Il digiuno per essere amici di Dio e attenti a chi ha bisogno

“Scegliendo liberamente di privarci di qualcosa per aiutare gli altri, mostriamo concretamente che il prossimo in difficoltà non ci è estraneo”.
Lo scrive il Papa nel messaggio per la Quaresima 2009, presentato martedì mattina, 3 febbraio, nella Sala Stampa della Santa Sede.
Benedetto XVI invita in particolare le parrocchie a riscoprire la pratica di donare ai poveri i frutti delle rinunce dei fedeli.
Cari fratelli e sorelle! All’inizio della Quaresima, che costituisce un cammino di più intenso allenamento spirituale, la Liturgia ci ripropone tre pratiche penitenziali molto care alla tradizione biblica e cristiana – la preghiera, l’elemosina, il digiuno – per disporci a celebrare meglio la Pasqua e a fare così esperienza della potenza di Dio che, come ascolteremo nella Veglia pasquale, “sconfigge il male, lava le colpe, restituisce l’innocenza ai peccatori, la gioia agli afflitti.
Dissipa l’odio, piega la durezza dei potenti, promuove la concordia e la pace” (Preconio pasquale).
Nel consueto mio Messaggio quaresimale, vorrei soffermarmi quest’anno a riflettere in particolare sul valore e sul senso del digiuno.
La Quaresima infatti richiama alla mente i quaranta giorni di digiuno vissuti dal Signore nel deserto prima di intraprendere la sua missione pubblica.
Leggiamo nel Vangelo: “Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo.
Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame” (Mt 4, 1-2).
Come Mosè prima di ricevere le Tavole della Legge (cfr.
Es 34, 28), come Elia prima di incontrare il Signore sul monte Oreb (cfr.
1 Re 19, 8), così Gesù pregando e digiunando si preparò alla sua missione, il cui inizio fu un duro scontro con il tentatore.
Possiamo domandarci quale valore e quale senso abbia per noi cristiani il privarci di un qualcosa che sarebbe in se stesso buono e utile per il nostro sostentamento.
Le Sacre Scritture e tutta la tradizione cristiana insegnano che il digiuno è di grande aiuto per evitare il peccato e tutto ciò che ad esso induce.
Per questo nella storia della salvezza ricorre più volte l’invito a digiunare.
Già nelle prime pagine della Sacra Scrittura il Signore comanda all’uomo di astenersi dal consumare il frutto proibito: “Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare perché, nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente dovrai morire” (Gn 2, 16-17).
Commentando l’ingiunzione divina, san Basilio osserva che “il digiuno è stato ordinato in Paradiso”, e “il primo comando in tal senso è stato dato ad Adamo”.
Egli pertanto conclude: “Il “non devi mangiare” è, dunque, la legge del digiuno e dell’astinenza” (cfr.
Sermo de jejunio: PG 31, 163, 98).
Poiché tutti siamo appesantiti dal peccato e dalle sue conseguenze, il digiuno ci viene offerto come un mezzo per riannodare l’amicizia con il Signore.
Così fece Esdra prima del viaggio di ritorno dall’esilio alla Terra Promessa, invitando il popolo riunito a digiunare “per umiliarci – disse – davanti al nostro Dio” (8, 21).
L’Onnipotente ascoltò la loro preghiera e assicurò il suo favore e la sua protezione.
Altrettanto fecero gli abitanti di Ninive che, sensibili all’appello di Giona al pentimento, proclamarono, quale testimonianza della loro sincerità, un digiuno dicendo: “Chi sa che Dio non cambi, si ravveda, deponga il suo ardente sdegno e noi non abbiamo a perire!” (3, 9).
Anche allora Dio vide le loro opere e li risparmiò.
Nel Nuovo Testamento, Gesù pone in luce la ragione profonda del digiuno, stigmatizzando l’atteggiamento dei farisei, i quali osservavano con scrupolo le prescrizioni imposte dalla legge, ma il loro cuore era lontano da Dio.
Il vero digiuno, ripete anche altrove il divino Maestro, è piuttosto compiere la volontà del Padre celeste, il quale “vede nel segreto, e ti ricompenserà” (Mt 6, 18).
Egli stesso ne dà l’esempio rispondendo a satana, al termine dei 40 giorni passati nel deserto, che “non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt 4, 4).
Il vero digiuno è dunque finalizzato a mangiare il “vero cibo”, che è fare la volontà del Padre (cfr.
Gv 4, 34).
Se pertanto Adamo disobbedì al comando del Signore “di non mangiare del frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male”, con il digiuno il credente intende sottomettersi umilmente a Dio, confidando nella sua bontà e misericordia.
Troviamo la pratica del digiuno molto presente nella prima comunità cristiana (cfr.
At 13, 3; 14, 22; 27, 21; 2 Cor 6, 5).
Anche i Padri della Chiesa parlano della forza del digiuno, capace di tenere a freno il peccato, reprimere le bramosie del “vecchio Adamo”, ed aprire nel cuore del credente la strada a Dio.
Il digiuno è inoltre una pratica ricorrente e raccomandata dai santi di ogni epoca.
Scrive san Pietro Crisologo: “Il digiuno è l’anima della preghiera e la misericordia la vita del digiuno, perciò chi prega digiuni.
Chi digiuna abbia misericordia.
Chi nel domandare desidera di essere esaudito, esaudisca chi gli rivolge domanda.
Chi vuol trovare aperto verso di sé il cuore di Dio non chiuda il suo a chi lo supplica” (Sermo 43: PL 52, 320.
332).
Ai nostri giorni, la pratica del digiuno pare aver perso un po’ della sua valenza spirituale e aver acquistato piuttosto, in una cultura segnata dalla ricerca del benessere materiale, il valore di una misura terapeutica per la cura del proprio corpo.
Digiunare giova certamente al benessere fisico, ma per i credenti è in primo luogo una “terapia” per curare tutto ciò che impedisce loro di conformare se stessi alla volontà di Dio.
Nella Costituzione apostolica Pænitemini del 1966, il Servo di Dio Paolo VI ravvisava la necessità di collocare il digiuno nel contesto della chiamata di ogni cristiano a “non più vivere per se stesso, ma per colui che lo amò e diede se stesso per lui, e …
anche a vivere per i fratelli” (cfr.
Cap.
i).
La Quaresima potrebbe essere un’occasione opportuna per riprendere le norme contenute nella citata Costituzione apostolica, valorizzando il significato autentico e perenne di quest’antica pratica penitenziale, che può aiutarci a mortificare il nostro egoismo e ad aprire il cuore all’amore di Dio e del prossimo, primo e sommo comandamento della nuova Legge e compendio di tutto il Vangelo (cfr.
Mt 22, 34-40).
La fedele pratica del digiuno contribuisce inoltre a conferire unità alla persona, corpo ed anima, aiutandola ad evitare il peccato e a crescere nell’intimità con il Signore.
Sant’Agostino, che ben conosceva le proprie inclinazioni negative e le definiva “nodo tortuoso e aggrovigliato” (Confessioni, ii, 10.18), nel suo trattato L’utilità del digiuno, scriveva: “Mi dò certo un supplizio, ma perché Egli mi perdoni; da me stesso mi castigo perché Egli mi aiuti, per piacere ai suoi occhi, per arrivare al diletto della sua dolcezza” (Sermo 400, 3, 3: PL 40, 708).
Privarsi del cibo materiale che nutre il corpo facilita un’interiore disposizione ad ascoltare Cristo e a nutrirsi della sua parola di salvezza.
Con il digiuno e la preghiera permettiamo a Lui di venire a saziare la fame più profonda che sperimentiamo nel nostro intimo: la fame e sete di Dio.
Al tempo stesso, il digiuno ci aiuta a prendere coscienza della situazione in cui vivono tanti nostri fratelli.
Nella sua Prima Lettera san Giovanni ammonisce: “Se uno ha ricchezze di questo mondo e vedendo il suo fratello in necessità gli chiude il proprio cuore, come rimane in lui l’amore di Dio?” (3, 17).
Digiunare volontariamente ci aiuta a coltivare lo stile del Buon Samaritano, che si china e va in soccorso del fratello sofferente (cfr.
Enc.
Deus caritas est, 15).
Scegliendo liberamente di privarci di qualcosa per aiutare gli altri, mostriamo concretamente che il prossimo in difficoltà non ci è estraneo.
Proprio per mantenere vivo questo atteggiamento di accoglienza e di attenzione verso i fratelli, incoraggio le parrocchie ed ogni altra comunità ad intensificare in Quaresima la pratica del digiuno personale e comunitario, coltivando altresì l’ascolto della Parola di Dio, la preghiera e l’elemosina.
Questo è stato, sin dall’inizio, lo stile della comunità cristiana, nella quale venivano fatte speciali collette (cfr.
2 Cor 8-9; Rm 15, 25-27), e i fedeli erano invitati a dare ai poveri quanto, grazie al digiuno, era stato messo da parte (cfr.
Didascalia Ap., v, 20, 18).
Anche oggi tale pratica va riscoperta ed incoraggiata, soprattutto durante il tempo liturgico quaresimale.
Da quanto ho detto emerge con grande chiarezza che il digiuno rappresenta una pratica ascetica importante, un’arma spirituale per lottare contro ogni eventuale attaccamento disordinato a noi stessi.
Privarsi volontariamente del piacere del cibo e di altri beni materiali, aiuta il discepolo di Cristo a controllare gli appetiti della natura indebolita dalla colpa d’origine, i cui effetti negativi investono l’intera personalità umana.
Opportunamente esorta un antico inno liturgico quaresimale: “Utamur ergo parcius, / verbis, cibis et potibus, / somno, iocis et arctius / perstemus in custodia – Usiamo in modo più sobrio parole, cibi, bevande, sonno e giochi, e rimaniamo con maggior attenzione vigilanti”.
Cari fratelli e sorelle, a ben vedere il digiuno ha come sua ultima finalità di aiutare ciascuno di noi, come scriveva il Servo di Dio Papa Giovanni Paolo II, a fare di sé dono totale a Dio (cfr.
Enc.
Veritatis splendor, 21).
La Quaresima sia pertanto valorizzata in ogni famiglia e in ogni comunità cristiana per allontanare tutto ciò che distrae lo spirito e per intensificare ciò che nutre l’anima aprendola all’amore di Dio e del prossimo.
Penso in particolare ad un maggior impegno nella preghiera, nella lectio divina, nel ricorso al Sacramento della Riconciliazione e nell’attiva partecipazione all’Eucaristia, soprattutto alla Santa Messa domenicale.
Con questa interiore disposizione entriamo nel clima penitenziale della Quaresima.
Ci accompagni la Beata Vergine Maria, Causa nostræ laetitiæ, e ci sostenga nello sforzo di liberare il nostro cuore dalla schiavitù del peccato per renderlo sempre più “tabernacolo vivente di Dio”.
Con questo augurio, mentre assicuro la mia preghiera perché ogni credente e ogni comunità ecclesiale percorra un proficuo itinerario quaresimale, imparto di cuore a tutti la Benedizione Apostolica.
Dal Vaticano, 11 Dicembre 2008 (©L’Osservatore Romano – 4 febbraio 2009)

