Il Papa ai giovani: “Dovete vivere mai vivacchiare”

“Vivere, mai vivacchiare”. Lo ha chiesto il Papa incontrando gli universitari per i vespri di Avvento. Una “mente aperta” non si lascia “condizionare dall’opinione dominante” e nel “mondo globalizzato” .

Non spettatori ma protagonisti” nelle “sfide” del mondo contemporaneo. Non mediocri o annoiati, non omologati. “Non si può vivere senza guardare le sfide”, “non state al balcone, lottate per dignità e contro la povertà”. Questo lo stile di vita che il papa latinoamericano ha proposto ai giovani, celebrando nella basilica vaticana i vespri di Avvento, primo incontro con gli universitari degli atenei romani del suo pontificato.

“Vivere, mai vivacchiare”, ha detto, e “non lasciatevi rubare l’entusiasmo giovanile”. Gli studenti delle università romane, in particolare quelle pontificie, sono uno spaccato di giovani da diverse parti del mondo. Incontrandoli oggi, in un contesto liturgico e di preghiera, papa Bergoglio ha lanciato alcuni messaggi, sulla linea di altri incontri con i ragazzi, come, tra gli altri, quello con i giovani argentini, a Rio, nell’ambito della Giornata mondiale della gioventù. Tra l’altro, a braccio, ha inserito il richiamo a non vivere stando al balcone.

Erano presenti in basilica anche rettori e docenti di altri atenei italiani, cardinali, diverse autorità, tra cui il sindaco di Roma, Ignazio Marino. Papa Francesco ha chiesto agli universitari di ispirarsi non alla “sfera” che “livella sporgenze e differenze”, ma al “poliedro”, che rispetta la “molteplicità” e “l’unità nella varietà”. Non fatevi “rubare l’entusiasmo giovanile”, ha esortato, dovete “vivere, mai vivacchiare”, come disse Piergiorgio Frassati, ragazzo piemontese di una buona famiglia del Novecento, che per la Chiesa è oggi un beato.

“Il pensiero – ha spiegato il Pontefice – è fecondo quando è espressione di una mente aperta, che discerne, sempre illuminata dalla verità, dal bene e dalla bellezza: se non vi lascerete condizionare dall’opinione dominante, ma rimarrete fedeli ai principi etici e religiosi cristiani, troverete il coraggio di andare anche contro-corrente”. “La pluralità di pensiero e di individualità – ha affermato papa Francesco – riflette la multiforme sapienza di Dio quando si accosta alla verità con onestà e rigore intellettuale, così che ognuno può essere un dono a beneficio di tutti”.

Nel vivere coerentemente con il Vangelo, ha suggerito, “può essere di aiuto la bella testimonianza del beato Pier Giorgio Frassati, il quale diceva: ‘Vivere senza una fede, senza un patrimonio da difendere, senza sostenere in una lotta continua la verità, non è vivere ma vivacchiare. Noi non dobbiamo mai vivacchiare, ma vivere'”. “Sapete cari giovani universitari – ha detto il Papa in un inserto a braccio – che non si può vivere senza guardare le sfide, senza rispondere alle sfide”. “Per favore, – ha raccomandato – non guardate la vita dal balcone, mischiatevi lì dove ci sono le sfide, la vita, lo sviluppo, la lotta per la dignità delle persone, la lotta contro la povertà, la lotta per i valori, e tante lotte che troviamo ogni giorno”.

Prima di iniziare i vespri, il Papa ha ascoltato con molta attenzione il saluto di un rettore – del quale non è stato fornito il nome nè l’ateneo di provenienza – che ha denunciato il fallimento della “meritocrazia” di fronte alla “legge del più forte”, ai “tagli” decretati dalla dittatura delle “agenzie di rating, della obbedienza alla finanza”. Il professore ha raccontato anche il caso di studenti che lavorano in nero per pagare gli studi all’unico fratello che la famiglia può mantenere all’università, e ha denunciato la “morte di un ceto medio”. In tale contesto, ha detto il rettore, è vitale il richiamo del Papa ai “valori”: “abbiamo bisogno – ha detto – del suo richiamo alla speranza e alla carità” e “ci verrà chiesto come abbiamo usato i talenti” senza cedere all'”utilitarismo immediato”.

Papa Francesco è sceso nella basilica vaticana intorno alle 17,30, ma prima del suo arrivo, a partire dalle 16, il vicario di Roma card. Agostino Vallini ha accolto la icona di Maria Sedes Sapientiae, patrona degli studenti universitari. Al termine dei vespri, l’icona di Maria Sedes Sapientiae viene consegnata dagli universitari brasiliani, – che l’avevano custodita per la celebrazione della Gmg di Rio durante l’anno della fede – a una delegazione di universitari francesi.

«Tutti in missione, ci chiama il Papa»

Missione senza confini. L’esortazione apostolica Evangelii gaudium traccia il progetto per una riforma profonda della Chiesa, chiamata a uno «stato permanente di missione». «Il Vangelo deve essere annunciato a tutti, a partire da quelli che si trovano nelle nostre case e nelle nostre comunità, per arrivare, a cerchi concentrici, fino a chi è battezzato ma non vive le esigenze del Battesimo e a coloro che non conoscono Gesù Cristo o lo hanno sempre rifiutato», spiega don Michele Autuoro, direttore dell’Ufficio nazionale per la cooperazione tra le Chiese e della Fondazione Missio, sottolineando che l’impegno «ad annunciare fino agli estremi confini della terra» deve «farci ricordare anche chi ci è vicino». 

Questo documento è caratterizzato da un impeto missionario. Cosa la colpisce di più?
Innanzitutto lo stile: nuovo, immediato, profetico, che esprime una visione positiva della realtà. Poi l’invito molto bello alla gioia, termine che ricorre più volte nel testo. Negli orientamenti pastorali <+corsivo>Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia<+tondo> i nostri vescovi sottolineavano la necessità di dare a ogni azione una chiara connotazione missionaria. Ora il Papa ci sollecita a leggere tutto in chiave missionaria, anche le strutture stesse della Chiesa.

Questo significa che la missione oggi non ha che fare solo con i missionari…
Papa Francesco chiama in causa ogni battezzato, a prescindere dalla funzione che ha nella Chiesa e dal grado di istruzione della sua fede. La Chiesa tutta è chiamata a essere missionaria, a evangelizzare. Nel documento, che riprende le parole della <+corsivo>Redemptoris missio<+tondo> di Giovanni Paolo II l’attività missionaria è definita la «massima sfida». Bisogna prendere sul serio questo appello, che suona come un richiamo a un nuovo protagonismo di ogni cristiano. 

Come si traduce in pratica la conversione pastorale di cui parla il Papa?
Tutto ciò che la Chiesa fa deve essere compiuto con un atteggiamento missionario. Con lo stile cioè di una Chiesa che va incontro, esce, si fa compagna di viaggio, testimonia, annuncia la misericordia di Dio, cerca di comunicare la bellezza del Vangelo. Senza proselitismi, senza imporre, ma portando agli altri ciò che è vero. Ricordando che in ogni azione bisogna partire dai poveri, che devono essere sempre privilegiati. 

