Su Facebook sempre meno adolescenti: come cambierà il social network?

Facebook sta perdendo per strada gli utenti più giovani: gli adolescenti preferiscono i lidi di Snapchat e Twitter al social network di Mark Zuckerberg. Ma come influirà questo su Facebook?In questi ultimi tempi non si fa altro che parlare del fatto che i giovanissimi stanno abbandonando i lidi di Facebook per andare a sperimentare realtà più frizzanti come Snapchat o Twitter. Mentre ci si interroga sempre sul perché di questa diaspora e su come fare per prevenirla, un’altra domanda dovrebbe sorgere spontanea: come cambierà Facebook privo di questo bacino di utenza adolescenziale?

Non si tratta solamente di fare sterili ricerche demografiche, un recente studio ha dimostrato comeFacebook sia morto e sepolto per gli adolescenti i quali pare siano tutti emigrati su piattaforme come Instagram, Snapchat e Twitter. Dunque chi è rimasto su Facebook? I loro genitori, of course.

Il caso che viene portato ad esempio è quello della presenza di una madre settantenne su Facebook. Per sua scelta, sul suo profilo ha pochi amici, il concetto di inserire come amici anche sconosciuti e conoscenti è tipicamente giovanile, le persone più grandicelle selezionano attentamente i loro contatti, preferendone pochi, ma buoni.

Rispetto ad un giovane, questa madre avrà meno collegamenti sulla piattaforma, di sicuro sarà meno attiva rispetto ad un eventuale figlio. Questo significa avere anche meno dati a disposizione per Facebook, quindi una minor accuratezza delle informazioni a disposizione. Magari la madre in questione non ha volutamente inserito i dati del profilo che Facebook continuava a richiederle (casa, lavoro e via dicendo) o magari ha erroneamente confermato quelli che Facebook suggeriva, contribuendo così a generare informazioni errate. 

Se ciò dovesse succedere per un alto numero di utenti, ecco che l’allontanamento dei giovani da Facebook avrebbe un’inaspettata conseguenza: la qualità e l’accuratezza dei suoi dati diminuisce in maniera proporzionale. E questo significa una piattaforma meno interessante per gli inserzionisti. In più dobbiamo considerare che se dal punto di vista pubblicitario i giovani non sono molto redditizi, da quello delle attività sul social network lo sono, eccome. Sono più energici, postano, linkano, condividono, chattano di continuo, ne sono quasi ossessionati. E tutti questi contatti generano traffico, cosa che fa piacere a Facebook. Cosa che non succede con gli utenti più anziani, più diffidenti e restii a condividere tutto così su pubblica piazza. 

E il guaio è che se i giovani si spostano su altri lidi, ben presto anche i loro genitori faranno lo stesso, non fosse altro che per tenerli sotto controllo. Stiamo assistendo all’apocalisse di Facebook?

Strenna 2014 «DA MIHI ANIMAS, CETERA TOLLE»

Dopo aver dedicato il primo anno del triennio di preparazione al Bicentenario della Nascita di Don Bosco a conoscerne la soria e il secondo anno a cogliere in lui i tratti dell’educatore, in questo terzo e ultimo anno intendiamo andare alla sorgente del suo carisma, attingendo alla sua spiritualità. Attingiamo all’esperienza spirituale di Don Bosco, per camminare nella santità secondo la nostra specifica vocazione. «La gloria di Dio e la salvezza delle anime».

Carissimi fratelli e sorelle della Famiglia Salesiana,

dopo aver dedicato il primo anno del triennio di preparazione al Bicentenario della Nascita di Don Bosco a conoscere la sua figura storica e il secondo anno a cogliere in lui i tratti fisionomici dell’educatore e ad attualizzare la sua prassi educativa, in questo terzo e ultimo anno intendiamo andare alla sorgente del suo carisma, attingendo alla sua spiritualità.

La spiritualità cristiana ha come centro la carità, ossia la vita stessa di Dio, che nella sua realtà più profonda è Agape, Carità, Amore. La spiritualità salesiana non è diversa dalla spiritualità cristiana; anch’essa è centrata nella carità; in questo caso si tratta della “carità pastorale”, ossia quella carità che ci spinge a cercare “la gloria di Dio e la salvezza delle anime”: «caritas Christi urget nos».

Come tutti i grandi santi fondatori, Don Bosco ha vissuto la vita cristiana con una ardente carità e ha contemplato il Signore Gesù da una prospettiva particolare, quella del carisma che Dio gli ha affidato, ossia la missione giovanile. La “carità salesiana” è carità pastorale, perché cerca la salvezza delle anime, ed è carità educativa, perché trova nell’educazione la risorsa che permette di aiutare i giovani a sviluppare tutte le loro energie di bene; in questo modo i giovani possono crescere come onesti cittadini, buoni cristiani e futuri abitanti del cielo.

Vi invito, dunque, cari fratelli e sorelle, membri tutti della Famiglia Salesiana, ad attingere alle sorgenti della spiritualità di Don Bosco, ossia alla sua carità educativa pastorale; essa ha il suo modello in Cristo Buon Pastore e trova la sua preghiera e il suo programma di vita nel motto di Don Bosco «Da mihi animas, cetera tolle». Potremo così scoprire un “Don Bosco mistico”, la cui esperienza spirituale sta a fondamento del nostro modo di vivere oggi la spiritualità salesiana, nella diversità delle vocazioni che a lui si ispirano. 

* * *

Conoscere la vita di Don Bosco e la sua pedagogia non significa ancora comprendere il segreto più profondo e la ragione ultima della sua sorprendente attualità. La conoscenza degli aspetti della vita di Don Bosco, delle sue attività e anche del suo metodo educativo non basta. Alla base di tutto, quale sorgente della fecondità della sua azione e della sua attualità, c’è qualche cosa che spesso sfugge anche a noi, suoi figli e figlie: la profonda vita interiore, quella che si potrebbe chiamare la sua “familiarità” con Dio. Chissà che non sia proprio questo il meglio che di lui abbiamo per poterlo invocare, imitare, seguire per incontrare il Cristo e farlo incontrare ai giovani.

Oggi si potrebbe tracciare il profilo spirituale di Don Bosco, partendo dalle impressioni espresse dai suoi primi collaboratori, passando poi al libro scritto da Don Eugenio Ceria, il “Don Bosco con Dio”, che fu il primo tentativo di sintesi a livello divulgativo della sua spiritualità, confrontando quindi le varie riletture dell’esperienza spirituale di Don Bosco fatte dai suoi Successori, per giungere infine a quelle ricerche che segnarono una svolta nello studio del modo di vivere la fede e la religione da parte di Don Bosco stesso.

Questi ultimi studi risultano più fedelmente aderenti alle fonti, aperti alla considerazione delle varie visioni spirituali che hanno influito su Don Bosco o che con lui hanno avuto contatti (San Francesco di Sales, Sant’Ignazio, Sant’Alfonso Maria dei Liguori, San Vincenzo dÉ Paoli, San Filippo Neri, …), disponibili a riconoscere che la sua è stata comunque un’esperienza originale e geniale. Sarebbe interessante a questo punto avere un nuovo profilo spirituale di Don Bosco, ossia una nuova agiografia così come oggi la teologia spirituale la intende.

Il Don Bosco “uomo spirituale” ha interessato Walter Nigg, pastore luterano e professore di Storia della Chiesa all’Università di Zurigo, che così scriveva: “Presentare la sua figura sorvolando sul fatto che ci troviamo di fronte ad un santo sarebbe come presentare una mezza verità. La categoria del santo deve avere la precedenza rispetto a quella di educatore. Qualsiasi altra graduatoria falserebbe la gerarchia dei valori. D’altra parte il santo è l’uomo nel quale il naturale sconfina nel soprannaturale e il soprannaturale è presente in Don Bosco in misura notevole […] Per noi non ci sono dubbi: il vero santo dell’Italia moderna è Don Bosco”(1).

Negli stessi anni ottanta del secolo scorso l’opinione era condivisa dal teologo P. Dominique Chenu o.p.; alla domanda di un giornalista che gli chiedeva di indicargli alcuni santi portatori di un messaggio di attualità per i nuovi tempi, rispondeva: “Mi piace ricordare, anzitutto, colui che ha precorso il Concilio di un secolo, Don Bosco. Egli è già, profeticamente, un modello di santità per la sua opera che è rottura con un modo di pensare e di credere dei suoi contemporanei”.

In ogni stagione e contesto culturale si tratta di rispondere a queste domande:

– che cosa ha ricevuto Don Bosco dall’ambiente in cui è vissuto? in che misura è debitore al contesto, alla famiglia, alla scuola, alla chiesa, alla mentalità della sua epoca?

– come ha reagito e cosa ha dato al suo tempo e al suo ambiente?

– come ha influito sui tempi successivi?

– come lo hanno visto i suoi contemporanei: salesiani, popolo, chiesa, laici? come lo hanno compreso le successive generazioni?

– quali aspetti della sua santità oggi appaiono a noi più interessanti?

– come tradurre nell’oggi, senza ricopiare, il modo in cui Don Bosco al suo tempo ha interpretato il Vangelo di Cristo?