Eluana Englaro

Il viaggio della morte è cominciato di notte.
Eluana Englaro è stata trasportata dalla clinica di Lecco, dove in questi anni è stata amorevolmente assistita, ad una struttura sanitaria di Udine, dove dovrà morire.
Tra qualche giorno le verrà tolta l’alimentazione e l’idratazione.
Tutto questo con l’avallo di una sentenza.
È un momento triste per tutti coloro che – credenti o non – hanno a cuore la tutela della persona.
Se nessuno può togliere la vita ad un altro, togliere la vita ad una persona totalmente indifesa è una barbarie.
La fragilità e la debolezza, al contrario, sono un appello alla solidarietà, anche attraverso quei mezzi che oggi si hanno a disposizione.
In tal senso, Benedetto XVI ha ricordato, all’Angelus di domenica 1° febbraio, che “l’eutanasia è una falsa soluzione al dramma della sofferenza, una soluzione non degna dell’uomo”.
La vera risposta non può essere, infatti, dare la morte, per quanto “dolce”, ma testimoniare l’amore che aiuta ad affrontare il dolore e l’agonia in modo umano.
In questa vicenda taluni organi di informazione hanno sostenuto la tesi che il principio fondamentale sia l’autonomia di scelta della persona, fino al punto di decidere se far vivere o meno.
La Chiesa, invece, ha trasmesso la convinzione che nessuno può essere abbandonato nella debolezza e nella sofferenza.
La vita, cioè, è un bene sociale e, in una città solidale, tutti sono chiamati a fare la propria parte.
L’autonomia assoluta condanna alla solitudine, la relazione conduce alla solidarietà.
In questa direzione andava la richiesta, tante volte avanzata da chi quotidianamente assisteva Eluana, di affidarla proprio a loro: suore, medici, volontari, amici.
Avevano domandato una sorta di adozione: e questo è un meraviglioso gesto di amore.
Segno che in Italia il popolo della vita esiste.
Eluana Englaro ha raggiunto la casa di cura friulana che la ospiterà in attesa che le sia tolto il sondino dell’alimentazione.
Forse fra tre giorni.
L’ambulanza è uscita dalla clinica di Lecco all’1.30 di questa notte superando la piccola folla di persone che ha tentato di impedire la partenza.
Alcuni hanno gridato “Eluana svegliati!” Il ministro del Welfare Maurizio Sacconi sta valutando eventuali provvedimenti.
Dalla Chiesa l’anatema: “Abominevole assassinio”.
La politica si divide tra chi chiede silenzio (Rotondi, ministro Programma: “E’ il momento di tacere”), e chi urla condanne (Gasparri, Pdl: “E’ iniziato l’omicidio”) 13:41 Bocchino, Pdl: “Necessaria una legge” “E’ necessaria una legge che in futuro possa evitare casi Englaro”.
Così ha commentato Italo Bocchino, vicepresidente vicario del Popolo delle Libertà alla Camera 13:37 Esplode il dibattito su Facebook Esplode su Facebook il dibattito sul caso Eluana Englaro.
Oltre cento gruppi di discussione, divisi equamente tra gli inviti a “rispettare la volontà di Eluana”, con migliaia di adesioni, e coloro che sostengono il diritto di Eluana ad essere nutrita 13:20 Cei: “E’ eutanasia ma siamo vicini alla famiglia” I vescovi italiani ribadiscono che togliere l’idratazione e l’alimentazione ad Eluana è, “al di là delle intenzioni, eutanasia” e si affidano, in questo momento, alla forza della preghiera.
Tuttavia, affermano anche la loro vicinanza alla famiglia Englaro, “così duramente provata” 12:54 Beppino Englaro presto a Udine Beppino Englaro – si è saputo a Udine – potrebbe arrivare nel giro di qualche ora 12:48 Donadi, Idv: “Le sentenze vanno rispettate” “Noi dell’Italia dei valori crediamo che le sentenze vadano rispettate e così la scelta di chi da 17 anni vuole porre fine a un evidente accanimento terapeutico”.
Lo afferma il capogruppo alla Camera dell’Idv Massimo Donadi 12:38 Il medico che guida l’équipe: “Sono devastato” Amato De Monte, primario del primo reparto di anestesia dell’ospedale di Udine, che ha accompagnato Eluana nel viaggio da Lecco a Udine e che guiderà l’équipe disponibile ad attuare la sentenza per l’interruzione dell’alimentazione e dell’idratazione della donna, ha detto: “Sono profondamente devastato come uomo, come padre, come medico e come cittadino.
Tutta la società civile dovrebbe riflettere sullo scollamento tra il sentire sociale e la posizione della politica e della chiesa” sul tema della vita vegetale 12:32 Formigoni: “Fatto tutto il possibile per evitare questa tragedia” Il presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni, ha detto: “Abbiamo fatto tutto il possibile per evitare questa tragedia.
C’e’ molta amarezza in me in questo momento, molta compassione nei confronti della povera Eluana” 12:12 Società italiana anestesia: “Sopravviverà oltre 15 giorni” A partire dal momento della graduale interruzione della nutrizione-idratazione artificiale, Eluana Englaro potrebbe sopravvivere anche per un periodo superiore a 15 giorni.
Ad avanzare tale ipotesi è la past-president della Società italiana di anestesia Rosalba Tufano.
“Non esistono in merito dei protocolli definiti – ha ricordato l’esperta – ma ricordiamo il caso di Terry Schiavo, la donna morta a 41 anni il 31 marzo 2005 in una struttura specializzata in Florida, quasi due settimane dopo che i medici avevano staccato i tubi per l’alimentazione artificiale che l’avevano tenuta in vita per 15 anni” 12:08 Finocchiaro, Pd: “Alla maggioranza chiedo silenzio e rispetto” Anna Finocchairo, presidente del gruppo del Pd al Senato, invita il centrodestra a maggiore misura: “Rivolgo ai colleghi della maggioranza che hanno usato espressioni sinceramente fuori luogo, silenzio e rispetto di fronte a un dolore immenso” 11:59 Buttiglione, Udc: “Berlusconi convochi il consiglio dei ministri” “Berlusconi convochi subito un Consiglio dei ministri per fare una legge” per il testamento biologico.
Lo dice Rocco Buttiglione, presidente dell’Udc 11:55 Avvocato Angiolini: “Mi auguro che nessuno voglia interferire” L’avvocato Vittorio Angiolini, legale di Beppino Englaro, risponde al ministro Sacconi: “Mi auguro che nessuno voglia interferire.
Il ministro non ha alcuna competenza per fermare i trattamenti sanitari in corso” 11:42 Belisario, Idv: “La politica faccia un passo indietro” Il presidente dei senatori dell’Idv Felice Belisario ha detto: “La politica ha il dovere morale di fare un passo indietro perchè Eluana, in questo difficile momento, merita solo un silenzio fatto di pietas e di rispetto per la famiglia” 11:40 Mantovano: “Sarà la prima condanna a morte dopo il 1948” Il sottosegretario dell’Interno Alfredo Mantovano ha detto: “Sarà la prima condanna a morte dopo il 1948” 11:37 L’agenzia della Cei: “Togliere la vita è una barbarie” La Sir, l’agenzia della Conferenza episcopale italiana, scrive: “Il viaggio della morte è cominciato.
Togliere la vita ad una persona totalmente indifesa è una barbarie” 11:31 Gasparri, Pdl: “E’ iniziato l’omicidio” Il presidente dei senatori del Pdl Maurizio Gasparri ha detto: “E’ iniziato l’omicidio di Eluana, che rischia di avvenire impunemente e senza turbare convenzioni ed erogazioni di pubblico denaro” 11:25 Avvenire: “L’Italia non starà alla finestra” L’Italia “non starà alla finestra” ad attendere la fine di Eluana Englaro, ma rifiuterà “un’agonia insopportabile”, perchè “sa commuoversi, capire, battersi”: lo scrive il quotidiano della Cei Avvenire 11:24 Rotondi: “E’ il momento di tacere” Gianfranco Rotondi, ministro dell’Attuazione del programma, ha detto: “La vita non appartiene alla nostra disponibilità, ma di fronte a questo dramma penso che oramai ci sia solo da tacere e pregare” 11:13 Guardia giurata davanti alla stanza per tutelare la privacy Eluana Englaro è ospitata in una stanza al terzo piano de “La Quiete”, in una posizione isolata rispetto agli altri degenti, per tutelare la privacy.
Una seconda stanza e’ riservata ai familiari e in particolare al padre Giuseppe Englaro.
Una guardia giurata privata non consente a nessuno di avvicinarsi, neppure agli altri operatori sanitari della casa 10:58 Associazione di medici staccherà il sondino Sarà l’associazione ‘Per Eluana’ – composta dal primario di terapia intensiva dell’ospedale di Udfine Amato De Monte e da altri medici e tecnici specializzati – ad attuare, alla ‘Quiete’ di Udine, il protocollo di distacco del sondino che tiene in vita Eluana Englaro.
Lo ha detto l’avvocato Giuseppe Campeis che assiste la famiglia Englaro 10:43 L’anatema della Chiesa: “Fermate quella mano assassina” L’anatema della Chiesa contro la scelta di sospendere l’alimentazione a Eluana.
“Fermate quella mano assassina!” ha detto il cardinale messicano Javier Lozano Barragan, presidente del Pontificio consiglio per gli operatori sanitari, carica equivalente a ministro della Salute della Santa Sede.
“Interrompere alimentazione ed idratazione equivarrebbe ad un abominevole assassinio e la Chiesa lo griderà sempre ad alta voce” 10:34 Angiolini, legale degli Englaro: “Ci sarà riservatezza” Vittorio Angiolini, l’avvocato della famiglia Englaro, ha precisato che sul trattamento sanitario” a cui verrà affidata Eluana, “ci sarà riservatezza”: “La riservatezza impone di non rendere pubblici i passaggi di questo trattamento sanitario” 10:31 Alemanno, sindaco di Roma: “La vita è sacra” Il sindaco di Roma Gianni Alemanno ha detto: “Ritengo che la vita umana sia sempre sacra.
Non credo che un parente, un padre possa disporre di una vita umana in questa maniera.
Sono d’accordo con il ministro Sacconi” 10:17 Flick, Corte Costituzionale: “Preoccupato per conflitto politico” Il presidente della Corte costituzionale Giovanni Maria Flick è preoccupato “che un problema drammatico di questo tipo sia diventato oggetto di un conflitto politico ideologico di contrapposizione che sarebbe meglio non ci fosse” 10:15 Riccio, anestesista: “Eluana non può sentire fame, sete o dolore”: “Eluana Englaro non può sentire fame, sete o dolore”: lo sostiene l’anestesista Mario Riccio che ha staccato il respiratore a Pier Giorgio Welby.
“Gli stimoli – ha spiegato – dipendono infatti dalla corteccia cerebrale che nella donna non funziona più” 09:48 La Loggia: A Udine si compie vero e proprio omicidio “A Udine contro Eluana si sta per compiere un vero e proprio omicidio.
Si fermino, hanno ancora il tempo per riflettere e valutare le conseguenze della loro azione.
Nessuno ha il diritto di interrompere una vita privandola dell’alimentazione e dell’idratazione”.
Lo ha detto il vice Presidente del Gruppo del Pdl alla Camera Enrico La Loggia.
09:47 Sindaco di Udine: Decisioni importanti non ancora assunte Le ”decisioni importanti” non sono state ancora assunte.
Lo ha detto il sindaco di udine, Furio Honsell, ai giornalisti, sulla vicenda di Eluana Englaro.
”Ritenevo e ritengo ancora importante che Udine possa dare una risposta giusta e civile a questa vicenda umana”, ha detto Honsell, a margine del consiglio comunale di Udine.
”Oggi come allora – ha aggiunto il sindaco, a riguardo delle decisioni che si appresta ad assumere La Quiete, dove e’ ospitata Eluana – non ritengo giusto aggiungere altro, se non il mio sostegno nei confronti di chi deve ancora assumere decisioni importanti.
Ribadisco inoltre la mia intenzione di rispettare il silenzio chiesto da Beppino Englaro al quale va tutto il mio sostegno”.
09:03 Sacconi: valutiamo situazione, la società s’interroghi “Stiamo valutando la situazione anche da un punto di vista formale”.
Così il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, ha commentato gli ultimi sviluppi della vicenda di Eluana Englaro.
Intervenendo alla trasmissione ‘Panorama del giorno’ su Canale 5, il ministro ha tuttavia mantenuto il riserbo su eventuali nuovi provvedimenti, “alla luce – ha detto – delle situazioni di fatto e di diritto che verranno esaminate”.
09:02 Il padre di Eluana arriva nel pomeriggio Non è ancora arrivato a Udine Beppino Englaro, il padre di Eluana.
L’uomo, che a Lecco ha assistito alla partenza della figlia, non ha seguito l’ambulanza che la trasportava e sembra si trovi a Bergamo.
Dovrebbe arrivare a Udine nel pomeriggio.
08:51 Arcivescovo Udine: questa è una vera eutanasia E’ una ”vera e propria eutanasia” quella che sara’ applicata ad Eluana Englaro.
