Università, è legge il decreto Gelmini

CONCORSI – Le commissioni che giudicheranno gli aspiranti professori universitari di prima e seconda fascia saranno composte, a differenza di quanto accadeva finora, da 4 professori sorteggiati da un elenco di commissari eletti a loro volta da una lista di ordinari del settore disciplinare oggetto del bando e da un solo professore ordinario nominato dalla facoltà che ha richiesto il bando.
Lo scopo è quello di evitare di predeterminare l’esito dei concorsi e di incoraggiare un più ampio numero di candidati a partecipare.
Per quanto riguarda i ricercatori, in attesa di un riordino organico del sistema di reclutamento, le commissioni che giudicheranno i candidati al concorso saranno composte da 1 professore associato nominato dalla facoltà che richiede il bando e da 2 professori ordinari sorteggiati da una lista di commissari eletti tra i professori appartenenti al settore disciplinare oggetto del bando.
La valutazione dei candidati avverrà secondo parametri riconosciuti in ambito internazionale.
ATENEI «SPENDACCIONI» – Le università con una spesa per il personale troppo elevata (più del 90% dello stanziamento statale) non potranno fare nuove assunzioni.
La norma vuole porre un freno alle gestioni finanziarie non adeguate (soprattutto nel rapporto entrate-uscite).
Da oggi, dunque, gli atenei che spendono più del 90% dei finanziamenti statali (Fondo di Finanziamento Ordinario) in stipendi non potranno bandire concorsi per docenti, ricercatori o personale amministrativo.
«ATENEI VIRTUOSI» – Più finanziamenti (cioè il 7% del Fondo del Finanziamento Ordinario e del Fondo Straordinario della Finanziaria 2008) saranno distribuiti alle Università migliori: quelle con offerta formativa, con qualità della ricerca scientifica, efficienza delle sedi didattiche migliori.
Le università più virtuose saranno individuate – in tempi molto brevi, assicura il ministero – attraverso i parametri di valutazione Civr (Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca) e Cnvsu (Comitato nazionale valutazione del sistema universitario).
RICERCATORI – Per favorire l’assunzione dei giovani ricercatori, il blocco del turn over (a quota 20% nelle altre amministrazioni) viene elevato al 50%.
Delle possibili assunzioni presso le Università, almeno il 60% dovrà essere riservato ai nuovi ricercatori.
I bandi di concorso per posti da ricercatore già banditi sono esclusi dal turn over (2300 ricercatori) e anche gli enti di ricerca sono esclusi dal blocco delle assunzioni entrato in vigore per tutte le amministrazioni pubbliche.
Con questi interventi si potranno assumere 4000 nuovi ricercatori.
BORSE DI STUDIO – Tutti gli aventi diritto avranno la borsa di studio.
Un incremento di 135 milioni di euro sarà, infatti, destinato ai ragazzi capaci privi di mezzi economici.
Oggi 180 mila ragazzi sono idonei a ricevere la borsa di studio e l’esonero dalle tasse universitarie, ma solo 140.000 li ottengono.
65 milioni di euro saranno destinati a progetti per residenze universitarie (1700 posti letto in più).
08 gennaio 2009 La Camera (281 sì e 196 voti contrari) ha approvato in via definitiva il decreto Gelmini sul riordino del sistema universitario.
Sul decreto, contro il quale in novembre si era mobilitata la protesta di studenti e docenti, il governo aveva chiesto la fiducia.
Voto a favore della maggioranza, no di Pd e Italia dei Valori, con dure critiche basate sulla stima dei tagli che il decreto comporta mentre l’Udc si è astenuta «per offrire un’apertura di credito nei confronti del ministro Mariastella Gelmini».
Che , dal canto suo, è naturalmente soddisfatta del risultato raggiunto: «L’università oggi cambia: valorizzato il merito, premiati i giovani, affermata la gestione virtuosa degli atenei e introdotta più trasparenza nei concorsi all’Università per diventare professori o ricercatori.
Da questi tre pilastri non si potrà prescindere».
Ecco i punti principali del decreto.

In attesa del regolamento sulla valutazione

Torniamo sul tema della valutazione perché rispetto al nostro ultimo intervento di tre mesi fa si sono avute parecchie novità e il quadro deve essere aggiornato.