Come va cambiato il nostro modo di essere Chiesa?
L’annuncio deve concentrarsi su ciò che è essenziale, su ciò che è vero, più grande e più necessario. Il Papa chiede di avere uno stile semplice, quello descritto negli Atti degli Apostoli, tipico delle prime comunità cristiane. È questa la strada indicata da Francesco che ricorda come la pastorale in chiave missionaria non sia ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine che si tenta di imporre a forza di insistere. 

Francesco ci indica un esempio preciso: quello dei nostri missionari…
Dobbiamo imparare dal dinamismo e dall’audacia dei missionari. A più riprese il testo ricorda che nella Chiesa siamo tutti discepoli e missionari. La regola è quella benedettina dell’<+corsivo>ora et labora<+tondo>, della preghiera unita all’azione affinché la Chiesa sia sempre più madre. Che accoglie, si prende cura, annuncia la sovrabbondante misericordia di Dio. 

Un’altra indicazione chiave è l’inculturazione…
L’annuncio deve essere espresso secondo le tradizioni e le culture in cui il Vangelo deve incarnarsi. Non a caso il Papa insiste molto sull’inculturazione, ed è bello che l’immagine scelta sia quella della sposa adornata di gioielli, come ricorda Isaia. Sia questa figura che il richiamo, fatto suo da Francesco, lanciato dai vescovi dell’Oceania ai missionari perché operino in armonia con gli indigeni ci ricordano la necessità di non dimenticare il contesto. L’esortazione mette poi in evidenza il valore della pietà popolare, cui abbiamo guardato forse con troppa diffidenza. Il Papa ne parla invece come del frutto di un Vangelo inculturato. Questo è un aspetto nuovo, da tenere in considerazione. 

Il Papa ribadisce che è meglio avere una Chiesa accidentata piuttosto che aggrappata alle sue sicurezze…
Ci viene chiesto di osare. La Chiesa in uscita va incontro ai lontani, con più coraggio, prendendo l’iniziativa. Abbiamo tante testimonianze di missionari che hanno osato nuove strade per portare il Vangelo, anche a rischio della loro vita, e sono molti i martiri che hanno dato se stessi per annunciare Cristo. Il Papa ci invita a guardare a chi ha osato, per prendere l’iniziativa con audacia e dare maggior fervore all’evangelizzazione.

 
Stefania Careddu
 

Quali diritti umani?

La Cettedra Karol Wojtyla, istituita presso il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia, organizza la VI edizione delle “Wojtyla lectures” dedicate al tema “Quali diritti umani?'”.
L’appuntamento vedrà come protagonista il prof. Marcello Pera, ordinario di Filosofia e già Presidente del Senato della Repubblica Italiana, e si configurerà in due momenti un seminario e una conferenza pubblica secondo il seguente calendario:
 
A) SEMINARIO (LUNEDÌ 2 E MARTEDÌ 3 DICEMBRE 2013 – DALLE ORE 15,00 ALLE ORE 18,00)
 
B) CONFERENZA PUBBLICA (3 DICEMBRE 2013 – DALLE ORE 17,00 ALLE ORE 19,00)
 
Dopo la presentazione è prevista la possibilità di dialogo. Il seminario e la conferenza avranno luogo in lingua italiana
 
Sede dell’evento: 
Pontificio Istituto Giovanni Paolo II
Piazza S. Giovanni in Laterano, 4
00120 CITTÀ DEL VATICANO
Iscrizione / informazioni:
Prof. PRZEMYSAW KWIATKOWSKI
Segretario della Cattedra Karol Wojtya
e-mail: cattedrawojtyla@istitutogp2.it
Tel. +39 06 698 95 539

Convegno: “Custodire l’umanità. Verso le periferie esistenziali”

L’iniziativa – che si svolge presso il Teatro Lyrick di Santa Maria degli Angeli – muove le sue premesse dalla constatazione di come la crisi di senso dell’uomo moderno e la perdurante crisi economica stiano segnando l’epoca in cui ci troviamo a vivere e di come, riprendendo quanto scritto da Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in Veritate, la «questione sociale è diventata radicalmente questione antropologica».
La vocazione del «custodire», sotto questo profilo, non riguarda soltanto i cristiani ma ha una «dimensione che precede» ogni convincimento laico o religioso ed «è semplicemente umana», riguarda ogni persona. Ciascuno è chiamato a essere custode del creato e a chinarsi con amore materno e spirito paterno verso i più poveri e i più deboli, perché in loro si trova sempre il volto di Cristo.
Dal desiderio di un’umanità riscattata dalla povertà materiale e dalla miseria morale nasce quindi la volontà di tematizzare la costruzione di un nuovo umanesimo che sappia rispondere ai grandi quesiti posti dalla modernità e ispirare un nuovo stile di vita.
Ad una prima parte dedicata all’analisi della secolarizzazione della società occidentale – intesa come processo storico che ha investito, a partire dagli anni Sessanta del XX secolo, non solo la sfera religiosa ma anche le istituzioni civili, la morale pubblica e tutte le più importanti culture politiche europee – seguirà una seconda parte del convegno, in cui si cercherà di tematizzare, appunto, la proposta di un “nuovo umanesimo”.
Una nuova sintesi culturale tra la cultura cattolica e quella laica che, non solo sappia rispondere ai grandi quesiti posti dalla modernità, ma sappia elaborare un nuovo stile di vita, rimettendo l’uomo al centro di ogni rapporto sociale ed economico.
Il programma del convegno è scaricabile sul sito del Progetto culturale.
  
L’intervento del Card. Bagnasco

 
Per maggiori dettagli sull´iniziativa, scarica il depliant allegato.

Sito di riferimento: http://www.custodireumanita.it

MA «I MISTICI», CI SONO ANCORA?

l titolo del Convegno, «Mistici nello Spirito», mentre risponde da una parte al dovere che sente l’Istituto di Teologia spirituale dell’UPS di offrire un contributo alla Congregazione salesiana, con la sua decisione di approfondire, nel prossimo Capitolo Generale 27, il tema della radicalità evangelica; dall’altra contempla l’intento di continuare la riflessione avviata nel precedente Simposio sull’esperienza spirituale cristiana (LAS, 2012). A differenza dei precedenti lavori, che si concentravano sulla teologia spirituale “pensata”, in questa occasione prevarrà la teologia “vissuta”. Cercheremo certamente di avere un’idea abbastanza chiara e condivisa della “vita mistica”, ma soprattutto ci sforzeremo di calare l’esperienza mistica nella vita di ogni giorno.

In un mondo dominato dalla tecnica e dalla razionalità, come recuperare la dimensione del mistero nascosto eppure sempre presente? Come vivere la propria laicità in una società secolarizzata che erode, per certi versi, la prospettiva della trascendenza e sembra succube di una mentalità pragmatica, mentre misura tutto  sul rapporto causa-effetto e si rende quindi estranea al messaggio evangelico? Come essere radicati nel mondo mantenendo un alto punto di riferimento? Come ritrovare il senso della propria vocazione, il senso della sequela, in una cultura che dà tanta importanza all’autorealizzazione dell’uomo?

Per rispondere a questi interrogativi, più che di teorie abbiamo bisogno di uomini e donne che incarnino i valori in cui credono; che vadano magari controcorrente; persone trasgressive, alternative, che non cedano facilmente alla tentazione di adeguarsi all’establishment imposto dal sistema o alle mode del mercato; persone appassionate di Dio, «ec-centriche», dal momento che da unAltro è guidata la loro esistenza; uomini e donne che dimostrino, con la vita, che le cose possono essere contemplate, capite e trasformate secondo lo Spirito di Dio.