Lo sostiene l’arcivescovo di Udine, monsignor Pietro Brollo, che alla notizia dell’arrivo nella città della giovane in coma vegetativo da 17 anni, si e’ raccolto in preghiera ed ha poi sollecitato un soprassalto di coscienza a chi puo’ ancora decidere di aiutare Eluana a continuare a vivere.
08:49 Ordine dei medici di Milano: Noi al medico per sentenza Dopo la sentenza del Tar della Lombardia sul caso Englaro, il rischio e’ che nasca una nuova figura e cioe’ quella di un ”medico per sentenza: l’acritico esecutore di volonta’ sanitarie altrui”.
Lo evidenzia l’Ordine dei medici chirurghi e odontoiatri di Milano (OmceoMi), rilanciato oggi da DoctorNews, convinto che la sentenza con cui il tribunale amministrativo lombardo ha accolto il ricorso della famiglia Englaro contro la Regione Lombardia – invitando quest’ultima a indicare una struttura che possa accompagnare nel suo ultimo viaggio Eluana Englaro, la donna lecchese in stato vegetativo permanente da 17 anni – rappresenti ”un ulteriore passo in avanti lungo una via sbagliata, quale e’ quella giudiziaria, per risolvere un caso che attiene al sentire piu’ profondo dell’animo umano”.
08:39 Eluana, fra tre giorni la sospensione dell’alimentazione Eluana Englaro riposa, dall’alba, alla clinica La Quiete di Udine e fra tre giorni, se non interverranno fatti nuovi, sara’ sottoposta alle pratiche per essere accompagnata alla morte.
L’equipe medica diretta dal professor Amato de Monte, primario anestesista dell’ospedale di Udine, che operera’ a titolo volontario e gratuito accanto al letto di Eluana, comincera’ a sospenderle l’alimentazione e l’idratazione.
L’autorizzazione alla famiglia Englaro (Beppino, il padre, arrivera’ a Udine nelle prossime ore) era arrivata sabato dalla direzione dell’Istituto geriatrico assistenziale di Udine, da cui dipende La Quiete.
08:10 Tondo: La Regione Friuli non ha interferito sulla vicenda “Sono vicino a Beppino Englaro in questo momento tragico.
La Regione non ha mai interferito e, come avevo già detto, la nostra posizione è neutra.
Questa vicenda fra privati è legata a un diritto di Eluana sancito da una sentenza e non saremo certo noi a impedirlo.
Formigoni ha una sua posizione? Bene, io invece ho la mia”.
Lo ha detto Renzo Tondo, presidente del Friuli Venezia Giulia, al ‘Messaggero Veneto’ di Udine.
07:07 Il padre Beppino non è a Udine Beppino Englaro non ha seguito sua figlia Eluana ad Udine.
Lo si è appreso da fonti della casa di cura ‘La Quiete’, dove la donna è stata ricoverata.
Beppino era a Lecco ieri sera ed ha assistito alla partenza della figlia per Udine, poi si è fermato a Bergamo.
L’uomo dovrebbe raggiungere Udine nel pomeriggio di oggi o, più probabilmente, nella giornata di domani.
06:20 Ambulanza entrata da un ingresso secondario L’ambulanza che ha trasportato Eluana Englaro a Udine è entrata alla casa di assistenza ‘La Quiete’ per un ingresso secondario.
Per evitare l”assaltò delle decine di teleoperatori e reporter che da alcune ore sostavano davanti all’ingresso principale della struttura sanitaria, polizia e carabinieri hanno fatto entrare l’ambulanza da un altro accesso.
L’unico mezzo ad entrare nella clinica è stata l’ambulanza: papà Beppino, che aveva seguito in macchina da Lecco la figlia, non è stato visto entrare al seguito.
06:00 Eluana arrivata in clinica a Udine L’ambulanza che trasporta Eluana Englaro, partita da Lecco stanotte all’1:30, è arrivata alla casa di cura ‘La Quiete’ di Udine alle 5:54 di questa mattina .
Ad accoglierla lo staff medico che dovrà attuare il protocollo del distacco dell’alimentazione forzata, che tiene in vita la donna in coma vegetativo da 17 anni.
01:42 Urla e slogan al passaggio del mezzo sanitario Dietro l’ambulanza è partito anche papà Beppino Englaro.
Al suo passaggio si sono levate numerose urla: “Non la uccidere”, “Eluana è viva”.
L’ambulanza, prima di riuscire a lasciare la rampa di accesso alla clinica, è rimasta bloccata per alcuni secondi a causa delle proteste degli esponenti delle associazioni, che hanno tentato di impedirne il passaggio.
L’ambulanza è riuscita a partire – preceduta da un’auto civetta – perchè alcuni agenti di polizia, sul posto da ore, hanno fatto spostare i manifestanti.
Uno di coloro che si erano sdraiati sul cofano è stato poi identificato.
Si tratta di un consigliere comunale lecchese del Pdl, Giacomo Zamperini.
01:40 L’ambulanza ha lasciato la clinica Eluana Englaro ha lasciato la clinica di Lecco a bordo dell’ambulanza, giunta poco prima, per essere trasferita a Udine.
La partenza è avvenuta fra le proteste di esponenti di associazioni in difesa della vita che si sono sdraiati sul cofano nel tentativo di fermare l’ambulanza.
01:10 Arrivata l’ambulanza E’ arrivata poco dopo l’una l’ambulanza che dovrebbe trasferire in nottata Eluana Englaro dalla clinica di Lecco alla sua nuova destinazione.
L’ambulanza è entrata attraverso il cancello principale ed è stata parcheggiata nel cortile coperto, lontana da sguardi dall’esterno.
00:40 Beppino Englaro in clinica a Lecco Beppino Englaro, il padre di Eluana, che questa notte dovrebbe essere trasferita in Friuli, è arrivato nella clinica di Lecco, dove la donna è ricoverata da anni.
Beppino Englaro, che era solo in auto, ha dovuto attendere alcuni minuti prima che il cancello della casa di cura Beato Luigi Talamoni venisse spalancato.
Nell’attesa è stato bersagliato dai flash dei fotografi mentre alcuni degli esponenti delle associazioni in difesa delle vita gli hanno urlato: “Eluana vuole vivere”.
L’arrivo di Beppino Englaro dovrebbe essere un segnale che sta per giungere a Lecco anche l’ambulanza con la quale la figlia sarà trasferita.
01:00 L’anestesista è sull’ambulanza Il primario del primo reparto di Anestesia dell’ospedale Santa Maria della Misericordia di Udine, Amato De Monte, si trova a bordo dell’ambulanza partita ieri sera da Udine per andare a prelevare Eluana Englaro a Lecco.
De Monte, che segue la vicenda di Eluana da tempo, guiderà come volontario l’equipe che nella casa di riposo di Udine dovrebbe procedere alla sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione della donna in coma da 17 anni.
L’ambulanza dovrebbe giungere a Lecco fra non molto e ripartire nella notte per Udine dove Eluana potrebbe arrivare all’alba di oggi.
00:59 Rosari e striscioni davanti alla clinica In attesa che arrivi l’ambulanza per trasferire Eluana, un gruppo di aderenti al Centro di Aiuto alla Vita di Lecco ha recitato un rosario fuori dalla clinica Beato Luigi Talamoni ed esposto alcuni striscioni contro l’eutanasia.
“Quella di stasera è stata un’iniziativa assolutamente spontanea – ha detto Paolo Gulisano, presidente del Centro Aiuto alla Vita di Lecco -.
La nostra presenza qui è per dare una testimonianza di solidarietà ad Eluana visto che questa sera sta iniziando una fase terribile di una vicenda surreale”.
Al gruppo di aderenti del Cav di Lecco si è unita, oltre all’assessore regionale alla Famiglia e Solidarietà Sociale, Giulio Boscagli, anche l’assessore ai Servizi Sociali del Comune di Lecco, Angela Fortino.
Dichiarazione di S.
E.
Mons.
Mariano Crociata Sulla vicenda Englaro, do voce alla Presidenza della CEI che fa propria la dichiarazione resa nota ieri sera da S.
E.
mons.
Pietro Brollo, arcivescovo di Udine, alla notizia del trasferimento di Eluana da Lecco ad Udine: ”Faccio appello alla coscienza di tutti, perché quanti hanno chiaro di essere al cospetto di una persona vivente non esitino a volerne e ad esigerne la tutela, mentre quanti dubitano ancora abbiano la sapienza e la prudenza di astenersi da qualsiasi decisione irreparabile”.
E’ a tutti evidente che qualsiasi azione volta ad interrompere l’alimentazione e l’idratazione si configurerebbe – al di là delle intenzioni – come un atto di eutanasia.
Per parte nostra osiamo ancora sperare nella forza della preghiera che vince le resistenze più nascoste e siamo vicini alla famiglia così duramente provata e alle suore di Lecco che hanno amorevolmente assistita Eluana Englaro fino a ieri.
L’intervista.
cardinale Javier Lozano Barragan “Fermate quella mano assassina!”.
Anatema, misto a dolore e pietas cristiana, per la sorte di Eluana Englaro, da un cardinale di Santa Romana Chiesa.
Lo lancia, con toni fermi e decisi, il messicano Javier Lozano Barragan, presidente del Pontificio consiglio per gli operatori sanitari, carica equivalente a ministro della Salute della Santa Sede.
Appena – ieri sera – si è diffusa la notizia del trasferimento da Lecco a Udine della donna che da 17 anni vive in stato vegetativo permanente, il porporato è uscito allo scoperto con un vero e proprio altolà a chi, nella casa di riposo di Udine dove è stata portata Eluana, che “interromperle alimentazione ed idratazione equivarrebbe ad un abominevole assassinio e la Chiesa lo griderà sempre ad alta voce”.
Cardinale Lozano Barragan, ma c’è una sentenza della Cassazione che autorizza i sanitari a bloccare l’alimentazione forzata alla ragazza.
“Con tutto il rispetto per le sentenze, la posizione della Chiesa in difesa della vita è sempre la stessa.
E non può certamente cambiare in seguito ad un pronunciamento dei giudici.
Non solo nei confronti di Eluana Englaro, ma in ogni caso in cui si tratta di salvaguardare quel bene inestimabile di Dio che è la vita, dal primo concepimento fino alla conclusione naturale”.
Lei, quindi, esclude che si possa interrompere la somministrazione forzata di cibo e acqua per una persona da anni costretta a stare a letto in stato vegetativo permanente senza nessuna prospettiva di miglioramento? “Per la dolorosissima vicenda Englaro non si tratta di accanimento terapeutico perché i sanitari non provvederanno ad interrompere le terapie.
Ripeto, togliere ad una persona cibo ed acqua significa una cosa sola, ucciderla deliberatamente.
E la Chiesa e tutte le persone di buona volontà non potranno mai accettarlo”.
Comunque, alla casa di riposo di Udine il destino di Eluana potrebbe andare incontro a quella svolta per la quale si è tanto battuto il padre.
In momenti così drammatici, lei come pastore della Chiesa cosa si sente di dire? “Non è certamente questo il momento di alzare il livello delle polemiche.
Ma, come uomo di Chiesa, mi sento solo di ricordare che c’è un preciso comandamento biblico, il quinto del Decalogo dettato da Dio, che dice “Non uccidere”.
Per cui, se la sorte di Eluana sarà segnata tragicamente dal blocco dell’alimentazione, significa che si tratterà di un assassinio.
Non vedo come si possa definire diversamente la decisione di non far mangiare più una persona”.
Ma Beppino Englaro, il papà di Eluana, ha sempre detto che lui intende rispettare, in coscienza, la volontà della figlia che prima dell’incidente stradale di 17 anni fa più volte gli avrebbe confidato che non avrebbe voluto vivere attaccata alle macchine…
“No, non voglio assolutamente rispondere a questa domanda, perché il signor Englaro è già tanto arrabbiato con me.
Lo ha detto tante volte in passato quando ho spiegato la posizione della Chiesa su queste problematiche, riferendomi, non solo al caso della signorina Eluana, ma a tutti i casi in cui occorre salvaguardare il rispetto della vita, anche quella delle persone più deboli ed indifese.
Ma con dolore vedo che stiamo andando sempre più verso una cultura di morte”.
Se Eluana si spegnerà per mancanza di cibo, la Chiesa si sentirà sconfitta? “Saremmo sconfitti tutti se ad Udine si andrà verso questo tragico epilogo.
Ma, prima di tutto, ad essere sconfitto sarebbe il rispetto della vita umana.
La Chiesa, pur nel dolore, continuerà a pregare, a proclamare la difesa della vita perché dono di Dio irrinunciabile e a proporre – non a imporre – la sua dottrina di vita.
I sanitari di Udine applicheranno la sentenza dei giudici di Milano? Fino all’ultimo momento mi augurerò che ciò non accada.
Per il resto, come cristiano, non posso che affidarmi alla misericordia divina, pensando in primo luogo alle persone che soffrono e che non possono difendersi.
Come Eluana Englaro”.
di Orazio la Rocca Repubblica 3 febbraio 2009

