Il sinodo per l’Amazzonia un anno dopo

A un anno dalla celebrazione del sinodo per l’Amazzonia, che si è tenuto in Vaticano dal 6 al 27 ottobre 2019, si tenta ora di tracciare un primo bilancio degli sviluppi che ne sono derivati. A fare il punto sono stati nei giorni scorsi alcuni partecipanti al sinodo di lingua tedesca in una videoconferenza organizzata ad Aquisgrana dalle organizzazioni caritative Misereor e Adveniat.

Voci e pareri sul cammino della Chiesa in Amazzonia

Una voce critica – come riferisce l’agenzia KNA del 21 ottobre scorso – è stata quella del teologo della liberazione Paulo Suess. A suo modo di vedere, nei dibattiti al sinodo c’è stata sì una grande apertura a vere riforme, ma alla fine hanno prevalso i «tradizionalisti» che volevano il minor cambiamento possibile. Hanno «messo all’angolo il papa», accusandolo persino di essere fautore di divisione e di eresie, ossia di falsi insegnamenti. Per questo Francesco sarebbe stato «molto cauto» nel Documento finale del sinodo. Secondo Suess, una forte Chiesa locale indigena sarebbe «un arricchimento per l’intera Chiesa mondiale e in nessun modo una minaccia, come alcuni temono».

Diverso, invece, il parere del vescovo tedesco Johannes Bahlmann, di Obidos (Amazzonia): gli indigeni e tutte le altre persone della regione amazzonica si sono sentiti rafforzati dal sinodo e hanno sviluppato una nuova fiducia in se stessi.

Per suor Birgit Weiler, del Perù, all’interno della Chiesa è gratificante che le donne e le popolazioni indigene dell’America Latina siano ora maggiormente coinvolte. È importante, tuttavia, che non siano solo consultate, ma anche che abbiano voce nelle decisioni. Ci sono qui molti segnali positivi – ha sottolineato –, e ha espresso la viva speranza che continuino ad essere tradotti in pratica.

Riferendosi all’attuale pandemia del coronavirus, ha affermato che questa ha mostrato «in tutta la sua brutalità» quanto siano drammatiche le differenze sociali e le ingiustizie che ne derivano: vittime sono soprattutto i poveri che, affidati a un sistema sanitario pubblico marcio, non possono rimanere a casa per proteggersi. Inoltre – ha proseguito – è aumentata notevolmente la violenza contro le donne. La Chiesa deve quindi esercitare una pressione più energica sulla politica per punire la violenza e far rispettare i diritti umani.

Michael Heinz, amministratore delegato dell’organizzazione umanitaria per l’America Latina Adveniat, ha affermato che, in seguito al sinodo, si sono ora create nuove reti nella regione amazzonica. A differenza della Germania, dove i documenti vengono spesso «archiviati e rapidamente dimenticati», i documenti sinodali in America Latina sono stati molto discussi e si sono dimostrati «pieni di vita». Oltre alla precedente opzione per i poveri e i giovani, ora si è aggiunta anche un’«opzione per la creazione e per i popoli indigeni».

Nella videoconferenza, l’amministratore delegato della Misereor, Pirmin Spiegel, si è riferito ai dibattiti in corso sull’accordo UE-Mercosur sulle relazioni commerciali con i paesi sudamericani. Il fatto che in questa area le questioni sugli standard ambientali, i diritti umani e il controllo democratico giochino un ruolo decisivo può essere considerato anche come esempio di ciò che potrebbe derivare concretamente dai dibattiti al sinodo sull’Amazzonia.

Il silenzi su certe richieste

Il papa è stato criticato da più parti per la mancanza di riforme su alcuni temi molto attesi. Nell’esortazione post-sinodale Querida Amazonia, pubblicata lo scorso febbraio, egli non ha accolto i suggerimenti dell’assemblea sinodale di ordinare sacerdoti uomini sposati maturi né di prevedere un diaconato per le donne in casi eccezionali e tantomeno di alleviare l’obbligo del celibato per i preti. Come prima misura per combattere la carenza di sacerdoti in Amazzonia, Francesco ha invece raccomandato di pregare per un numero maggiore di vocazioni, di provvedere un migliore utilizzo dei sacerdoti esistenti nella regione e favorire una formazione più appropriata. Nel complesso – ha sottolineato – la Chiesa e la cura pastorale in Amazzonia dovrebbero essere maggiormente caratterizzate dalla presenza di laici impegnati.