Sono «i mistici nello Spirito», uomini e donne che riescono a tradurre ed a incarnare, in modo eccellente, la dimensione escatologica della spiritualità nelle diverse circostanze della vita quotidiana: lavoro, educazione, corporeità, politica, cultura virtuale…

Nella seconda parte del Convegno, e senza negare l’importanza e la necessità di alcuni «luoghi tradizionali» come la Preghiera, i Sacramenti, la Parola, la Liturgia, vogliamo esplorare altre zone dove lo spirito aleggia e dona vita: bellezza, natura, pellegrinaggio, musica: potrebbe capitare che i luoghi tradizionali si siano logorati e che sia necessario percorrere una strada un po’ più lunga per recuperare in maniera adatta al nostro tempo “i luoghi di sempre”.

Jesús Manuel García

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Dépliant Mistici nello Spirito

I DOMENICA DI AVVENTO

Prima lettura: Isaia 2,1-5

Messaggio che Isaia, figlio di Amoz, ricevette in visione su Giuda e su Gerusalemme. Alla fine dei giorni, il monte del tempio del Signore sarà saldo sulla cima dei monti e s’innalzerà sopra i colli, e ad esso affluiranno tutte le genti. Verranno molti popoli e diranno: «Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci insegni le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri». Poiché da Sion uscirà la legge e da Gerusalemme la parola del Signore.  Egli sarà giudice fra le genti e arbitro fra molti popoli. Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra. Casa di Giacobbe, venite, camminiamo nella luce del Signore. 

 

Questo profeta dell’A.T è capace di contemplare l’Altissimo e di far comprendere al popolo dell’alleanza che il Signore e la sua santa legge devono essere accolti nella fede. Il profeta Isaia nasce a Gerusalemme nel 760 a.C., vive il tempo difficile del Regno del Sud sotto la minaccia degli Assiri, finisce il suo ministero sotto Manasse (690 a.C.).                                                       

Il testo proposto dalla Chiesa all’interno della Liturgia di questa prima domenica di Avvento è inserito nei primi cinque capitoli che raccolgono l’oracolo sul destino di Gerusalemme e di Giuda pronunziati nei primi anni del suo ministero.

La lettura del testo porta a ricordare l’episodio della Torre di Babele: tentativo umano di arrivare a Dio, un segno della superbia umana, ed ecco che il profeta oppone a questo avvenimento la visione del «monte del Signore» che radunerà i popoli nella pace. Siamo di fronte ad un oracolo escatologico che annunzia la diffusione nel mondo del nome di YHWH e Gerusalemme diventerà il centro della religione jahvistica e della pace.

Nel v. 2 è molto importante sottolineare quel «sarà saldo…», esso è riferito a Gerusalemme, la nota della Versione dai testi originali così commenta: «Secondo la concezione mitologica dell’Antico oriente, il monte del tempio si identificava col monte altissimo in cui dimoravano gli dei. Qui il mondo terrestre si univa con quello celeste. Nel nostro testo questa mitologia viene utilizzata per descrivere la speranza escatologica di Israele» (cf. p. 1046).

Il monte meraviglioso, attraverso la legge e la parola, impone un ordine umano secondo il progetto di Dio; il profeta nella sua visione ricorda che è volontà divina la giustizia sulla terra e che quest’ultima è il fondamento della pace; è nei piani dell’Altissimo un governo giusto, la pace internazionale, il disarmo, gli strumenti di guerra trasformati in mezzi di pace.

Il popolo d’Israele è in atteggiamento di cammino, apre il pellegrinaggio verso la luce del Signore, in questo grande movimento verso YHWH devono essere coinvolte tutte le genti.

 

Seconda lettura: Romani 13,11-14a

 Fratelli, questo voi farete,  consapevoli del momento:  è ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché adesso la nostra salvezza è più vicina di quando diventammo credenti. La notte è avanzata, il giorno è vicino. Perciò gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce. Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a orge e ubriachezze, non fra lussurie e impurità, non in litigi e  gelosie. Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo. 

 

Il testo paolino che la liturgia propone è inserito nella Lettera ai Romani. Scritta, questa lettera, da Paolo nel 58 d.C., fu inviata per preparare un suo viaggio in Spagna.

Nella lettera Paolo espone il suo pensiero teologico, anche se non sono affrontati tutti i temi della sua teologia. Questa lettera la potremmo definire come “la grande presentazione teologica” della fede cristiana.

Il nostro brano è inserito nella sezione 12,1-15,13 considerata la parte delle Attuazioni: come il credente deve affrontare la vita quotidiana.

Dal testo, usato dalla liturgia, emerge come Paolo valuti il suo “tempo” come “occasione di grazia”, invita i credenti a vivere nell’apertura al futuro; ormai la notte sta per terminare e Cristo sta per arrivare con tutta la sua gloria, la sua venuta coincide con il giorno. La fede prepara la comunità cristiana a ricevere definitivamente Cristo nella sua infinita gloria. Tutto ciò esige da parte del credente di sviluppare una coscienza che realizza opere di vita e non di morte; l’attesa del Vivente porta il credente ad avere sempre una condotta onesta, una coscienza in ricerca «per rivestirsi delle armi della luce» cioè le opere buone che allontanano l’uomo da ogni forma di male.

Dietro all’affermazione del v. 72 certamente Paolo vuole ricordare che le opere buone sono possibili solo se si è nuovi nel cuore, non si deve mai dimenticare che «la proposta morale cristiana non potrà mai perdere di vista questa priorità antropologica e salvifica. Il valore morale non sta prima di tutto nel gesto che si compie, ma nel cuore che lo ispira e lo determina» (S. MAJORANO, Coscienza e virtualità del Sangue di Cristo, «Sangue e vita», Roma, 1995, 154).

Nel v. 13 Paolo ricorda un elenco di vizi dal quale l’uomo dev’essere lontano che sono praticati normalmente di notte. Ma ciò che potrebbe essere considerato centro del brano è il v. 14: «Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo…»: ciò che è avvenuto nel sacramento del battesimo come “evento” qui è presentato come esigenza nella vita morale. È sempre il v. 14 che dev’essere considerato eco di un inno battesimale della Chiesa primitiva, ad ogni modo è certo che Paolo qui realizza una missione: presenta il piano di Dio in maniera cristologica ed orienta tutte le iniziative etiche dei credenti nell’obbedienza al Signore, (cf. G. BARBAGLIO, Le lettere di Paolo, vol. 2, Borla, Roma 1990, 491).

Mediante il verbo “rivestitevi” Paolo usa una metafora che indica sempre appropriazione, unione; rivestirsi del mistero di Cristo significa fare di esso il punto fondamentale della propria esistenza, la persona del Risorto datore di Spirito Santo diventa “fonte” della vita quotidiana dalla quale l’uomo attinge energia per vivere nella storia umana e fare la volontà del Padre Celeste.

 

Vangelo: Matteo 24,37-44

 In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come furono ai giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche alla venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato.  Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata. Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo». 

