Nel mondo ci sono quattro milioni di cittadini italiani (fonte Migrantes) e almeno sessanta milioni di oriundi.
Un’altra Italia, interessatissima alla cultura del nostro Paese, spesso innamorata e ammaliata quando dalla Roma dei Cesari, quando dagli intrighi della Firenze rinascimentale, quando dagli eroismi risorgimentali.
E che ci guarda da lontano, quasi sempre grazie a Internet, con entusiasmo e grande difficoltà.
Perché riuscire a discriminare tra milioni di pagine web, spesso di qualità scadente, con informazioni false o superficiali, è impossibile.
È quella che i sociologi chiamano information overload.
SUPERMOTORE SEMANTICO Nasce anche per fare un po’ di chiarezza nell’agitatissimo Mare Nostrum digitale, il progetto del supermotore di ricerca semantico della cultura italiana che è stato appena approvato e finanziato dal Miur.
L’obiettivo è quello di realizzare un meta motore semantico, cioè un sistema capace di interrogare tutti i search engines del mondo e anche di estrapolare il sapere seguendo schemi di intelligenza artificiale.
«E dunque creare un catalogo dei website migliori – spiega Marco Santagata, ordinario all’Università di Pisa e coordinatore scientifico del progetto -, una bussola della cultura italiana con la quale chiunque, ma soprattutto chi vive all’estero, può orientarsi per ottenere le giuste informazioni senza dispersioni e perdite di tempo».
Capofila del progetto, dal valore di 1,4 milioni di euro, è il Diparimento di studi italianistici dell’Università di Pisa, con il quale collaborano Cnr, Ministero dei Beni culturali, Dipartimento di Informatica dell’ateneo pisano e Icon, un consorzio di 21 università italiane, primo al mondo ad aver realizzato Icon (www.italicon.it) un portale sulla cultura italiana che permette anche a residenti all’estero di laurearsi in italianistica con un titolo di studio riconosciuto ufficialmente in Italia e all’estero.
TRADUZIONI IN TEMPO REALE Grazie all’impiego di algoritmi di intelligenza artificiale è prevista la realizzazione di un traduttore semantico italiano-inglese e inglese-italiano.
«Le pagine indicizzate nel supermotore di ricerca – continua Santagata – non saranno soltanto nella nostra lingua, ma in inglese e dunque sarà importante avere una traduzione in tempo reale.
Allo stesso tempo i documenti in italiano potranno essere convertiti in inglese per agevolare la comprensione di chiunque, anche degli oriundi di quarta generazione, che amano la nostra cultura ma non parlano la nostra lingua».
Marco Gasperetti
La proclamazione cristiana della speranza in un mondo diviso
Il tema della dispersione e della riunione è trasparente.
Ed è applicato analogicamente alla situazione dei cristiani divisi che il Signore chiama e conduce all’unità.
Nella pagina biblica si trova un altro elemento essenziale per il movimento ecumenico.
La dispersione ha introdotto impurità, ha causato infedeltà, ha generato imperfezioni, ha messo gli Israeliti a contatto con l’idolatria.
Il Signore dice a Ezechiele: “Li libererò da tutte le loro infedeltà di cui si sono resi colpevoli.
Li purificherò.
Essi saranno il mio popolo ed io sarò il loro Dio” (Ezechiele 37, 23).
La profezia può quindi essere letta in vista della ricomposizione dell’unità dei cristiani.
Il decreto sull’ecumenismo del concilio Vaticano II aveva chiaramente affermato: “Ecumenismo vero non c’è senza interiore conversione, perché il desiderio dell’unità nasce e matura dal rinnovamento della mente, dall’abnegazione di se stesso e dal pieno esercizio della carità” (Unitatis redintegratio, 7).
Il tema si pone in una prospettiva di speranza.
Dio non abbandona il suo popolo.
Anzi, nel tempo della distretta, prende l’iniziativa per la sua liberazione e il suo raduno, nell’unità ristabilita, nella propria terra.
Attraverso il suo inviato, Ezechiele, con un atto simbolico che colpisce l’immaginazione, rivela il suo piano di salvezza, e ravviva la speranza nel suo popolo con una visione di pacificazione: “Farò con loro un’alleanza di pace” e di comunione: “In mezzo a loro sarà la mia dimora”.
Un’analoga prospettiva di speranza vuole suscitare il tema di questa settimana di preghiera, cioè di rinnovata fiducia dei cristiani nel Signore che è venuto al mondo e che “doveva” morire sulla croce per radunare i figli dispersi.
Questa speranza si fonda su alcuni elementi fondamentali.
Innanzitutto sulla nascita stessa del movimento ecumenico che è “sorto per grazia dello Spirito Santo” e che diventa “ogni giorno più ampio” (Unitatis redintegratio 1).
In secondo luogo la speranza è sostenuta dalla preghiera stessa di Gesù Cristo che rimane l’ispirazione profonda di ogni preghiera per l’unità dei cristiani.
Il decreto sull’ecumenismo del concilio Vaticano ii è stato esplicito.
Il santo concilio si dichiara ben conscio che l’opera del ristabilimento della piena unità dei cristiani “supera le forze e le doti umane”, ma afferma con vigore che “ripone tutta la sua speranza nell’orazione di Cristo per la Chiesa, nell’amore del Padre per noi e nella forza dello Spirito Santo” (Unitati redintegratio 24).
Il concilio dichiara anche che non si tratta di un qualche evanescente ottimismo ma della certezza della fede: “La speranza non inganna” (Romani 5, 5).
Un’analisi sui frutti già raggiunti dal movimento ecumenico rafforza lo spirito positivo con cui vanno affrontate le altre fasi, certamente più ardue.