“La stella di Esther”

In occasione della giornata della Memoria esce in Italia il graphic novel dell’olandese Eric Heuvel, realizzato dalla Casa di Anna Frank Un fumetto per spiegare l’Olocausto.
Arriva in Italia “La Stella di Esther”, graphic novel del disegnatore olandese Eric Heuvel, che racconta la Shoah pensando ai ragazzi.
Partendo dalla storia di Esther, giovane ebrea tedesca vittima della persecuzione nazista, che, ormai nonna, ricorda la sua vita parlandone al nipote e, con il suo aiuto, riesce a rimettersi sulle tracce del suo pesante passato e ad affrontarlo.
Pubblicato da De Agostini con il patrocinio della Ucei (Unione comunità ebraiche italiane) e realizzato dalla Casa di Anna Frank, il fumetto esce da noi in occasione della Giornata della Memoria.
Dall’originale olandese è già stato tradotto in tedesco, polacco, ungherese e inglese ed ha già fatto parlare di sé, prima di tutto in Germania, dove è usato nelle scuole come ausilio didattico nell’insegnamento dell’Olocausto ai ragazzi.
Le vicende di Esther prendono vita nello stile dolce di Heuvel, ex insegnante di storia, che è un omaggio dichiarato a Hergé, il papà di Tintin, con la stessa linea chiara, semplice e colorata; nulla a che vedere, per intenderci, con quel bianco e nero claustrofobico usato da Art Spiegelman in “Maus”, altro graphic novel, questa volta per adulti, che trattatava il tema della Memoria.
Una scelta studiata con molta attenzione, per compensare la durezza dei fatti narrati con un segno morbido, che non vuole traumatizzare.
“La Stella di Esther” è infatti pensato per far conoscere la storia della persecuzione ebraica ad adolescenti e preadolescenti, sfruttando un medium cui sono immediatamente attratti e per loro immediato, ma allo stesso tempo sempre più diffuso per trattare temi alti e complessi.
Esther è già in copertina, quando, ragazzina, fugge dai camion dei soldati nazisti.
Nelle pagine interne, è diventata nonna e ricorda tra lo stupore di suo nipote e di quello della sua amica Helena di quando lasciò la Germania per l’Olanda, costretta a nascondersi per non finire con la famiglia ai campi di concentramento.
Una vita che cambia rapidamente, i vicini di casa che diventano estranei o nemici, il compagno con cui giocava ogni pomeriggio che non si fa più trovare perché il padre non approva che veda un’ebrea.
Un passato lontano, che riaffiora tavola dopo tavola.
Senza tralasciare i fatti storici, il fumetto punta decisamente sulle esistenze dei singoli, che subiscono sulla loro pelle l’ascesa di Hitler e le persecuzioni in un crescendo che invade la loro quotidianità e li priva del lavoro, degli amici, del rispetto degli altri, fino ad ostracizzarli per poi arrivare alle deportazioni di massa.
Dialoghi e disegni con cui Heuvel racconta sofferenze ed umiliazioni sono stati studiati con particolare cura.
“Usare un tratto classico, rassicurante, è una scelta ben precisa, come quella di evitare tutto il brutale e l’inenarrabile della Shoah, perfettamente in linea con la didattica della memoria oggi”, spiega Odelia Liberanome Bedarida, coordinatrice del centro pedagogico della Ucei, che ha patrocinato il libro-fumetto.
“Se si mostrano scene terribili si tende a rimuoverle.
Perché la memoria abbia un senso, ci si deve concentrare su messaggi attuali e comprensibili”.
Anche il colore è stato preferito al tradizionale bianco e nero, comune per le opere che trattano visivamente dell’Olocausto, per non incorrere in un eccesso di melodrammaticità.
Questo understatement di trama e stile non nasconde però nulla, e riporta la realtà della tragedia in tutta la sua complessità.
“Oggi che i sopravvissuti stanno invecchiando, ci si ricorderà di questa terribile pagina della storia solo se i ragazzi si abitueranno a pensare a quali sono stati i valori morali, e a riflettere sui diversi atteggiamenti tenuti dalla gente, sul valore della scelta: da chi è rimasto indifferente a chi ha scelto di aiutare o di diventare a sua volta persecutore” dice ancora Liberanome Bedarida.
Perché “tutto può accadere di nuovo se non si è ben attenti a monitorare i valori dell’uguaglianza e ad impegnarsi a ricordare”.
Partendo, magari, da un fumetto.
da Repubblica.it

Giovani ed internet

L’aumentato utilizzo dei social network come Facebook porterebbe con sé molte opportunità di contatto tra i ragazzi, aiutati a superare le timidezze a coltivare i propri interessi insieme agli altri.
Il tempo dedicato a fare ricerche è però sempre meno.
E sale il rischio adescamento: dal 1998 ad oggi in Italia sono stati chiusi per pedofilia 177 siti.
Il Moige lancia una campagna informativa: esperti del movimento entreranno in 50 scuole per incontrare studenti, genitori e docenti.
Sembra ridursi sempre più il tempo che i giovani dedicano ad internet per realizzare ricerche o per trovare informazioni di supporto allo studio.
In calo sarebbe anche la recente abitudine intrapresa dai ragazzi di scaricare dal web file musicali o multimediali di ogni genere.
Sale invece l’utilizzo della rete per comunicare con gli altri o per fare nuove amicizie: un fenomeno che spiega il boom dei social network come Facebook, il luogo virtuale per eccellenza dove si possono facilmente conoscere nuovi amici, ma anche chiacchiere in chat, scambiarsi confidenze, raccontare la propria vita quotidiana a tutti, otre che inserire le proprie foto.
La moda del suo utilizzo starebbe però anche ampliando le possibilità di adescamento dei minori su internet: una triste escalation di ragazzi caduti in trappole tese da individui spietati che spesso celano la loro vera identità e i loro scopi per “colpire” al momento opportuno.
I dati provengono da un’indagine condotta da Swg per il Movimento italiano genitori (Moige).
In base allo studio risulta che l’utilizzo della rete porterebbe con sé molte opportunità di contatto tra i ragazzi, aiutati a superare le timidezze a coltivare i propri interessi insieme agli altri, ma anche diversi pericoli, primo fra tutti quello dell’adescamento dei pedofili.
Per mettere in guardia ragazzi e genitori, aiutandoli a riconoscere i pericoli e a utilizzare gli strumenti di sicurezza, il Moige lancia una campagna di informazione, che ha preso il via a fine gennaio per coinvolgere 50 scuole medie inferiori in due anni: 28 nel 2009 e le altre nel 2010.
Gli esperti del movimento dei genitori entreranno nelle aule insieme agli agenti della polizia postale nelle ore di lezione, mentre al pomeriggio incontreranno genitori e docenti, che spiegare loro come utilizzare gli strumenti di controllo per la verifica e la limitazione della navigazione.
Sei genitori su dieci, infatti, secondo la ricerca, non adottano alcun sistema di controllo sul computer, nonostante il fatto di essere preoccupati: l’83% dei 600 genitori con figli compresi tra gli 11 e i 15 anni che hanno partecipato all’indagine, ammette di avere il timore di pedofili o di un uso pericoloso di internet da parte dei propri figli.
“L’avvento dei nuovi social network con Facebook e My Space potrebbe incrementare il rischio di adescamento per i nostri ragazzi”, spiega Diego Busi, direttore della divisione investigativa della polizia postale.
“La nostra campagna – sottolinea Maria Rita Munizzi, presidente del Moige – nasce proprio per questo motivo: noi adulti, genitori e insegnanti, non possiamo più permetterci di restare nell’ignoranza ma dobbiamo iniziare a conoscere internet e gli strumenti a nostra disposizione per proteggere i ragazzi, insegnare loro a utilizzarlo e assicurare loro una navigazione sicura”.
Malgrado si operi in un ambito virtuale, i pericoli sono più che reali: secondo la polizia postale dal 1998 ad oggi in Italia sono stati chiusi per pedofilia 177 siti internet.
E poco meno di altri 11mila siti internet pedofili, scoperti durante l’attività investigativa, sono stati poi segnalati dagli agenti italiani alle forze di polizia di altri Paesi.
Negli ultimi dieci anni, grazie al lavoro di controllo, sono scattati 238 arresti e 4.465 denunce.
In tutto la polizia postale italiana ha controllato oltre 293mila siti internet.
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La Bibbia. Via, verità e vita