Ma, come è stato riferito da Civiltà Cattolica, ha spiegato così le ragioni del suo silenzio su quei temi che erano i più attesi da una certa opinione pubblica: «C’è stata – ha dichiarato – una discussione… una discussione ricca… una discussione ben fondata, ma nessun discernimento, che è qualcosa di diverso dall’arrivare ad un buono e giustificato consenso o a maggioranze relative. Dobbiamo capire – ha precisato – che il sinodo è più di un parlamento; e in questo caso specifico non poteva sfuggire a questa dinamica. Su questo argomento è stato un parlamento ricco, produttivo e persino necessario; ma non più di questo. Per me questo è stato decisivo nel discernimento finale, quando ho pensato a come fare l’esortazione».

Francesco ha poi chiarito che un sinodo dovrebbe essere un luogo di riflessione orante e non un luogo in cui si sviluppano pressioni lobbistiche di tipo parlamentare.

La  Conferenza della Chiesa per l’Amazzonia

Uno dei frutti più importanti del sinodo è stata senza dubbio la creazione, lo scorso mese di giugno, della nuova Conferenza ecclesiale dell’Amazzonia.

Non è stato facile arrivarci. I mesi per giungere alle delibere e i relativi preparativi, che si sono svolti in gran parte in segreto, sono stati duri. Secondo alcune informazioni, un certo numero di forze conservatrici era scettico; e c’era una resistenza anche in Vaticano.

La scelta della data di quella istituzione non è stata casuale: il 29 giugno 2020, giorno in cui si celebra la solennità dei santi Pietro e Paolo. E ciò conferma la vocazione del nuovo organismo di «porsi al servizio della Chiesa, della sua opzione profetica e della sua azione missionaria in uscita». «Ci sembra – sostiene la nota dell’annuncio – che la nascita di questa Conferenza ecclesiale sia un atto di speranza, unito al magistero di papa Francesco, che ha accompagnato da vicino tutto il processo». Ma non solo: la Conferenza ecclesiale dell’Amazzonia vuole essere anche una proposta concreta «in questi tempi difficili ed eccezionali per l’umanità, mentre la pandemia colpisce con forza la regione panamazzonica e le realtà di violenza, di esclusione e di morte nei confronti del bioma e dei popoli che lo abitano reclama un’urgente quanto imminente conversione integrale».

Con la creazione di questa Conferenza, si raccolgono due istanze emerse dal sinodo: la prima, riportata nel Documento finale, chiede di «creare un organismo episcopale che promuova la sinodalità tra la Chiesa della regione panamazzonica, che aiuti a delineare il volto amazzonico della Chiesa e continui nell’impegno di trovare nuovi cammini per la missione evangelizzatrice» (n. 115). La seconda, invece, è espressa da papa Francesco nella sua esortazione apostolica post-sinodale Querida Amazonia ed è l’auspicio «che i pastori, i consacrati, le consacrate e i fedeli laici dell’Amazzonia si impegnino nell’applicazione» del lavoro sinodale (n. 4).

Il cardinale peruviano Pedro Barreto, vicepresidente di Repam, considera la Conferenza ecclesiale dell’Amazzonia come «un dono al papa e alla regione amazzonica». Le strutture modificate potrebbero aiutare a facilitare il percorso verso le riforme. Nella Conferenza ora costituita sono rappresentati vescovi, sacerdoti, diaconi e membri delle popolazioni indigene di tutti gli stati amazzonici. «Non ci sono nazionalismi, né divisioni», sottolinea Barreto. Si tratta della Chiesa come spazio di vita comune che deve essere protetto a beneficio di tutta l’umanità.

La Conferenza è composta dai rappresentanti di nove paesi della regione amazzonica. A presiedere la conferenza sarà il cardinale Hummes. Un fatto rilevante è la scelta di inserire nell’organismo tre rappresentanti indigeni: due laici – Patricia Gualinga e Dario Siticonatzi, rispettivamente dei popoli sarayaku e ashaninka – e suor Laura Vicuña, del popolo kariri.

Secondo lo statuto, il nuovo organismo dovrà essere collegato con il CELAM – Consiglio episcopale latinoamericano – e cooperare con il Repam (Rete ecclesiale panamericana, con sede a Quito, in Ecuador) anche se con uno statuto autonomo.

Il presidente del CELAM, l’arcivescovo Miguel Cabrejos, è stato coinvolto nella pianificazione sin dall’inizio, assicura Barreto, «ma non siamo solo semplicemente un’altra istituzione». Il progetto è sostenuto da popolazioni indigene, laici e clero allo stesso modo, il che significa che esso possiede una grande propulsione. Inoltre, il progetto promuove il decentramento voluto dal papa. Papa Francesco accompagna perciò l’iniziativa con grande compiacimento.