Per ora si può constatare che la situazione tra i cristiani è completamente diversa da quella che essi sperimentavano prima del concilio Vaticano II con cui la Chiesa cattolica si è ufficialmente impegnata nel movimento ecumenico conferendogli un impulso decisivo, nelle relazioni, nelle problematiche affrontate nei dialoghi bilaterali e nei traguardi raggiunti tanto con le Chiese d’Oriente quanto con le Comunità ecclesiali di Occidente.
Nell’enciclica sull’impegno ecumenico Giovanni Paolo II ne ha dato una lettura autorevole: “È la prima volta nella storia che l’azione in favore dell’unità dei cristiani ha assunto proporzioni così grandi e si è estesa ad un ambito così vasto”.
Ed ha aggiunto: “Uno sguardo d’insieme degli ultimi trent’anni fa meglio comprendere molti dei frutti di questa comune conversione al Vangelo di cui lo Spirito di Dio ha fatto strumento il movimento ecumenico” (Ut unum sint, 41).
Egli, a conferma, annovera: la fraternità ritrovata, la solidarietà nel servizio all’umanità, le convergenze nella Parola di Dio, la crescita della comunione.
Analizza quindi il dialogo con le Chiese di Oriente e i suoi progressi (Ut unum sint, 50-63) e ugualmente quello con le Chiese e Comunità ecclesiali di Occidente (Ut unum sint, 64-70).
L’enciclica fa affermazioni più dettagliate.
Nel dialogo con le Chiese ortodosse afferma che “con spirito positivo, basandoci su quanto abbiamo in comune, la commissione mista ha potuto progredire sostanzialmente” (Ut unum sint, 59).
In seguito il dialogo ha ripreso l’avvio di una nuova fase di lavoro su “Collegialità e autorità nella Chiesa” (Belgrado 2006 e Ravenna 2007) impostando positivamente lo studio della questione cruciale del ruolo del vescovo di Roma nella Chiesa.
Anche con le antiche Chiese di Oriente o precalcedonesi si è potuto organizzare un dialogo fra la Chiesa cattolica e tutte quelle Chiese insieme (copta, etiopica, sira, armena).
L’enciclica ha apprezzato anche il lavoro svolto con le Chiese e Comunità ecclesiali di Occidente affermando che “il dialogo è stato ed è fecondo, ricco di promesse…
La riflessione dei vari dialoghi bilaterali, con una dedizione che merita l’elogio di tutta la comunità ecumenica, si è concentrata su molte questioni controverse quali il Battesimo, l’Eucaristia, il Ministero ordinato, la sacramentalità e l’autorità nella Chiesa, la successione apostolica”.
Non solo, ma questi dialoghi hanno prodotto frutti positivi.
L’enciclica dichiara: “Si sono delineate così delle prospettive di soluzione insperate e nel contempo si è compreso come fosse necessario scandagliare più profondamente alcuni argomenti” (Ut unum sint, 69).
Dopo l’enciclica i dialoghi sono continuati e hanno prodotto nuovi frutti come la dichiarazione comune sulla Giustificazione per fede con i Luterani, nuova pietra miliare nel dialogo con i protestanti.
In seguito Benedetto XVI non ha mancato di incoraggiare tanto il dialogo della carità quanto il dialogo teologico.
Recentemente Benedetto XVI alla Sessione Plenaria del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani (18 dicembre 2008) sul tema “Ricezione e futuro del dialogo ecumenico” ebbe a dire: “Ringraziamo il Signore per i significativi passi in avanti compiuti”.
Questi progressi vanno applicati e verificati nella realtà concreta.
L’indicazione operativa che proviene dalla visione di Ezechiele è quella di “accostare l’uno all’altro” in modo da fare “un legno solo”, e cioè da formare “una cosa sola” (Ezechiele 37, 17).
I temi suggeriti per gli otto giorni si riferiscono appunto all’azione comune tra i cristiani nella situazione concreta del mondo di oggi.
Le problematiche trattate negli otto giorni si possono sintetizzare in tre gruppi: la divisione dei cristiani, le questioni sociali dominanti, il contesto interreligioso.
La questione della divisione tra i cristiani viene affrontata in particolare nel primo giorno in cui si considerano “le comunità cristiane di fronte a vecchie e nuove divisioni”.
Il tema ovviamente trova risonanze in tutti gli altri giorni.
Sono note le grandi divisioni storiche, fra cattolici e ortodossi e fra cattolici e protestanti.
Esse sono oggetto di dialogo e su molte di esse si sono trovate positive convergenze.
Ma permangono ancora i motivi di fondo delle divisioni.
In più la situazione attuale presenta “nuove divisioni” che si constatano tanto fra le Chiese ortodosse quanto nel mondo protestante, nuove frammentazioni e emergenza di nuove problematiche etiche con gravi dissensi.
Il dialogo ecumenico ne deve tenere conto approfondendo la ricerca.
Le questioni sociali dominanti richiedono una cooperazione fattiva tra i cristiani mettendo insieme gli elementi comuni per una testimonianza comune e un concorde annuncio del messaggio cristiano.
L’ampia problematica viene affrontata in cinque giorni, dal secondo al sesto giorno.
L’impostazione è sempre la stessa per ciascun giorno: come si situano i cristiani di fronte ai vari problemi, di fronte alla guerra e alla violenza, di fronte alle ingiustizie, di fronte alla crisi ecologica, di fronte alle discriminazioni e alla sofferenza.
Il tutto è sempre, giorno per giorno, sotto lo slogan: “Essere riuniti nella tua mano”.
La cooperazione tra i cristiani è stata proposta e ecumenicamente valorizzata dal decreto del concilio Vaticano II sull’ecumenismo: “La cooperazione di tutti i cristiani esprime vivamente quella unione che già vige tra di loro”.