Queste sono domande a cui dovrebbe rispondere una nuova agiografia di Don Bosco. Non si tratta di pervenire alla identificazione di un profilo di Don Bosco definitivo e sempre valido, ma di evidenziarne uno adeguato alla nostra epoca. É evidente che di ogni santo si sottolineano gli aspetti che interessano per la loro attualità e si trascurano quelli che non si ritengono necessari nel proprio momento storico o si stimano irrilevanti per caratterizzarne la figura.

I santi infatti sono una risposta al bisogno spirituale di una generazione, l’illustrazione eminente di ciò che i cristiani di un’epoca intendono per santità. Evidentemente l’auspicata imitazione di un santo non può che essere “proporzionale” al riferimento assoluto che è Gesù di Nazareth; infatti ogni cristiano, nella concretezza della sua situazione, è chiamato a incarnare a modo proprio l’universale figura di Gesù, senza ovviamente esaurirla. I santi offrono un cammino concreto e valido verso questa identificazione con il Signore Gesù.

Nel commento alla Strenna che proporrò alla Famiglia Salesiana, questi saranno i tre contenuti fondamentali che svilupperò. Al termine di essi offrirò alcuni impegni concreti che qui già anticipo nella loro completezza.

1. Esperienza spirituale di Don Bosco

La spiritualità è un modo caratteristico di sentire la santità cristiana e di tendere ad essa; è un modo particolare di ordinare la propria vita all’acquisto della perfezione cristiana e alla partecipazione di uno speciale carisma. In altri termini è il vissuto cristiano, un’azione congiunta con Dio che presuppone la fede.

La spiritualità salesiana consiste di vari elementi: è uno stile di vita, preghiera, lavoro, rapporti interpersonali; una forma di vita comunitaria; una missione educativa pastorale sulla base di un patrimonio pedagogico; una metodologia formativa; un insieme di valori e atteggiamenti caratteristici; una peculiare attenzione alla Chiesa e alla società attraverso settori specifici di impegno; un’eredità storica di documentazione e scritti; un linguaggio caratteristico; una serie tipica di strutture e opere; un calendario con feste e ricorrenze proprie; …

Il punto di partenza dell’esperienza spirituale di Don Bosco è “la gloria di Dio e la salvezza delle anime”; ciò è stato da lui formulato nel suo programma di vita “da mihi animas, cetera tolle”. La radice profonda di tale esperienza è l’unione con Dio, come espressione della vita teologale che si sviluppa con la fede, la speranza e la carità, e dello spirito di autentica pietà. Questa esperienza si traduce in azioni visibili; senza le opere la fede è morta e senza la fede le opere sono vuote. Infine essa ha come punto di arrivo la santità: la santità è possibile a tutti, dipende dalla nostra cooperazione con la grazia; a tutti è data la grazia per essa.

La nostra spiritualità corre il rischio di vanificarsi perché i tempi sono cambiati e perché talvolta noi la viviamo superficialmente. Per attualizzarla dobbiamo ripartire da Don Bosco, dalla sua esperienza spirituale e dal sistema preventivo. I chierici del tempo di Don Bosco vedevano ciò che non andava e non volevano essere religiosi, ma erano incantati da lui. I giovani hanno bisogno di “testimoni”, come scrisse Paolo VI. Ci vogliono “uomini spirituali”, uomini di fede, sensibili alle cose di Dio e pronti alla obbedienza religiosa nella ricerca del meglio. Non è la novità che ci rende liberi, ma la verità; la verità non può essere moda, superficialità, improvvisazione: «veritas liberabit vos».

2. Centro e sintesi della spiritualità salesiana: la carità pastorale

Un’espressione di San Francesco di Sales dice: “La persona è la perfezione dell’universo; l’amore è la perfezione della persona; la carità è la perfezione dell’amore”.(2) É una visione universale che colloca in scala ascendente quattro modi di esistere: l’essere, l’essere persona, l’amore come forma superiore a qualsiasi altra espressione, la carità come espressione massima dell’amore.

La carità è il centro di ogni spiritualità cristiana: non è solo il primo comandamento, ma è anche la fonte di energia per progredire. L’accendersi della carità in noi è un mistero e una grazia; non proviene da iniziativa umana, ma è partecipazione alla vita divina ed effetto della presenza dello Spirito. Non potremmo amare Dio se Lui non ci avesse amato per primo, facendoci sentire e dandoci il gusto e il desiderio, l’intelligenza e la volontà, per corrispondervi. Non potremmo nemmeno amare il prossimo e vedere in esso l’immagine di Dio, se non avessimo l’esperienza personale dell’amore di Dio.

La carità pastorale è una espressione della carità, che ha molte manifestazioni: l’amore materno, l’amore coniugale, la compassione, la misericordia, il perdono, … Essa sta ad indicare una forma specifica di carità. Richiama la figura di Gesù Buon Pastore, non soltanto per le modalità del suo operare: bontà, ricerca di chi si è perso, dialogo, perdono; ma anche e soprattutto per la sostanza del suo ministero: rivelare Dio a ciascun uomo e a ciascuna donna. É più che evidente la differenza con altre forme di carità che rivolgono attenzione preferenziale a particolari bisogni delle persone: salute, cibo, lavoro. L’elemento tipico della carità pastorale è l’annuncio del Vangelo, l’educazione alla fede, la formazione della comunità cristiana, la lievitazione evangelica dell’ambiente.

La carità pastorale salesiana ha poi una sua caratteristica propria, documentata anche dagli inizi della nostra storia: “La sera del 26 gennaio 1854 ci siamo radunati nella camera di Don Bosco e ci venne proposto di fare con l’aiuto del Signore e di San Francesco di Sales una prova di esercizio pratico di carità verso il prossimo, … D’allora è stato dato il nome di salesiani a coloro che si proposero o si proporranno questo esercizio”.(3) La carità pastorale è centro e sintesi della nostra spiritualità, che ha il suo punto di partenza nell’esperienza spirituale di Don Bosco stesso e nella sua preoccupazione per le anime. Dopo Don Bosco, i suoi Successori hanno riaffermato la stessa convinzione; è interessante il fatto che tutti si siano premurati di ribadirlo con una convergenza che non lascia spazio al dubbio. Essa si esprime nel motto “da mihi animas, cetera tolle”.

3. Spiritualità salesiana per tutte le vocazioni

Se è vero che la spiritualità cristiana ha elementi comuni e validi per tutte le vocazioni, è pur vero che essa è vissuta con differenze peculiari e specificità a secondo del proprio stato di vita: il ministero presbiterale, la vita consacrata, i fedeli laici, la famiglia, i giovani, gli anziani, … hanno un loro modo tipico di vivere l’esperienza spirituale. Lo stesso vale per la spiritualità salesiana.

Nella “Carta di identità della Famiglia salesiana” sono stati individuati i tratti spirituali caratteristici di tutti i suoi gruppi; ciò viene rilevato soprattutto nella parte terza di questo documento. D’altra parte i vari gruppi legittimamente, per la loro origine e per il loro sviluppo, hanno storie e caratteristiche spirituali proprie, che sono da conoscere e costituiscono una ricchezza per tutta la Famiglia stessa.

Nel tempo si è sviluppata pure una spiritualità giovanile salesiana. Pensiamo, oltre alle tre biografie dei giovani Michele Magone, Domenico Savio e Francesco Besucco, scritte da Don Bosco, alle pagine che gli indirizza attraverso il “Giovane provveduto” ai giovani stessi, alle Compagnie, … Sarebbe interessante conoscere gli sviluppi della spiritualità giovanile salesiana nel tempo, fino ad arrivare agli anni novanta, quando è stata data anche una formulazione autorevole di questa spiritualità anche attraverso il Movimento Giovanile Salesiano. É da approfondire cosa e come proporre ai giovani non credenti, indifferenti o appartenenti ad altre religioni, elementi di spiritualità salesiana giovanile.

I gruppi della Famiglia salesiana coinvolgono numerosi laici nella loro missione. Siamo consapevoli che non vi può essere un coinvolgimento pieno, se non c’è anche una condivisione dello stesso spirito. Comunicare la spiritualità salesiana ai laici corresponsabili con noi dell’azione educativa pastorale diventa un impegno fondamentale. I salesiani, come anche altri gruppi della Famiglia salesiana, hanno fatto un lavoro esplicito di formulazione di una spiritualità laicale salesiana nel Capitolo generale XXIV (4). Certamente i gruppi laicali della famiglia salesiana costituiscono una fonte di ispirazione per tale spiritualità.

Dopo che siamo diventati maggiormente consapevoli che non vi può essere pastorale giovanile senza pastorale famigliare, ci stiamo interrogando su quale spiritualità familiare salesiana elaborare e proporre. Ci sono esperienza di famiglie che si ispirano a Don Bosco. Qui il cammino è ancora agli inizi, ma è una strada che ci aiuta a sviluppare la nostra missione popolare, oltre che giovanile. 

4. Impegni per la Famiglia salesiana

4.1. Impegniamoci ad approfondire quale è stata l’esperienza spirituale di Don Bosco, il suo profilo spirituale, per scoprire il “Don Bosco mistico”; potremo così imitarlo, vivendo un’esperienza spirituale con identità carismatica. Senza appropriarci della esperienza spirituale vissuta da Don Bosco, non potremo essere consapevoli della nostra identità spirituale salesiana; solo così saremo discepoli e apostoli del Signore Gesù, avendo Don Bosco come modello e maestro di vita spirituale. La spiritualità salesiana, reinterpretata e arricchita con l’esperienza spirituale della Chiesa del dopo Concilio e con la riflessione della teologia spirituale di oggi, ci propone un cammino spirituale che conduce alla santità. Riconosciamo che la spiritualità salesiana è una vera e completa spiritualità: essa ha attinto alla storia della spiritualità cristiana, soprattutto a San Francesco di Sales; ha la sua sorgente nella peculiarità e originalità dell’esperienza di Don Bosco, si è arricchita con l’esperienza ecclesiale ed è giunta alla rilettura e alla sintesi matura di oggi.

