande?”.

Il bambinetto li guardò tutti, si succhiò il pollice e poi rispose: “I re sono brutti. Io non voglio un re. Voglio che sia una regina: la mia mamma”».

(B. Ferrero, C’è qualcuno lassù, Torino, LDC, 1993, 12-13).

 

Il Cristo di Velázquez

A che pensi Tu, morto, Cristo mio?

Perché qual vel di tenebrosa notte

la ricca chioma tua di nazareno

ricade cupa giù su la tua fronte?

Entro di te Tu guardi ove sta il regno di Dio;

dentro di te, là dove albeggia,

l’eterno sol dell’anime viventi.

Bianco è il suo corpo, sì com’è la sfera del sol,

padre di luce, che dà vita;

bianco è il tuo corpo al modo della luna

che morta ruota intorno alla sua madre,

la nostra stanca vagabonda terra;

bianco è il tuo corpo, bianco come l’ostia

del cielo nella notte sovrumana,

di quel cielo ch’è nero come il velo

della chioma tua ricca e cupa e folta

di nazareno.

Chè sei, Cristo, il solo

Uomo che di sua scelta soccombesse,

trionfando della morte, che fu resa

da te verace vita. E sol da allora

per Te codesta morte tua dà vita;

per Te la morte è fatta madre nostra;

per Te la morte è il dolce nostro anelo

che placa l’amarezza della vita.

Per te, l’Uomo che è morto e che non muore,

bianco siccome luna nella notte…

(M. DE UNAMUNO, II Cristo di Velázquez, Brescia, Morcelliana, 1948, 28-29).

«Non sono così».

Si racconta, fra i Padri del deserto, la storia di un misero calzolaio di Alessandria che un angelo aveva presentato al grande sant’Antonio come un uomo più avanti di lui, malgrado gli sforzi eroici dell’eremita appassionato, fortemente preoccupato di fare progressi. Sconcertato non poco da questa rivelazione, Antonio si recò subito nella città di perdizione per imparare dalle labbra del calzolaio il segreto della sua perfezione: «Cosa fai di straordinario per santificarti in un simile ambiente?», «Io? Faccio le scarpe!». «Senza dubbio. Ma devi avere un segreto. Come vivi?». «Suddivido la mia vita in tre ambiti: la preghiera, il lavoro, ed il sonno», «Io prego sempre, quello che fai tu non va bene! E la povertà?». «Anche in questo caso tre parti: una per la chiesa, una per i poveri e una per me». «Ma io ho dato tutto quello che avevo… Deve esserci qualcos’altro. Non credi?».

«No». «E tu riesci a sopportare queste persone che non sanno più distinguere il bene dal male, che vanno chiaramente all’inferno?». «Ah, lì, non lo faccio, non lo sopporto! Chiedo a Dio di farmi scendere vivo all’inferno purché essi siano salvati!». Sant’Antonio si ritirò in punta dei piedi confessando: «Non sono così».

Signore, Misericordia…

Signore, sono davanti a Te da povero tuo amico, debole, peccatore… Signore, io mi abbandono a Te, ti amo davvero, ma resto debole, resto peccatore. Signore, ti invoco in ogni momento: medito giorno e notte la tua Parola ma i miei fallimenti mi sono sempre davanti. Signore, sei il mio vero e unico padrone, ma la mia forza diventa spesso debolezza. Signore, misericordia per il tuo povero amico.

(E. OLIVERO, L’amore ha già vinto – Pensieri e lettere spirituali, Cinisello Balsamo (MI), San Paolo, 2005, 54).

 

Aiutami a dire “sì”

Ho paura a di “sì”, Signore.

Dove mi porterai?

Ho paura del “sì” che comporta altri “sì”.

Ho paura a mettere la mia mano nella tua;

perché tu possa stringerla […]

 

O, Signore, ho paura delle tue richieste,

ma chi può opporti resistenza?

Che venga il tuo regno, non il mio,

che sia fatta la tua volontà e non la mia,

Aiutami a dire “sì”».

(Michel QUOIST)

 

La determinazione del tempo del Regno: una spiegazione

Il Regno di Dio è come un seme posto nella terra, che raggiungerà certe fasi della crescita in modo graduale, giungendo a ciascuna fase solo al momento giusto e con il passare del tempo.