Pubblichiamo stralci dell’introduzione generale.  La Scrittura tra eternità e tempo Parola divina e parole umane, Verbo e carne, eternità e tempo, infinito e spazio umano, Dio e uomo.
Sono sempre due le prospettive da adottare nella lettura della Bibbia e due sono le luci che devono illuminare il cammino interpretativo del lettore credente.
C’è innanzitutto l’aspetto storico-letterario.
Esso esige nel lettore una certa attrezzatura critica fatta di conoscenze specifiche.
È questo il lavoro che compie l’esegesi, un termine che nella sua origine greca indica un “tirare fuori” dal testo tutta la sua ricchezza di contenuti e di messaggio, identificandone i mezzi espressivi e le sue forme.
A quest’ultimo riguardo è importante saper identificare i cosiddetti generi letterari, cioè le varie modalità con cui si esprimono i diversi contenuti: differenti sono, infatti, i linguaggi adottati quando si deve codificare un testo giuridico, si innalza un inno di lode, si descrive un evento storico, si invoca un sostegno nella supplica, si elabora una lettera, si approfondisce con la riflessione un tema, si narra una parabola per illustrare un concetto, si proclama un oracolo sacrale e profetico, si ammonisce e si esorta a scegliere un comportamento morale e così via.
Naturalmente, oltre ai generi, sono molte altre le forme letterarie, i simboli, le tipologie espressive come anche le ricerche di taglio storiografico da condurre così da interpretare correttamente i testi biblici nel loro profilo storico-letterario.
Anzi, soprattutto nella seconda metà del Novecento si sono moltiplicati altri metodi di scavo nella pagina biblica per coglierne meglio il suo aspetto letterario e il suo contenuto.
Si è attenti, ad esempio, alla dimensione sociale in cui sono vissuti gli uomini e le donne della Bibbia e che è poi riflessa negli scritti sacri.
Si ricorre alla psicologia e alla psicanalisi per meglio decifrare alcune esperienze profetiche o il linguaggio delle immagini e dei simboli biblici e per penetrare nel mondo dei miracoli.
Ci sono letture “femministe” della Bibbia, preoccupate di non confondere alcuni modelli storici ed espressivi patriarcali della società ebraica antica col messaggio della Sacra Scrittura sulla creatura umana.
Altre volte l’attenzione si fissa sull’analisi delle narrazioni bibliche, sulle tecniche di convincimento che in alcuni testi sacri sono sviluppate attraverso la retorica, ossia l’arte della persuasione, come non manca il ricorso a moderni approcci di studio del testo nelle sue strutture (la semiotica).
Due sono gli ambiti nei quali l’esercizio della corretta interpretazione storico-letteraria si accende spesso di interesse vivace, anche perché tocca la nostra sensibilità attuale.
Il primo è quello della “verità” che la Scrittura vuole comunicarci.
In passato si confondevano i piani tra espressione e contenuto e così scattavano forti tensioni tra scienza e fede: tanto per fare un esempio, pensiamo alla teoria dell’evoluzionismo.
Certo, l’autore sacro viveva in una cultura nella quale il modello scientifico era quello “fissista” per cui l’uomo era già compiuto e completo nel suo apparire all’interno di un mondo concepito, tra l’altro, in modo geocentrico.
Era questo l’insegnamento che la Bibbia voleva offrire? In realtà essa non voleva rispondere a domande di scienza riguardanti l’antropologia o l’astrofisica, bensì a interrogazioni esistenziali e religiose sul senso della vita, della creatura umana, dell’essere e del loro legame col Creatore.
È per questo che pittorescamente sant’Agostino affermava che “non si legge nel Vangelo che il Signore abbia detto: “Vi manderò il Paraclito per insegnarvi come vanno il sole e la luna.
Voleva formare dei cristiani, non dei matematici”” (De Genesi ad litteram, 2, 9, 20).
Bisogna, dunque, interrogare la Bibbia in modo corretto, senza costringerla a risposte che non vuole offrire e che solo artificiosamente le possiamo strappare.
L'”inerranza” della Sacra Scrittura – come si era soliti dire in passato – non riguarda la scienza o la storiografia ma gli asserti religiosi.
O meglio, la “verità” che la Bibbia ci vuole comunicare non è di tipo scientifico ma teologico, come ha sottolineato in modo nitido il concilio Vaticano ii: “I libri della Sacra Scrittura insegnano con certezza, fedelmente e senza errore, la verità che Dio, a causa della nostra salvezza, volle che fosse consegnata nelle Sacre Lettere” (Dei Verbum, 11).
Le verità che le pagine sacre ci insegnano sono, perciò, quelle finalizzate alla nostra salvezza.
Non possiamo, però, ignorare che molti testi biblici sono striati di sangue e di violenza, di immoralità di ogni genere, non di rado senza un giudizio negativo, anzi, talora con una tacita o diretta, apparente o implicita approvazione divina.
Essi generano reazioni scandalizzate nel lettore che sia sensibile non solo al messaggio dell’amore evangelico ma anche ai puri e semplici valori umani.
È, questa, l’altra questione interpretativa, ancor più delicata e lacerante.
Basta, infatti, sfogliare i primi capitoli del libro di Giosuè, che descrivono la conquista della terra promessa, per scoprirvi un cumulo di efferatezze e di stermini, posti sotto il sigillo dell’ordine divino.
Altrettanto impressionante è la collera furibonda che pervade i cosiddetti “Salmi imprecatori” (ad esempio, Salmi, 58; 109; 137, 8-9).
È indubbio che l’analisi letteraria fa capire subito che queste pagine risentono del linguaggio e dello stile caratteristici della cultura dell’antico Vicino Oriente che amava l’eccesso verbale, i colori accesi, l’esasperazione dei toni e aveva fiducia nella forza “offensiva” della parola stessa, fondamentale in una civiltà di tipo orale.
L’odio per il male e l’ansia per la giustizia si esercitano, perciò, prima di tutto a livello verbale.
Ma tutto questo non basta per giustificare l'”immoralità” di quei testi.
Decisiva per rimuovere questo ostacolo che si para davanti al lettore della Scrittura è un’altra considerazione.
La via maestra per comprendere correttamente simili testi marziali o violenti o immorali è ancora una volta quella di tener presente la qualità specifica della rivelazione biblica: essa è per eccellenza storica.
La parola e l’azione divina non sono sospese in cieli mitici e mistici ma sono innescate nella trama tormentata e faticosa della vicenda umana.
Esse non sono simili a una serie di tesi o verità astratte, raccolte in un florilegio scritto, ma sono come un seme che germoglia sotto il terreno arido, sassoso e opaco della storia e dell’esistenza.
Dio, allora, si fa vicino e paziente, si adatta al limite e persino alla brutalità della creatura umana libera e progressivamente cerca di condurla verso un orizzonte più alto che ha nella legge evangelica dell’amore e del perdono il suo apice, ma che ha già nell’Antico Testamento squarci luminosi: “Tu, padrone della forza, giudichi con mitezza, ci governi con molta indulgenza (…) Con tale modo di agire hai insegnato al tuo popolo che il giusto deve amare l’umanità” (Sapienza, 12, 18-19).
Proprio questa dimensione storica e progressiva della rivelazione biblica ci fa comprendere quanto pericolosa e illusoria sia la lettura “fondamentalista” della Bibbia, praticata da alcuni movimenti religiosi.
Essa vorrebbe presentarsi come esemplare perché la sua fedeltà al testo è letterale, assoluta, ciecamente affidata alle parole e alle frasi così come esse materialmente suonano, senza applicare quella corretta interpretazione che conduce alla scoperta di ciò che veramente l’autore sacro voleva comunicare attraverso un linguaggio connotato e datato, legato a un mondo culturale e sociale concreto e ormai lontano da quello in cui noi ora viviamo.
È, quindi, indispensabile il contributo dell’esegesi e dell’interpretazione – naturalmente ottenuto attraverso un metodo corretto – per essere autenticamente fedeli al senso vero della Sacra Scrittura.
Per questa via non si dissolve la “lettera” della Bibbia e la sua storicità, ma si riesce a cogliere la “verità” che essa ci vuole comunicare così da divenire “lampada per i passi e la luce sul cammino” della vita del lettore (Salmi, 119, 105).
In questa linea si riesce a comprendere il monito di san Paolo secondo il quale “la lettera uccide, è lo Spirito che dà vita” (2 Corinzi, 3, 6).
È per questo che la Bibbia è nel cuore stesso della liturgia, ove è proclamata, commentata, meditata e attualizzata.
Essa è anche l’anima dell’annunzio della fede e della catechesi; è l’alimento della vita spirituale attraverso la lectio divina, ossia la lettura intima e fruttuosa che trasferisce l’appello di Dio nell’esistenza personale del credente.
La Bibbia è alla base della teologia che a quella fonte attinge la verità da illustrare e approfondire e la norma morale da seguire nelle scelte personali e comunitarie.
La Bibbia è alla radice del nostro legame con l’ebraismo ed è il terreno privilegiato per il dialogo ecumenico tra i cristiani che alla Scrittura guardano come a una stella polare.
Anzi, figure, eventi e temi biblici pervadono, sia pure elaborati e trasformati, lo stesso libro sacro dell’islam, il Corano.
La Bibbia è il “grande codice” di riferimento della cultura.
Per secoli personaggi, eventi, simboli, idee, temi biblici hanno offerto le immagini per le creazioni più alte della pittura e della scultura, sono stati trasfigurati nella musica, sono stati ripresi e ricreati dalla letteratura, hanno stimolato la riflessione filosofica e sostanziato la ricerca morale.
Per rendere più disponibili le Scritture ai lettori di nuovi ambiti culturali e spirituali, fin dall’antichità si è proceduto a tradurre in nuove lingue quei libri.
In greco nacque, tra il III e il II secolo prima dell’era cristiana, la versione dei Settanta, così chiamata per una tradizione leggendaria che ne attribuiva la paternità a settanta studiosi riuniti ad Alessandria di Egitto per compiere questa impresa.
In latino san Girolamo, tra il 383 e il 406, tra Roma e Betlemme, ove si era ritirato, si dedicò a preparare la Vulgata, cioè la traduzione “popolare” che dominerà nella Chiesa cattolica nei secoli successivi; le varie comunità cristiane antiche affrontarono altre versioni nelle loro lingue e così si continuò a fare fino ai nostri giorni, in tutte le lingue del nostro pianeta.
Lo stesso accade anche a questa traduzione italiana che è quella ufficiale della Conferenza episcopale italiana, giunta ormai a una definitiva redazione.
Conservata alle origini su papiri, poi su codici di pergamena e persino su cocci di terracotta, divenuta il primo libro stampato (la Bibbia di Gutenberg del 1452), la Sacra Scrittura approda anche nella civiltà informatica sulle pagine elettroniche, testimoniando la sua presenza sempre vitale nella cultura dell’umanità e nella fede dei credenti.
Ora è davanti a noi in questa traduzione rinnovata ed efficace, accompagnata da un commento che coniuga essenzialità e ricchezza di contenuti, offrendo spunti preziosi per l’uso liturgico e pastorale, senza però venir meno alle esigenze di una corretta e rigorosa esegesi e interpretazione.
Si ritrovano, così, in azione le due dimensioni della Parola divina e delle parole umane, della fede e della storia, del “Verbo” e della “carne”.
La Bibbia potrà, così, diventare “la via, la verità e la vita” del fedele nel cammino della sua esistenza e nella luce della sua presenza.
di Gianfranco Ravasi (©L’Osservatore Romano – 1 febbraio 2009) La Bibbia.
Via, verità e vita, Edizione San Paolo, Cinisello Balsamo, 2008, pagine 2672, euro 29 Arriva in libreria l’edizione San Paolo della Bibbia con la nuova traduzione della Conferenza episcopale italiana.
 Il progetto editoriale del volume è diretto da Gianfranco Ravasi per l’Antico Testamento e da Bruno Maggioni per il Nuovo.
In un volume unico il testo biblico nella nuova traduzione CEI accompagnato da inedito apparato di note su tre livelli: VIA, Note di carattere teologico; VERITA’, Note di carattere esegetico; VITA, Note di carattere liturgico.
La dinamica impaginazione permette di avere a portata di mano tutti i riferimenti necessari per la collocazione e l’interpretazione del testo.
La Bibbia Via Verità e Vita è l’unica che tiene traccia, in nota, delle modifiche apportate nella traduzione rispetto alla passata edizione del 1974.