4.2. Viviamo il centro e la sintesi della spiritualità salesiana, che è la carità pastorale. Essa è stata vissuta da Don Bosco come ricerca della “gloria di Dio e salvezza delle anime” e si è fatta per lui preghiera e programma di vita nel “da mihi animas, cetera tolle”. É una carità che ha bisogno di alimentarsi con la preghiera e fondarsi su di essa, guardando al Cuore di Cristo, imitando il Buon Pastore, meditando la Sacra Scrittura, vivendo l’Eucaristia, dando spazio alla preghiera personale, assumendo la mentalità del servizio ai giovani. É una carità che si traduce e si rende visibile in gesti concreti di vicinanza, affetto, lavoro, dedizione. Assumiamo il sistema preventivo come esperienza spirituale e non solo come proposta di evangelizzazione e metodologia pedagogica; esso trova la sua sorgente nella carità di Dio che previene ogni creatura con la sua Provvidenza, l’accompagna con la sua presenza e la salva donando la vita; esso ci dispone ad accogliere Dio nei giovani e ci chiama a servirlo in loro, riconoscendone la dignità, rinnovando la fiducia nelle loro risorse di bene ed educandoli alla pienezza di vita.

4.3. Comunichiamo la proposta della spiritualità salesiana secondo la diversità delle vocazioni specialmente ai giovani, ai laici coinvolti nella missione di Don Bosco, alle famiglie. La spiritualità salesiana ha bisogno di essere vissuta secondo la vocazione che ognuno ha ricevuto da Dio. Riconosciamo i tratti spirituali comuni dei vari gruppi della Famiglia salesiana, indicati nella “Carta di identità”; facciamo conoscere i testimoni della santità salesiana; invochiamo l’intercessione dei nostri Beati, Venerabili e Servi di Dio e chiediamo la grazia della loro canonizzazione. Offriamo ai giovani che accompagniamo la spiritualità giovanile salesiana. Proponiamo la spiritualità salesiana ai laici impegnati a condividere la missione di Don Bosco. Con attenzione alla pastorale famigliare, indichiamo alle famiglie una spiritualità adatta alla loro condizione. Infine invitiamo a fare esperienza spirituale anche giovani, laici e famiglie delle nostre comunità educative pastorali o dei nostri gruppi e associazioni che appartengono ad altre religioni o che si trovano in situazione di indifferenza di fronte a Dio; anche per loro è possibile l’esperienza spirituale come spazio per l’interiorità, il silenzio, il dialogo con la propria coscienza, l’apertura al trascendente.

4.4. Leggiamo alcuni testi di Don Bosco, che possiamo considerare come fonti della spiritualità salesiana. Vi propongo una raccolta di scritti spirituali di Don Bosco, in cui egli appare come un vero maestro di vita spirituale (5). Potremo così attingere a pagine che ci parlano con immediatezza del vissuto spirituale salesiano e dell’esperienza che ognuno di noi può assumere.

 

Don Pascual Chávez V., SDB

Rettor Maggiore

  

(1) W. NIGG, Don Bosco. Un santo per il nostro tempo, Torino, LDC, 1980, 75.103.

(2) Cfr. FRANCESCO DI SALES, Trattato dell’amore di Dio, Vol II, libro X, c. 1

(3) MB V, 9.

(4) CG24, Salesiani e laici: comunione e condivisione nello spirito e nella missione di Don Bosco, Roma 1996, nn.89-100.

(5) A. GIRAUDO (a cura), Insegnamenti di vita spirituale, LAS 2013.

 

(Rettor Maggiore) 2013 – autore: Don Pascual Chávez

 

La Chiesa si china sulla famiglia ferita

Un anno per ascoltare e per capire. Un altro anno per decidere gli interventi più opportuni. È l’obiettivo del “doppio sinodo” 2014-2015 convocato da papa Francesco sul tema della famiglia. L’annuncio ha qualcosa di straordinario. Non era mai capitato nella storia della Chiesa che si avvertisse l’urgenza di convocare due sinodi, a così breve distanza l’uno dall’altro, sullo stesso argomento. Segno che l’attenzione per le sorti della famiglia è almeno pari alla preoccupazioni per il male oscuro che mina alle radici la vita delle coppie, dei genitori, dei figli, degli anziani. Allo sconforto che spesso coglie coloro che hanno a cuore il bene dell’istituzione familiare di fronte alla provvisorietà e alla frammentarietà delle relazioni, al disagio educativo, al senso di smarrimento di tante persone che vedono svanire i progetti di vita e spesso fanno fatica a leggere le ragioni di quel fallimento. Come se in quest’epoca pervasa di ansia e di insicurezza fosse inevitabile che anche le relazioni forti, gli affetti che contano, i rapporti che costruiscono futuro, siano destinati a liquefarsi secondo la logica atroce dell’amore a tempo determinato.

Una prospettiva corta che lascia strascichi di sofferenza incalcolabile nelle donne e negli uomini che la vivono, nei figli che ne sono le vittime incolpevoli, nelle comunità che assistono, senza quasi avere la possibilità di intervenire, all’esplodere di conflittualità che lacerano la convivenza sociale e frantumano rapporti, progetti, consuetudini. Perché succede questo? Come accompagnare le persone a riflettere sulle proprie fragilità per prevenirle e curarle? Come modulare le proposte pastorali in modo tale che tutti, anche coloro che sono apparentemente più lontani, possano trarre beneficio da un nuovo clima di accoglienza e di vicinanza? Per raccogliere informazioni finalizzate a tentare di rispondere a queste e a tante altre domande è già stata avviata un’ampia ricognizione in tutte le comunità del mondo.
 
Primo passo un questionario – lo pubblichiamo integralmente nelle pagine successive – che le diocesi sono chiamate ad arricchire con il contributo di famiglie, associazioni, movimenti, gruppi che lavorano per e con le famiglie. Tutti coloro che intendono far sentire la propria voce, avranno la possibilità di farlo. Opportunità preziosa per indagare il disagio e le difficoltà delle famiglie. La richiesta esplicita è quella di fare un passo al di là dei confini solitamente battuti dalla pastorale ordinaria, approfondendo realtà e situazioni che troppo spesso rimangono ai margini, prospettive che per indifferenza, sospetto, incomprensioni non vengono quasi mai affrontate. Adesso quel tempo è finito. La Chiesa, che già conosce e già è in possesso di tante informazioni preziose sulla vita e sui problemi delle famiglie, vuole fare ancora un passo avanti.

Da qui all’ottobre del 2014, quando a Roma sarà convocato il primo atto del sinodo, si cercherà così di raccogliere tutto quanto possibile, di mettere in fila i dati, di avere uno sguardo quanto più realistico, approfondito e completo. Nessuna approssimazione. La famiglia è realtà troppo importante per lasciare qualcosa di vago e indefinito. Se le istituzioni civili e la politica – a cui le sorti delle famiglie, ingranaggi insostituibili della società, dovrebbero stare a cuore in modo altrettanto sollecito – ponessero la stessa cura e la stessa serietà per conoscere e comprendere, probabilmente la situazione non sarebbe così drammatica. Invece troppo spesso le pretese dettate dall’ideologia fanno passare in secondo piano le buone prassi a vantaggio di tutti.

Convocando il “doppio sinodo” 2014-2015, la Chiesa ha deciso di imboccare una strada diametralmente opposta. Solo alla luce di un quadro informativo dettagliato ed esauriente, capace di riflettere per quanto possibile la complessità della realtà familiare in ogni parte del mondo, sarà avviato un percorso destinato a valutare se, che cosa e come cambiare. E questo sarà messo all’ordine del giorno nel “secondo atto” del sinodo, nell’ottobre 2015. L’obiettivo? L’ha in qualche modo già anticipato papa Francesco quando, dialogando con i giornalisti sull’aereo di ritorno dalla Gmg del Brasile, ha sottolineato l’esigenza di arrivare a «una pastorale matrimoniale un po’ più profonda, nel segno della misericordia».

Una pastorale quindi che dovrà aprirsi in modo semplice e facilmente comprensibile per tutti, alle esigenze di ogni famiglia. Con un linguaggio semplificato e con modalità di immediata comprensione si dovrà arrivare a scegliere percorsi capaci di intercettare sensibilità diverse e vissuti – oggi non più uniformi – in modo aperto ed accogliente. «Dobbiamo tornare a far comprendere che la famiglia è la cosa più bella del mondo», ha detto l’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio consiglio per la famiglia. Una battuta – ma non solo – che riflette la speranza di fare breccia in quella cultura dell’indifferenza sociale e dell’individualismo etico secondo cui la famiglia è solo retaggio del passato. La fotografia che uscirà dal “doppio Sinodo” promette di rovesciare stereotipi e luoghi comuni. E, allo stesso tempo, gettare le premesse perché la Chiesa possa di nuovo indicare la strada più opportuna per costruire un futuro migliore per tutte le famiglie. Quindi per l’intera società.