Letteralmente, sappiamo che i Regno di Dio è un invito da parte di Dio e un atto di accettazione da parte del genere umano. L’invito è esteso in una serie di richieste e di eventi, come quando, nella nostra cultura, un giovane invita una donna a condividere la sua vita. C’è il primo appuntamento, l’invito ad un rapporto speciale ed esclusivo (“fare coppia fissa”), la proposta di matrimonio e il periodo di fidanzamento; infine ci sono i voti e il rito del matrimonio. Similmente, attraverso Gesù Dio ha esteso a noi non uno bensì una serie di progressivi inviti, chiamandoci in modo sempre più profondo ad un’intimità con lui. […]

Il Regno di Dio, dunque, è un invito divino che ci chiede di entrare, di dire “sì” e di partecipare al piano di condivisione di Dio.

(J. POWELL, Perché ho paura di essere pienamente me stesso, Milano, Gribaudi, 2002, 165).

 

Lo proclamo re perché ha dato la sua vita

Nessuno costrinse il ladrone, nessuno lo forzò, ma lui stesso disse all’altro: Neanche tu hai timore di Dio e sei dannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, ma lui non ha fatto nulla di male (Lc 23,40-41). E poi dice: Ricordati di me, nel tuo regno (Lc 23,42). Non ha osato dire: Ricordati di me, nel tuo regno prima di aver deposto attraverso la confessione il fardello dei suoi peccati. Vedi, cristiano, qual è il potere del riconoscimento del proprio peccato? Ha confessato di essere peccatore e ha aperto il paradiso; ha confessato e ha trovato il coraggio di chiedere il paradiso dopo tutti i suoi latrocini. Vedi quanti beni ci procura la croce? Pensi al regno? Che cosa vedi che gli sia simile? Vedi i chiodi e la croce, ma proprio questa croce, dice la Scrittura, è simbolo del regno. Per questo, quando vedo Gesù crocifisso, lo proclamo re. E proprio di un re morire per i suoi sudditi. Egli stesso ha detto: Il buon pastore da la sua vita per le pecore (Gv 10,11). Anche un buon re da la sua vita per i suoi sudditi. Io lo proclamo re perché ha dato la sua vita.

Ricordati di me, nel tuo regno. Vedi come la croce è simbolo del regno? Desideri un’altra prova? Il Signore non ha lasciato la sua croce sulla terra, ma l’ha presa e portata con sé in cielo. Come lo sappiamo? Perché l’avrà con sé quando ritornerà nella sua gloria. Impara quanto è degna di venerazione la croce che egli ha chiamato sua gloria […] Quando il Figlio dell’uomo verrà, il sole si oscurerà e la luna perderà il suo splendore (Mt 24,29). Il suo splendore sarà tale da oscurare anche gli astri più luminosi. Allora anche le stelle cadranno, allora apparirà nel cielo il segno del Figlio dell’uomo (Mt 24,29-30). Vedi quant’è potente il segno della croce!

[…] Quando un re entra in una città, i soldati lo precedono portando sulle loro spalle gli stendardi e annunciando il suo arrivo. Così quando il Signore discenderà dai cieli, lo precederà una schiera di angeli portando sulle loro spalle il segno della croce e annunciando la venuta del nostro re.

(GIOVANNI CRISOSTOMO, Sulla croce e sul ladrone 1,3-4, PG 49,403-404).

Preghiera

Troppe volte, Signore Gesù,

abbiamo rivolto il nostro cuore ad altri sovrani,

ai vari dominatori del mondo.

Troppe volte, dominati dall’ansia del futuro

e dall’angoscia del pericolo,

ci rivolgiamo ad altri «re».

Solo l’amore e la fiducia che ne deriva

liberano l’uomo dalla fobia

e dalla tirannia della sua presunzione.

Oggi, Signore, ci inviti ad alzare il capo

e a guardare nel tuo futuro.

 

Tu, Re di misericordia,

ricordati di noi nel tuo Regno,

facci percepire il palpito del tuo cuore.

 

Un mondo disgregato dalla diffidenza,

dal dubbio e dallo scetticismo

trova solo in te la salvezza.

 

Il tuo Regno non è fatto

di splendido isolamento,

ma di profonda solidarietà

con l’umanità redenta.

 

Il tuo Regno non impone diffidenza,

ma libera, salva, assicura speranza.

  

* Per l’elaborazione della «lectio» di questa domenica, oltre al nostro materiale di archivio, ci siamo serviti di:

– Temi di predicazione, Napoli, Editrice Domenicana Italiana.