Inoltre “da questa cooperazione i credenti in Cristo possono facilmente imparare come si appiani la via verso l’unità” (Unitatis redintegratio 12).
I cristiani di fronte alla pluralità delle religioni trovano un campo nuovo in cui esplicare la loro testimonianza comune di fede nella Trinità e in Gesù Cristo Signore e Salvatore del mondo.
Le relazioni con le altre religioni sono avvertite come indispensabili nel nostro tempo nel duplice scopo di affermare valori comuni (trascendenza, principi di convivenza pacifica, opzioni fondamentali di etica, ecc.) e, inoltre, di cercare insieme come evitare quei conflitti che sorgono per altri interessi ma che strumentalizzano le religioni per creare contrapposizioni tra i popoli.
I cristiani hanno un messaggio comune specifico da presentare nel dialogo con le altre religioni.
Infine l’ottavo giorno è quasi la sintesi dell’intera riflessione di quest’anno per la preghiera per l’unità dei cristiani.
Il tema del giorno presenta una formulazione sintomatica ed efficace: “Proclamazione cristiana della speranza in un mondo di separazione”.
Nel nostro mondo e nel nostro tempo, segnato da separazioni e conflitti, tra i cristiani, tra le religioni, tra i popoli, i cristiani sono chiamati a “proclamare” la speranza cristiana che il testo di Ezechiele ripropone ricordando che il Signore assicura: “Li libererò”, “Li purificherò”, “Li unirò”, “Stabilirò il mio santuario in mezzo a loro per sempre”.
Il commento proposto per questo ultimo giorno, riassumendo l’orientamento generale, afferma: “Quando i cristiani si riuniscono per pregare per l’unità sono motivati e sostenuti da questa speranza”.
(©L’Osservatore Romano – 18 gennaio 2009) VI unità di apprendimento: “Gesù e…” OBIETTIVI SPECIFICI DI APPRENDIMENTO Conoscenze Abilità * Gesù di Nazaret, l’Emmanuele “Dio con noi”. * Descrivere l’ambiente di vita di Gesù nei suoi aspetti quotidiani, familiari, sociali e religiosi.
OBIETTIVI FORMATIVI • Scoprire l’attenzione di Gesù verso i più piccoli • Comprendere l’amore di Gesù nei confronti dei sofferenti Suggerimenti operativi • Raccontare l’episodio di Gesù con gli apostoli, la folla e alcuni bambini.
Sottolineare la frase centrale detta da Gesù: “Lasciate che i bambini vengano a me…” Se è necessario, rileggere anche due volte il brano, in modo da comprenderlo meglio.
• Sul quaderno rappresentare i due momenti: 1.
gli apostoli mandano via i bambini; 2.
Gesù li richiama a sé.
Prima di far rappresentare l’episodio con il disegno evidenziare gli elementi chiave della scena e, se possibile, anche una semplice frase da inserire in un fumetto per trasmettere meglio il messaggio. • Scoprire attraverso il racconto del cieco Bartimeo come Gesù sia attento a chi soffre ed è in difficoltà.
Leggere un adattamento del brano evangelico.
Per far immedesimare i bambini nei personaggi assegnare a ciascuno un ruolo (Gesù, folla, Bartimeo) e durante la lettura far rappresentare il divenire della storia.
Visto che i personaggi sono pochi, se la classe è molto numerosa, dividerla in gruppi e ripetere la messa in scena in modo che tutti possano prendervi parte.
Attuare un debriefing alla fine per capire come si sono sentiti i bambini “nei panni di…”; ricercare le emozioni, i desideri, i pensieri…
• Dare la consegna, a ogni alunno, di rappresentare sul quaderno il momento del racconto che ritiene più significativo.
Raccordi con altre discipline Italiano, ed.
alla convivenza, ed.
all’immagine Riferimento al tema “Per i diritti di tutti” “Convenzione sui diritti dell’infanzia”: Art.
3: ogni bambino ha il diritto di essere amato.
Art.
7: ogni bambino ha il diritto ad avere un nome.
Art.
28: ogni bambino ha il diritto a ricevere un’istruzione.
Art.
31: ogni bambino ha il diritto di giocare.
Il tema per la preghiera dell’unità dell’anno 2009 è stato proposto da un gruppo ecumenico della Corea, che partendo dallo stato di divisione della loro patria e dalle divisioni tra cristiani ivi presenti, ha suggerito come testo-base la visione simbolica e profetica di Ezechiele (Ezechiele 37, 15-28).
In seguito, il Comitato misto internazionale per la preghiera – composto da rappresentanti del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani e della Commissione Fede e Costituzione del Consiglio Ecumenico delle Chiese – ha riveduto il primo progetto e gli ha conferito le caratteristiche necessarie per una divulgazione internazionale.
Il Comitato si è incontrato a Marsiglia dove opera una interessante organizzazione con carattere ecumenico ed interreligioso nota come “Marseille espérance”.
Il gruppo è stato accolto con calorosa fraternità ecumenica dalla diocesi, dagli organismi ecumenici locali e dalla stessa cittadinanza.
Il Comitato Misto Internazionale, come è sua tradizione, ha elaborato i sussidi in due lingue, francese e inglese.
Le traduzioni e gli adattamenti sono lasciate all’iniziativa delle Chiese locali.
Nella visione profetica, il Signore chiede a Ezechiele di prendere due bastoni, in uno scriverà il nome di Giuda e delle tribù unite a lui, nell’altro scriverà il nome di Giuseppe e di tutte le altre tribù d’Israele.
Quindi gli ordina: “Accostali l’uno all’altro in modo da fare un legno solo, che formino una cosa sola nella tua mano” (Ezechiele 37, 17).