Le aspettative dalla Conferenza ecclesiale amazzonica sono grandi. I cattolici di tutto il mondo sperano vivamente di ricevere impulsi per un rinnovamento della Chiesa dal sinodo per l’Amazzonia. Tuttavia, per le ragioni dette, l’esortazione apostolica post-sinodale Querida Amazonia di Francesco è stata accolta da alcuni con una certa delusione. È probabile, comunque, che le discussioni ricomincino presto.

Il Documento finale del sinodo si augura che l’organismo ora istituito nell’incontro dei vescovi «trasmetta le idee che sono state sollevate a tutta l’area della Chiesa in America Latina e nei Caraibi». Ciò significa che il processo postsinodale è tutt’altro che concluso.

Dalla frammentazione dei saperi all’Universitas

Il 6 e il 7 novembre 2020, in modalità telematica, il modulo formativo della FUCI affronta la sfida di edificare l’Università come una comunità.

Si terrà dal 6 al 7 novembre 2020 sulla piattaforma digitale Zoom il modulo formativo per studenti e assistenti promosso dalla Federazione Universitaria Cattolica Italiana (FUCI). L’evento, giunto alla sua ottava edizione, intende – scrive la presidenza nazionale – “creare un’occasione di incontro in cui poter custodire le differenze specifiche di ogni realtà e da queste lasciarsi stupire e interrogare, affinché si rigeneri sempre la spinta che anima i nostri cammini”. L’iniziativa verterà “sulla necessità di leggere lo stato di realtà della frammentazione dei saperi per conoscere il passato, vivere pienamente il presente e proiettarsi nell’avvenire”.

A guidare i lavori di venerdì 6 novembre saranno i professori Francesco Rosito, docente di filosofia teoretica al “Seraphicum” di Roma, e Massimo Faggioli della Villanova University di Philadelphia. Sabato 7 novembre sono previsti workshop per i fucini e per gli assistenti, conclusi dal lancio delle adesioni per l’anno in corso, caratterizzato dal tema “Presenti! Rispondiamo insieme all’oggi che chiama”.

Per le modalità di partecipazione e ulteriori informazioni: http://www.portale.fuci.net/event/ix-modulo-formativo/

Un roditore, la sua tana e la scuola nella pandemia

Il 3 aprile scorso Moralia pubblicò un mio post, sulla didattica a distanza, che si apriva con un racconto di Asimov. Ora siamo tornati «in presenza», ma per quanto? Alcune aule sono già deserte a causa delle quarantene, altre decurtate per gli isolamenti fiduciari; solo poche classi resistono nella loro interezza. E nei corridoi non riecheggiano i chiacchiericci spensierati e giovanili, ma aleggia una tanto impalpabile quanto densa paura. E così, questa volta, prendo spunto da un noto racconto di Franz Kafka, La tana, scritto tra il 1923 e il 1924.[1]

La trama in breve

Molte sono le interpretazioni che sono state date al racconto (da quelle psicanalitiche a quelle autobiografiche). Non ci addentriamo in esse, ma credo possa ben rappresentare, in questo momento, il nostro desiderio di sicurezza, le paure connesse nel vederlo a rischio, le tentazioni che ci allettano.

La trama narra di un roditore che trascorre l’esistenza a costruirsi un labirintico rifugio, sottoterra, a prova di minaccia, dove poter mettere al sicuro la propria vita.

Il monologo inizia con toni compiaciuti: «Ho assestato la tana e pare riuscita bene», ma ben presto cambia registro: nuovi pericoli fanno capolino nella mente del protagonista, ampliati dall’immaginazione, generando paure e ansie nuove.

Ma soprattutto crea un isolamento crescente: «No, no, tutto sommato non devo proprio lamentarmi di essere solo e di non aver nessuno di cui fidarmi. Così certamente non perdo alcun vantaggio e forse mi risparmio qualche danno. Fiducia posso avere soltanto in me e nella tana».

Il racconto è rimasto incompiuto («Tutto invece è rimasto immutato…» «conclude» Kafka lasciandoci in sospeso): forse già questo dato può essere interpretato come metafora di ansie, paure, desideri di sicurezza non affrontati e quindi parossistici.

Due alleate: la paura e la fiducia

Quattro spunti per l’educazione o la riflessione personale.