 

Luciano Moia, Noi Genitori & Figli novembre
in Avvenire del 28/12/2013

Cambiare si può. Com’è difficile dire «no slot»

Per i ludopatici è un problema riuscire a starne alla larga. Per i baristi è difficile separarsene. Gli uni perché malati di gioco; gli altri perché messi all’angolo da condizioni contrattuali che prevedono penali stratosferiche: anche 250 euro per ogni giorno di spegnimento dell’apparecchio in anticipo rispetto alla scadenza dei contratti. Abbastanza per scoraggiare. Nonostante questo il fronte no-slot cresce.

Ma a volte, dietro un sì o un no alle scommesse, possono nascondersi altri interessi. Sospetti su cui a Milano lavorano i carabinieri, dopo che nella notte di capodanno la Caffetteria Marchionni ha subito l’esplosione di due bombe carta che ne hanno danneggiato l’ingresso. L’anno scorso l’attività era stata rilevata regolarmente dai nuovi proprietari che, per prima cosa, hanno rispedito ai noleggiatori gli apparecchi da gioco. Italo e Maria, i due titolari, provano a smorzare i toni: «Purtroppo dobbiamo convivere anche con questi inconvenienti ma, sicuramente, non sono queste “stupidate” a darci preoccupazione». 

Come dire che chiunque sia stato, quello non è un posto in cui spadroneggiare. Non è una risposta da poco. Angela Fioroni, di Legautonomie Lombardia, non si è molto sorpresa di quanto successo nel locale del quartiere milanese di Bruzzano, periferia Nord nella quale si muovono con una certa disinvoltura le nuove leve della ’ndrangheta: «Abbiamo avuto notizie di intimidazioni prima di togliere le slot – racconta Fioroni –, ma sarebbe la prima volta che questo accade dopo». Segno che chi decide di restituire al mittente gli apparecchi rischia di mettersi nei guai.

«Se non mangiamo noi non mangia nessuno». Sono frasi come queste a rivelare cosa ci sia, talvolta, dietro alla spietata concorrenza tra noleggiatori di videopoker e slot-machine. Gli investigatori le hanno ascoltate alcuni mesi fa in Molise e poi di nuovo in Campania e nel Lazio. Dalle parti di Campobasso è stata scoperta un’organizzazione che pretendeva di sostituire le macchinette già attive nei vari locali con quelle delle proprie agenzie di noleggio. In alcuni casi la minaccia veniva supportata anche da una precedente azione di “disturbo”, un avvertimento che serviva a mettere in guardia i commercianti. Nelle carte dell’inchiesta ci sono intercettazioni eloquenti: «Poi te la porto una macchinetta – dice uno degli indagati ad una delle vittime – e digli che se lui non rompe le scatole a me io non le rompo a lui».

Nel centro di Pavia c’è un bar con le slot spente. Il titolare ha fatto una certa fatica a convincere i concessionari a portarle via. «Hanno promesso che entro febbraio – riferisce il barista che preferisce restare anonimo – verranno a riprendersele». Non è stato facile, e non solo per i mille euro di percentuale sugli incassi che gli apparecchi gli assicuravano ogni mese. «Ma grazie alla legge regionale con cui la giunta si impegna a proteggere i baristi e le ricevitorie che vogliono dismettere le slot-machine, abbiamo trovato l’occasione per chiudere per sempre con questo incubo».

A Crespi D’Adda (Bergamo) Angela e Frank Labat, gestori de “Il villaggio Café”, hanno raccontato di aver fatto con le slot un tentativo tre anni fa, durato circa 6 mesi: «Abbiamo potuto avere esperienza diretta della dipendenza generata da queste macchinette». Il contratto, per loro fortuna, non era vincolante, e quando hanno visto la gente del piccolo borgo rovinarsi hanno preso una decisione: «Più volte ci sono state riproposte le slot machine, o i “gratta e vinci”, o prodotti di questo genere, ma la nostra risposta è invariabilmente no».

 
Nello Scavo

WeCa: proposta formativa per il 2014

Impossibile ormai viverci senza. La Rete e più in generale le nuove tecnologie digitali si stanno ritagliando uno spazio sempre più cospicuo all’interno delle nostre vite. In tanti sentono l’esigenza di un momento di approfondimento e di riflessione sul valore del web, sulle opportunità che può offrire e sui rischi che comporta, anche come ulteriore strumento per la pastorale e l’evangelizzazione.

Per questo, accogliendo le richieste giunte negli ultimi mesi, l’Associazione WebCattolici propone per il 2014 una serie di incontri per riflettere sulle implicazioni delle nuove tecnologie. Il percorso dal titolo “La Rete: come viverla?” andrà sullo specifico, trattando dagli aspetti commerciali ed economici della Rete alle modalità pratiche per un uso efficace ed attento, anche in chiave pastorale.
I nove incontri, trasmessi in diretta su Youtube e sui siti www.weca.it e www.pcn.net, avranno la formula di veri e propri “talk show”. I partecipanti avranno l’opportunità di interagire con esperti delle nuove tecnologie, testimoni e latori di buone pratiche con interventi e domande. Si parte mercoledì 22 gennaio, alle ore 21, con l’incontro dal titolo “L’Economia in Rete – Storie di Gratuità, Storie di Buone Pratiche”. In collegamento via Google Hangout ci saranno don Paolo Padrini, esperto di pastorale e new media, Lorenzo Mastropietro, Responsabile Tecnologie e Sicurezza Informatica, Piaggio & C. S.p.a, e Michele Crudele, ideatore del portale www.ilfiltro.itper la protezione dei minori in Rete.
«Con questi appuntamenti – spiega il presidente dell’Associazione WebCattolici, Giovanni Silvestri – vogliamo offrire spunti su un uso consapevole e maturo del web non solo agli operatori di pastorale, ai sacerdoti e agli ordini religiosi, ma anche agli educatori e ai genitori».
Il mese di febbraio, con gli incontri di mercoledì 5 e mercoledì 19, sarà invece dedicato ai Social Network, rispettivamente: “Social Network – un mondo da scoprire” e “Social Network – un mondo da vivere”. Fino a giugno, tanti gli approfondimenti, da “Cristiani e web. Con quali strumenti?” all’incontro “La Rete – Luogo di Regole” dedicato agli aspetti legali, dalla privacy alla diffamazione.
Per partecipare agli incontri non è necessaria la prenotazione, anche se è caldamente consigliato l’invio di una mail all’indirizzo incontri@webcattolici.it, al fine di ricevere comunicazioni di dettaglio e, al termine di ogni incontro, il materiale bibliografico trattato.
 

BATTESIMO DEL SIGNORE

Prima lettura: Isaia 42,1-4.6-7

Così dice il Signore: «Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto di cui mi compiaccio. Ho posto il mio spirito su di lui; egli porterà il diritto alle nazioni. Non griderà né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce, non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta; proclamerà il diritto con verità. Non verrà meno e non si abbatterà, finché non avrà stabilito il diritto sulla terra, e le isole attendono il suo insegnamento. Io, il Signore, ti ho chiamato per la giustizia e ti ho preso per mano; ti ho formato e ti ho stabilito come alleanza del popolo e luce delle nazioni, perché tu apra gli occhi ai ciechi e faccia uscire dal carcere i prigionieri, dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre».

 

2 I Carmi del Servo di JHWH, di cui Is 42,1-4,67 è il primo, rappresentano una svolta nel messianismo biblico.

     Le speranze d’Israele erano riposte, fino dall’esilio, nei successi, nelle conquiste, nei trionfi del discendente di David che avrebbe un giorno rialzate le sorti della nazione. Ma la dinastia davidica era finita a Babilonia e se n’erano perse le tracce; invece di far leva su un re, un conquistatore occorreva far tesoro della situazione disastrosa in cui ci si era venuti a trovare, accettando l’umiliazione come inviata da JHWH e tornare a lui, piegarsi, convertirsi. Bisognava lasciare a Dio la realizzazione dei suoi progetti e non affidarsi alle mani dell’uomo.

     Il «Servo» è una figura totalmente nuova. Innanzitutto apolitica. È sempre un incaricato di Dio, uno cioè che egli ha scelto e al quale ha affidato un compito che non è quello di ristabilire le sorti d’Israele, ma far conoscere il diritto e le vie del Signore alle nazioni, alle genti, oltre che ai figli di Abramo.

     Egli non avrà forze, armi; non lancerà bandi di guerra (sulle piazze), non calpesterà i deboli, ma sarà giusto e farà trionfare l’equità tra gli uomini. Non sarà un conquistatore ma un predicatore che farà pervenire la sua parola, i suoi messaggi di salvezza fino agli ultimi confini della terra (le isole più lontane).

     Dio, il creatore del cielo e della terra, che ha tutto nelle sue mani, ha anche chiamato il suo Servo e l’ha colmato dei suoi doni, innanzitutto del suo Spirito e l’ha costituito «alleanza», cioè punto d’incontro tra JHWH e Israele, e «luce», cioè fonte di chiarezza di verità per i gentili, in modo che anch’essi escano dalle tenebre in cui si trovano avvolti.

     Il I canto del Servo di JHWH è la pagina più evangelica dell’Antico Testamento.