 

Esegesi

Il brano del Vangelo odierno ci immette nel capitolo 24 del Vangelo di Matteo che è definito comunemente “discorso escatologico“, il contesto è il seguente: Gesù è uscito dal tempio (cf. v. 7) e sedutosi sul monte degli ulivi (cf. v. 3) pronunzia queste parole sulle ultime realtà. La pericope è preceduta dal tema dell’avvento del Figlio dell’uomo (cf. vv. 26-23), dalla dimensione cosmica di questo avvento (cf. vv. 29-37), dalla parabola del fico (cf. vv. 32-36).

     Nel discorso in questione Gesù usa il linguaggio apocalittico, molto difficile, ma sappiamo bene che l’intenzione del Cristo non è quella di portare terrore ma di affermare delle verità teologiche: verrà la fine del mondo, è necessario assumere un atteggiamento di vigilanza, la storia diventa il luogo per realizzare già il regno di Dio.

È da annotare il v. 36 che molte volte fa difficoltà ricordando Mt 11,27 dove si afferma che quello che appartiene al Padre è anche del Figlio; ma nel v. 36 — che precede la nostra pericope — il senso profondo è che non rientra nella missione di Gesù rivelare il momento preciso della fine del mondo, ciò appartiene alla conoscenza del cuore di Cristo che è sempre in comunione eterna con il cuore del Padre che svela ogni cosa, nello Spirito santo, al suo Figlio prediletto.

Ma entriamo, aiutati dallo Spirito Santo, unico esegeta della Parola, nelle profondità del testo proposto dalla liturgia:

vv. 37- 39: Gesù fa un paragone con la situazione storico, sociale e religiosa degli uomini contemporanei a Noè, si viveva nell’assoluto relativismo morale, la legge scritta nel cuore umano non era seguita, la libertà era intesa come libertinaggio. Gesù ricorda tutto questo, evidenziando che vivendo nella dissolutezza, furono travolti dalla catastrofe. Dobbiamo soffermarci sull’espressione «così sarà anche alla venuta del Figlio dell’uomo»: la venuta del Cristo glorioso che si presenterà come vero ed unico giudice della storia e delle coscienze personali incombe sugli uomini come “avvenimento” di giudizio; la seconda venuta del Cristo dev’essere intesa come “momento di sintesi” della storia umana e della nostra coscienza che si presenterà davanti al Cristo con la sua scelta fondamentale con il quale ha costruito il proprio vissuto morale.

vv. 40-41: la fine dei tempi avverrà nel “quotidiano” che diventerà improvvisamente “eternità” nel quale il Cristo glorioso giudicherà con misericordia e verità. Il testo evangelico ricorda delle occupazioni abituali: il lavoro dei campi fatto dagli uomini ed i lavori domestici realizzati dalle donne, è qui che si svolgerà l’ultima chiamata di Cristo.

v. 42: l’esistenza umana che è un cammino verso l’eterno non può essere vissuta nella distrazione, l’incontro con il Cristo glorioso dev’essere preparato dal discepolo, per questo Gesù invita alla vigilanza e quindi alla preghiera. Il momento orante della vita personale prepara il cuore umano ad accogliere la parola definitiva del Redentore nel proprio vissuto quotidiano. Ma questo “vegliare” al quale il Cristo stesso ci chiama non è un’attesa di paura e di angoscia ma dev’essere un momento nel quale il credente deve immergersi in una preghiera fiduciosa verso l’Altissimo. Il discepolo di Cristo che attende la sua venuta confida nel suo Signore, in quanto sa bene che Dio avrà sempre una «parola di misericordia» nei suoi confronti; dovranno essere questi i pensieri del «vegliare» in attesa della parusia. Ma tutto ciò non esclude l’impegno concreto per la realizzazione del regno di Dio nella storia umana, il cristiano non può disprezzare la vita presente; il futuro, l’escatologia inizia nella nostra storia; il regno di Dio è già in mezzo a noi e avrà nel «domani di Dio» la sua piena attuazione. Questo logion è presente in Mc 13,35, inserito in un’altra parabola che l’evangelista Matteo omette. È da annotare il commento che fa in nota la Bibbia di Gerusalemme: «La vigilanza, in questo stato di allarme, suppone una solida speranza ed esige una costante presenza di spirito che prende il nome di sobrietà» (cf. p. 21-43).

vv. 43-44: qui abbiamo la piccola parabola dello scassinatore notturno, è riferita alla venuta gloriosa del Cristo che sarà improvvisa, questi versetti potrebbero acquistare luce leggendo il brano dell’Apocalisse 3,3: «Se non sarai vigilante, io verrò come un ladro, senza che tu sappia l’ora della mia venuta a te». Gesù si pone in netto contrasto con l’apocalittica giudaica che cercava di calcolare in anticipo la parusia, Gesù Cristo invece, vuole affermare il carattere sconosciuto ed inaspettato e perciò invita caldamente all’attesa, alla vigilanza, a stare in piedi ed attendere il Redentore.

Meditazione

L’evento finale e decisivo della storia di salvezza profetizzato da Isaia e annunciato dal vangelo come «venuta del Figlio dell’Uomo» viene colto nelle letture odierne nella sua portata giudiziale: esso giudica le violenze e le guerre che gli uomini scatenano (I lettura); le immoralità in cui si perdono (II lettura); l’incoscienza e l’ignoranza colpevoli con cui si anestetizzano (vangelo). L’annuncio escatologico non è un messaggio spiritualistico, ma ha un impatto forte sulla storia dei popoli (I lettura), sulla quotidianità delle esistenze dei credenti (vangelo) e sul loro comportamento (II lettura).

La simbolica della polarità notte-giorno, tenebre e luce, attraversa le tre letture e consegna un messaggio che intende svegliare il credente e guidarlo a conversione. È la tenebra delle genti che non conoscono il cammino da percorrere e che vengono illuminate dalla parola di Dio («camminiamo nella luce del Signore»: Is 2,5); è la tenebra della generazione di Noè che non capisce nulla, non discerne il tempo e i suoi segni e così perisce; è la notte che chiede al padrone di casa di vegliare per impedire al ladro di svaligiargli la casa (vangelo); è la notte simbolo del peccato, da cui il credente è chiamato a risvegliarsi gettando via le opere delle tenebre e indossando le armi della luce (II lettura).

La prima domenica di Avvento, che segna l’inizio di un nuovo anno liturgico, contiene un invito a ricominciare, si tratta di ricominciare il cammino di fede ascoltando di nuovo la parola di Dio (I lettura); facendo memoria degli inizi della fede, dunque del battesimo (II lettura); assumendo la storia quotidiana come luogo di vigilanza e discernimento (vangelo). In questa prospettiva di inizio o re-inizio, è significativo che il passo di Paolo sia stato decisivo per la conversione di Agostino (Confessioni VIII,12,29). Ascoltata la voce che dice «Prendi e leggi», Agostino apre la Scrittura e trova il passo che dice: «Non nelle gozzoviglie e nelle ubriachezze, non nelle orge e nelle impudicizie, non nelle contese e nelle invidie, ma rivestitevi del Signore Gesù Cristo e non assecondate la carne nelle sue concupiscenze». Afferma Agostino: «Non volli leggere oltre, né mi occorreva. Infatti, appena terminata la lettura di questa frase, una luce, quasi di certezza, penetrò nel mio cuore e tutte le tenebre del dubbio si dissiparono». Anche Agostino vive il suo risveglio, il suo passaggio dalle tenebre alla luce.