  1. Intanto il protagonista costruisce sottoterra. La riflessione morale – e in particolare quella teologica – non può permettersi di «lavorare» sottoterra (così come non può neppure, al contrario, rifugiarsi in un immaginario iperuranio). Al contrario: deve rimanere attaccata «alla terra», alla realtà. E affrontarla. In qualche modo si tratta di un’operazione che parte «dai piedi» (sia perché siamo attaccati alla terra, sia perché siamo in cammino).
  2. La teologia morale – anche nei suoi aspetti educativi – compie (dovrebbe compiere) un’operazione inversa a quella del roditore. Egli, infatti, investe l’esistenza per assicurarsi la vita. La teologia morale e l’educazione dovrebbero aiutare a comprendere come investire la vita per «assicurarsi» (con tutte le virgolette del caso!) l’esistenza.
  3. La paura (che tutti abbiamo provato e/o stiamo provando) viene vissuta dal roditore solo nella sua carica distruttiva, nel suo essere «nemica da combattere». Ma la paura può avere anche un aspetto fecondo, evolutivo: in fondo, a ben pensarci, spesso è anche la scintilla che mette in moto le nostre virtù, sia cardinali, sia spirituali.
    E se siamo confusi (e i ragazzi ancora più di noi) è perché abbiamo pencolato tra messaggi contrastanti: dalla martellante retorica di un #andràtuttobene (quasi magicamente, senza responsabilità e impegno umani) alla sfida alle regole, che mette a rischio l’incolumità personale e altrui, passando dall’angoscia mediata da numeri, statistiche, limitazioni e dal sospetto.
    Da sempre la paura si presenta nella sua duplice veste di nemica e alleata: forse è davvero giunto il momento di darle maggiore spazio di elaborazione e comprensione (anche culturale) nell’educazione e nella riflessione teologico-morale.
  4. Infine: il roditore si isola. E forse è la tentazione di molti, oggi (tentazione talora anche delle stesse comunità ecclesiali). Ma sappiamo bene come la fiducia sia un sentimento necessario affinché un essere umano si apra «all’altro», al mondo, alla vita. Senza educazione alla fiducia (e relativa riflessione teologico-morale) risultano inconsistenti anche i presupposti per aprirsi alla fede «all’Altro».

 

Gaia De Vecchi è insegnante di religione presso l’Istituto Leone XIII e docente presso l’Università cattolica del Sacro Cuore e l’Istituto superiore di scienze religiose a Milano. Fa parte dell’ATISM e del gruppo di redazione di Moralia. Ha scritto Il peccato è originale?, Cittadella, Assisi 2018.

 

[1] F. Kafka, «La tana», in La metamorfosi e altri racconti, San Paolo, Cinisello Balsamo 1998.

 

Il Regno 22/10/2020

Catechesi, come ripartire insieme

L’Ufficio Catechistico Nazionale della CEI ha messo a disposizione le registrazioni degli interventi del convegno nazionale “Ripartiamo insieme”, tenutosi online il 25 settembre 2020 e rivolto ai direttori degli Uffici catechistici diocesani, ai catechisti e ai collaboratori pastorali delle parrocchie impegnati territorialmente nell’annuncio e nella catechesi. Il primo è quello di Roberto Repole, presbitero docente di Teologia sistematica presso la sezione di Torino della Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale e la Facoltà Teologica del Triveneto e presidente dell’Associazione Teologica Italiana, che ha riflettuto sul volto della comunità oggi, in tempo di pandemia.

 

Il secondo intervento è quello di Pier Cesare Rivoltella, professore ordinario presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, presidente della SIREM – Società Italiana di Ricerca sull’Educazione Mediale, direttore del CREMIT, dove ha inaugurato l’Osservatorio sui Media e i Contenuti digitali nella scuola, e membro del consiglio direttivo dell’associazione WeCa – Web Cattolici, che ha approfondito il tema dal punto di vista della comunicazione e dei linguaggi.

 

Infine, Pierpaolo Triani, professore ordinario e direttore del Centro studi per l’educazione alla legalità presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, ex direttore della Rivista Scuola e Didattica e membro dell’Osservatorio Nazionale dell’Infanzia e dell’Adolescenza, ha dato una lettura e una prospettiva sulle linee guida.

 

Non è un luogo per credenti

Le grandi e storiche istituzioni, laiche o religiose che siano, sembrano in egual misura divenute spazi di pratiche e retoriche incapaci di rinnovarsi e che gli individui faticano a sentire propri. Si amplificano così le dinamiche del fai-da-te, dove quegli aspiranti credenti che restano gli esseri umani tracciano itinerari sempre più personalizzati, che prevedono qualche volta l’abbandono, la diserzione, ma molto più spesso la selezione, il patteggiamento, l’appartenenza condizionata, l’autogestione e molte altre tattiche simili. Non è più necessario addentrarsi in qualche complesso studio demoscopico per avere riscontri di questi processi.

Nella crisi delle istituzioni

Basta osservare quello che succede anche alla nostra Chiesa. Che l’istituzione stia vivendo momenti di non felice reputazione sembra chiaro a tutti. Eppure le sue palesi inadeguatezze non riguardano tanto gli “scandali” con cui a ripetizione i suoi luoghi di potere allietano la nostra cronaca, meglio di Netflix, con i loro noir quotidiani. Sesso, soldi e potere sono in fondo zone d’ombra facili da riconoscere, da stigmatizzare e a limite, per il credente, anche da perdonare.