Vita consacrata Parola di Dio vissuta

La testimonianza profetica della vocazione dei consacrati e delle consacrate si fonda sull’amore di Gesù, che ha trasformato le loro esistenze, e richiama la stessa passione evangelica di san Paolo, come ha affermato Benedetto XVI il 28 giugno 2008 nei primi vespri dei santi apostoli Pietro e Paolo: l’apostolo Paolo “ci ha donato una professione di fede molto personale, in cui apre il suo cuore e rivela quale sia la molla più intima della sua vita.
“(…) Vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Lettera ai Galati 2, 20).
Tutto ciò che Paolo fa, parte da questo centro.
La sua fede è l’esperienza dell’essere amato da Gesù Cristo in modo tutto personale; (…) è l’essere colpito dall’amore di Gesù Cristo, un amore che lo sconvolge fin nell’intimo e lo trasforma.
La sua fede non è una teoria, un’opinione su Dio e sul mondo.
La sua fede è l’impatto dell’amore di Dio sul suo cuore”.
È questo anche il movente che spinge ogni persona consacrata a donarsi a Dio e ai fratelli e che compendia tutta un’ampia riflessione sul valore fondante dell’amore per l’identità del cristiano e connota ancor più coloro che si donano al Signore alla radice stessa della loro vocazione e semplicemente li fa essere servi per amore del Vangelo.
Un fatto che certamente segnò la svolta decisiva nella vita di san Paolo fu l’evento di Damasco, l’incontro sconvolgente del giovane Saulo, feroce persecutore della Chiesa, con Gesù di Nazareth, che gli si manifestò con le parole: “(…) Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?…
Io sono Gesù che tu perseguiti!” (Atti degli Apostoli, 9, 4-5), rivelazione divina che lo trasformò in apostolo e missionario delle genti.
Tale cristofania sulla via di Damasco operò la conversione di san Paolo e fu l’investitura divina della sua missione, quale annunciatore del vangelo ai pagani.
Egli dirà nella Lettera ai Filippesi: “(…) Sono stato conquistato da Gesù Cristo” (3, 12), e da colui che “si compiacque di rivelare a me suo Figlio perché lo annunziassi in mezzo ai pagani” (Lettera ai Galati 1, 15-16).
È sempre il Signore che fa breccia nel cuore di ogni consacrato, chiamandolo alla comunione personale con lui e guidandolo in un’esistenza trasformata dal suo amore.
La persona consacrata nel suo rapporto dialogico con Dio diventa così “epifania dell’amore di Dio nel mondo” (Vita consecrata, cap.
III) e può ripetere con san Paolo: “Per me (…) il vivere è Cristo” (Lettera ai Filippesi 1, 21), perché “l’amore del Cristo ci spinge” (Seconda lettera ai Corinzi 5, 14).
La vita fatta donazione di amore, che le persone di vita consacrata vivono tramite i consigli evangelici, trova la sua sorgente e la sua forza nell’ascolto della Parola di Dio.
Sul terreno dell’esperienza, infatti, tra i consacrati si avverte un notevole impulso verso la Bibbia come desiderio di ascoltare la Parola di Dio, per cui l’incontro con il Vangelo è la categoria privilegiata attraverso cui presentare la fede cristiana all’uomo d’oggi.
L’incontro con la Parola diviene così un fatto esistenziale interpersonale e un’esperienza religiosa da vivere.
Il recente Sinodo dei Vescovi afferma: “La vita consacrata nasce dall’ascolto della Parola di Dio e accoglie il Vangelo come sua norma di vita.
Alla scuola della Parola, riscopre di continuo la sua identità e si converte in evangelica testificatio per la Chiesa e per il mondo.
Chiamata ad essere “esegesi” vivente della Parola di Dio, essa stessa è una parola con cui Dio continua a parlare alla Chiesa e al mondo” (Proposizione 24).
In questo cammino con la Parola di Dio le persone di vita consacrata, come esorta il concilio Vaticano ii, “abbiano quotidianamente tra le mani la Sacra Scrittura, affinché dalla lettura e dalla meditazione dei Libri sacri imparino “la sovreminente scienza di Gesù Cristo” (Filippesi 3, 8)” (Perfectae caritatis, n.
6) e trovino rinnovato slancio nel loro compito di educazione e di evangelizzazione specie dei poveri, dei piccoli e degli ultimi con il Vangelo “promuovendo nei modi consoni al proprio carisma scuole di preghiera, di spiritualità e di lettura orante della Scrittura” (Vita consecrata, n.
94).
Il Testo biblico deve diventare oggetto di quotidiana ruminatio e di confronto per un discernimento personale e comunitario in modo tale che Dio possa tornare, secondo le parole di sant’Ambrogio, a passeggiare con l’uomo come nel paradiso terrestre.
Specie la lettura orante della Parola di Dio (lectio divina), fatta insieme dalle persone consacrate, diventa il luogo per una rinnovata crescita vocazionale e un valido ritorno al Vangelo e allo spirito dei fondatori auspicato dal Vaticano ii e sempre riproposto dal magistero della Chiesa come afferma Giovanni Paolo II: “La Parola di Dio è la prima sorgente di ogni spiritualità cristiana.
Essa alimenta un rapporto personale con il Dio vivente e con la sua volontà salvifica e santificante.
È per questo che la lectio divina, fin dalla nascita degli Istituti di vita consacrata, in particolar modo nel monachesimo, ha ricevuto la più alta considerazione.
Grazie ad essa, la Parola di Dio viene trasferita nella vita, sulla quale proietta la luce della sapienza che è dono dello Spirito” (Vita consecrata, n.
94).
In particolare, le persone consacrate valorizzino il confronto comunitario con la Parola di Dio, che recherà comunione fraterna, gioiosa condivisione delle esperienze di Dio nella loro vita e faciliterà loro una crescita nella vita spirituale.
Molti sono stati i riferimenti alla vita cristiana e alla vita consacrata che il Sinodo dei Vescovi ha fatto in riferimento alla Parola di Dio.
Una delle sottolineature più importanti emerse nell’Assemblea sinodale è stata quella relativa alla necessità di comprendere il senso e la dimensione dell’espressione “Parola di Dio” con il suo concetto analogico.
La Parola di Dio non va semplicemente identificata con le Sacre Scritture, testimonianza privilegiata della Parola, perché la Parola precede ed eccede la Bibbia stessa.
La Parola, infatti, è essenzialmente una Persona, è Gesù Cristo, di cui il versetto di Giovanni 1, 14 sull’incarnazione, è la sintesi della fede cristiana.
Il cristianesimo non è la religione del libro, ma la religione della Persona, di Gesù Cristo evento centrale della storia umana, che offre a tutti i credenti la chiave ermeneutica per comprendere le Scritture.
Naturalmente il contesto adeguato e privilegiato per ascoltare la Parola di Dio è la liturgia ecclesiale, in particolare l’Eucaristia, dove la Chiesa vive l’unità dei due Testamenti e celebra la presenza del Cristo vivo, che svela il senso delle Scritture Sante.
È in questo contesto che la comunità di fede, aperta a tutta la Tradizione viva della Chiesa, continua a nutrire il popolo di Dio nell’unica mensa della Parola e del Pane eucaristico.
Un contributo tra i più incisivi del Sinodo è stato quello di approfondire una riflessione teologica per situare con chiarezza la Scrittura nell’ambito teologico che le spetta, quello della sacramentalità, per cui il Libro sacro è totalmente relativo al mistero della Parola e ne è mediazione efficace.
Da questo ruolo sacramentale della Bibbia sono seguite alcune attuazioni pastorali: il rapporto tra Bibbia e liturgia, dove la Scrittura trova nel contesto liturgico il proprio luogo di annuncio, di ascolto e di attuazione; il rapporto tra Bibbia e comprensione teologica, per cui l’esegesi scientifica si deve aprire al progetto di salvezza, che trova il suo centro in Cristo sapendo valorizzare il dialogo tra esegeti, teologi e pastori; infine, il rapporto tra Bibbia e Chiesa, in quanto la Tradizione vivente precede il Libro, gli offre l’ambiente vitale, grazie anche al magistero.
Benedetto XVI, infatti, ha affermato: “La storia della salvezza non è una mitologia, ma una vera storia ed è perciò da studiare con i metodi della seria ricerca storica”.
Un altro tema che ha suscitato vasto interesse tra i padri sinodali è stato quello della predicazione e specie dell’omelia, che dovrebbe essere mistagogica, cioè portare i fedeli presenti alla celebrazione ad un incontro di esperienza e di conversione con la persona del Signore e ad avvicinare ogni credente al mistero pasquale di Cristo.
In questa luce la Proposizione 15 sull’omelia recita: “Essa conduce al mistero che si celebra, invita alla missione e condivide le gioie e i dolori, le speranze e le paure dei fedeli (…).
L’omelia deve essere nutrita di dottrina e trasmettere l’insegnamento della Chiesa per fortificare la fede, chiamare alla conversione nel quadro della celebrazione e preparare all’attuazione del mistero pasquale eucaristico”.
Per questo il Sinodo ha rivolto a tutti un caldo invito all’incontro vitale e diretto con la Scrittura perché da questa nasca “una nuova stagione di più grande amore per la Sacra Scrittura da parte di tutti i fedeli del popolo di Dio, cosicché dalla loro “lettura orante” e fedele nel tempo si approfondisca il rapporto con la persona stessa di Gesù”.
Il Sinodo, dunque, è stato un’esperienza che ha fortemente richiamato tutta la Chiesa, e in particolare le persone religiose impegnate nel campo della vita apostolica, al primato della Parola di Dio nell’annuncio e nella vita di fede, sottolineando sia la ricerca esegetico-teologica della Bibbia, che fa cogliere “il senso spirituale” del Testo sacro e permette di giungere al contenuto delle Scritture secondo il principio dell’ispirazione che anima l’intera Bibbia, sia una pastorale intimamente ancorata alla Parola di Dio e a un accesso comprensibile dei credenti al Libro sacro, accompagnato dall’azione dello Spirito Santo, che è il vero esegeta delle Scritture.
Il messaggio della Conferenza episcopale italiana per la Giornata mondiale della vita consacrata del 2 febbraio 2009 esorta le persone consacrate a un rinnovato e generoso slancio apostolico, affermando: “Questa Giornata sia per tutti i consacrati e le consacrate l’occasione per rinnovare l’offerta totale di sé al Signore nel generoso servizio ai poveri, secondo il carisma dell’Istituto di appartenenza.
Le comunità monastiche e religiose siano oasi nelle quali si vive il primato assoluto di Dio, della sua gloria e del suo amore, nella gioia della comunione fraterna e nella dedizione appassionata ai poveri, agli ultimi, ai sofferenti nel corpo e nello spirito”.
Si tratta, in conclusione, di abbandonarsi alla lode silenziosa del cuore in un clima di semplicità e di preghiera adorante come ha fatto Maria, la Vergine dell’ascolto e della Parola: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto” (Luca 1, 38), perché tutte le Parole di Dio si riassumono e vanno vissute nell’amore (cfr.
Deuteronomio 6, 5; Giovanni 13, 34-35).
(©L’Osservatore Romano – 1 febbraio 2009) Particolare significato acquista quest’anno la 13 Giornata mondiale della vita consacrata, il 2 febbraio, festa della Presentazione del Signore.
Essa si celebra infatti nell’Anno di san Paolo, apostolo e missionario del Vangelo, e pochi mesi dopo il Sinodo dei Vescovi sul tema “La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa”.
Già Giovanni Paolo II nel Messaggio per la prima Giornata della vita consacrata aveva sottolineato il valore biblico della collocazione di tale celebrazione nella ricorrenza liturgica della Presentazione di Gesù al Tempio, in quanto il racconto biblico “costituisce un’eloquente icona della totale dedizione della propria vita per quanti sono chiamati a riprodurre nella Chiesa e nel mondo, mediante i consigli evangelici, “i tratti caratteristici di Gesù vergine, povero ed obbediente”” (Vita consecrata, n.
1).
La vita consacrata, per il fatto di ripresentare la forma di vita di Cristo, è Parola di Dio per la Chiesa e per il mondo.
Se è vero inoltre che la Chiesa si riconosce sommamente realizzata nella donazione di sé a Cristo, la vita consacrata rappresenta questo vertice ecclesiale e quindi Parola vissuta, cioè pronunciata e accolta con la vita, segno della presenza di Cristo e del mistero della Chiesa.
Tale ricorrenza, inoltre, è motivo per ringraziare il Signore per il dono delle persone consacrate che con la loro vita di conformazione a Cristo, di testimonianza al Vangelo e con la loro generosa disponibilità ad annunciarlo nei vasti campi della missione attraverso i diversi servizi carismatici, sono portatori, come lo fu l’apostolo Paolo, della bellezza di Dio e dei doni che lo Spirito del Signore diffonde nel loro genere di vita.