 

Seconda lettura: Atti 10,34-38

In quei giorni, Pietro prese la parola e disse: «In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga. Questa è la Parola che egli ha inviato ai figli d’Israele, annunciando la pace per mezzo di Gesù Cristo: questi è il Signore di tutti.

Voi sapete ciò che è accaduto in tutta la Giudea, cominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni; cioè come Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nàzaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui».  

 

2 Il libro degli Atti allinea la conversione di Saulo, «chiamato a portare il nome del Signore ai popoli, ai re», oltre che ai «figli d’Israele» (9,15), con la «visione» a Pietro del lenzuolo con ogni sorta di animali, puri e impuri, diventati miracolosamente tutti commestibili (10,11-15).

     Pietro è invitato a capire e ad accettare che il separatismo giudaico era finito e che i privilegi d’Israele erano cessati. Tutti gli uomini sono uguali davanti a Dio e chiunque pratica la giustizia è accetto a lui e fa parte del suo popolo. L’imparzialità divina era appena accennata nell’Antico Testamento (cf. Dt 10,17; Sap 6,8). È speciale messaggio proprio del Nuovo. Gesù è passato in mezzo ai propri simili facendo del bene a quanti ne avevano bisogno prescindendo dalla loro estrazione razziale.

     L’esperienza profetica di Gesù è riportata al suo inizio, al momento del battesimo conferitegli da Giovanni. In quella circostanza egli è stato consacrato, alla lettera «unto con l’olio», in greco chriein (costituito «Cristo»), quindi «messo» scelto da Dio. Si tratta in pratica di una incombenza profetica ma che è stata accompagnata e convalidata dal potere dei miracoli che Gesù distribuirà indistintamente a quanti ricorreranno a lui.

     Il battesimo è stato per Gesù un’investitura dello Spirito di Dio, l’abilitazione a promulgare la parola di salvezza (pace) per tutti, la capacità a riversare sugli uomini i doni del cielo, la salute del corpo e dell’anima.

     Gesù, secondo l’autore degli Atti, nel battesimo non solo ha preso piena coscienza della sua vocazione, ma è stato insignito dei poteri o carismi necessari a farla valere e accogliere. È stato dichiarato, ma soprattutto si è trovato costituito messo di Dio sia a Israele che alle genti.

 

Vangelo: Matteo 3,13-17

In quel tempo, Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui. Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?». Ma Gesù gli rispose: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia». Allora egli lo lasciò fare.  Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui. Ed ecco una voce dal cielo che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento». 

 

Esegesi 

     Il battesimo nel Giordano da parte di Giovanni è un evento significativo nella vita di Gesù. È il primo atto pubblico che egli compie da quando avverte la voce dello Spirito che lo chiama ad annunziare la buona novella ai poveri, a predicare a quanti attendevano l’anno di grazia del Signore (cf. Lc 4,18). Forse è anche la prima volta che si allontana dal suo villaggio, dalla Galilea e arriva fin alle foci del Giordano.

     Lo scopo era far visita o conoscenza con un predicatore di penitenza che faceva tanto parlare di sé in tutta la regione. Matteo lo dice espressamente: «compare da Giovanni» (3,5). Marco «venne da Giovanni». Tutto fa pensare che Gesù aveva fatto tanta strada per ascoltare il profeta del deserto se non proprio per mettersi alla sua scuola. La frase «da Giovanni» è molto più significativa di quanto appaia.

     Gesù aveva ascoltato la parola dei profeti nella sinagoga di Nazaret (cf. Lc 4,16). Era diverso però riascoltarla direttamente da un profeta vivente. Si dovrebbe pensare che anche Gesù è in ricerca della volontà di Dio o almeno di un approfondimento, di una chiarificazione della sua chiamata profetica. Infatti poco dopo l’evangelista ricorda il suo ritiro nel deserto, i quaranta giorni di digiuno e di preghiera, il confronto-scontro con il diavolo sempre per determinare la linea da percorrere nell’adempimento del suo mandato nel piano di Dio. Si può perciò ipotizzare che anche questa visita al predicatore del deserto, e forse agli altri asceti che sembra popolassero la zona (vedi i monaci di Qumràn), sia stata motivata dal desiderio o necessità di trovare una conferma alla «spinta» che sentiva nel suo animo a lasciare il lavoro di carpentiere e dedicarsi all’annunzio della parola di Dio.

     Il soggiorno nel Giordano non fu un’esperienza inutile. Gesù non sceglierà né la strada di Giovanni, un predicatore chiuso nel suo recinto tutto proteso a intimorire o a spaventare la gente, né quella dei vicini esseni, pure essi ben segregati dal popolo; ma si metterà in cammino per le contrade della Galilea, insegnando, predicando e guarendo gli infermi che ricorrevano a lui. Sono i quattro verbi con cui Matteo caratterizza la sua attività missionaria (4,23). Gesù non starà ad aspettare la gente ma si muoverà incontro ad essa non per terrorizzarla, ma per liberarla dalle proprie afflizioni e soprattutto dalla paura di Dio, che non era tanto un giudice quanto un «padre» (Mt 6,9).

     L’esperienza di Gesù nel Giordano, il confronto con Giovanni, ha creato qualche difficoltà ai predicatori cristiani delle origini, in particolare alla comunità di Matteo che si è sentita in dovere di correre ai ripari inserendo nel racconto tradizionale di Mc 1,9 un dialogo tra Gesù e Giovanni che ridimensiona la portata del battesimo di Gesù.

     La notizia «Per essere battezzato» poteva far sembrare che Gesù si  fosse trovato subordinato a Giovanni, come al di sotto di lui, ciò che non era ammissibile. Era invece vero il contrario. Era Giovanni che avrebbe dovuto inginocchiarsi davanti all’«ospite» venuto dalla Galilea e ricevere la remissione dei peccati. Ma i fatti non si potevano cambiare. Gesù aveva ricevuto il battesimo e Giovanni l’aveva amministrato. Bisognava allora appellarsi a una motivazione teologica che giustificasse l’accaduto e acquietasse gli animi dei lettori. L’evangelista non ha trovato altra risposta plausibile che richiamarsi a un «ordinamento divino» di cui non era dato conoscere la ragione, ma a cui bisognava rimettersi.

     Il battesimo di Gesù da parte di Giovanni era un dato irrinunciabile, ma rientrava in una disposizione («giustizia») divina a cui i protagonisti dovevano attenersi, pur non comprendendone le ragioni. Gli uomini non debbono tanto capire quello che Dio dispone, solo eseguirlo. E così avviene anche per Gesù che si fa battezzare da Giovanni.

     Ma non basta il richiamo alla superiore volontà di Dio per cancellare le obiezioni insite nel battesimo di Gesù da parte di Giovanni; c’è anche una «teofania», cioè una manifestazione soprannaturale che si verifica nel corso del rito: si aprono i cieli, si vede lo Spirito di Dio, in forma di colomba, si ode una voce che proclama Gesù «figlio prediletto» di Dio, oggetto del suo compiacimento. Sono le massime credenziali che Gesù può far valere a favore della sua missione.

     Gesù era sceso nel Giordano per trovare una risposta alle sue perplessità presso gli uomini più qualificati del suo tempo, dai profeti e gli spiritualisti che si trovavano nella terra d’Israele, ma questa gli giunge miracolosamente da Dio. Una convalida che doveva togliere qualsiasi dubbio nei credenti.

     Il battesimo di Gesù nel Giordano è la promulgazione della vocazione messianica di Gesù. Forse i fatti sono stati meno evidenti, forse anche Gesù ha dovuto accontentarsi di conferme più modeste, ma nell’una e nell’altra eventualità egli riparte dal Giordano con le idee e le convinzioni più chiare sul suo mandato in Israele e si accorgerà presto anche su quello sulle genti. Il Carme del Servo di JHWH che l’evangelista cita (Is 42,1) ne faceva già menzione.

 

Meditazione

L’evento del battesimo di Gesù nel Giordano a opera di Giovanni, evento in seguito al quale lo Spirito di Dio viene su Gesù (vangelo), è preannunciato dalla figura del Servo del Signore su cui Dio pone il suo Spirito (I lettura) e proclamato da Pietro nella sua predicazione come atto con cui Dio ha «unto» in Spirito santo Gesù (II lettura). Lo Spirito di Dio che rimane su Gesù significa la comunione piena tra il Padre e il Figlio, tra Dio e Gesù. 

La comunione di Gesù con Dio (vangelo) si esprime orizzontalmente, cioè nelle relazioni umane, da un lato come rifiuto di condannare e di giudicare (I lettura), dall’altro come attivo fare il bene e guarire chi si trova nel bisogno (II lettura). Infatti, le azioni di spezzare la canna incrinata e di spegnere lo stoppino fumigante che il Servo del Signore non compie, si riferiscono ai gesti che invece compiva l’araldo del Gran Re babilonese quando decretava una condanna a morte: il senso è che il Servo del Signore non viene per condannare, ma per dare vita (I lettura). E nella predicazione di Pietro, Gesù appare colui che «passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui» (II lettura). Gesù si reca dalla Galilea al Giordano al preciso fine di farsi immergere nel Giordano da Giovanni (Mt 3,13), anche contro la volontà del Battista che «voleva impedirglielo» (Mt 3,14). L’incontro tra i due uomini diviene così un esempio di obbedienza e sottomissione reciproca: Gesù si sottomette all’immersione di Giovanni e Giovanni rinuncia al proprio bisogno spirituale («Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te»: Mt 3,14) e accetta di immergere Gesù. L’obbedienza reciproca diviene obbedienza a Dio: la giustizia adempiuta dai due è infatti la realizzazione della volontà di Dio. La giustizia, biblicamente, è la conformità alla volontà divina. L’obbedienza viene qui colta nel suo aspetto adulto e maturo di azione comune e reciproca, non come atto infantile o mortificazione individuale o abdicazione che uno fa alla propria volontà per adempiere quella di un altro, con i rischi di abuso, di giochi di potere e di sopraffazione che questo comporta. L’obbedienza qui è evento di comunione e di carità che consente l’adempiersi del disegno divino. È un atto libero, non impersonale, né immotivato, ma relazionale, e che avviene nel riconoscimento reciproco e nell’amore.