Il decreto Gelmini è divenuto legge 169/08 ed ha perduto nel corso della conversione in legge quella formula che lasciava aperta la strada all’implicita abrogazione dell’art.
309 del Testo Unico nella parte che vieta l’uso del voto numerico per l’Irc.
La legge rinvia ora solo ad un regolamento che dovrebbe coordinare le norme vigenti e stabilire eventuali ulteriori modalità applicative della norma.
Una prima bozza di questo regolamento è in circolazione da qualche settimana ed è stata già sottoposta al parere del CNPI che non ha potuto fare a meno di rilevarne diverse incongruenze.
Ampio spazio nel regolamento è dedicato proprio alla valutazione dell’Irc, ribadendo però le disposizioni già in vigore e cadendo in alcuni errori e contraddizioni.
Vedremo quale effetto avranno le osservazioni del CNPI, che nel suo parere ha rivendicato anche «la necessità di garantire la pari dignità di tutti gli insegnanti, […] in modo da evitare inaccettabili differenziazioni tra gli insegnanti di educazione fisica e religione e gli altri insegnanti».
Va infatti notato che inopinatamente il regolamento esclude anche il voto di educazione fisica dalla media finale.
In attesa di conoscere la veste definitiva che assumerà il regolamento, per ora ci limitiamo a segnalarne alcuni aspetti, rinviando i lettori al testo provvisorio completo (vedi pdf allegato) per una maggiore informazione.
L’errore più grossolano è quello di far discendere il divieto di voto in decimi dalla scheda separata di valutazione (art.
7, c.
1).
Come è  noto, quest’ultima venne introdotta nel 1986 da un ordine del giorno della Camera, mentre il divieto di voto risale alla legge 824 del 1930.
Le contraddizioni riguardano il voto sul comportamento e la determinazione dei crediti scolastici, da cui l’Idr sembra essere una volta escluso (art.
3, c.
6 e art.
6, c.
6) e una volta compreso (art.
7, c.
2), nonché la partecipazione allo scrutinio finale che risulta essere una volta piena (art.
7, c.
2) e una volta limitata in base alla parziale citazione della nota clausola introdotta dalla revisione dell’Intesa nel 1990 (art.
7, c.
3).
Sicuramente il testo definitivo provvederà ad eliminare queste incongruenze, ma vorremmo sperare che si avesse il coraggio di innovare davvero il sistema di valutazione rivedendo le posizioni fin qui consolidatesi sulla base di una acritica assunzione di norme vecchie e superate.
Al divieto di voto è poi abbinato il divieto di esame, che non è ora in discussione perché la legge 169/08 ha solo riproposto il problema del voto numerico, ma – forse anche più dell’uso del voto – il divieto di esame va ad incidere sull’effettiva rilevanza scolastica dell’Irc, nonostante gli sforzi messi in atto negli ultimi venticinque anni per collocare con sempre maggiore credibilità l’Irc nel quadro delle finalità della scuola mediante l’adozione di programmi didattici aggiornati e coerenti con l’impostazione delle innovazioni di volta in volta introdotte nel sistema scolastico.
Mentre l’Idr partecipa alla valutazione degli alunni che si avvalgono dell’Irc e quindi determina la delibera collegiale sull’esito finale dell’anno scolastico, la valutazione da lui espressa sulla propria disciplina rimane per certi aspetti sottratta a quella collegialità che dovrebbe essere garanzia di equità e giustizia per tutti gli alunni: in mancanza di un esame, inteso come occasione di verifica pubblica della congruità della valutazione, il giudizio espresso dall’Idr diventa quasi un affare privato tra lui e l’alunno, tale da poter essere sottratto alla procedura di controllo collegiale, dato che manca la possibilità ad altri insegnanti di sindacare il giudizio del collega, quando invece possono farlo con i colleghi di altre materie di cui pure non sono competenti.
Per l’Irc, infine, l’esame sarebbe l’occasione per rendere conto – a sé, alla scuola e all’utenza – dello svolgimento effettivo dei contenuti didattici prescritti e dell’apprendimento prodotto negli alunni.

Numeri e fede/ 2: Matematica, il fascino della verità

INTERVISTA Professor Pistone, tra tutte queste cause di “irreligion”, qual è la predominante? «La gente parla di religione ma non sa nulla circa le cose di cui parla.