Il vangelo, istituendo un parallelo tra il diluvio, che sconvolse la quotidianità ripetitiva della vita della generazione di Noè, e la venuta del Figlio dell’Uomo, ammonisce a non annegare nella banalità dei giorni. La generazione di Noè non è dipinta da Gesù come malvagia o empia, ma semplicemente come incosciente: «Non si accorsero di nulla» (Mt 24,39). La generazione di Noè perì per mancanza di discernimento. E così perì due volte: nel diluvio e senza sapere perché. Noè, invece, seppe discernere e così salvò se stesso e il futuro: il discernimento dell’oggi salva il futuro. E questa è la responsabilità. La colpa, se di colpa si deve parlare, intravista nel nostro testo, è dunque l’irresponsabilità, l’assenza di discernimento.

Vigilare significa esercitare l’intelligenza, la riflessione, il pensiero sui tempi che si vivono, per non essere sorpresi dalle catastrofi che si preparano nascostamente nell’oggi della storia, nella chiesa, nelle relazioni famigliari e personali. Il credente è chiamato a pensare e conoscere l’oggi a partire dalla venuta del Signore e dalle sue dimensioni di impensato e di ignoto (Mt 24,36.44).

La venuta del Signore non impegna solo a vigilare sui tempi, ma anche sulla verità del proprio cuore. Il riferimento alle due persone impegnate nello stesso lavoro, che nulla sembra distinguere, e di cui però una viene presa e l’altra lasciata, indica che ciò che nella quotidianità dei giorni può rimanere nascosto, sarà manifestato alla venuta del Signore. La differenza si gioca nell’invisibile interiorità. «In interiore homine habitat veritas» (Agostino); «Il cammino della conoscenza porta verso l’interiorità» (Novalis). 

Preghiere e racconti 

L’avvento

Con l’odierna prima domenica di Avvento, entriamo in quel tempo di quattro settimane con cui inizia un nuovo anno liturgico e che immediatamente ci prepara alla festa del Natale, memoria dell’incarnazione di Cristo nella storia. Il messaggio spirituale dell’Avvento è però più profondo e ci proietta già verso il ritorno glorioso del Signore, alla fine della storia. Adventus è parola latina, che potrebbe tradursi con ‘arrivo’, ‘venuta’, ‘presenza’. Nel linguaggio del mondo antico era un termine tecnico che indicava l’arrivo di un funzionario, in particolare la visita di re o di imperatori nelle province, ma poteva anche essere utilizzato per l’apparire di una divinità, che usciva dalla sua nascosta dimora e manifestava così la sua potenza divina: la sua presenza veniva solennemente celebrata nel culto.

Adottando il termine Avvento, i cristiani intesero esprimere la speciale relazione che li univa a Cristo crocifisso e risorto. Egli è il Re, che, entrato in questa povera provincia denominata terra, ci ha fatto dono della sua visita e, dopo la sua risurrezione ed ascensione al Cielo, ha voluto comunque rimanere con noi: percepiamo questa sua misteriosa presenza nell’assemblea liturgica. Celebrando l’Eucaristia, proclamiamo infatti che Egli non si è ritirato dal mondo e non ci ha lasciati soli, e, se pure non lo possiamo vedere e toccare come avviene con le realtà materiali e sensibili, Egli è comunque con noi e tra noi; anzi è in noi, perché può attrarre a sé e comunicare la propria vita ad ogni credente che gli apre il cuore. Avvento significa dunque far memoria della prima venuta del Signore nella carne, pensando già al suo definitivo ritorno e, al tempo stesso, significa riconoscere che Cristo presente tra noi si fa nostro compagno di viaggio nella vita della Chiesa che ne celebra il mistero. Questa consapevolezza, cari fratelli e sorelle, alimentata nell’ascolto della Parola di Dio, dovrebbe aiutarci a vedere il mondo con occhi diversi, ad interpretare i singoli eventi della vita e della storia come parole che Iddio ci rivolge, come segni del suo amore che ci assicurano la sua vicinanza in ogni situazione; questa consapevolezza, in particolare, dovrebbe prepararci ad accoglierlo quando “di nuovo verrà nella gloria per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà mai fine”, come ripeteremo tra poco nel Credo. In questa prospettiva l’Avvento diviene per tutti i cristiani un tempo di attesa e di speranza, un tempo privilegiato di ascolto e di riflessione, purché ci si lasci guidare dalla liturgia che invita ad andare incontro al Signore che viene.

(Discorso di Benedetto XVI a San Lorenzo fuori le Mura, Per il 1750° anniversario del martirio di San Lorenzo, 30 novembre 2008).

L’attesa, una maniera di vivere

«La nascita è un’attesa

ma, contrariamente

a ciò che si vorrebbe credere,

l’attesa non è una parentesi:

è una maniera di vivere…».

(Jean DEBRUYNE, Nascere).

Svegliatevi!

Avvento significa svegliarsi dai sogni di tutti i giorni, svegliarsi alla realtà. Chi è desto vive con consapevolezza ogni momento della sua vita, è presente a se stesso, vivace, vigile.

È sveglio chi non si stordisce. La frenesia intontisce.

Non siamo obbligati a lasciarci travolgere dal vortice consumistico. Non dobbiamo a tutti i costi lasciarci inghiottire dalla smania di esaudire ogni desiderio.

La vigilanza non è soltanto l’atteggiamento fondamentale richiesto dall’Avvento.

Il racconto del Natale menziona i pastori che vegliavano durante la notte. E proprio perché stavano vegliando viene loro annunciata la lieta novella della nascita del Messia. Chi è sveglio è aperto e disponibile ad accogliere il mistero che vorrebbe afferrarci.

(Anselm GRÜN, Il piccolo libro della gioia del Natale, Milano, Gribaudi, 2006, 20)

Attendere

Non amo attendere nelle file. Non amo attendere il mio turno. Non amo attendere il treno. Non amo attendere prima di giudicare. Non amo attendere il momento opportuno. Non amo attendere un giorno ancora. Non amo attendere perché non ho tempo e non vivo che nell’istante. D’altronde tu lo sai bene, tutto è fatto per evitarmi l’attesa: gli abbonamenti ai mezzi di trasporto e i self-service, le vendite a credito e i distributori automatici, le foto a sviluppo istantaneo, i telex e i terminali dei computer, la televisione e i radiogiornali. Non ho bisogno di attendere le notizie: sono loro a precedermi.

Ma tu Dio tu hai scelto di farti attendere il tempo di tutto un Avvento. Perché tu hai fatto dell’attesa lo spazio della conversione, il faccia a faccia con ciò che è nascosto, l’usura che non si usura. L’attesa, soltanto l’attesa,  l’attesa dell’attesa, l’intimità con l’attesa che è in noi, perché solo l’attesa desta l’attenzione e solo l’attenzione è capace di amare.

(J. Debruyrnne, Ecoute, Seigneur, ma prière, Collectif, Paris).

L’ “ora di Dio”

Il Signore ci chiede di essere vigilanti e pronti perché non possiamo conoscere in anticipo l’ora di Dio, l’ora in cui Dio viene a visitarci con un intervento speciale. Sono ormai abbastanza anziano e saggio da pensare che non posso forzare quest’ora di Dio.