Messalino festivo dell’assemblea, Bologna, EDB, 2007.

La Bibbia per la famiglia, a cura di G. Ravasi, Milano, San Paolo, 1998.

———

M. FERRARI, monaco di Camaldoli, «Oggi si è adempiuta questa scrittura», Milano, Vita e Pensiero, 2013.

COMUNITÀ MONASTICA SS. TRINITÀ DI DUMENZA, La voce, il volto, la casa e le strade, Milano, Vita e Pensiero, 2008-2009.

– J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret, Milano, Rizzoli, 2007.

– J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret, Seconda parte: Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla Risurrezione, Città del Vaticano, Liberia Editrice Vaticana, 2011.

– C.M. MARTINI, Incontro al Signore risorto. Il cuore dello spirito cristiano, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2009.

PER L’APPROFONDIMENTO:

XXXIV DOM TEMP ORD (C) CRISTO RE (C)

Avvento e Natale: il sussidio on line

È on line al seguente link: http://www.chiesacattolica.it/avvento2013 il sussidio liturgico-pastorale che accompagna il tempo di Avvento-Natale, frutto del lavoro di alcuni Uffici della Segreteria Generale e disponibile online.
Commentando le parole di San Paolo, che fanno da titolo al Sussidio, Mons. Crociata scrive: “Da quale sonno siamo chiamati ad uscire? C’è infatti un sonno che oscura la coscienza e la ragione; ma c’è anche un sonno nel quale Dio si rivela e parla: pensiamo all’esperienza di Giuseppe, sposo di Maria, che in sogno riceve la parola di Dio, e «svegliatosi dal sonno» si assume la responsabilità di custodire la madre e il bambino che dovrà nascere. Sembra più giusto, dunque, partire da questa visione del “sonno”: il periodo dell’attesa, dei tempi lunghi del discernimento, della formazione, dell’educazione, lo spazio richiesto per maturare decisioni forti.
“In altri passi della Scrittura – aggiunge – si parla poi del riposo del seme sotto terra, che «muore» (Mc 4,26-32; Gv 12,24) e si sviluppa irresistibilmente finché viene il tempo della mietitura: possiamo dire che molto è stato seminato nella Chiesa di Dio in Italia all’inizio del decennio dedicato all’educazione.
“Viene il momento in cui tutto ciò dovrà manifestarsi, attraverso l’opera di persone capaci, come Giuseppe, di assumersi responsabilità e prendersi cura – conclude -. La parola di Dio del tempo di Avvento e Natale ci rende “consapevoli del momento” e ci dona di risvegliare le energie positive che abbiamo ricevuto da Lui”.