Ignora l’immenso patrimonio culturale accumulato in duemila anni di cristianesimo.
Crede che la preghiera si riduca a poche frasette pie o formule superstiziose.
Non ha alcuna idea di che cos’è la Rivelazione, il Credo, la liturgia, la Bibbia.
A dire il vero, con molti scienziati, ricercatori, persone dotate di un’elevata abitudine all’argomentazione razionale, non ho difficoltà a parlare di fede.
Trovo ascolto.
Invece, fuori dalle mura dell’accademia, avviene ciò che non finisce mai di ferirmi: spesso mi trovo di fronte persone, specialmente tra gli anziani, che provano una netta avversione per la fede.
In Italia ha lasciato tracce profonde l’illuminismo francese, programmaticamente ateo e rivoluzionario, molto diverso dell’illuminismo di tipo americano che non è affatto antireligioso.
Negli Usa, lo abbiamo visto nella propaganda per le elezioni presidenziali, spesso i discorsi di Obama e di McCain seguivano i canoni della predicazione.
I politici americani sono soliti manifestare in pubblico la loro fede religiosa.
Da noi invece la fede è considerata un fatto privato.
E poi, in Italia, appena si comincia a parlare di religione, la conversazione è minata da un grosso equivoco».
Quale equivoco? «Spesso io vorrei parlare di teologia ma mi accorgo che i miei interlocutori, quando dicono ’religione’ pensano alla politica, e basta.
Si confonde la fede con le posizioni che le chiese legittimamente assumono nel dibattito politico e civile.
Pensiamo, ad esempio, alla mancata visita del Papa all’università di Roma.
Ritengo che il Papa avrebbe dovuto parlare alla Sapienza e che molti degli autorevoli accademici che hanno firmato la lettera contro la sua visita siano stati mossi da un pregiudizio politico e da immotivate paure, in un quadro completamente falsato.
Ora poi si sta formando una cultura fortemente antireligiosa dalle cui pubblicazioni esce un leit-motiv martellante: attenti alla religione perché è “pericolosa”, “fanatica”, “scatena odii e guerre”, dato che “chi crede in qualcosa disprezza gli altri che non credono”.
Tutto questo da un lato è vero, in certi casi, come dimostra la cronaca quotidiana dal mondo.
D’altro lato, nel concreto della situazione italiana, questi allarmi sono senza fondamento.
Dalle nostre parti, ad esempio, le accanite lotte del passato sono assopite e sostituite da polemiche accese ma pacifiche; perfino nelle edizioni per la catechesi dei bambini c’è collaborazione fra la nostra casa editrice e quella salesiana».
Nel suo caso, è nato prima il matematico oppure il credente? «Vengo da un ambiente di campagna, sono nato a Chieri da una famiglia proveniente dalle Langhe.
I miei appartenevano al mondo artigiano, in un contesto aperto ma religioso.
In famiglia c’era sempre stato un certo numero di evangelici.
E anche molti sacerdoti.
Come in tanti altri casi, questa tradizione, che alcuni consideravano oppressiva, si è persa.
Quasi tutta la mia vita è passata senza pensiero di fede: studi di matematica, famiglia e poco altro.
In me il credente è nato dopo i 50 anni.
Non per un evento particolare ma per un’evoluzione progressiva.
Quando arrivano dei momenti di crisi – e arrivano per tutti – succede qualcosa: quello che per noi evangelici è la “chiamata”.
Il Signore ti cerca sempre e, quando sei in fondo al pozzo, lo riconosci».
E come ha reagito alla “chiamata”? «Facendo quello che so fare, cioè studiando.
Se si leggono le opere degli scienziati inglesi contemporanei di Newton, si scopre che erano tutti credenti, alcuni anche apologeti.
Leggendo le loro opere appare chiaro che per loro non c’era contraddizione tra scienza e fede; anzi erano convinti che scienza e fede non siano due cose diverse.
Non vedevano alcuna differenza tra scoprire teoremi e aver fede».
Ma qual è la ragione principale per cui non v’è contraddizione tra scienza e fede? «Come dice la Bibbia, e poi la Chiesa di tutti secoli, “se si guarda con fiducia la creazione, si vede il Creatore”.
I matematici poi sentono particolarmente il fascino della verità.