Dio verrà da me e da te, a modo suo e quando vorrà. A volte siamo tentati di comportarci come coloro che addestrano gli animali con i cerchi. Chiediamo a Dio di venire e di saltare attraverso i nostri cerchi proprio come vogliamo noi! Ma, alla fine, scopriamo che Dio non è un animale ammaestrato. Dio sceglie i suoi momenti e suoi mezzi. La nostra parte è solo di essere pronti per questi momenti speciali. A volte, l’ora di Dio sembra giungere proprio nel momento in cui non ce la facciamo più. Ad ogni modo, la nostra fiducia in Dio ci dice che Dio verrà, al momento migliore e nel modo migliore. Io devo permettere a te di essere te stesso, e tu devi permettere a me di essere me stesso.

E noi dobbiamo permettere a Dio di essere Dio.

(J. POWELL, Esercizi di felicità, Cantalupa, Effatà, 1995, 70).

Il buffone e il re

Un re aveva al suo servizio un buffone di corte che gli riempiva le giornate di battute e scherzi. Un giorno, il re affidò al buffone il suo scettro dicendogli: «Tienilo tu, finché non troverai qualcuno più stupido di te: allora potrai regalarlo a lui». Qualche anno dopo, il re si ammalò gravemente. Sentendo avvicinarsi la morte, chiamò il buffone, a cui in fondo si era affezionato, e gli disse: «Parto per un lungo viaggio».

«Quando tornerai? Fra un mese?», «No», rispose il re, «non tornerò mai più». «E quali preparativi hai fatto per questa spedizione?», chiese il buffone. «Nessuno!» fu la triste risposta. «Tu parti per sempre», disse il buffone, «e non ti sei preparato per niente? To’, prendi lo scettro: ho trovato uno più stupido di me!». 

Vigilanza nella solitudine

 Poco tempo fa un prete mi ha detto di avere annullato l’abbonamento al New York Time perché si era accorto che le continue cronache di guerre, di delitti, di giuochi di potere e di manipolazioni politiche non facevano altro che disturbargli la mente ed il cuore, impedendogli di meditare e di pregare.

 È una storia triste, perché fa nascere il sospetto che solo cancellando il mondo vi si possa vivere, che soltanto circondandosi di una calma spirituale, da noi stessi creata, si possa condurre una vita spirituale. Una vera vita spirituale, invece, fa esattamente il contrario: ci rende tanto vigili e consapevoli del mondo che ci circonda, che tutto ciò che esiste e che accade entra a far parte della nostra contemplazione e della nostra meditazione, invitandoci a rispondere liberamente e senza timore.

È questa vigilanza nella solitudine che muta la nostra esistenza. La differenza sta tutta nel modo in cui guardiamo e ci rapportiamo alla nostra storia personale, attraverso la quale il mondo ci parla.

(Henri J.M. NOUWEN, Viaggio spirituale per l’uomo contemporaneo, Brescia, 1980, 44-45).

Amare la prima venuta, desiderare la seconda

Fratelli carissimi, dovete sapere che questo tempo beato che noi chiamiamo «Avvento del Signore» evoca due realtà e, dunque, duplice deve essere la nostra gioia, poiché duplice è anche il guadagno che ci deve portare. Questo tempo evoca le due venute del nostro Signore: quella dolcissima venuta in cui il più bello dei figli dell’uomo (Sal 44 [45], 3), il desiderato da tutte le genti (Ag 2,7 Vg), vale a dire il Figlio di Dio, si manifestò visibilmente nella carne a questo mondo, lui a lungo atteso e desiderato ardentemente da tutti i padri; ciò avvenne quando egli venne in questo mondo a salvare i peccatori. Ma questo tempo evoca anche l’altra venuta che dobbiamo aspettare con una solida speranza e che dobbiamo ricordare spesso tra le lacrime, il momento, cioè, in cui il nostro Signore, che dapprima era venuto nascosto nella carne, verrà manifestamente nella sua gloria, come canta il salmo: Dio verrà manifestamente (Sal 49 [50], 3), cioè il giorno del giudizio, quando verrà manifestamente per giudicare […]. Giustamente la chiesa ha voluto che in questo tempo si leggessero le parole dei santi padri e si ricordasse il desiderio di quelli che vissero prima della venuta del Signore. Non celebriamo questo loro desiderio per un solo giorno, ma per un tempo abbastanza lungo, poiché di solito quando desideriamo e amiamo molto qualcosa, se accade che essa viene differita per un qualche tempo, ci sembra più dolce ancora quando giunge.

Seguiamo, dunque, fratelli carissimi, gli esempi dei santi padri, proviamo il loro stesso desiderio, e infiammiamo i nostri cuori con l’amore e il desiderio di Cristo. Dovete sapere che è stata stabilita la celebrazione di questo tempo per rinnovare in noi il desiderio che gli antichi santi padri avevano riguardo alla prima venuta del Signore nostro e dal loro esempio impariamo a nutrire un grande desiderio della sua seconda venuta. Dobbiamo pensare a quante cose buone ha fatto il Signore nostro nella sua prima venuta e a quelle ancor più grandi che farà nella seconda e con tale pensiero dobbiamo amare molto la sua prima venuta e desiderare molto la seconda.

(AELREDO DI RIEVAULX, Discorsi 1, PL 195,209A-210B).

Preghiera

Signore Gesù, che ci hai affidato la tua casa, la Chiesa e tutti i nostri fratelli, perché ci prendiamo cura gli uni degli altri in attesa del tuo ritorno, non lasciarci cadere le braccia per la stanchezza e per il sonno.

«State attenti, vigilate», è il tuo comando: come chi passa la notte in campagna è attento a tutti i rumori della notte perché possono essere forieri di qualcosa di inatteso, così fa’ che noi teniamo l’occhio attento e l’orecchio teso per scorgere dove tu sei all’opera e dove ci chiami a collaborare con te.

 

* Per l’elaborazione della «lectio» di questa domenica, oltre al nostro materiale di archivio, ci siamo serviti di:

Temi di predicazione. Omelie. Ciclo A, Napoli, Editrice Domenicana Italiana, 2004-   . 

Messalino festivo dell’Assemblea, Bologna, EDB, 2007.

Avvento-Natale 2010, a cura dell’ULN della CEI, Milano, San Paolo, 2010.

– E. Bianchi et al., Eucaristia e Parola. Testi per le celebrazioni eucaristiche di Avvento e Natale, in «Allegato redazionale alla Rivista del Clero Italiano» 88 (2007) 10, 69 pp.

– J. Ratzinger/Benedetto XVI, L’infanzia di Gesù,  Milano/Città del Vaticano, Rizzoli/Libreria Editrice Vaticana, 2012.

– J. Ratzinger/Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Milano, Rizzoli, 2007.

– Don Tonino Bello, Avvento e Natale. Oltre il futuro, Padova, Messaggero, 2007.