La Chiesa per la scuola

Il laboratorio nazionale La Chiesa per la scuola (Roma, 3-4 maggio 2013) ha testimoniato l’interesse della Chiesa per la situazione e il compito della scuola e della formazione professionale nel nostro Paese: interesse avvertito in maniera particolarmente viva nel quadro del decennio pastorale dedicato all’educazione. L’evento, voluto dalla Presidenza della CEI, ha coinvolto diverse centinaia di persone, secondo un’ottica che tenesse al centro la questione educativa. Sono stati invitati non solo quanti operano direttamente nel mondo della scuola e della formazione professionale, ma anche genitori e studenti, nella convinzione che la scuola rappresenta un’esperienza umanamente rilevante per chi vi lavora, per chi la frequenta e per chi affida a essa l’istruzione dei propri figli.
Anche in questo modo la Chiesa ha voluto mettere in atto la propria vicinanza al mondo della scuola e della formazione professionale, e al tempo stesso segnalare che, quando si parla di esso, non sono in gioco solo esigenze economiche o sindacali, pure importanti; piuttosto si tratta di una questione che riguarda direttamente la polis, cioè di una questione politica: la scelta di educare i propri figli è un diritto costituzionalmente garantito, cui deve essere assicurata adeguata recezione e applicazione. Non si pretende, ovviamente, di dettare un’agenda a questa o quella formazione politica, ma piuttosto di esprimere chiaramente la vicinanza e la premura a un mondo che, pur centrale di fatto per la vita sociale e civile, non riceve sempre adeguata considerazione dall’opinione pubblica. Lo stile di questo impegno intende essere pienamente ecclesiale, consapevole della responsabilità della comunità cristiana dentro la società civile. Ciò comporta due importanti conseguenze. La prima è che – come è già successo – attorno alla “scuola” vanno raccolti non solo gli “addetti ai lavori”, ma tutte le persone di buona volontà, nella convinzione che se la scuola è una risorsa per tutti, a tutti è richiesto di averne cura. La seconda riguarda i contenuti: anche se alcuni problemi sono squisitamente tecnici, molti temi possono essere affrontati con un linguaggio semplice e comprensibile a tutti. Con questo spirito sono stati preparati i materiali raccolti nel volume. La relazione introduttiva del card. Angelo Bagnasco, presidente della CEI, inquadra il problema della scuola dal punto di vista educativo e civile, proponendo una chiave di lettura unitaria del problema. A essa segue una serie di otto parole-chiave, alle quali sono stati dedicati altrettanti gruppi durante il laboratorio nazionale, e quindi la sintesi di questi lavori, a cura del prof. Onorato Grassi. Il volume si chiude con le riflessioni conclusive di Mons. Gianni Ambrosio, presidente della Commissione episcopale per l’eduzione cattolica, la scuola e l’università. Le parole–chiave qui proposte non esauriscono certo i problemi; esse aiutano a concentrare l’attenzione su alcuni punti – momenti di passaggio, snodi importanti del discorso tra luoghi, situazioni, persone – intorno ai quali tutti siamo invitati a discutere e a confrontarci. L’evento di maggio 2013 non rappresenta certo un momento chiuso in sé, ma piuttosto l’inizio di un ampio percorso di sensibilizzazione e mobilitazione, volto a rilanciare temi e problemi, sicuramente bisognosi e meritevoli di ulteriore riflessione. Anche per tali ragioni mi auguro che questo agile testo circoli il più possibile e che i suoi contenuti siano diffusamente presentati e discussi. Con questo spirito lo affido ai credenti delle nostre comunità ecclesiali e a quanti, animati di buona volontà, vorranno condividere l’attenzione e la cura verso la scuola.
 
 
ALTRO MATERIALE:
 
La Chiesa per la scuola. Laboratorio nazionale   
Roma, 3-4 maggio 2013
 
Il laboratorio nazionale La Chiesa per la scuola, è la prima tappa di un percorso di sensibilizzazione sulle tematiche della scuola (statale e paritaria) e della formazione professionale, promosso dalla Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana.
Il percorso punta a coinvolgere la comunità ecclesiale e tutta la società in una riflessione sull’importanza della scuola come ambiente educativo, nel quadro degli orientamenti pastorali per il decennio in corso Educare alla vita buona del Vangelo.
Con questo spirito è stato costruito anche questo laboratorio nazionale, nella cui organizzazione sono coinvolti, oltera a questo ufficio, il Servizio Nazionale per l’insegnamento della religione cattolica, l’Ufficio Nazionale per la pastorale della famiglia e il Servizio nazionale per la pastorale giovanile
L’obiettivo di questo primo incontro è fare il punto su alcuni nodi centrali della scuola e della formazione professionale: per aiutarci a raggiungere questo scopo, stiamo preparando un breve dossier che sarà pubblicato online sul sito dell’ufficio.
 
  
Relazione introduttiva del Cardinale Angelo Bagnasco
Arcivescovo di Genova e Presidente della Conferenza Episcopale Italiana
 
 Andrea Gavosto
Direttore della Fondazione Giovanni Agnelli
 
Elisa Manna
Responsabile politiche culturali,Censis
 
Marco Tibaldi
Docente di filosofia e storia
 
Gruppi di lavoro:
 
 
Onorato Grassi
Ordinario di storia della filosofia medievale – LUMSA
 
  
S.E.Mons. Gianni Ambrosio
Vescovo di Piacenza-Bobbio e Presidente della Commissione Episcopale
per l’educazione, la scuola e l’università
 

Quali “alleanze” per uscire dalla crisi?