E quando i compatrioti chiederanno il significato, Ezechiele, dovrà trasmettere ciò che il Signore gli ha detto: “Ecco, io prendo il legno di Giuseppe e lo metto sul legno di Giuda per farne un legno solo; diventeranno una cosa sola in mano mia” (Ezechiele 37, 19).
Il Signore ne dà una spiegazione più precisa: “Ecco, io prenderò gli Israeliti dalle genti fra le quali sono andati e li radunerò da ogni parte e li ricondurrò nel loro paese: farò di loro un solo popolo nella mia terra” (Ezechiele 37, 21).
“Essere riuniti nella tua mano”
Tema della settimana: “ESSERE RIUNITI NELLA TUA MANO” (cfr.
Ezechiele 37,17) Le date della celebrazione: 18-25 gennaio 2009 —› scegli, fra le seguenti voci di interesse per la Settimana di Preghiera: 1 › Presentazione 2 › Introduzione Teologico-Pastorale 3 › Testo Biblico 4 › Letture Bibliche e commento per ogni giorno della Settimana 5 › Preghiere proposte dalle chiese locali 6 › Situazione Ecumenica in Corea 7 › Date importanti nella storia della Preghiera per l’Unità dei Cristiani 8 › Temi della Settimana di Preghiera per L’Unità dei Cristiani 1968-2009 9 › Suggerimenti per l’organizzazione della Settimana di Preghiera
La fede negata
Nell’anno incerto dell’Orissa dopo l’anno della violenza, della caccia al cristiano, degli stupri e del fuoco, i profughi hanno una sola volontà: tornare.
E una sola sicurezza: la Chiesa.
«Una foresta prese fuoco e tutti gli esseri viventi di quella foresta iniziarono a fuggire per salvarsi, ma un uccellino invece di allontanarsi, si tuffò in un ruscello e volò indietro.
Scuotendo le ali gettò gocce d’acqua sul fuoco per spegnerlo.
’Sforzo inutile, di uno sciocco uccello’, lo schernì Indra, dio della pioggia.
“Oh Grande – rispose l’uccellino – se tu volessi potresti spegnere il fuoco in un momento, ma non lo fai.
Io faccio solo quello che posso”, e così dicendo volò ancora verso il ruscello».
Come suggerisce questo racconto molto popolare in Orissa, a volte grandi cose succedono per piccoli atti di gente umile.
Allo stesso modo l’azione della Chiesa nella società, in particolare verso i diseredati, assomiglia all’azione del modesto volatile, ma porta con sé un valore esemplare che è difficile disconoscere.
Anche nella tragedia del Kandhamal, tra i profughi, parte dei 50mila iniziali, ancora raccolti attorno crocifisso all’interno dei campi istituiti dalle diocesi, pochi disposti ad accogliere l’offerta irrisoria in denaro e riso affinché abbandonino i centri di raccolta governativi.
Quello di Janla è stato aperto di corsa, sotto la pressione di un flusso di disperati in fuga senza un rifugio certo, nei dintorni polverosi di Bhubaneshwar, capitale dell’Orissa.
Il terreno è quello di una vecchia fabbrica di laterizi, adiacente al lebbrosario gestito dalle Missionarie della Carità che da mesi dividono impegno e tempo tra chi è oggi, nell’India dei record e della democrazia sbandierata ma spesso elusa, pesantemente discriminato.
Dei 500 ospiti iniziali di Janla, ne restano circa 350: 40 famiglie riunite per quanto possibile, secondo un piano voluto dall’arcidiocesi, ma esteso come prassi all’intero Stato.
Gruppi familiari ritrovatisi anche dopo settimane di inenarrabili traversie nella fuga.
Oggi volti sereni, ma nel cuore una paura difficile da cancellare e negli occhi la domanda che non trova aperta espressione tra questa gente: perché? Padre Manoj Nayak è una specie particolare di profugo, ma di questa non facile condi-zione condivide estraneazione, sofferenza, volontà di capire e di ricominciare.
Lui è un tribale Kandh, gruppo etnico che dà il nome al’intero distretto di Kandhamal, sfuggito per un soffio alle violenze, ma da mesi impegnato per i confratelli di fede ed etnia nella diocesi nel tentativo di abbreviare i tempi di un rientro in condizioni di sicurezza.
Nel villaggio, da dove la famiglia è riuscita a scappare, il pastore Samuer Nayak è stato massacrato in casa , bruciato assieme alla madre per essersi rifiutato di interrompere la lettura della Bibbia davanti agli assalitori.
Un confratello verbita, studente al Teologato di Sambalpur, è ufficialmente disperso e come lui decine di persone.
Parikhit Nayak era un catechista, viveva una vita al servizio d’impegno e di non pochi timori tra a sua gente nel villaggio di Taengai, Kandhamal.
Negli oc¬hi ha le violenze ma an¬che la sofferenza dei com¬pagni nel campo.
Gli uo¬mini si impegnano nella fabbricazione di mattoni con metodi moderni e in quella di prodotti artigia¬nali, le donne cercano di migliorare le condizioni dei loro rifugi.
Nel cuore di tutti, il timore che la provvisorietà diventi de¬finitiva, che il futuro sia una casa lontano dal¬le terre tribali.
«Chi non rinuncia alla fede cristiana va in¬contro a morte certa in Kandhamal – racconta padre Nayak –.
Ma l’abiura significa ben al¬tro che la già dura negazione della propria fe¬de.
Non è sufficiente che chi dichiara la pro¬pria rinuncia si rada il capo, beva acqua me¬scolata a sterco bo¬vino e firmi docu¬menti che attestino l’avvenuta riconver¬sione.
Deve dimo¬strare la propria sin¬cerità bruciando al¬meno una casa di cristiani, possibil¬mente con qualcu¬no all’interno».