Studiano oggetti che considerano perfetti e che sono, inoltre, applicabili alla descrizione della natura.
Ciò che affascina lo scienziato è che il mondo sia stato non solo creato, ma creato comprensibile.
E il fatto che il mondo sia intelligibile è un dato a priori.
È l’attestato del ruolo che il Creatore ripone nella scienza dell’uomo.
Chi si occupa tutti i giorni di scienza si domanda: com’è possibile che una persona – sia pure geniale come Einstein – che lavora all’Ufficio Brevetti di Zurigo – capisca com’è fatto il mondo, e che le sue teorie vengano poi confermate sperimentalmente?».
Lei è appena arrivato da Hanoi, dove ha parlato in un convegno di Statistica.
E sta per partire per Berkeley in California.
La verità cui la matematica anela è universale, passa attraverso culture e tradizioni diverse…
«Hanoi è la capitale di un paese socialista, il Vietnam, con tante difficoltà da superare, e una cultura molto distante dalla nostra.
Ma, quando parliamo della nostra scienza, non c’è differenza che tenga.
La matematica cinese e quella di Euclide sono la stessa cosa.
Altri campi della cultura umana non hanno questa caratteristica».
Luigi Dell’Aglio Se «No Drama» è divenuto anche il motto della «Generation Obama» il merito è dello stesso neo-eletto presidente che tenne i nervi a posto in due momenti roventi della sua campagna: a metà gennaio quando perse in New Hampshire subito dopo il trionfo iniziale in Iowa e tre mesi dopo, allorché gestì le dichiarazioni razziste anti-bianchi del reverendo nero Jeremiah Wright riuscendo a trasformare la questione razziale da svantaggio in vantaggio elettorale.
Egli poi si ispira ad Abramo Lincoln, il presidente che seppe guidare un governo composto di ministri fra loro rivali grazie all’abilità nel rimanere calmo in momenti di crisi politica aggravati dalla Guerra Civile, come ricostruisce Doris Kearns Goodwin nel libro «Team of Rivals» che Barack ha confessato di tenere sul comodino.
Il richiamo al «No Drama« di Lincoln, si spiega con le sfide terribili che Obama ha di fronte: la recessione e due guerre aperte.
Per affrontarle e superarle con successo serviranno nervi molto saldi.
Però non bisogna dimenticare che il Dream Team 2009(l’insieme dei ministri ed esperti che compongono il suo gruppo di governo) ha saputo cogliere questo semplice ed efficacissimo detto dal No More Drama, che potrebbe diventare il motto per il mondo intero che è stanco di guerre, tragedie, razzismo, non solo nel 2009, ma nel futuro: “No drama (no more drama in my life) No more, no more, No more, no more No more tears (no more tears, no more cryin every night) No more fears (no more waking up in the morning) No drama, no more in my life No more drama, no more drama No more drama, no more drama No more drama, no more drama No more drama, no more drama No more drama in my life So tired, tired of this drama”(Cfr: dal singolo R&B di Mary J.
Blige).
Per il politologo Bill Schneider, volto di rilievo della tv Cnn, dietro «No Drama Obama» c’è l’identità di un leader riassunta da «tre C» ovvero «casual, cool, connected» (casual, calmo, connesso elettronicamente) che rispondono ad altrettante caratteristiche che ha chi lo ha votato.
Egli si sta preparando «con una calma alla Obi-Wan Kenobi» (il Maestro Jedi di Guerre Stellari) ad affrontare una terrificante lista di problemi planetari(così «Time» ritrae Barack Obama raccontando la «Persona dell’anno 2008»).
E noi “speriamo che se la cavi”.
Come speriamo che se la cavi l’altrettanto famoso “tiratore di scarpe”, divenuto anche lui un simbolo del cambiamento dei prossimi anni, in cui non si useranno armi, ma oggetti per colpire i tiranni.
Dopo il suo exploit, il giornalista iracheno Muntazer al-Zaidi, che ha tentato di colpire il presidente americano George W.
Bush lanciandogli contro le scarpe, i potenti temono eventuali “imitazioni” del gesto: chiunque parteciperà a una conferenza stampa sarebbe così tenuto rigorosamente d’occhio, onde impedirgli di levarsi le calzature e farne un uso che è stato definito “improprio”.