Chiesa ortodossa russa: Kirill patriarca

Alessio II era stato eletto nel 1990 ora tutti si aspettano da Kirill un rafforzamento, non solo numerico, della Chiesa ortodossa minacciata dal secolarismo e dall’indifferentismo religioso.
Un compito che Kirill ha ben presente e che, per molti aspetti, lo mette in sintonia con il pontificato di Benedetto XVI.
Il neo-patriarca di Mosca «è persona ben conosciuta e stimata da Benedetto XVI» nota padre Lombardi, portavoce della Santa Sede, che ha subito inviato gli auguri a Kirill «perché possa svolgere un servizio fruttuoso e continuare ad approfondire un cammino di reciproca conoscenza e collaborazione per il bene dell’umanità».
Ieri sera le campane di tutte le chiese di Mosca hanno suonato a lungo in segno di festa, mentre nella cattedrale di Cristo Salvatore il neo-patriarca s’inchinava davanti a coloro che l’avevano eletto.
Tra le volute d’incenso e i canti melodiosi della liturgia orientale, il «Concilio locale» ha avuto inizio a mezzogiorno in punto con una solenne processione degli arcivescovi dai paramenti violacei e dei metropoliti coi piviali azzurri, cui hanno fatto ala i rappresentanti dei monasteri in tonaca nera e i delegati laici in abito scuro.
Uno spettacolo di colori, di suoni e di profumi altamente suggestivo.
Dopo l’invocazione allo Spirito Santo il metropolita Kirill, reggente ad interim, ha baciato l’icona della Vergine di Feodorovskaja, una delle più venerate dai russi e già patrona della famiglia degli zar Romanov, e ha quindi aperto i lavori con un lungo intervento che a tutti è sembrato come un vero e proprio discorso programmatico.
Ha rivendicato con orgoglio che «il popolo russo ha resistito con successo al proselitismo venuto dall’estero» denunciando allo stesso tempo «la pressione aggressiva di un secolarismo senza Dio e i tentativi da parte alcuni gruppi protestanti radicali di rovesciare la morale evangelica».
Kirill ha ricordato ai partecipanti che questo Concilio locale è chiamato a prendere «decisioni storiche» e ha indicato tra gli obiettivi prioritari un maggior impegno sociale della Chiesa.
L’intronizzazione solenne del nuovo patriarca avverrà domenica prossima alla presenza di molte delegazioni straniere tra cui una folta rappresentanza vaticana.
Il nuovo patriarca ortodosso russo, Kirill (foto Ansa) dal nostro inviato a Mosca Luigi Geninazzi Avvenire, 28 gennaio ’09 La Chiesa ortodossa russa ha un nuovo patriarca: è il metropolita Kirill di Smolensk e Kaliningrad, eletto ieri sera a scrutinio segreto dall’Assemblea plenaria del «Concilio locale» già alla prima votazione.
Per l’ex «ministro degli esteri» del Patriarcato c’è stato un larghissimo consenso.
Kirill ha avuto l’appoggio di oltre i due terzi dei delegati, 508 voti su 700, (per la nomina era richiesto il 50 per cento più uno), confermando in tal modo tutte le previsioni della vigilia che lo davano decisamente in vantaggio sugli altri possibili candidati.
Favorito nei sondaggi online, appoggiato dalla metà dei suoi confratelli nel voto preliminare espresso dal Concilio episcopale domenica scorsa, ha avuto la strada spianata anche nel Concilio locale, una sorta di Stati generali della Chiesa ortodossa russa.
Lo si è capito subito ieri pomeriggio allorché l’assemblea dei delegati ha rinunciato a proporre altre candidature.
Quindi è arrivato l’annuncio che il metropolita Filarete di Minsk si ritirava invitando i propri sostenitori a far convergere i voti su Kirill.
A quel punto restava in gara solo il metropolita Kliment, il tesoriere del Patriarcato dipinto dai mass-media come portabandiera dell’ala più conservatrice.
Ha ottenuto 162 voti, troppo pochi per sbarrare la strada a Kirill.
Con l’elezione di ieri la Chiesa ortodossa russa mette fine alla lunga transizione post-sovietica.
Kirill, sedicesimo patriarca di Mosca è anche il primo post-comunista

Il sogno di uno stato come un grande mosaico

Padre Elias Chacour è l’arcivescovo della diocesi melchita di Galilea, antichissima Chiesa orientale unita alla Chiesa di Roma.
È arabo-palestinese, cattolico e cittadino dello Stato di Israele.
Prima e ancor più dopo essere stato nominato vescovo di Haifa (2006), P.
Elias ha dedicato le sue energie a opere e iniziative a favore del popolo della sua diocesi: scuole elementari, una scuola superiore, una biblioteca, un Centro per la pace, un Centro regionale di aggiornamento per gli insegnanti delle scuole di Galilea e, in ultimo, la prima Università cristiana araba in Israele a servizio di persone di tutte le etnie e confessioni religiose presenti in Israele per formarsi, studiare e lavorare insieme per una nuova società fondata sul reciproco rispetto e riconoscimento.
Lo scorso 5 gennaio un gruppo di italiani, nel corso di un viaggio-seminario in Israele e nei territori palestinesi organizzato da Confronti, ha incontrato p.
Chacour ad Haifa, proprio nelle ore in cui giungevano le drammatiche notizie dell’invasione di Gaza da parte dell’esercito israeliano.
Per la grande tensione di quel momento, P.
Chacour aveva rifiutato di rilasciare qualsiasi tipo di intervista.
Ma, incontrando gli italiani in viaggio di studio che gli chiedevano proprio di essere aiutati a capire, il presule ha parlato loro quasi per confidare la sua amarezza, e non soltanto per quel che succedeva in quelle ore, ma, soprattutto, per le origini remote e mai rimosse della tragedia israelo-palestinese.
Di seguito le parole del vescovo.
Adista – Docuenti, 30 gennaio ‘09 Sono profondamente triste per quello che sta succedendo in queste ore a Gaza: scorre sangue ebreo e scorre sangue palestinese, sangue umano, che merita uguale rispetto da parte di tutti.
Non riesco a capire come i politici delle due parti, musulmani o ebrei, possano credere di essere dalla parte di Dio e contemporaneamente tentare di giustificare la loro azione di violenza.
Dio ordina chiaramente di non uccidere.
E in queste ore, invece, assistiamo alla corsa a chi può uccidere di più, dall’una e dall’altra parte.
Non importa quale giustificazione gli israeliani o i palestinesi possano portare: non c’è giustificazione per uccidersi.
E neppure ci potrà essere un vincitore in questa guerra: ci sono certamente due perdenti, uno più dell’altro.
Certo, si possono condannare i palestinesi che lanciano i loro razzi su Israele e si può dire che la rappresaglia israeliana è una barbarie, perché a Gaza uccide anche tanti civili.
Ma considerando questo evento al di fuori del suo contesto non è possibile capire.
Per farvi comprendere la situazione, vi parlerò di me, del mio essere palestinese, fiero palestinese e cittadino dello Stato di Israele.
Sulla vostra stampa normalmente un palestinese è musulmano e un cristiano non è arabo.
Io invece sono un palestinese arabo e sono cristiano.
Vi chiederete come un palestinese possa essere cristiano, arabo e cittadino di Israele.
Per capirlo bisogna tornare al 1948, quando i sopravvissuti della Shoa fecero proprio lo slogan di Teodor Herzl “Una terra senza nazione (la Palestina) appartiene a una nazione senza terra (Israele)”, rivendicando una terra tutta per loro.
E a chi gli faceva notare che la Palestina era sovrappopolata, lo stesso Herzl rispondeva: “Dobbiamo essere miopi: non vedere la realtà e fare come se lì non ci fosse nessuno”.
Questo è l’inizio della tragedia: i palestinesi erano lì e gli ebrei agivano come se non ci fosse nessuno.
Così, quella che gli ebrei chiamano guerra di indipendenza, nel 1948, per i palestinesi è la naqbah, la catastrofe.
Israele è nato come Stato nazionale indipendente moderno e la maggioranza dei palestinesi, deportati e cacciati da case e villaggi, ha sofferto una pulizia etnica: 460 villaggi palestinesi sono stati completamente svuotati e distrutti, compreso il mio.
E così è cominciata la diaspora dei palestinesi nei Paesi arabi confinanti: Libano, Siria, Giordania, Egitto.
Altri palestinesi, invece, non sono andati nei Paesi limitrofi, volendo vivere in un piccolo territorio palestinese non occupato dal-l’esercito israeliano: sono nati allora campi di rifugiati dappertutto, in Cisgiordania, a Ramallah, Hebron e molti altri luoghi.
Nella parte sud della Palestina c’è un piccolo territorio desertico che si chiama Striscia di Gaza: nel 1948 Gaza aveva 8.500 abitanti, ma in pochi mesi si è riempita di un milione e 500.000 rifugiati, imprigionati tra il deserto, il mare e Israele, senza più diritti umani se non quello di fare figli.
E hanno fatto molti figli, ambiziosi e intelligenti, ma senza avvenire.
Non hanno avuto altra possibilità che nascere, crescere, sposarsi, crescere altri figli, e morire.
20 anni, nel 1967 (con la guerra dei sei giorni, ndr), dal controllo egiziano sono caduti sotto il controllo israeliano e alla loro miseria si sono aggiunti tutti i controlli militari, i check point, luoghi di umiliazione molto più che luoghi di sicurezza.
Esistono infinite storie di umiliazione.
Per esempio: un soldato israeliano arrivato qui dall’Etiopia o da qualche altra parte del mondo, in servizio al check point, annoiato perché non ha niente da fare, prende la tessera di identità di rifugiato del palestinese che chiede di passare da una parte all’altra, e la getta nel cestino: 100, 200, 300 carte di identità e altrettanti palestinesi che attendono.
E il soldato dice loro: “cercate le vostre carte di identità e andatevene”.
Immaginate il divertimento del soldato, e l’umiliazione, la rabbia repressa e l’odio del palestinese.
Ancora: ogni giorno, il palestinese che deve raggiungere il luogo di lavoro deve percorrere magari appena 20 metri dalla sua casa, ma tra questi due punti c’è un check point e per attraversarlo deve aspettare tre o quattro ore la mattina e altrettante la sera per tornare a casa.
È qui la radice della rabbia dei giovani palestinesi che scelgono di fare i kamikaze.
Meglio morire con dignità che vivere con umiliazione, dicono i giovani palestinesi.
E da 60 anni Israele non domanda che la pace, shalom, shalom, shalom…
nient’altro che questo.
Ma la pace è impossibile senza giustizia e integrità, e queste sono impossibili senza la pace e la sicurezza per l’altra parte.
Ebrei e palestinesi gridano: “la terra è nostra, la terra ci appartiene”.
Hanno dimenticato che la terra non può appartenere né agli ebrei né ai palestinesi, perché la terra appartiene a Dio.
Palestinesi ed ebrei devono imparare che sono loro ad appartenere a questa terra e finché non lo faranno non ci sarà né pace né giustizia.
Nel 1948 i palestinesi sono stati dispersi e gli ebrei hanno preso il posto dei palestinesi.
Non è giustificabile.
Gli ebrei dicono: “questa è la nostra terra promessa”.
Per avere la terra promessa bisogna essere ebrei? Bisogna credere nella religione ebraica? E i musulmani e i cristiani? Noi cristiani non abbiamo una terra promessa, ma crediamo che ovunque ci si ritrovi in due o tre nel suo nome, lì c’è Dio.
È così che la terra diventa santa, che sia l’Italia, la Papuasia o l’America.
Gli ebrei non possono imporci la fede nella terra promessa.
I musulmani e i cristiani dicono agli ebrei: questa è la nostra ancestrale terra comune, eravamo qui insieme 2000 anni fa, quando un imperatore romano vi deportò, non siamo stati noi a cacciarvi; adesso voi ritornate e siete i benvenuti, non possiamo non accogliervi, ma non accettiamo che voi prendiate il nostro posto e ci cacciate.
Dobbiamo convincerci che oggi né gli ebrei né i palestinesi possono controllare autonomamente e autoritativamente la Palestina.
Dobbiamo comprendere che la terra appartiene a Dio e che tanto i musulmani quanto gli ebrei appartengono alla terra, in virtù della loro storia.
Abbiamo vissuto bene, insieme, per più di 1.600 anni: allora non c’erano ideologie islamiche né sioniste, non c’erano che musulmani ed ebrei che riconoscevano di discendere da un solo padre, un cittadino “iracheno” che si chiama Abramo.
Tutto questo oggi è stato cancellato: quello che conta è solo il numero dei vostri aerei da combattimento, quante bombe terribili possedete, se l’America vi sostiene, ecc.
Non conta più né il diritto né la ragione.
Detto altrimenti, vale solo quello che ha scritto La Fontaine: “La ragione del più forte è sempre la migliore”.
E così oggi, a Gaza, Israele distrugge ciò che vuole, ha la ragione di essere il più forte.
Ma è la stessa cosa agli occhi di Dio? Io non credo.
Con la creazione di Israele, un piccolo numero di palestinesi ha potuto restare nel territorio palestinese che è diventato Israele: ne costituisce la minoranza araba.
Vi sono un milione e duecentomila palestinesi cittadini di Israele, fra i quali si trova una piccolissima minoranza cristiana che ha subìto la stessa sorte dei musulmani: i cristiani sono attualmente per il 75% rifugiati o in diaspora, solo il 25% ha deciso di restare.
Siamo appena 147mila, distribuiti in varie comunità cristiane.
La comunità più grande è formata dai greco cattolici, detti greco melchiti o anche “uniati” (uniti a Roma).
Dei greco cattolici nessuno è greco e non so quanti siano cattolici: contiamo 76mila cristiani e da 3 anni io sono il loro arcivescovo.
Non so cosa io abbia fatto perché il Signore mi abbia condannato a diventare arcivescovo, ma sia fatta la sua volontà.
La seconda comunità è formata da circa 40mila greco-ortodossi.
Anche in questo caso nessuno è greco e non so quanti siano ortodossi: sono tutti arabi, ma la loro gerarchia (proveniente dalla Grecia) non parla arabo e quindi non riescono a comunicare direttamente.
La terza comunità è formata dai romano-cattolici o latini: non si capisce come gli arabi possano essere romano-cattolici, tuttavia esistono.
Sono circa 10mila e 500, hanno un patriarca, 4 vescovi, centinaia di preti, moltissimi religiosi e religiose, moltissime suore.
Un po’ li invidio: se mi dessero 10 preti e un po’ di suore farei la rivoluzione in Israele, ma ciascuno resta nella propria Chiesa.
La quarta comunità è formata dai maroniti: sono poco più di 8mila, hanno cominciato ad arrivare in Palestina dal Libano nel XVII secolo, sono cristiani molto pii, tutti cattolici, non romano cattolici, con un clero molto spirituale.
Infine ci sono gli anglicani, arabo-anglicani: non so come sia possibile, ma ci sono.
Oggi il nostro più grande ideale è raggiungere l’unità all’interno di queste diversità: non vogliamo che l’anglicano diventi romano-cattolico, accettiamo la diversità.
E ci chiediamo se sarà possibile un futuro comune anche con i nostri fratelli ebrei.
Sogniamo uno Stato di Israele come un grande mosaico: ogni tessera ha il suo colore e tutte insieme, nella loro diversità, creano l’immagine di ciò che ciascuno è di per sé e di ciò a cui aspira.
Pur in questa difficile situazione, noi crediamo ancor di più nel nostro ideale di unità nella diversità.
Io sono un mendicante internazionale: non mendico soldi, ma amicizia e solidarietà.
Se avete amici ebrei, anche amici ebrei fanatici, io, palestinese, vi supplico: continuate a donare loro la vostra amicizia, ne hanno bisogno più che mai.
Ma perché la vostra amicizia con gli ebrei dovrebbe significare inimicizia con i palestinesi? E se siete amici dei palestinesi, se prendete le loro parti, una volta tanto sarete dalla parte giusta.
Ma se essere amici dei palestinesi dovesse significare odio per gli ebrei, questa amicizia non ci serve.
Noi abbiamo bisogno della vostra solidarietà, ma chi vi dice che l’amicizia verso di noi sia automaticamente inimicizia verso gli ebrei? Noi abbiamo un problema con gli ebrei, ed è con essi che dobbiamo risolverlo; se voi prendete le parti di uno contro l’altro, diventerete un nemico in più, e oggi non abbiamo bisogno ancora di un altro nemico.
Abbiamo bisogno, invece, di un amico comune.
Solo nell’amicizia potremo risolvere i problemi, ma non sarà facile: del resto, non c’è nulla di prezioso che possa essere raggiunto facilmente.
E che c’è di più prezioso della riconciliazione fra ebrei e palestinesi? Adista – Documenti, 29 gennaio ’09