Questa è una tragedia dentro la tragedia.
Tut¬ta la gente che vive nei campi non coltiva che una prospettiva: il rientro nella propria terra.
Tuttavia la minaccia della riconversione e an¬che ora la sfiducia verso i vicini di fede in¬duista – che in molti casi hanno tradito i cristiani e in altri coraggiosamente si sono op¬posti agli assalitori – rende il rientro pratica¬mente impossibile.
La vedova di Iswar Digal del villaggio di Mal¬lipoda è inconsolabile.
Al marito catturato il 20 settembre era stata offerta la salvezza in cambio della conversione.
Digal ha rifiutato e di lui si sono perse le tracce.
Sul luogo del¬l’aggressione indicato dalla moglie, la polizia ha potuto trovare solo macchie di sangue ma non il corpo.
Una tattica anche questa, par¬te di un disegno più vasto, che porta la polizia ad allun¬gare l’elenco dei dispersi ma non a indagare per reati in mancanza di prove.
Probabilmente Digal è stato ucciso e il suo corpo bruciato e occultato.
«Come ci hanno detto alcuni che sono ancora rifugiati nelle foreste, ci sono zone dove si sente il fetore dei corpi in decomposizione », racconta un altro profugo.
C’è voglia di raccontare la propria esperienza per quanto dolorosa, tra i profughi di Janla.
C’è la coscienza che sollevare il velo sugli orrori del Kandhamal e delle altre aree colpite dall’odio religioso innescato da ragioni politiche e interessi economici sulle terre tribali può contribuire almeno a garantire lo status quo, a conservare la presenza militare sul territorio gestita prioritariamente per ordine della Corte Suprema dal gover¬no centrale indiano.
Lo Stato.
L’Orissa è uno Stato complessivamente povero e arretrato, ma all’ombra delle sue foreste lussureggianti, abitate in prevalenza da gruppi tribali e aborigeni, si trovano ricche riserve minerarie.
La regione fornisce il 70 per cento della bauxite estratta in India, il 90 per cento del cromo e il 24 per cento del carbone.
Le compagnie minerarie locali e straniere si contendono territori protetti ma soprattutto abitati da popolazioni ricche di tradizioni e fiere di un rapporto stretto con le loro terre, considerate dimora delle divinità locali della fede animista.
Nonostante povertà e relativa insicurezza, l’Orissa è tra i primi dieci stati dell’India quanto ad investimenti stranieri.
Ma il progresso ha finora illuso le antiche genti delle foreste, private in molti casi delle loro risorse abituali, costrette a vivere in cubicoli di cemento, fuori dal loro habitat naturale e sempre più impoverite.
Ai tentativi di educazione della Chiesa, si oppongono vasti interessi economici che mobilitano a loro sostegno forze politiche, radicalismo induista e violenza mercenaria.
La testimonianza.
Edward Sequeira era nel suo ufficio presso la Casa per i Figli della lebbra e gli orfani di Padampur, distretto di Bargarh, Orissa, quando il 25 agosto una cinquantina di indù armati di spranghe, bastoni e torce assalì il centro.
Lui fece resistenza barricandosi all’interno del centro per più di un’ora prima dell’arrivo della polizia che lo liberò, con gravi ustioni e numerose fratture, dall’edificio in cui era stato chiuso dagli assalitori prima di darlo alle fiamme.
Rajni Mahji, 20 anni, studentessa di fede indù che svolgeva un lavoro volontario di assistenza alla ventina di piccoli ospiti, venne invece stuprata e bruciata viva.
«Ho lavorato a Padampur per gli ultimi 11 anni, in particolare tra le comunità indù – racconta padre Sequeira –.
I piccoli da noi ospitati provengono dalle colonie di lebbrosi, mondi chiusi di dolore e vergogna, ai margini delle comunità.
Ce n’erano 22 in questa casa», dice indicando le rovine bruciate delle costruzioni che un tempo rappresentavano rifugio e speranza di piccoli diseredati e un supplemento di missione per il sacerdote verbita.
«Quel giorno sono stato picchiato per 45 minuti con sbarre, vanghe e mazze raccolte tra il materiale da costruzione che avevamo presso di noi prima che mi chiudessero nel mio ufficio.
In quei momenti disperati ho avuto una visione, qualcuno che tra il fumo e le fiamme mi rassicurava: ’Soffro con te, non sei solo’.
Solo a quel punto ho ritrovato l’energia che mi ha spinto a chiudere porte e finestre dall’interno e ad usare un secchio d’acqua riempito nel gabinetto per estinguere il fuoco che mi circondava.
Dopo di che ricordo solo il tempo interminabile passato a cercare di ostacolare quanti volevano entrare dalle finestre e dal tetto devastato per catturarmi e finirmi».
Solo dopo essere uscito si rese conto della tragedia che l’aveva colpito e che più ancora aveva colpito la sua collaboratrice Rajani, orfana, studente al secondo anno di informatica.
«Ricordo di essere svenuto sentendo che chiedeva il mio aiuto mentre cercavano di bruciarla viva».
di Stefano Vecchia Avvenire, 16 gennaio ’09
Ebrei e Chiesa cattolica
Sul versante geopolitico la guerra di Gaza ha acuito le divergenze tra la Chiesa cattolica e Israele, come www.chiesa ha mostrato nel servizio del 4 gennaio.
Il viaggio di Benedetto XVI in Terra Santa, ipotizzato per maggio, si auspica che attenui le reciproche incomprensioni.
Intanto, però, soprattutto per l’intransigenza israeliana, non fanno passi avanti i negoziati per dare attuazione pratica agli accordi del 1993 tra la Santa Sede e Israele.
Né si intravede alcuna disponibilità a rimuovere, nel museo della Shoah a Gerusalemme, la didascalia che squalifica Pio XII come complice dello sterminio nazista degli ebrei.