Questo incontro tra due uomini, due celibi, è particolarmente intenso perché i due uomini di Dio riconoscono la vocazione peculiare l’uno dell’altro. Se Giovanni riconosce di aver bisogno di essere immerso in Spirito santo da Gesù (Mt 3,11.14), Gesù riconosce che l’immersione di Giovanni viene da Dio (Mt 21,25) e che il Battista è venuto nella via della giustizia (Mt 21,32). Il criterio che rende libera la relazione è il fare la volontà di Dio. Gesù non si sottomette all’immersione di Giovanni per compiacerlo o per amor di sottomissione e nemmeno per amicizia, ma perché solo così viene realizzata la volontà di Dio. Questo è anche il criterio che deve regnare nella comunità cristiana perché i rapporti siano limpidi, casti, autentici (Mt 7,21; 12,50).

Giovanni è precursore del Messia lasciando fare, acconsentendo a Gesù (Mt 3,15). C’è una forma di efficacia che non è affatto connessa all’intraprendenza o all’agire, ma al non agire, al lasciar fare al Signore, all’acconsentire al Signore. Giovanni fa spazio a Gesù. La fede, come lasciar fare al Signore, è l’attivo e faticoso fare spazio al Signore. È azione su di sé e questo tipo di azione è la più difficile. L’azione obbediente di Giovanni è a servizio dell’esperienza di filialità che Gesù vive al momento dell’immersione nel Giordano. Se simbolicamente l’uscire dalle acque rinvia a un evento di nascita, la scena del battesimo allude alla paternità di Dio manifestata dalla parola dall’alto, dalla voce dal cielo, ma allude anche alla maternità di Dio, simbolizzata dalla ruach, lo Spirito, lo spazio vitale da cui l’uomo trae la vita. Ha scritto il teologo François Xavier Durwell: «Lo Spirito è il seno in cui Dio è fecondo come una madre».

 

Preghiere e racconti

Cristo è battezzato, scendiamo con lui per risalire con lui

Abbiamo degnamente celebrato la Natività. Siamo corsi con la stella, abbiamo adorato con i magi, siamo stati avvolti dalla luce con i pastori, abbiamo reso gloria con gli angeli. Con Simeone abbiamo tenuto tra le braccia il Signore; con Anna, anziana e casta, abbiamo reso grazie. Siano rese grazie a colui che è venuto nella propria terra come in un paese straniero e ha glorificato chi l’ospitava. Ora, altra è l’azione di Cristo e altro è il mistero. Non posso contenere la mia gioia, mi sento ispirato e, un po’ come Giovanni, annuncio la buona notizia se non come precursore, almeno come uno che viene dal deserto. Cristo è illuminato, risplendiamo con lui. Cristo è battezzato, scendiamo con lui per risalire con lui. […] Giovanni sta battezzando, Gesù si avvicina forse per santificare il Battista, di certo per seppellire tutto intero il vecchio Adamo, ma prima di loro e grazie a loro santifica il Giordano. Lui che era spirito e carne, consacra con Spirito e acqua. Il Battista non accetta, Gesù insiste: «Sono io che devo essere battezzato da te» (Mt 3,14); la lampada (cfr. Gv 5,35) si rivolge al sole (cfr. Mal 3,20), la voce al Verbo, l’amico allo Sposo, colui che è al di sopra di tutti i nati da donna (cfr. Mt 11,11) al primogenito di ogni creatura (cfr. Col 1,15), colui che ha sussultato fin dal seno di sua madre (cfr. Lc 1,41) a colui che è adorato nel seno della propria, il Precursore presente e futuro a colui che si manifesta e si manifesterà. […] Ma poi Gesù risale dall’acqua. Fa risalire con lui il mondo e vede aprirsi i cieli (cfr. Lc 3,21) che Adamo aveva chiuso per sé e i suoi discendenti, così come aveva chiuso anche il paradiso con una spada fiammeggiante (cfr. Gen 3,24). E lo Spirito rende testimonianza alla divinità perché accorre verso colui che gli è simile; e dai cieli viene la voce poiché è dai cieli che viene colui al quale è resa testimonianza, e lo si vede come una colomba. Lo Spirito, infatti, si mostra in forma corporea rendendo onore al corpo, poiché anch’esso è Dio attraverso la divinizzazione. E nello stesso tempo la colomba è solita da lungo tempo annunciare la buona notizia della fine del diluvio.

(GREGORIO DI NAZIANZO, Discorsi 39,14-16, SC 358,pp. 178-186).

Il Battesimo di Gesù

«Il Battesimo suggerisce molto bene il senso globale delle Festività natalizie, nelle quali il tema del diventare figli di Dio grazie alla venuta del Figlio unigenito nella nostra umanità costituisce un elemento dominante. Egli si è fatto uomo perché noi possiamo diventare figli di Dio. Dio è nato perché noi possiamo rinascere. Questi concetti ritornano continuamente nei testi liturgici natalizi e costituiscono un entusiasmante motivo di riflessione e di speranza. Pensiamo a ciò che scrive san Paolo ai Galati: “Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli” (Gal 4,4-5); o ancora san Giovanni nel Prologo del suo Vangelo: “A quanti l’hanno accolto / ha dato potere di diventare figli di Dio” (Gv 1,12). Questo stupendo mistero che è la nostra “seconda nascita”  la rinascita di un essere umano dall’”alto”, da Dio (cfr Gv 3,1-8)  si realizza e si riassume nel segno sacramentale del Battesimo.

Con tale sacramento l’uomo diventa realmente figlio, figlio di Dio. Da allora, il fine della sua esistenza consiste nel raggiungere in modo libero e consapevole ciò che fin dall’inizio è la destinazione dell’uomo. “Diventa ciò che sei”  rappresenta il principio educativo di base della persona umana redenta dalla grazia. Tale principio ha molte analogie con la crescita umana, dove il rapporto dei genitori con i figli passa, attraverso distacchi e crisi, dalla dipendenza totale alla consapevolezza di essere figli, alla riconoscenza per il dono della vita ricevuta e alla maturità e alla capacità di donare la vita. Generato dal Battesimo a vita nuova, anche il cristiano inizia il suo cammino di crescita nella fede che lo porterà ad invocare consapevolmente Dio come “Abbà  Padre”, a rivolgersi a Lui con gratitudine e a vivere la gioia di essere suo figlio.

Dal Battesimo deriva anche un modello di società: quella dei fratelli. La fraternità non si può stabilire mediante un’ideologia, tanto meno per decreto di un qualsiasi potere costituito. Ci si riconosce fratelli a partire dall’umile ma profonda consapevolezza del proprio essere figli dell’unico Padre celeste. Come cristiani, grazie allo Spirito Santo ricevuto nel Battesimo, abbiamo in sorte il dono e l’impegno di vivere da figli di Dio e da fratelli, per essere come “lievito” di un’umanità nuova, solidale e ricca di pace e di speranza. In questo ci aiuta la consapevolezza di avere, oltre che un Padre nei cieli, anche una madre, la Chiesa, di cui la Vergine Maria è il perenne modello. A lei affidiamo i bambini neo-battezzati e le loro famiglie, e chiediamo per tutti la gioia di rinascere ogni giorno “dall’alto”, dall’amore di Dio, che ci rende suoi figli e fratelli tra noi».

(LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 10.01.2010). 

Tu sei il mio figlio diletto, la mia figlia diletta

Nella meditazione ho sperimentato la realtà di questo amore quando ho riferito la frase: “Sei il mio figlio diletto”, proprio alla mia paura, alla mia oscurità, al mio rifiuto, alla mia mediocrità, alle menzogne della mia vita. Ho tentato di scendere nell’acqua del mio inconscio, nel regno delle tenebre, nel quale ho rimosso tutto quanto teme la luce del giorno, tutto quanto io di giorno non guardo volentieri. Per me questa è una bella immagine del battesimo di Gesù: il cielo si è aperto proprio quando egli è sceso nella profondità del Giordano. Il cielo si aprirà anche sopra l’abisso della mia psiche, ma io devo avere coraggio di scendere in questo abisso interiore, per udirvi nel profondo quella frase, con un suono nuovo: “Tu sei il mio figlio diletto, tu sei la mia figlia diletta”. Solo quando io ho riferito alla mia vita concreta la parola che mi dice che sono un figlio amato, essa mi ha toccato nel più profondo e mi ha donato pace interiore. Tutti i discorsi sull’amore di Dio ci scorrono sopra, se non toccano le esperienze della nostra vita di ogni giorno. Il monito nel mio sogno sembra dire: “Conduci gradualmente le persone all’amore del Dio trinitario!”.