“Stiamo vivendo una crisi globale che non è soltanto prevalentemente economica ma è crisi di valori, crisi di identità che determina disorientamento, scoraggiamento e difficoltà di dialogo. Occorre una buona capacità di lettura del tempo presente per dare risposte forti ai bisogni educativi e non solo che da ogni parte giungono. Saper leggere la cultura del proprio tempo aiuta a prevenire disagi e a escogitare strategie per rispondere alle sfide educative con concretezza, competenza e coerenza, coniugando fede e professionalità. “Fare rete” è una delle espressioni più usate e abusate, dal momento che la rete troppo spesso rimane nel dichiarato, in assenza di umiltà, capacità di collaborare sulla base di una corresponsabilità effettivamente sentita e agita”.
 

il Papa: «Troppa curiosità per il futuro ci allontana da Dio»

Lo spirito di curiosità genera confusione e ci allontana dallo Spirito della sapienza che, invece, ci dà pace: è quanto ha affermato stamani il Papa nella Messa celebrata nella Cappella di Casa Santa Marta, in Vaticano. 
L’omelia del Papa inizia con il commento sulla prima lettura, tratta dal Libro della Sapienza, dove si descrive “lo stato d’animo dell’uomo e della donna spirituale”, del vero cristiano e della vera cristiana che vivono “nella sapienza dello Spirito Santo. E questa sapienza li porta avanti con questo spirito intelligente, santo, unico, molteplice, sottile”:
“Questo è camminare nella vita con questo spirito: lo spirito di Dio, che ci aiuta a giudicare, a prendere decisioni secondo il cuore di Dio. E questo spirito ci dà pace, sempre! E’ lo spirito di pace, lo spirito d’amore, lo spirito di fraternità. E la santità è proprio questo. Quello che Dio chiede ad Abramo – ‘Cammina nella mia presenza e sii irreprensibile’ – è questo: questa pace. Andare sotto la mozione dello Spirito di Dio e di questa saggezza. E quell’uomo e quella donna che camminano così, si può dire che sono un uomo e una donna saggia. Un uomo saggio e una donna saggia, perché si muovono sotto la mozione della pazienza di Dio”
Ma nel Vangelo – sottolinea il Papa – “ci troviamo davanti ad un altro spirito, contrario a questo della sapienza di Dio: lo spirito di curiosità”: 
“E’ quando noi vogliamo impadronirci dei progetti di Dio, del futuro, delle cose; conoscere tutto, prendere in mano tutto… I farisei domandarono a Gesù: ‘Quando verrà il Regno di Dio?’. Curiosi! Volevano conoscere la data, il giorno… Lo spirito di curiosità ci allontana dallo Spirito della sapienza, perché soltanto interessano i dettagli, le notizie, le piccole notizie di ogni giorno. O come si farà questo? E’ il come: è lo spirito del come! E lo spirito di curiosità non è un buono spirito: è lo spirito di dispersione, di allontanarsi da Dio, lo spirito di parlare troppo. E Gesù anche va a dirci una cosa interessante: questo spirito di curiosità, che è mondano, ci porta alla confusione”. 
La curiosità – prosegue il Pontefice – ci spinge a voler sentire che il Signore è qua oppure è là; o ci fa dire: “Ma io conosco un veggente, una veggente, che riceve lettere della Madonna, messaggi dalla Madonna”. E il Papa commenta: “Ma, guardi, la Madonna è Madre! E ci ama a tutti noi. Ma non è un capoufficio della Posta, per inviare messaggi tutti i giorni”. “Queste novità – afferma – allontanano dal Vangelo, allontanano dallo Spirito Santo, allontanano dalla pace e dalla sapienza, dalla gloria di Dio, dalla bellezza di Dio”. Perché “Gesù dice che il Regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione: viene nella saggezza”. “Il Regno di Dio è in mezzo a voi!”, dice Gesù: è “questa azione dello Spirito Santo, che ci dà la saggezza, che ci dà la pace. Il Regno di Dio non viene nella confusione, come Dio non parlò al profeta Elia nel vento, nella tormenta” ma “parlò nella soave brezza, la brezza della sapienza”:
“Così Santa Teresina – Santa Teresa di Gesù Bambino – diceva che lei doveva fermarsi sempre davanti allo spirito di curiosità. Quando parlava con un’altra suora e questa suora raccontava una storia, qualcosa della famiglia, della gente, alcune volte passava ad un altro argomento e lei aveva voglia di conoscere la fine di questa storia. Ma sentiva che quello non era lo spirito di Dio, perché era uno spirito di dispersione, di curiosità. Il Regno di Dio è in mezzo a noi: non cercare cose strane, non cercare novità con questa curiosità mondana. Lasciamo che lo Spirito ci porti avanti, con quella saggezza che è una soave brezza. Questo è lo Spirito del Regno di Dio, di cui parla Gesù. Così sia”.
 
Sergio Centofanti per Radio Vaticana