Ma anche sul terreno più strettamente religioso il rapporto tra le due parti è accidentato.
Per il 17 gennaio la conferenza episcopale italiana ha indetto la “Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei”.
Dal 1990 questa giornata si tiene tutti gli anni, dal 2001 la comunità ebraica italiana la promuove assieme ai vescovi e dal 2005 entrambe le parti hanno concordato un programma decennale di riflessione sui Dieci Comandamenti.
Ma questa volta la Chiesa cattolica si ritrova sola.
L’assemblea dei rabbini italiani, presieduta da Giuseppe Laras, ha deciso di “sospendere” la partecipazione degli ebrei all’evento.
Ferdinando Bonsignore – La Chiesa della Gran Madre di Dio Esempio dello stile neoclassico in auge ai primi dell’Ottocento è la chiesa della Gran Madre di Dio, opera di Ferdinando Bonsignore, eretta tra il 1818 e il 1831 per festeggiare il ritorno di Vittorio Emanuele I di Savoia il 20 maggio 1814 dopo la sconfitta di Napoleone: sul timpano della chiesa si legge infatti l’epigrafe «Ordo Populusque Taurinus Ob Adventum Regis» («La città e i cittadini di Torino per il ritorno del re»).
Lo schema dell’edificio si rifà, con spirito deliberatamente archeologico, a una diffusissima tipologia che trova il suo prototipo nel Pantheon, monumento romano del periodo adrianeo; una pianta rotonda sormontata da una cupola, e preceduta da un peristilio a frontone triangolare, il tutto poggiante su un alto zoccolo.
Il documento diffuso dalla conferenza episcopale italiana per la “Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei” del 17 gennaio 2009: > Ebrei e cristiani 1959-2009: mezzo secolo di dialogo __________ L’articolo del rabbino capo di Venezia, Elia Enrico Richetti, sulla rivista missionaria dei gesuiti italiani, “Popoli”: > Giornata dell’ebraismo.
Le ragioni del nostro no __________ Il documento della pontificia commissione biblica del 24 maggio 2001 prodotto sotto la direzione dell’allora cardinale Joseph Ratzinger: > Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana __________ Un dossier sull’ebraismo d’oggi in Italia, nel numero di gennaio del 2009 del mensile dei religiosi paolini “Jesus” > Torah, Torah, Torah Laras ha annunciato il ritiro dell’adesione lo scorso 18 novembre, durante un convegno sul dialogo interreligioso svoltosi a Roma alla camera dei deputati.
E l’ha addebitata alla decisione di Benedetto XVI di introdurre nel rito romano antico del Venerdì Santo l’invocazione affinché Dio “illumini” i cuori degli ebrei, “perché riconoscano Gesù Cristo salvatore di tutti gli uomini”.
Invocazione giudicata da Laras inaccettabile in quanto finalizzata alla conversione degli ebrei alla fede cristiana.
Il 13 gennaio il rabbino capo di Venezia, Elia Enrico Richetti, ha rincarato la protesta.
Su “Popoli”, la rivista missionaria dei gesuiti italiani, ha scritto che con Benedetto XVI “stiamo andando verso la cancellazione degli ultimi cinquant’anni di storia della Chiesa”.
La conferenza episcopale italiana ha reagito mantenendo ferma la giornata di riflessione ebraico-cristiana – significativamente collocata alla vigilia dell’annuale settimana dell’unità dei cristiani – e pubblicando per l’occasione un documento che riassume le tappe del dialogo tra ebrei e cristiani nell’ultimo mezzo secolo, a partire dalla cancellazione, decisa da papa Giovanni XXIII nel 1959, dell’aggettivo latino “perfidi” (che propriamente significa “increduli”) applicato agli ebrei nella preghiera del Venerdì Santo in vigore all’epoca.
Nel documento è sottolineata l’importanza del testo vaticano pubblicato dall’allora cardinale Joseph Ratzinger nel 2001 col titolo “Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana”.
Questo testo, in effetti, è riconosciuto da autorevoli esponenti cattolici ed ebrei come il punto più alto e costruttivo fin qui raggiunto nel dialogo tra le due fedi, assieme al libro “Gesù di Nazaret” pubblicato nel 2007 dallo stesso Ratzinger, nel frattempo divenuto papa, nelle pagine dedicate alla divinità di Gesù: questione teologica capitale per gli ebrei di allora come di oggi, credenti in Cristo oppure no.
In campo cattolico la via tracciata da Ratzinger nel dialogo con l’ebraismo non è da tutti accettata.
Gli si oppone la cosiddetta “teologia della sostituzione”, sia nelle versioni “di sinistra”, filopalestinesi, sia in quelle “di destra”, tradizionaliste.
Secondo tale teologia, l’alleanza con Israele è stata revocata da Dio e solo la Chiesa è il nuovo popolo eletto.
In taluni tale visione arriva sino a un rigetto sostanziale dell’Antico Testamento.
Ma anche in campo ebraico vi sono sensibili divergenze di vedute.
Lo scorso novembre, quando Benedetto XVI fece colpo affermando che “un dialogo interreligioso nel senso stretto della parola non è possibile, mentre urge tanto più il dialogo interculturale”, a sorpresa il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni (nella foto), si dichiarò d’accordo col papa.
E aggiunse che la decisione dell’assemblea dei rabbini italiani di sospendere l’adesione alla giornata di riflessione ebraico-cristiana del 17 gennaio andava anch’essa in questa direzione: “rimuovere l’equivoco che si debba dialogare tra cristiani ed ebrei anche sul piano teologico”.