Quello che resta più difficile da vedere è la conclamata incapacità del cattolicesimo istituito nell’essere luogo che consenta alla fede di avere una forma reale. Possibilmente nel presente, non in un ideale senza tempo. L’impressione è che cresca sempre di più il numero di quanti per poter dare forma alla propria fede devono mettersi, se non fuori, per lo meno ai margini della Chiesa, in qualche circoscritta oasi di condivisione personalizzata. Il quesito che grava sulla Chiesa di oggi è se essa sia ancora un posto per credenti (per credenti, non per affezionati alle pratiche religiose).

Una domanda come questa, adeguatamente calibrata secondo i rispettivi domini, potrebbe riguardare allo stesso modo tutte le Chiese, i partiti, la scuola, i sindacati, persino la scienza e tutte quelle istituzioni che ogni giorno fanno i conti con la crescente disaffezione degli individui che dovrebbero trovare in esse forme compatibili alle loro attese. Bisogna rendere atto a papa Francesco, almeno per quel che riguarda i problemi della Chiesa, di aver provato a prendere il toro per le corna. Quanto la sfida si stia rivelando ardua lo vediamo tutti. Nondimeno non va misconosciuto il coraggio spirituale di un tentativo che mira a salvare proprio l’esausta vocazione generativa di una Chiesa molto prossima alla sterilità clinica. Attraverso segni, discorsi, simboli, uomini, scelte, per la verità non tutto andato sempre a segno, Francesco ha perlomeno immesso nei discorsi di Chiesa il vocabolo «riforma», conferendo a esso un significato di trasformazione che ha di mira un cattolicesimo nuovamente ospitale delle differenze in cui chiunque può trovare la forma della propria fede. Fratelli tutti, seconda enciclica del pontificato, fa parte di questo tentativo.

L’intuizione di Francesco

La sua intuizione principale consiste nel comprendere che di una simile questione il cristianesimo tradizionale e istituito non può venire a capo da solo, ma soltanto occupandosi contemporaneamente del “credere” di tutti, che anzitutto riguarda la possibilità di porre quotidianamente fiducia in un mondo umano e ospitale, luogo di quella giustizia che, sperimentata nella storia, può anche essere attesa anche dopo di essa. Senza la cura seria e concreta di una tale giustizia anche la speranza religiosa finisce per gracchiare dagli altoparlanti di un’ideologia come le altre. L’“aver fede” di ciascuno riguarda sempre anche il “poter credere” di tutti. E il tema della “fraternità”, in questo senso, rappresenta qualcosa di più del suono familiare e un po’ bigotto del gergo religioso che di fatto ne è rimasto l’erede quasi esclusivo.

Ispirato per esplicita ammissione alla tradizione francescana, “fraternità” è nel contempo il termine rimosso dalla triade che ha fatto nascere la nostra modernità illuminata e secolare: liberté, egalité, fraternité. La civiltà scaturita da quelle parole d’ordine è anche quella che ha sostanzialmente privilegiato le prime due, fondando un sistema sociale basato sulle libertà individuali e sull’uguaglianza dei diritti che, senza il principio attivo di un primato dei legami, ha trasformato il mondo nello spazio antagonistico di un’arena in cui tutti vogliono tutto come tutti ma dove pochi possono avere quello che resta solo di qualcuno.

Molti segnali, allarmanti quanto normalmente ignorati, contribuiscono a rendere seri questi discorsi e sottrarli al sorrisetto impudente dei cinici. Le strutture economiche, i metodi della produzione, la burocrazia dei diritti, il sistema comunicativo, le prassi politiche, le deviazioni finanziare e tutto quanto compone l’impalcatura di questa civiltà esaltata e frenetica, viene messo allo specchio dei suoi costi sociali, degli “scarti” sistematici che, trasformati in numeri statistici, non disturbano col loro volto umano e personale. L’intensità della sua marcia, senza fine e senza fini, domina il mondo proclamando il convincente slogan «Liberi tutti!», motto araldico della presente ecumene capital informatica.

Qualcosa di epocale

Diffondendo l’espressione Fratelli tutti, il papa compie qualcosa di molto più grande che immettere nel chiacchiericcio globale qualche goccia di francescanesimo edificante; rivendica la completezza dei sogni moderni compromessi da pericolose omissioni, come un composto chimico che, senza uno solo dei suoi elementi, diventa un veleno mortale. È qualcosa di francamente epocale. I primi a capirlo saranno ancora una volta i difensori di un paradigma tecnomercantile che, per quanti inconvenienti stia incontrando, non mostra affatto segni di indebolimento: non mancheranno di screditare un pontificato che non detesteranno mai abbastanza; gli ultimi a capirlo saranno ancora una volta quei mandarini ecclesiastici che troveranno questo documento non sufficientemente religioso perché eccessivamente sociale: non mancheranno di contare i giorni in vista di un cambio di pagina.