(A. GRÜN, Abitare nella casa dell’amore, Brescia, Queriniana, 2000, 51-52) 

Battesimo di Gesù

Del Battesimo di Gesù Cristo parlano tutti i quattro vangeli canonici. Ecco come lo presenta il Vangelo di Matteo (3,13-17):

In quel tempo Gesù dalla Galilea andò al Giordano da Giovanni per farsi battezzare da lui. Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono i cieli ed egli vide lo Spirito Santo scendere come una colomba e venire su di lui. Ed ecco una voce dal cielo che disse: Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto“.

Il battesimo di Gesù manifesta la sua natura divina: nel mondo è apparso il Figlio di Dio incarnato nella forma umana. Questa è l’Epifania.

Dio appare nello stesso tempo sotto tre ipostasi: Dio-Figlio – Gesù, Dio-Spirito Santo – è sceso su Gesù in forma di colomba, Dio-Padre – si è manifestato attraverso la sua voce. Ecco l’epifania della Santissima Trinità (Trinità “novotestamentaria”).

Ricevuto il battesimo, Gesù andò nel deserto e lì digiunò per quaranta giorni. E il demonio per tre volte lo tentò. Ma Gesù vinse le tentazioni e, tornato in Galilea, iniziò il suo insegnamento. “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista… (Lc 4,18).

Da questo momento Gesù appare come Messia (dall’ebraico mashijah – “unto”, in greco “Cristo”). Inizia il suo grande servizio.

Le immagini del Battesimo del Signore, chiamate anche l’Epifania (del nostro Signore Gesù Cristo), erano molto popolari nella Rusia. Uno degli esempi delle icone di questo tipo è l’immagine dell’Epifania di Novgorod, fine del XV – inizio XVI secolo.

Il centro logico e composizionale dell’icona è la figura di Cristo. Gesù Cristo, spogliato, riceve il battesimo di purificazione nel Giordano: secondo l’iconografia fissata, nella riva sinistra del fiume Giordano è presentato Giovanni Battista, nella riva destra degli angeli (il loro numero sulle icone dell’Epifania varia da tre a quattro).

Giovanni Battista compie l’atto del battezzare, mettendo il palmo della mano destra sulla testa di Gesù Cristo; nella mano sinistra ha la croce, simbolo della missione salvifica di Cristo e simbolo del Nuovo Testamento, della Nuova Alleanza, conclusa tra Dio e gli uomini.
Le due sorgenti che scendono dalla montagna si uniscono in un solo fiume, il Giordano. Gli spazi acuti e fini sullo sfondo di tonalità rosso-bruna delle rive, creano l’illusione di un allontanamento delle montagne che si alzano verso il cielo; già qui si può vedere un raro e ben riuscito tentativo di trasmettere la profondità dello spazio.

Ai piedi di Gesù Cristo nell’acqua si possono distinguere due piccole figure. Quella maschile simbolizza il fiume Giordano, quella femminile il mare. Queste figure sono sorprendenti resti dell’antichità pagana, che sono penetrati e si sono consolidati nell’iconografia dell’immagine ortodossa dell'”Epifania”. È fissata anche la loro provenienza, sono chiamati per illustrare le parole del Salmo 114,3: “Il mare vide e si ritrasse, il Giordano si volse indietro“. Questo fatto, nelle prime e più antiche rappresentazioni del Battesimo, è stato raffigurato in un modo tradizionale e abituale per l’antichità: il mare e il fiume erano rappresentati con piccole figure antropomorfiche. La loro “ritirata” ed il “volgersi indietro” diventavano vaghi.

A volte, insieme a queste piccole figure è raffigurato anche il serpente, che corrisponde al versetto 13 del Salmo 74: “Hai schiacciato la testa dei draghi sulle acque“.

Gli angeli, rappresentati nelle immagini del Battesimo di Gesù Cristo, personificano i padrini, il cui compito è di accogliere i “battezzandi”, quando escono dall’acqua.

Nell’icona troviamo anche la simbolica immagine della colomba, che personifica lo Spirito Santo, e la nube dalla quale è uscita la voce di Dio-Padre.

 

* Per l’elaborazione della «lectio» di questa domenica, oltre al nostro materiale di archivio, ci siamo serviti di:

Temi di predicazione. Omelie. Ciclo A, Napoli, Editrice Domenicana Italiana, 2004.2007- . 

Messalino festivo dell’Assemblea, Bologna, EDB, 2007.

– Sussidio Avvento-Natale 2013: «È tempo di svegliarvi dal sonno», a cura dell’Ufficio Liturgico Nazionale della CEI, 2013.  

Avvento-Natale 2010, a cura dell’ULN della CEI, Milano, San Paolo, 2010.

– E. Bianchi et al., Eucaristia e Parola. Testi per le celebrazioni eucaristiche di Avvento e Natale, in «Allegato redazionale alla Rivista del Clero Italiano» 88 (2007) 10, 69 pp.

– J. Ratzinger/Benedetto XVI, L’infanzia di Gesù,  Milano/Città del Vaticano, Rizzoli/Libreria Editrice Vaticana, 2012.

– J. Ratzinger/Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Milano, Rizzoli, 2007.

– Don Tonino Bello, Avvento e Natale. Oltre il futuro, Padova, Messaggero, 2007.

– Carlo Maria Martini – Pietro Messa, L’infinito in una culla. San Francesco e la gioia del Natale, Assisi, Porziuncola, 2009.

– D. Ghidotti, Icone per pregare. 40 immagini di un’iconografia contemporanea, Milano, Ancora, 2003.

PER L’APPROFONDIMENTO:

NATALE BATTESIMO DEL SIGNORE 

La fraternità spegne la guerra

Pace e fraternità. È il primo messaggio che Papa Francesco invia per la Giornata mondiale della pace. Sul tema è stato detto molto, se non tutto, nel Concilio e nei messaggi inviati da Paolo VI che ha voluto questa Giornata e dagli altri Papi che si sono succeduti in questi 46 anni dall’inizio, senza contare la “Pacem in terris” (1963) di Giovanni XXIII. La curiosità di molti è sapere se e in che cosa si possa trovare un aspetto specifico della mentalità e dello stile del nuovo Pontefice. È risaputo che il nome di Francesco suona pace per vari motivi che è inutile ripetere, tanto sono noti, ed egli, fin dalle prime righe del testo annuncia, “a tutti, singoli e popoli”, che la fraternità universale è il nuovo nome della pace. Chi legge ha da subito l’impressione di trovarsi di fronte a un documento importante, solido, pensato e studiato, quasi un piccolo trattato della relazione tra la pace e la fraternità. Questa è prima di tutto considerata una dimensione fondamentale e radicale di ogni essere umano, un anelito, un’aspirazione. L’uomo cerca i suoi fratelli e le sue sorelle, non può vivere da solo, la sua famiglia è l’intera umanità dentro la quale dovrebbe e vorrebbe sentirsi a casa sua, sicuro di non aver motivo di temere alcun male. È anche una vocazione: “Tale vocazione è però ancor oggi contrastata e smentita nei fatti, in un mondo caratterizzato da quella ‘globalizzazione dell’indifferenza’ che ci fa lentamente ‘abituare’ alle sofferenze dell’altro, chiudendoci in noi stessi”.
Semplice e diretto, il discorso di Francesco coglie il centro del problema ed evoca l’antica storia primordiale del fratricidio e dei motivi che l’hanno causato. Chiamati dall’unico Padre di tutti a vivere in pace tra loro, gli uomini si sono macchiati del sangue dei fratelli, sparso lungo tutta la loro storia. Il progresso e le trasformazioni sociali non migliorano il cuore umano. Anche la globalizzazione, ad esempio, “ci rende vicini ma non fratelli”. In essa convivono ingiustizie, sperequazioni, sfruttamento, individualismo, egocentrismo e consumismo, conflittualità tanto da dover sentire ancor oggi attuale la domanda di Dio a Caino: “Dov’è tuo fratello?” (Gn 4,9). Tale domanda non trova risposta se non nel cuore di chi crede e, considerato Dio come Padre di tutti, si fa discepolo di Cristo che ha abbattuto ogni muro di separazione tra gli uomini attraverso la sua croce, definita “il luogo definitivo di fondazione della fraternità che gli uomini non sono in grado di generare da soli”.
Papa Francesco ripropone l’insegnamento sulla pace e le condizioni che la rendono possibile come sono state indicate dai suoi predecessori: la pace come sviluppo, come solidarietà, come frutto della giustizia, come dovere di carità. Propone, tuttavia, con forza la condizione della fraternità come “fondativa” della pace: “Tutti sono amati da Dio, tutti sono riscattati da Cristo, morto in croce e risorto per ognuno. E questa è la ragione per cui non si può rimanere indifferenti davanti alla sorte dei fratelli”.
La dottrina sociale della Chiesa non è per Francesco un trattato di sociologia, di economia o di politica, ma sta dentro un concezione teologica e mistica e fa parte dell’evangelizzazione: “Non si tratta di una fraternità, indistinta e storicamente inefficace” – come quella proclamata nella triade illuministica della Rivoluzione francese, aggiungiamo noi – “bensì dell’amore personale, puntuale e straordinariamente concreto di Dio per ciascuno di noi” (cf Mt 6,25-30). Se vi fossero dubbi Francesco ribadisce: “La solidarietà cristiana presuppone che il prossimo sia amato non solo come un essere umano con i suoi diritti e la sua fondamentale uguaglianza davanti a tutti, ma come viva immagine di Dio Padre, riscattata dal sangue di Gesù Cristo e posta sotto l’azione permanente dello Spirito santo”. Se è vero, dice Francesco, che la fraternità così intesa è “fondamento e via per la pace”, allora ne scaturiscono conseguenze pratiche coerenti nei vari ambiti della vita sociale: “La fraternità spegne la guerra”, aiuta a “custodire e a coltivare la natura”, si oppone alla “corruzione e al crimine organizzato” e si pone a “servizio” dell’utilità comune: “Il servizio è l’anima di quella fraternità che edifica la pace”.
 