PER L’APPROFONDIMENTO:

AVVENTO I AVVENTO ANNO A

Il Papa: la gioia del Vangelo e la «missione permanente»

Viene pubblicata oggi l’esortazione apostolica Evangelii gaudium, e c’è dentro la summa del pensiero di papa Francesco sulla Chiesa di oggi e su quella che verrà.
«La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù»: inizia così l’Esortazione apostolica con cui papa Francesco sviluppa il tema dell’annuncio del Vangelo nel mondo attuale, raccogliendo, tra l’altro, il contributo dei lavori del Sinodo che si è svolto in Vaticano dal 7 al 28 ottobre 2012 sul tema “La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede”. “Desidero indirizzarmi ai fedeli cristiani – scrive il Papa – per invitarli a una nuova tappa evangelizzatrice marcata da questa gioia e indicare vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni”.

«Stato di missione permanente». Un appello forte a tutti i battezzati perché portino agli altri l’amore di Gesù in uno “stato permanente di missione”, vincendo “il grande rischio del mondo attuale”: quello di cadere in “una tristezza individualista”. 

Il Papa invita a “recuperare la freschezza originale del Vangelo”, trovando “nuove strade” e “metodi creativi”, a non imprigionare Gesù nei nostri “schemi noiosi”. Occorre “una conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose come stanno” e una “riforma delle strutture” ecclesiali perché “diventino tutte più missionarie” . Il Pontefice pensa anche ad “una conversione del papato” perché sia “più fedele al significato che Gesù Cristo intese dargli e alle necessità attuali dell’evangelizzazione”. L’auspicio che le Conferenze episcopali potessero dare un contributo affinché “il senso di collegialità” si realizzasse “concretamente” – afferma – “non si è pienamente realizzato”. E’ necessaria “una salutare decentralizzazione”. 

«L’Eucaristia non è un premio per i perfetti». In questo rinnovamento non bisogna aver paura di rivedere consuetudini della Chiesa “non direttamente legate al nucleo del Vangelo, alcune molto radicate nel corso della storia”. Segno dell’accoglienza di Dio è “avere dappertutto chiese con le porte aperte” perché quanti sono in ricerca non incontrino “la freddezza di una porta chiusa”. “Nemmeno le porte dei Sacramenti si dovrebbero chiudere per una ragione qualsiasi”. Così, l’Eucaristia “non è un premio per i perfetti ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli. Queste convinzioni hanno anche conseguenze pastorali che siamo chiamati a considerare con prudenza e audacia”.  Ribadisce di preferire una Chiesa “ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa … preoccupata di essere il centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti. Se qualcosa deve santamente inquietarci … è che tanti nostri fratelli vivono” senza l’amicizia di Gesù. Il Papa indica le “tentazioni degli operatori pastorali”: individualismo, crisi d’identità, calo del fervore. “La più grande minaccia” è “il grigio pragmatismo della vita quotidiana della Chiesa, nel quale tutto apparentemente procede nella normalità, mentre in realtà la fede si va logorando”. 

«Dio ci liberi da una Chiesa mondana». Esorta a non lasciarsi prendere da un “pessimismo sterile” e ad essere segni di speranza attuando la “rivoluzione della tenerezza”. Occorre rifuggire dalla “spiritualità del benessere” che rifiuta “impegni fraterni”  e vincere “la mondanità spirituale” che “consiste nel cercare, al posto della gloria del Signore, la gloria umana”. Il Papa parla di quanti “si sentono superiori agli altri” perché “irremovibilmente fedeli ad un certo stile cattolico proprio del passato” e “invece di evangelizzare … classificano gli altri” o di quanti hanno una “cura ostentata della liturgia, della dottrina e del prestigio della Chiesa, ma senza che li preoccupi il reale inserimento del Vangelo” nei bisogni della gente. Questa “è una tremenda corruzione con apparenza di bene … Dio ci liberi da una Chiesa mondana sotto drappeggi spirituali o pastorali!” 

«Chi vogliamo evangelizzare con questi comportamenti?». Un appello è anche alle comunità ecclesiali a non cadere nelle invidie e nelle gelosie: “all’interno del Popolo di Dio e nelle diverse comunità, quante guerre!”. “Chi vogliamo evangelizzare con questi comportamenti?”. Sottolinea la necessità di far crescere la responsabilità dei laici, tenuti “al margine delle decisioni” da “un eccessivo clericalismo”. Afferma che “c’è ancora bisogno di allargare gli spazi per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa”, in particolare “nei diversi luoghi dove vengono prese le decisioni importanti”. “Le rivendicazioni dei legittimi diritti delle donne …non si possono superficialmente eludere”. I giovani devono avere “un maggiore protagonismo”. Di fronte alla scarsità di vocazioni in alcuni luoghi afferma che “non si possono riempire i seminari sulla base di qualunque tipo di motivazione”. Affrontando il tema dell’inculturazione, ricorda che “il cristianesimo non dispone di un unico modello culturale” e che il volto della Chiesa è “pluriforme”. “Non possiamo pretendere che tutti i popoli … nell’esprimere la fede cristiana, imitino le modalità adottate dai popoli europei in un determinato momento della storia”. 

«No a una teologia da tavolino». l Papa ribadisce “la forza evangelizzatrice della pietà popolare” e incoraggia la ricerca dei teologi invitandoli ad avere “a cuore la finalità evangelizzatrice della Chiesa” e a non accontentarsi “di una teologia da tavolino”. Si sofferma “con una certa meticolosità, sull’omelia” perché “molti sono i reclami in relazione a questo importante ministero e non possiamo chiudere le orecchie”. L’omelia “deve essere breve ed evitare di sembrare una conferenza o una lezione”, deve saper dire “parole che fanno ardere i cuori”, rifuggendo da una “predicazione puramente moralista o indottrinante” (142). Sottolinea l’importanza della preparazione: “un predicatore che non si prepara non è ‘spirituale’, è disonesto ed irresponsabile”. “Una buona omelia … deve contenere ‘un’idea, un sentimento, un’immagine’” (157). La predicazione deve essere positiva perché offra “sempre speranza” e non lasci “prigionieri della negatività”.

«Questa economia uccide». Parlando delle sfide del mondo contemporaneo, il Papa denuncia l’attuale sistema economico: “è ingiusto alla radice”. “Questa economia uccide” perché prevale la “legge del più forte”. L’attuale cultura dello “scarto” ha creato “qualcosa di nuovo”: “gli esclusi non sono ‘sfruttati’ ma rifiuti, ‘avanzi’”. Viviamo “una nuova tirannia invisibile, a volte virtuale” di un “mercato divinizzato” dove regnano “speculazione finanziaria”, “corruzione ramificata”, “evasione fiscale egoista”.

Denuncia gli “attacchi alla libertà religiosa” e le “nuove situazioni di persecuzione dei cristiani … In molti luoghi si tratta piuttosto di una diffusa indifferenza relativista”. La famiglia – prosegue il Papa – “attraversa una crisi culturale profonda”. Ribadendo “il contributo indispensabile del matrimonio alla società” sottolinea che “l’individualismo postmoderno e globalizzato favorisce uno stile di vita … che snatura i vincoli familiari”. Ribadisce “l’intima connessione tra evangelizzazione e promozione umana”  e il diritto dei Pastori “di emettere opinioni su tutto ciò che riguarda la vita delle persone”. “Nessuno può esigere da noi che releghiamo la religione alla segreta intimità delle persone, senza alcuna influenza nella vita sociale”. Cita Giovanni Paolo II dove dice che la Chiesa “non può né deve rimanere al margine della lotta per la giustizia”.