In questa enciclica, che tra vari (per qualcuno irritanti) primati ha anche quello di contenere (credo per la prima volta) la citazione di una canzone (Samba da Benção, di Vinicius de Moraes), scommette sulla resa di un capitale spirituale che da troppo tempo il cristianesimo tiene sotto la mattonella dell’immobilità. Far valere qualcosa che è di tutti non significa scordare quello è proprio. Significa alimentare l’aria in cui esso può respirare.

Giovanni XXIII insisteva nel perseguire quello che unisce anziché quello che divide. Francesco mobilita ogni energia possibile per dare a questo principio forma sociale. Sa di poter parlare a molta «gente di fede» che non necessariamente si trova oggi tra la «gente di Chiesa». Nella speranza di riportare molta «gente di Chiesa» a essere anche e ancora «gente di fede».

di: Giuliano Zanchi

Educazione alla cittadinanza e al dialogo interreligioso

Il pluralismo religioso è una dimensione della nostra società multiculturale di cui la scuola italiana può esserne lo specchio. L’insegnamento
della religione come elemento sociale può divenire un percorso per un’educazione alla cittadinanza e, come elemento personale, può essere una strada per formare al dialogo.
Questo volume, rivolto ad educatori, docenti (in specie di religione) e studiosi del fenomeno della multireligiosità, ha cercato di cogliere
alcune peculiarità della sfida culturale del pluralismo religioso nella scuola italiana.
All’interno del testo è esaminata la questione della religious education in un’ottica europea e nell’interpretazione che ne è data nel nostro paese. Vengono poi rintracciate alcune buone prassi portate avanti nella scuola secondaria di secondo grado e nell’ultima parte si presentano
sei studi caso su alcuni progetti didattici che hanno affrontato il tema del pluralismo religioso.
Il volume si conclude con una proposta per l’oggi per affrontare la multireligiosità in chiave interculturale.

Educazione alla cittadinanza e al dialogo interreligioso

 

Carlo Macale, Dottore di Ricerca in Studi Umanistici (indirizzo Scienze
dell’Educazione) è assegnista di Ricerca presso l’Università degli Studi di Roma
“Tor Vergata” con il sostegno della Fondazione Intercultura Onlus e docente a
contratto presso la stessa università. Ha partecipato come relatore a convegni
nazionali e internazionali. Ha preso parte a diverse ricerche accademiche ed è
autore di varie pubblicazioni scientifiche di natura pedagogica.

 MESSAGGIO DEL PAPA PER IL LANCIO DEL PATTO EDUCATIVO

«Davanti a questa realtà drammatica, sappiamo che le necessarie misure sanitarie saranno insufficienti se non verranno accompagnate da un nuovo modello culturale. Questa situazione ha fatto crescere la consapevolezza che si deve imprimere una svolta al modello di sviluppo. Affinché rispetti e tuteli la dignità della persona umana, esso dovrà partire dalle opportunità che l’interdipendenza planetaria offre alla comunità e ai popoli […]. In tale contesto, vediamo che non bastano le ricette semplicistiche né i vani ottimismi. Conosciamo il potere trasformante dell’educazione: educare è scommettere e dare al presente la speranza che rompe i determinismi e i fatalismi con cui l’egoismo del forte, il conformismo del debole e l’ideologia dell’utopista vogliono imporsi tante volte come unica strada possibile.»

Parte dalle cupe prospettive sull’istruzione dei bambini e dai divari educativi aggravatisi con la pandemia il videomessaggio di Papa Francesco per l’incontro di ieri promosso e organizzato dalla Congregazione per l’educazione cattolica “Global compact on education. Together to look beyond”. Per far sì che l’educazione sia un atto di speranza, che aiuti a sorpassare la logica sterile e paralizzante dell’indifferenza e accogliere la nostra comune appartenenza, occorre che sia un naturale antidoto alla cultura individualistica e un percorso integrale di umanizzazione, partecipazione e condivisione.

«Nella storia esistono momenti in cui è necessario prendere decisioni fondanti, che diano non solo un’impronta al nostro modo di vivere, ma specialmente una determinata posizione davanti ai possibili scenari futuri. Nella presente situazione di crisi sanitaria — gravida di sconforto e smarrimento — riteniamo che sia questo il tempo di sottoscrivere un patto educativo globale per e con le giovani generazioni, che impegni le famiglie, le comunità, le scuole e le università, le istituzioni, le religioni, i governanti, l’umanità intera, nel formare persone mature. […] Il valore delle nostre pratiche educative non sarà misurato semplicemente dal superamento di prove standardizzate, bensì dalla capacità di incidere sul cuore di una società e di dar vita a una nuova cultura.»