Elio Bromuri
 

Traguardi di competenza nell’IRC: progettazione e valutazione

Il Corso che l’Istituto di Catechetica dell’Università Pontificia Salesiana propone tende a mettere a fuoco le nuove dinamiche educative che si impongono nel rinnovamento della Scuola, nell’accentuazione delle competenze, secondo le Indicazioni Nazionali.

Una progettazione in grado di integrare correttamente le molteplici sollecitazioni educative che attraversano la scuola è la condizione dell’efficacia e della legittimazione dell’IRC attuale.

Il Corso, vuole garantire consapevolezza e padronanza al Docente di Religione nell’eser- cizio sereno della sua professionalità.

L’Incontro è organizzato ai sensi delle Direttive Ministeriali n. 305 (art. 2 comma 7) del 1 luglio 1996, n. 156 (art. 1 comma 2) del 26 marzo 1998.

Ai sensi dell’art. 14 comma 1, 2 e 7 del CCNL, rientra nelle iniziative di formazione e aggiornamento progettate e realizzate dalle Agenzie di Formazione riconosciute dal MIUR.

Ai partecipanti sarà rilasciato un attestato di partecipazione.

Il Corso è finanziato dal MIUR.

 

Programma

Lunedì 16 dicembre

  • Cicatelli Sergio: Programmazione curricolare per competenze
  • Michele Pellerey: Competenze chiave europee per l’apprendimento permanente e l’IRC?

Pomeriggio

  • Laboratori

 

Martedì 17 dicembre

  • Lucillo Maurizio: Le riforme della Scuola e l’IRC
  • Trenti Zelindo: Linguaggio e competenza nell’IRC
  • Wierzbicki Miroslaw: Processi di apprendimento nell’IRC

Pomeriggio

  • Laboratori

 

Mercoledì 18 dicembre

  • Moral José Luis: Linguaggio, comunicazione e religione
  • Romio Roberto: Progettare e valutare le competenze religiose scolastiche

Pomeriggio

  • Tavola rotonda:
  • Coordinatore: Corrado Pastore
  • Pellerey, Kannheiser, Usai, Diana, Lucillo, Wierzbicki

Dopo Cena

  • Incontro con don Daniele Saottini
  • Responsabile del Servizio Nazionale CEI per l’insegnamento della religione cattolica

 

Giovedì 19 dicembre

  • Diana Massimo: Competenza relazionale nell’Idr
  • Kannheiser Franca: Compiti di sviluppo e competenze IRC

Pomeriggio

  • Laboratori

 

Venerdì 20 dicembre

  • Bissoli Cesare: La componente biblica nelle NIN dell’IRC. Una lettura pedagogico-didattica
  • Usai Gianpaolo: Studente e apprendimento nell’IRC

Pomeriggio

  • Laboratori

 

Sabato 21 dicembre

  • Lucillo – Trenti – Romio: Presentazione Libro L’ospite atteso
  • Verifica dei laboratori
  • Conclusione

 

Note

Cf. www.rivistadipedagogiareligiosa.unisal.it

Le iscrizioni al Corso devono pervenire via Fax o Mail entro il 30 novembre 2013 alla Segreteria dell’Istituto di Catechetica.

  • Il numero massimo di partecipanti è di 50 persone, oltrepassato il quale si elabora una lista di attesa.
  • Invio della scheda di iscrizione direttamente presso la Segreteria dell’Istituto di Catechetica all’Università Salesiana nei termini indicati.
  • Direttore del Corso: Prof. Corrado Pastore

Vice-Direttore: Prof. Miroslaw Wierzbicki

SCARICA:  SCHEDA DI ISCRIZIONE

 

Informazioni

Iscrizioni e Informazioni

Segreteria Istituto di Catechetica

Università Pontificia Salesiana

Piazza Ateneo Salesiano, 1

00139 ROMA

Tel 06 87290.651; 06 87290408

Fax 06 87290.354

Cell. 3898805612.

e-mail: catechetica@unisal.it

orario di ufficio:

9.00 -12.30 da Lunedì a Venerdì

 

Sede del Corso

Casa Domus Urbis

Opera don Guanella

Via della Buffalotta, 550

00139 Roma

 

Per giungere a Domus Urbis

1. Dalla Stazione Termini  linea 90 – scendere fermata Adriatico/Lampedusa . Alla stessa fermata prendere la linea 86 (7 fermate) e scendere alla fermata Castellani/Bufalotta (Centro Commerciale Carrefour). A piedi  50 metri fino a Domus Urbis. 

2. Dalla Stazione Termini prendere la Metro B1 e scendere a Piazza Conca d’Oro (fine corsa), uscire dalla parte di Via Martana. Prendere la linea 86 (Marmorale) per 13 fermate e scendere alla fermata Castellani/Bufalotta (Centro commerciale Carrefour).  

Arrivo a Domus Urbis

Coloro che arrivano da fuori Roma possono giungere alla Sede del Corso domenica 15 dicembre nel pomeriggio.

Religione a scuola, i perché della scelta

Avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica: in vista della scelta per il prossimo anno scolastico, la Presidenza della CEI si rivolge a studenti e genitori, invitandoli a “guardare con fiducia e con simpatia a questo servizio educativo”, che “consente a tutti, a prescindere dal proprio credo religioso, di comprendere la cultura in cui oggi viviamo in Italia, così profondamente intrisa di valori e di testimonianze cristiane”.
L’impegno e la passione della Chiesa per la scuola si esprimerà anche in un incontro pubblico con il Papa il prossimo 10 maggio in Piazza San Pietro, a cui sono invitati studenti, insegnanti, famiglie ed educatori.
In allegato, il testo del Messaggio.
 

La mafia uccide solo d’estate

Le stragi di mafia? Ve le racconto io!

di Ermanno Giuca

Pif, conduttore di Mtv, approda al cinema con “La mafia uccide solo d’estate”. Gli anni dello stragismo raccontati attraverso gli occhi di un bambino palermitano, che da grande vuole fare il giornalista.

Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif, è noto al pubblico televisivo (in particolare quello giovanile) per il Testimone, programma televisivo in onda su Mtv, che lui stesso conduce. Con una semplice telecamera ed una massiccia dose di irriverenza, Pif realizza inchieste giornalistiche, intervistando personaggi celebri, intrufolandosi in eventi ufficiali o raccontando semplicemente storie che non sempre trovano spazio nelle prime pagine dei quotidiani.

Stavolta, però, il salto è stato decisamente ambizioso. Il conduttore siciliano decide di scrivere, dirigere e interpretare un film tutto suo perché, come racconta lui, «era necessario raccontare una mafia che non si identificasse solo nella figura tarchiata di Totò Riina, ma una mafia che abita nel nostro stesso condominio! Una mafia che frequentava anche la Palermo per bene».

“La mafia uccide solo d’estate“, è una sorta di autobiografia, dove Pif prova a raccontarsi con gli occhi del piccolo Arturo che vive la sua giovinezza nella Palermo degli anni ottanta, la stagione delle stragi di mafia. Mentre lui cerca di farsi notare da Flora, la compagna di classe di cui è innamorato, attorno a sé saltano in aria le vite del generale Dalla Chiesa, di Boris Giuliano, di Pio La Torre fino alle bombe di Capaci e di via d’Amelio del 1992.
Dopo l’incontro con un giornalista, affittuario della casa del nonno, decide che da grande vuole fare proprio quel mestiere. Chiede, cerca, indaga, ma l’unica risposta che riceve da chi lo circonda è che quelle morti sono solo “questione di femmine”. Ben presto, però, riuscirà a conquistare Flora e a baciarla, mentre attorno a loro si celebrano i funerali di Falcone e Borsellino.

Ironizzare sui mafiosi e umanizzare i giudici è stato uno dei primi obiettivi che il regista si è posto, perché «Paolo Borsellino non era un santo ma era uno come noi». E su questa scìa, carta vincente del film sono le crude scene degli attentati corredate da una colonna sonora rilassata, divertente, quasi da commedia. Una forma di racconto che rende ancora più drammatico tutto ciò a cui lo spettatore assiste.

Riuscire a trasmettere alle nuove generazioni la tragicità di quegli anni e farlo nel modo più leggero possibile: Pif c’è riuscito raccontando agli italiani parte della sua storia di palermitano. La storia di un bambino che non fa altro che guardarsi attorno. Per fortuna, però, è ancora inverno.

TRAILER

La mafia uccide solo d’estate