Rispetto al predecessore Elio Toaff – quello del celebre abbraccio con Giovanni Paolo II in sinagoga – Di Segni ha inaugurato una dirigenza del rabbinato in Italia meno laica e più identitaria, più osservante di riti e precetti, e di conseguenza più conflittuale col papato sul versante religioso.
Ma, appunto, non tutti gli ebrei la pensano così.
Alcuni interpretano diversamente le riserve di Benedetto XVI sul dialogo interreligioso.
Ritengono cioè che il papa, quando esclude “un dialogo interreligioso nel senso stretto della parola”, non si riferisca all’ebraismo ma soltanto alle religioni esterne al plesso ebraico-cristiano, cioè islam, induismo, buddismo, eccetera.
E infatti – chiedono – “che cosa sono stati il documento del 2001 e il libro ‘Gesù di Nazaret’ se non un confronto sul terreno propriamente teologico con l’unica religione con cui il cristianesimo può farlo?”.
A formulare quest’ultima domanda – in una nota sul quotidiano “il Foglio” dell’11 gennaio – è stato Giorgio Israel, docente di matematica all’Università di Roma “La Sapienza” ed impegnato fautore del dialogo ebraico-cristiano in sintonia con l’attuale pontefice.
Assieme a Guido Guastalla, assessore alla cultura della comunità ebraica di Livorno, Israel ha anche contestato pubblicamente, sul “Corriere della sera” del 26 novembre, la decisione di Laras e dell’assemblea dei rabbini di dissociarsi dalla giornata di riflessione ebraico-cristiana del 17 gennaio.
A loro giudizio, la motivazione portata a sostegno del rifiuto, cioè la preghiera per gli ebrei formulata da Benedetto XVI per il rito antico del Venerdì Santo, non è più sostenibile dopo le chiarificazioni fatte in proposito dalle autorità vaticane, chiarificazioni accolte anche dal presidente dell’International Jewish Committee, il rabbino David Rosen.
Hanno replicato a Israel e Guastalla, sul “Corriere della Sera” del 4 dicembre, il rabbino Laras, l’altro rabbino Amos Luzzatto e il presidente dell’Unione giovani ebrei d’Italia, Daniele Nahum.
I tre hanno restituito alla Chiesa cattolica e in particolare al papa la colpa della rottura, hanno definito le posizioni di Benedetto XVI “una regressione rispetto alle conquiste scaturite dagli ultimi decenni di dialogo e collaborazione” e hanno accusato i loro critici di voler usare il dialogo ebraico-cristiano in funzione anti islam.
Laras, Luzzatto e Nahum hanno concluso così la loro replica: “Si ricordi che i rapporti tra ebraismo e islam generalmente sono stati più proficui e sereni rispetto a quelli intercorsi tra ebraismo e cristianesimo”.
La storia ha il suo peso irremovibile.
Ma riletti oggi, nel pieno della guerra di Gaza, questo omaggio all’islam e questa stilettata alla Chiesa suonano surreali.
Scuola: Iscrizioni e valutazione
Ecco la circolare sulle iscrizioni a scuola.
Il ministero dell’Istruzione l’ha pubblicata sul proprio sito pochi minuti fa, contestualmente al decreto per attribuire le insufficienze in condotta ai ragazzini della scuola media.
Dopo le polemiche di questi giorni e le vivaci proteste dei sindacati che hanno denunciato lo “stato confusionale” della scuola, dirigenti scolastici, insegnanti e famiglie hanno a disposizione due provvedimenti che consentono le iscrizioni all’anno scolastico 2009/2010 e la valutazione del primo quadrimestre con il ripristino dei voti in decimi all’elementare e alla media.
Il ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, ha firmato il decreto sulla valutazione del comportamento degli studenti.
“La valutazione del comportamento degli studenti – spiega il decreto – nella scuola secondaria di primo grado e nella scuola secondaria di secondo grado è espressa in decimi”.
La valutazione espressa dal consiglio di classe “si riferisce a tutto il periodo di permanenza nella sede scolastica e comprende anche gli interventi e le attività di carattere educativo posti in essere al di fuori di essa”.
L’attribuzione di un voto inferiore a sei decimi, “in presenza di comportamenti di particolare e oggettiva gravità”, comporta l’automatica bocciatura.
Il consiglio di classe può attribuire una valutazione insufficiente in condotta soltanto in presenza di sanzioni disciplinari che comportino l’allontanamento dalla scuola superiore a 15 giorni e per quegli alunni che a seguito di tali sanzioni “non abbiano dimostrato apprezzabili e concreti cambiamenti nel comportamento, tali da evidenziare un sufficiente livello di miglioramento nel suo percorso di crescita e di maturazione”.
Le scuole “sono tenute a curare con particolare attenzione sia l’elaborazione del Patto educativo di corresponsabilità, sia l’informazione tempestiva e il coinvolgimento attivo delle famiglie in merito alla condotta dei propri figli”.
Repubblica 16 gennaio 2009 Scadenza iscrizioni.
I genitori che dovranno iscrivere i propri figli nella scuola dell’infanzia, alla prima classe della scuola primaria, secondaria di primo grado e secondaria di secondo grado dovranno presentare il relativo modulo (I MODULI) predisposto dal ministero dell’Istruzione entro e non oltre il 28 febbraio prossimo.
L’iscrizione alle classi intermedie viene curata delle segreterie scolastiche.
Scuola dell’infanzia.
Potranno richiedere l’iscrizione al primo anno della scuola primaria i genitori dei bambini che compiranno sei anni entro il 31 dicembre 2009.
Possono altresì essere iscritti i piccoli che compiranno sei anni entro il 30 aprile 2010.
Quest’ultima possibilità è subordinata alla disponibilità dei posti, all’esaurimento delle liste d’attesa, alla disponibilità di locali e dotazioni idonei ad accogliere i piccoli anticipatari e alla valutazione pedagogico didattica del collegio dei docenti.