Il pontefice chiede quindi di impegnarsi, personalmente e insieme, a:
– mettere al centro di ogni processo educativo la persona, il suo valore e la sua dignità per farne emergere la specificità, la bellezza, l’unicità e la capacità di essere in relazione con gli altri e con la realtà che la circonda;
– ascoltare la voce dei bambini e ragazzi a cui trasmettiamo valori e conoscenze per costruire un futuro di giustizia e di pace;
– favorire la piena partecipazione delle bambine e delle ragazze all’istruzione;
– vedere nella famiglia il primo e indispensabile soggetto educatore;
– educare ed educarci all’accoglienza, in particolare dei più vulnerabili ed emarginati;
– trovare altri modi di intendere l’economia, la politica, la crescita e il progresso, perché siano davvero al servizio dell’intera famiglia umana nella prospettiva di un’ecologia integrale;
– custodire e coltivare la nostra casa comune, proteggendola dallo sfruttamento delle sue risorse, adottando stili di vita più sobri e puntando al completo utilizzo di energie rinnovabili e rispettose dell’ambiente umano e naturale.

Papa Francesco chiude il suo messaggio esortando a guardare avanti con coraggio e con speranza e ricordando che le grandi trasformazioni non si costruiscono a tavolino: sia le varie istituzioni che le persone di una società devono intervenire insieme, ciascuna secondo la propria competenza.

Leggi qui il testo completo del messaggio

 

WEBINAR formativi di approfondimento

Proposta sostenuta dagli uffici catechistici regionali e diocesani e che prevede la scelta di alcune tematiche specifiche del territorio ed essere così oggetto di incontri on line di formazione.

Cercando di accompagnare l’attività del territorio ed offrire proposte di formazione che sostengano e affianchino gli uffici diocesani, nel pieno rispetto della sensibilità delle singole comunità, l’Ufficio Catechistico Nazionale ha il piacere di presentarvi i “Webinar formativi di approfondimento”. Idea nata durante i Laboratori sull’Annuncio che si sono svolti nel mese di luglio e presentata lo scorso 25 settembre in occasione del Convegno Nazionale on line dei Direttori UCD e dei Catechisti.

Tale proposta, sostenuta dagli uffici catechistici regionali e diocesani, prevede la scelta di alcune tematiche che possano raccogliere le esigenze specifiche del territorio ed essere così l’oggetto degli incontri on line di formazione. Affidati ad esperti di diversi ambiti, gli incontri diverrebbero opportunità di formazione e condivisione per operatori pastorali delle parrocchie e delle diocesi.

Come UCN proponiamo di raccogliere le varie proposte sulle tematiche da approfondire che perverranno dalla rete diocesana: dai catechisti, attraverso i propri direttori diocesani e regionali.

A tal scopo è stato istituito l’indirizzo di posta elettronica ucnrisponde@chiesacattolica.it, al quale dovranno pervenire le varie proposte sui temi, indicando: nome e cognome del referente, diocesi di appartenenza, ufficio o gruppo diocesano, proposta di tematica.

Siamo certi che la strada che abbiamo intrapreso insieme, nella piena condivisione di obiettivi e metodi, sia la migliore da percorrere per accompagnare le nostre comunità in questo periodo delicato e impegnativo.

Equipe UCN

Videocatechismo: “LearninGod”

È stata lanciata  alla 77ma Mostra internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia la Piattaforma digitale “LearninGod”, che offrirà al grande pubblico contenuti religiosi, artistici e culturali ispirati al messaggio del sacro universale.

Sulla nuova Piattaforma sarà possibile vedere in esclusiva il kolossal Videocatechismo della Chiesa Cattolica, opera multimediale e multilingue della durata di 25 ore suddivise in 46 episodi, prodotto da Tania Cammarota e Gjon Kolndrekaj, realizzato dalla Società CrossInMedia, con il patrocinio del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, sui testi della Libreria Editrice Vaticana. Un’opera artistica unica, che aiuta a scoprire i contenuti della fede professata, celebrata, vissuta e pregata, rivolta a tutti gli uomini del nostro tempo.

Girato con la tecnologia del 4K in 70 Paesi nel mondo, il Videocatechismo ha visto la partecipazione di 60mila persone, in 16mila differenti location. I testi del Catechismo sono stati letti in 37 lingue diverse, mentre 1200 attori in costume hanno ricostruito in fiction scene del Vecchio e del Nuovo Testamento.