Ma non è meglio tirare una scarpa che sparare? Molti dicono che è il minimo che un iracheno potesse fare a uno come Bush, il tiranno criminale che ha ucciso due milioni di persone in Iraq e in Afghanistan.
Infatti, Muntazer, sebbene sia stato punito severamente dalle autorità irachene per la “cattiva figura” che hanno fatto di fronte al mondo, è diventato un eroe per le tante e le troppe popolazioni affamate e martoriate dalle guerre.
Per lui, per difenderlo si sono offerti gratis più di 200 famosi avvocati e pure in Italia ha trovato subito “copioni”(un esponente del partito Italia dei valori, ha deposto un vecchio mocassino infiocchettato davanti a Palazzo Chigi: per le parole e non i fatti del governo Berlusconi).
Ma la cosa più simpatica e anche divertente che potrebbe diventare una regola nei prossimi anni , è lo “scambio” avvenuto tra i soldati americani e capi tribù musulmane di stanza in medio oriente: il Viagra in cambio di preziose informazioni per snidare i guerrafondai! Figuriamoci, con tutte le mogli che hanno, avranno toccato il cielo con un dito, altro che chiamare Allah o i fondamentalisti armati per soddisfarle! Così, semplicemente, possiamo dire che Il “dream team” di Obama, Le scarpe di Muntazer al-Zaidi, il Viagra dei soldati americani, non sono che piccolissimi segni di un’umanità che vuole, fortissimamente vuole un cambiamento nella modernità che ha sostituito delle costrizioni visibili, individuabili, con alienazioni astratte e coercizioni strutturali, pretendendo di rendere l’uomo meno dipendente, ma lo ha isolato, reso più vulnerabile, più estraneo che mai ai suoi simili.
Convinta delle virtù pacificatrici dell’uguaglianza e del commercio, ha gettato l’uomo in una corsa mimetica infinita.
Alle disuguaglianze legate alla nascita, ha rimpiazzato l’oligarchia del denaro.
Ha provocato la distruzione dell’ambiente, l’omogeneizzazione attraverso l’economia e la tecnoscienza, la folclorizzazione dei popoli, la generalizzazione della solitudine e dell’anonimato.
Nel mondo postmoderno, il cambiamento avviene per implosione.
La vita comincia a cambiare quando un sufficiente numero di cittadini si distoglie dal gioco istituzionale perché ritiene che la vera vita sia altrove.
Oggi non abbiamo bisogno di rivoluzionari – figure emblematiche della modernità – ma di “creativi intelligenti”.
Come, appunto, lo sono le persone che ho citato e che dimostrano, ancora una volta, che l’umanità vuole camminare verso un domani migliore per tutti.
«Ho l’impressione che la percentuale di credenti sia più alta nel Dipartimento di Matematica, al Politecnico di Torino, dove lavoro, che tra le persone che incontro camminando per la strada o viaggiando in treno.
Alcuni dei miei colleghi non solo sono credenti ma fanno parte di movimenti, come ad esempio quello dei Focolari.
Però credo che non sia questione di percentuali da calcolare.
C’è una differenza più profonda, che salta all’occhio.
Tra i miei colleghi di università, credenti o no, incontro persone disposte a parlare, e anche a discutere, di fede.
Invece per la strada o in treno, se nella conversazione accenno a un argomento di fede, vengo guardato come un fenomeno da baraccone, con stupore più che con indifferenza.
E, se apro un giornale o una rivista, specie nelle pagine di scienza, genetica o medicina, come credente mi sento circondato da ostilità e rancore», riferisce il professor Giovanni Pistone, ordinario di Probabilità al Politecnico di Torino, membro della Chiesa Valdese.

Secondo biennio – Gennaio

V unità di apprendimento: “I cristiani: fratelli divisi”  OBIETTIVI SPECIFICI DI APPRENDIMENTO Conoscenze  Abilità  * La Chiesa popolo di Dio nel mondo: avvenimenti, persone e strutture.
* Identificare nei segni espressi dalla Chiesa l’azione dello Spirito di Dio, che la costruisce una e inviata a tutta l’umanità.
* Rendersi conto che nella comunità ecclesiale c’è una varietà di doni, che si manifesta in diverse vocazioni e ministeri.