 “La politica, tanto denigrata” – afferma – “è una delle forme più preziose di carità”. “Prego il Signore che ci regali più politici che abbiano davvero a cuore … la vita dei poveri!”. Poi un monito: “Qualsiasi comunità all’interno della Chiesa” si dimentichi dei poveri corre “il rischio della dissoluzione”. 

«Chiamati a prenderci cura della fragilità», la difesa della vita umana. Il Papa invita ad avere cura dei più deboli: “i senza tetto, i tossicodipendenti, i rifugiati, i popoli indigeni, gli anziani sempre più soli e abbandonati” e i migranti, per cui esorta i Paesi “ad una generosa apertura”. Parla delle vittime della tratta e di nuove forme di schiavismo: “Nelle nostre città è impiantato questo crimine mafioso e aberrante, e molti hanno le mani che grondano sangue a causa di una complicità comoda e muta” . “Doppiamente povere sono le donne che soffrono situazioni di esclusione, maltrattamento e violenza”. “Tra questi deboli di cui la Chiesa vuole prendersi cura” ci sono “i bambini nascituri, che sono i più indifesi e innocenti di tutti, ai quali oggi si vuole negare la dignità umana”. “Non ci si deve attendere che la Chiesa cambi la sua posizione su questa questione … Non è progressista pretendere di risolvere i problemi eliminando una vita umana”. Quindi, un appello al rispetto di tutto il creato: “siamo chiamati a prenderci cura della fragilità del popolo e del mondo in cui viviamo”.

AVVENIRE DEL 26/11/13

La Parola sempre con te

Da sabato 23 novembre può essere scaricata gratuitamente APP BIBBIA CEI da APP Store. La versione per tablet Android sarà disponibile dal 21 dicembre.
Voluta dalla Segreteria Generale della Conferenza Episcopale Italiana, l’APP è stata realizzata da “SEED -Edizioni Informatiche”.L’applicazione è gratuita e offre a tutti una nuova esperienza di lettura della Sacra Scrittura. È la prima e unica APP a proporre il testo biblico nella traduzione ufficiale 2008 della CEI, completo dell’apparato critico.
Offre accurate funzioni di lettura, navigazione e ricerca. Permette di inserire segnalibri e annotazioni personali per archiviarli e portarli sempre con sé. Consente condivisioni in diverse modalità.
 

In dialogo con… l’Islam.

FIRENZE – Si è tenuta nei giorni scorsi, all’interno del Chiostro di Santa Maria Novella,  la giornata di studio organizzata dalla Commissione Regionale per l’Ecumenismo e il dialogo interreligioso della Conferenza Episcopale Toscana ed in particolare da don Mauro Lucchesi, incaricato regionale per l’Ecumenismo e docente all’Istituto di Scienze Religiose “Beato Niccolò Stenone” di Pisa. Ad introdurre l’incontro è stato Mons Rodolfo Cetoloni, Presidente della Commissione per l’Ecumenismo e il Dialogo Interreligioso CEI, che ha dichiarato: “L’obiettivo di questo incontro è quello di imparare a guardare la diversità con meno paura, alla ricerca di strade possibili per un dialogo fattivo.
Anche l’Islam sta vivendo una situazione difficile all’interno, per la mancanza di dialogo tra le varie “voci”  dell’Islam. I vari paesi islamici stanno vivendo una profonda crisi sia politico-economica, sia religiosa (primavera araba). E il problema non è da sottovalutare per gli immigrati, che incontriamo nel nostro paese”.  “Con questi incontri – ha ribadito il professorMarco Bontempi dell’Università di Firenze – vogliamo iniziare un percorso di formazione e informazione per un fattivo dialogo tra Cristianesimo-Islam in Toscana”. A ripercorrere la “via” della Rivelazione e del Corano, ci ha pensato il professor Adnane Mokrani, del Pont. Istituto di Studi Arabi e Islamistica e Pont. Università Gregoriana. Poi la parola è passata aCaterina Greppi, docente al Pontificio Istituto Orientale di  Roma, che ha trattato con un linguaggio tecnico e particolareggiato, della norma giuridica dell’Islam. A chiudere i lavori ci ha pensato don Giuliano Zatti, direttore del servizio per le relazioni cristiano-islamiche della Diocesi di Padova, che ha detto: “Non basta parlare di un Dio Padre e di un Allah padre, di una generica solidarietà, ma poiché il volto dell’altro per noi deve diventare il volto di Cristo, mi devo porre il problema: “come pormi di fronte all’altro? E alla sua fede?”. “E’ possibile dire Gesù senza creare barriere?”.
“Come formare la vocazione al dialogo?”. A un vero cristiano – ha concluso – non basta parlare di “tolleranza”, è meglio parlare di rispetto”.
 
Eleonora Prayer

Progetto Policoro, passi di fede nella storia

Un nutrito staff di formatori accompagnerà i partecipanti in questo percorso formativo, svolto alla luce del Vangelo e della Dottrina sociale della Chiesa. È l’occasione per recuperare lo spirito fondativo del Progetto e acquisire gli strumenti base per accompagnare altri giovani soprattutto attraverso la ricerca attiva del lavoro, la creazione d’impresa e i rapporti di reciprocità tra le varie Diocesi italiane. Accanto a loro, i rappresentanti di alcune tra le Associazioni e Istituzioni (Gioc, Mlac, Acli, Cisl, Confcooperative, Libera, Tertio Millennio, Fondazione Operti, Banca Etica e Banche di Credito Cooperativo) che, mettendo a disposizione il loro patrimonio esperienziale, contribuiscono a creare una “rete” a sostegno del cammino.
Il Corso di formazione si apre alle 18 di martedì 26 con la preghiera e i saluti di benvenuto da parte dei Direttori dei tre Uffici nazionali che coordinano il Progetto Policoro (Ufficio Nazionale per i problemi sociali e il lavoro, Servizio Nazionale per la pastorale giovanile e Caritas Italiana).
Giovedì 28 i partecipanti al Corso saranno “pellegrini sulle orme di Francesco”: una visita ad alcuni tra i luoghi di Assisi più impregnati dallo spirito del Santo (Basilica Papale, Istituto Serafico e Vescovado) e dove Papa Francesco stesso è passato lo scorso 4 ottobre. Il Vescovo di Assisi, S.E. Mons. Sorrentino, li accoglierà con la Celebrazione Eucaristica delle 18.00.
Sono ormai 18 anni che il Progetto Policoro si snoda come percorso nella storia lavorativa di tanti giovani che non si lasciano “rubare la speranza”, che cercano di tracciare sentieri con mete concrete in tempi sempre costellati da fatiche e difficoltà. “Troppe volte si parla in riferimento ai giovani di scommessa, mentre il Progetto Policoro è una realtà – osserva Mons. Fabiano Longoni, neo-Direttore dell’Ufficio Nazionale per i problemi sociali e il lavoro della CEI –. I giovani non sono oggetto, ma soggetto, persone che, attraverso l’impegno della Chiesa italiana e delle singole Diocesi hanno assunto e assumeranno in proprio ruoli sempre più attivi nei loro territori. Non una scommessa, quindi, ma una sfida già vinta per il lavoro e il futuro di questo Paese”.