La Piattaforma “LearninGod” nasce adesso per arricchire, tramite il Web e le nuove tecnologie, l’esigenza di approfondimento su Dio e sul Sacro avvertita dalle nuove generazioni. L’alto livello delle opere e dei contenuti, difficilmente reperibili sia sui canali tradizionali che all’interno di piattaforme online, la pone ai primi posti tra le piattaforme che presentano prodotti di qualità. Si va così a completare l’offerta multimediale dell’opera, affiancandosi ai formati già presenti: editoriale, libri illustrati con dispositivo digitale, serie televisiva, audiobook.

Il lancio della Piattaforma è avvenuto questa mattina nel corso di una conferenza stampa che si è svolta presso lo spazio dell’Ente dello Spettacolo all’Hotel Excelsior, e che ha visto la partecipazione del patriarca di Venezia monsignor Francesco Moraglia, di padre Antonio Spadaro, direttore de “La Civiltà Cattolica”, di Mogol, poeta e autore, di Gjon Kolndrekaj, regista del Videocatechismo.

I relatori hanno aiutato a comprendere il valore delle parole a confronto con la Parola, e la complessa opera di “traduzione” delle parole in immagine, come è avvenuto con il Videocatechismo, in cui un testo di oltre 1000 pagine densissimo di concetti è divenuto un film di 25 ore, opera che ha richiesto quasi sei anni di lavoro.

In un mondo di parole, la Parola della fede cattolica, cioè universale, è capace di connettere persone, lingue, culture e competenze. Questa è la sfida di chi ha realizzato il Videocatechismo, tra le cui ambizioni vi è quella di garantire il passaggio forte dalla parola scritta al digitale, inserendo il discorso della fede all’interno dell’ambiente digitale in streaming e tramite app. Questa non è una sfida da poco”, ha rilevato il gesuita padre Spadaro.

Secondo Mogol, “si tratta di un lavoro immenso: il Videocatechismo è un’opera colossale, grandiosa, che rimarrà nella storia e per la quale dobbiamo ringraziare Gjon Kolndrekaj”. “Gli uomini – ha aggiunto il celebre autore – quando ripetono le parole di Gesù si illuminano”.

La mia esperienza con le tre religioni abramitiche – ha spiegato il regista Kolndrekaj a proposito della nuova piattaforma ‘LearninGod’ – mi ha portato alla considerazione finale che tutti i popoli della terra trovano un equilibrio e la pace attraverso un Dio che assicura una convivenza pacifica e dignitosa, tema su cui insiste spesso Papa Francesco. E l’unico modo per esprimere questi concetti di pace, solidarietà, giustizia, bene comune e dignità dell’uomo si trova nel Catechismo, adesso tradotto in immagini. Attraverso il cuore e i sentimenti che suscita la visione cinematografica, si potrà trovare risposta alle tante domande della nostra mente”.

Trovandoci nel tempio della cinematografica, quale è il Festival di Venezia – ha concluso Kolndrekaj – non posso che ricordare come il primo regista della storia sia stato Gesù, che mediante le parabole ha dato spazio all’immaginario, realizzando copioni straordinari e intramontabili”.

Il Catechismo ci aiuta a comprendere quanto noi siamo funzionali a una realtà più grande di noi – ha osservato il patriarca Moraglia –. E credo che l’uomo abbia bisogno di capire di non essere il centro, ma colui che in qualche modo indica qualcosa agli altri. Il Catechismo ci aiuta a indicare nella fede, nella preghiera, nella celebrazione qualcosa che va al di là dell’uomo, ma rispetta profondamente la coscienza di ogni uomo. E credo che questo, veicolato nelle immagini, nei suoni, nelle musiche, nelle bellissime inquadrature di quest’opera sia qualcosa di importante che diventa un annuncio di fede”.

La piattaforma “LearninGod” intende proporre una grande vastità di argomenti che si snoderanno attraverso diverse sezioni: un ricco elenco di libri riguardanti il settore del sacro, attraverso interviste agli autori, presentazioni e approfondimenti; reportage realizzati in varie parti del mondo, in offerta multilingue; interviste inedite ed esclusive in più lingue con capi religiosi, membri del Corpo Diplomatico della Santa Sede ed esperti in diverse materie (arte sacra, storia, letteratura, sport, cinema, spettacolo, teatro); forum digitali per il dibattito con esperti di vari settori, con i quali lo spettatore potrà interagire; eventi di solidarietà realizzati con l’apporto della Fondazione del gruppo, o da organizzazioni religiose e laiche nel mondo; Sezione Giovani, dedicata ai giovani filmaker; news dal mondo.