OBIETTIVI FORMATIVI • Conoscere le principali tappe della storia del cristianesimo • Individuare somiglianze e differenze fra le confessioni cristiane • Comprendere il valore dell’ecumenismo  Suggerimenti operativi   • Questa unità di apprendimento presuppone una minima conoscenza della storia cristiana; per questo motivo l’insegnante deve iniziare con un brainstorming e partire con le successive spiegazioni proprio riallacciando i nuovi contenuti alle conoscenze pregresse.
• Schematizzare le tappe della storia cristiana con semplici frasi e alcune date.
Ad esempio: Pentecoste (…), prime comunità cristiane (…), persecuzioni (…), libertà religiosa (…), monachesimo (…), …
Costruire una linea del tempo da appendere in classe.
• Scrivere alla lavagna la parola ecumenismo e spiegarne il significato.
Raccontare e leggere alcune testimonianze degli incontri fatti ad Assisi e, se possibile, collegarsi ad internet per vedere anche le fotografie.  • Leggere le parti principali del documento del papa sulla “giornata per la pace” che si svolge il primo gennaio, spiegare che ogni anno viene scritto un messaggio con un tema diverso e che tutto il mese di gennaio è dedicato dai cristiani alla ricerca dell’unità al loro interno e alla preghiera per la pace nel mondo.
• Imparare un canto che parli di pace, ad esempio: “La pace c’è” dello Zecchino d’Oro, il famoso “Evenu shalom”, “Ti do la pace” del Sermig…
Raccordi con altre discipline Italiano, storia, ed.
all’immagine, ed.
alla convivenza, geografia, informatica, ed.
alla musica.
Riferimento al tema “Per i diritti di tutti” “Convenzione sui diritti dell’infanzia”.
Art.
2: ogni bambino ha dei diritti non importa il colore della pelle, chi sono i suoi genitori, la religione che professa…
Art.
38: ogni bambino ha il diritto di essere protetto dalla guerra e di vivere in pace.

Primo biennio – Gennaio

V unità di apprendimento: “Gesù porta la pace”  OBIETTIVI SPECIFICI DI APPRENDIMENTO Conoscenze  Abilità  * Gesù, il Messia, compimento delle promesse di Dio.
* Cogliere, attraverso alcune pagine evangeliche, come Gesù venga incontro alle attese di perdono e di pace, di giustizia e di vita eterna.
OBIETTIVI FORMATIVI • Riconoscere nell’inizio di un nuovo anno un momento di speranza per il futuro • Capire che per i cristiani la pace è dono di Dio che si realizza nella nascita di Gesù  Suggerimenti operativi   • Ricordare che sono appena terminate le vacanze natalizie: chi si festeggia a Natale? E il 6 gennaio? Definire il fatto che la Befana è un personaggio della tradizione, ma in realtà il 6 gennaio è l’Epifania di Gesù, cioè la sua manifestazione a tutti gli uomini.
Raccontare come i protagonisti dell’Epifania sono i Magi, uomini sapienti venuti ad adorare Gesù.
• Aiutare i bambini a scoprire che attraverso i Magi Gesù si è fatto conoscere a tutti i popoli del mondo.
Spiegare proprio che i Magi rappresentano culture differenti.
Per fissare questa idea realizzare un cartellone da appendere in classe.
Titolo: “Gesù nasce per tutti”.
Frase di spiegazione: EPIFANIA = Gesù si manifesta a tutti i popoli del mondo.
Al centro incollare un’immagine di Gesù e intorno collocare i disegni dei bambini raffiguranti persone di tutto il mondo.
• Insegnare il semplice ritornello del canto “Pace sia, pace a voi” del Gen Rosso e mimare le parole, scrivere il testo sul quaderno e illustrarlo.   • Spiegare che ogni anno, il primo gennaio, si svolge la “giornata per la pace” e il papa scrive un messaggio non solo per i cristiani, ma per tutti gli uomini del mondo.
Raccordi con altre discipline Italiano, ed.
all’immagine, ed.
alla convivenza, ed.
alla musica, geografia.
Riferimento al tema “Per i diritti di tutti” “Convenzione sui diritti dell’infanzia”: Artt.
37, 38, 39, 40: ogni bambino ha il diritto a essere difeso dalla violenza e a crescere in un ambiente dove regni la pace.