Il Papa: «Solidale con gli ebrei»

Subito dopo, il Papa ha espresso la sua indiscutibile “solidarietà” ai fratelli ebrei ed ha detto che la shoah rimane un monito contro ogni oblio e negazionismo.
Quasi in contemporanea, il portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi, ha voluto dare un’immediata risposta alla minaccia di rottura delle relazioni con il Vaticano trapelata da fonti del Rabbinato di Israele.
“Le parole del Papa, nelle diverse occasioni in cui già in passato si è espresso, e che oggi sono state pronunciate ancora una volta sul tema della Shoah – ha detto padre Lombardi – dovrebbero essere più che sufficienti per rispondere alle attese di chi esprime dubbi sulla posizione del Papa e della Chiesa cattolica sull’argomento”.
Il commento del card.
Bertone.
Sulla questione è poi tornato in serata anche il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato della Santa Sede.
“Benedetto XVI ha pronunciato questa mattina parole chiarissime”.
ha detto sottolineando che per il Papa le incomprensioni con il mondo ebraico seguite al perdono ai lefbvriani “è stato un episodio dolorosissimo”.
Secondo il card.
Bertone, a ferire in modo particolare sono state le parole le parole di David Rosen, già ambasciatore presso la Santa Sede, che aveva definito la riabilitazione del vescovo negazionista Richard Williamson una decisione grave fino al punto di contaminare tutta la Chiesa.
“Penso – ha spiegato il cardinale – che non sia giusto nè bene giudicare continuamente l’operato del Papa, e lo dico anche a un rabbino amico, David Rosen, perchè dire che Benedetto XVI ha contaminato la Chiesa è abnorme”.
Il segretario di Stato ha tenuto questa sera un discorso al Circolo di Roma sul magistero del pontificato di Benedetto XVI.
Per Bertone, anche se gravissimo l’episodio delle dichiarazioni negazioniste di Williamson a una tv svedese, invece “non deve essere enfatizzato più di quanto valga in se stesso, perchè le chiarificazioni in proposito sono state nette e precise”.
“Nel processo di riavvicinamento tra i lefebvriani e la Chiesa Cattolica – ha ricostruito Bertone – c’è stato un intralcio prodotto da questo intervento: un fatto anomalo, improvviso e inaspettato, che però non poteva fermare il processo di revoca della scomunica”.
“Benedetto XVI ha agito – ha concluso il porporato – seguendo una delle linee portanti del suo magistero, cioè quella di realizzare il più possibile la comunione e l’unità dei cristiani”.
Il Rabbinato d’Israele.
Stamane il quotidiano Jerusalem Post, citando una fonte anonima interna all’autorevole istituzione ebraica, aveva sostenuto che il Rabbinato d’Israele ritiene «difficile proseguire il dialogo con il Vaticano» qualora non vi fosse un atto di pubbliche scuse e di ritrattazione delle dichiarazioni sulla Shoah del vescovo lefebvriano Richard Williamson, coinvolto nel recente provvedimento di annullamento della scomunica contro i tradizionalisti deciso dal Papa.
E nel pomeriggio il rabbinato di Israele ha accolto le parole odierne di papa Benedetto XVI sulla Shoah come «un grande passo in avanti per la soluzione della questione» sollevata dalla recente revoca della scomunica nei confronti del vescovo lefevbriano negazionista Richard Williamson.
La dichiarazione è stata fatta all’agenzia Ansa dal direttore generale del Rabbinato Oded Wiener, secondo il quale si tratta di «una dichiarazione molto importante per noi e per il mondo intero».
Padre Lombardi: «Il dialogo continui».
«Le parole del Papa, nelle diverse occasioni in cui già in passato si è espresso, e che oggi sono state pronunciate ancora una volta sul tema della Shoah, dovrebbero essere più che sufficienti per rispondere alle attese di chi esprime dubbi sulle posizioni del Papa e della Chiesa cattolica sull’argomento».
Lo ha detto il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi.
«Ci auguriamo – ha aggiunto – che, anche alla luce di esse, le difficoltà presentate dal Rabbinato di Israele possano essere oggetto di ulteriore e più approfondita riflessione, in dialogo con la Commissione per i rapporti con l’ebraismo del Consiglio per l’unità dei cristiani, in modo che il dialogo della Chiesa Cattolica con l’ebraismo possa continuare con frutto e serenità».
(Avvenire, 29 gennaio ’09) Il Papa ha espresso oggi, durante l’udienza, la sua indiscutibile “solidarietà” ai fratelli ebrei e ha detto che la Shoah rimane un monito contro ogni oblio e negazionismo.
Il Papa ha chiesto anche ai vescovi lefebvriani ai quali ha revocato la scomunica l’impegno a «realizzare i passi necessari» per realizzare la piena comunione con la Chiesa riconoscendo il Concilio Vaticano II.
Ratzinger ha spiegato di aver concesso “la remissione della scomunica in cui erano incorsi i quattro vescovi ordinati nel 1988 da mons.
Lefebvre senza mandato pontificio”, “in adempimento” del servizio all’unità della Chiesa affermato dal Vangelo.
“Ho compiuto questo atto di paterna misericordia – ha detto – perchè ripetutamente questi presuli mi hanno manifestato la loro viva sofferenza per la situazione in cui si erano venuti a trovare.
Auspico – ha aggiunto – che a questo mio gesto faccia seguito il sollecito impegno da parte loro di compiere gli ulteriori passi necessari per realizzare la piena comunione con la Chiesa, testimoniando così vera fedeltà e vero riconoscimento del magistero e dell’autorità del Papa e del Concilio Vaticano II”.

I 150° della Fondazione della Sua Congregazione.

VERBALE DELL’ATTO DI FONDAZIONE DELLA CONGREGAZIONE SALESIANA Torino, 18 dicembre 1859 Testo critico preparato dall’Istituto Storico salesiano Nel Nome di Nostro Signor Gesù Cristo Amen 1859.
L’anno del Signore mille ottocento cinquantanove alli diciotto di Dicembre in questo Oratorio di S.
Francesco di Sales nella camera del Sacerdote Bosco Gioanni alle ore 9 pomeridiane si radunavano, esso, il Sacerdote Alasonatti Vittorio, i chierici Savio Angelo Diacono, Rua Michele Suddiacono, Cagliero Gioanni, Francesia Gio Battista, Provera Francesco, Ghivarello Carlo, Lazzero Giuseppe, Bonetti Gioanni, Anfossi Gioanni, Marcellino Luigi, Cerruti Francesco, Durando Celestino, Pettiva Secondo, Rovetto Antonio, Bongiovanni Cesare Giuseppe, il giovane Chiapale Luigi, tutti allo scopo ed in uno spirito di promuovere e conservare lo spirito di vera carità che richiedesi nell’opera degli Oratorii per la gioventù abbandonata e pericolante, la quale in questi calamitosi tempi viene in mille maniere sedotta a danno della società e precipitata nell’empietà ed irreligione.
Piacque pertanto ai medesimi Congregati di erigersi in Società o Congregazione che avendo di mira il vicendevole ajuto per la santificazione propria si proponesse di promuovere la gloria di Dio e la salute delle anime specialmente delle più bisognose d’istruzione e di educazione │ ed approvato di comune consenso il disegno proposto, fatta breve preghiera ed invocato il lume dello Spirito Santo, procedevano alla elezione dei Membri che dovessero costituire la direzione della società per questa e per nuove Congregazioni se a Dio piacerà favorirne l’incremento.
Pregarono pertanto unanimi Lui iniziatore e promotore a gradire la carica di Superiore Maggiore siccome del tutto a Lui conveniente, il quale avendola accettata colla riserva della facoltà di nominarsi il prefetto, poiché nessuno vi si oppose, pronunziò che gli pareva non dovesse muovere dall’uffizio di prefetto lo Scrivente il quale finqui teneva tal carica nella casa.
Si pensò quindi tosto al modo di elezione per gli altri Socii che concorrono alla Direzione, e si convenne di adottare la votazione a suffragi secreti per più breve via a costituirne il Consiglio, il quale doveva essere composto di un Direttore Spirituale, dell’Economo e di tre Consiglieri in compagnia dei due predescritti uffiziali.
Or fatto Segretario a questo scopo lo Scrivente, ei protesta di aver fedelmente adempito l’uffizio │ commessogli di comune fiducia, attribuendo il suffragio a ciascuno dei Soci secondoché veniva nominato in votazione; e quindi essergli risultato nella elezione del direttore Spirituale all’unanimità la scelta nel Chierico Suddiacono Rua Michele che non se ne ricusava.
Il che ripetutosi per l’Economo, riuscì e fu riconosciuto il Diacono Angelo Savio il quale promise altresì di assumersene il relativo impegno.
Restavano ancora da eleggere i tre consiglieri; pel primo dei quali fattasi al solito la votazione venne il cherico Cagliero Giovanni.
Il secondo consigliere sortì il chierico Gio Bonetti.
Pel terzo ed ultimo essendo riusciti eguali i suffragi a favore dei chierici Ghivarello Carlo e Provera Francesco, fattasi altra votazione la maggioranza risultò pel chierico Ghivarello, e così fu definitivamente costituito il corpo di amministrazione per la nostra Società.
Il quale fatto come venne finqui complessivamente esposto fu letto in piena Congrega di tutti i prelodati Soci ed ufficiali per ora nominati, i quali riconosciutane la veracità, concordi fermarono che se ne conservasse l’originale, a cui per l’autenticità si sottoscrisse il Superiore Maggiore e come Segretario Sac.
Bosco Gio.
Alasonatti Vittorio Sac.
Prefetto