Ove ricorrano le condizioni logistiche e funzionali, continua anche l’esperienza delle “sezioni primavera” per i piccoli di età compresa fra i 24 e i 36 mesi.
L’orario di funzionamento normale è di 40 ore settimanali: 8 ore al giorno.
Le famiglie possono anche richiedere un orario ridotto a 25 ore settimanali o prolungato di 50 ore a settimana.
Scuola primaria.
Hanno l’obbligo di iscriversi in prima elementare i bambini che compiono sei anni entro il 31 dicembre 2009.
Mamme e papà possono optare per l’anticipo, riservato ai piccoli che festeggiano il sesto compleanno entro il 30 aprile 2010.
La domanda può essere presentata in qualsiasi scuola (del territorio di appartenenza o no).
Le istanze verranno accolte in basa ai criteri elaborati e resi noti dagli organi collegiali della scuola.
Nel modulo di domanda le famiglie dovranno indicare l’ordine di priorità delle 4 opzioni orarie: 24, 27, 30 o 40 ore per il tempo pieno.
Ma per l’orario settimanale di 30 ore e il tempo pieno di 40 ore verranno accontentati i genitori soltanto in relazione alle disponibilità di organico della scuola.
Scuola media.
L’iscrizione al primo anno della scuola secondaria di primo grado avviene tramite la scuola primaria frequentata dall’alunno.
L’istanza va indirizzata alla scuola prescelta e deve riportare l’ordine di preferenza delle tre opzioni orarie: 30 ore settimanali (29 ore curricolari più un’ora di approfondimento di Italiano) , tempo prolungato di 36 ore o tempo prolungato di 40 ore a settimana.
I posti a disposizione per frequentare il tempo prolungato dipenderanno dalle dotazioni organiche che assegnerà il ministero alle singole scuole.
Al momento dell’iscrizione le famiglie possono anche scegliere l’Inglese potenziato: 5 ore settimanali anziché 3 più due di una seconda lingua comunitaria.
Per gli alunni che frequentano gli istituti comprensivi l’iscrizione in prima media è effettuata d’ufficio dalla segreteria scolastica.
Scuola secondaria di secondo grado.
Coloro che terminano il primo ciclo, in base alle norme sull’assolvimento dell’obbligo di istruzione, sono tenuti ad iscriversi al primo anno della scuola superiore o a frequentare un percorso di istruzione e formazione professionale triennale.
Olivier Clément
Olivier Clément si è spento la sera del 15 gennaio.
Erano anni che non usciva più dalla sua casa in un vivace quartiere popolare di Parigi.
La malattia l’aveva provato, ma aveva ancora un grande interesse per la vita, i fatti del mondo, le vicende della Chiesa.
Quando l’ho salutato, poco prima che si spegnesse, ho guardato la grande finestra della sua camera, da cui si vede la città fino alla Tour Eiffel, pensando ai suoi ultimi anni di ‘eremita’ alla finestra del mondo.
Il suo cenno di saluto esprimeva la simpatia e l’amicizia che hanno caratterizzato la sua vita.
Qualche anno fa aveva scritto: «La vecchiaia favorisce un’altra conoscenza, quella che l’Oriente considera come l’unione dell’intelligenza e del cuore».
Scompare con Clément (nato nel 1921) una figura europea di spicco, unica e originale.
Il suo pensiero è figlio di un innesto complesso e ben riuscito.
Le sue radici sono in ambiente laico e non credente.
Ha vissuto a Parigi, in una città al plurale, ricca ma con tanti aspetti di deserto umano.
Ha sentito l’angoscia degli orizzonti stretti dell’uomo contemporaneo; si è incamminato nei sentieri della ricerca spirituale.
Ha incontrato la fede cristiana nella Chiesa ortodossa.
La sua ricerca inquieta si è sviluppata nel clima della seconda guerra mondiale.
La guerra è, per tanti grandi spiriti, un tempo fecondo di intuizioni.
La generazione della guerra conta tanti ‘maestri spirituali’ che hanno detto molto all’Europa, tentata dal ripiegamento.
Clément é divenuto cristiano, accogliendo il Vangelo dall’Oriente.
Dopo la rivoluzione bolscevica, tanti russi si erano spostati in Francia.
La cultura russa, la fede della Santa Russia, si è innestata in Francia.
Si pensi a Mat’ Maria, monaca, amica dei poveri, morta nel lager nazista per aver aiutato gli ebrei.
Clément ha raccolto la testimonianza di grandi credenti, tra cui Lossky, Berdjaev, Evdokimov.
Il suo passaggio alla fede è stato accompagnato da padre Sofrony, monaco del Monte Athos, di cui Clément dice: «Mi ha fatto comprendere che il cristianesimo non è una ideologia, ma la resurrezione».
Clément si è abbeverato a una fonte cristiana lontana dal suo mondo, che lo ha condotto all’amore della Bibbia e dei Padri.
La sua storia è particolare, ma ogni conversione vera porta lontano.
Eppure Clément è un occidentale che non si traveste.
Non troviamo in lui niente di esotico.
La sua opera è vissuta respirando a due polmoni, con l’Oriente e con l’Occidente.
Ma, da questa sintesi straordinaria, scaturisce un umanesimo cristiano, la cui eredità resta preziosa.
Olivier Clèment ha speso una vita facendo sue le domande di tanti e cercando luce nella liturgia e nei Padri della Chiesa.
La sua libertà interiore lo porta a prendere sul serio tanti.
Le sue domande sono le nostre: quelle delle generazioni degli anni Sessanta, di chi si confronta con la modernità, di chi sente il peso del totalitarismo scientifico, di chi avverte il limite della psicologia e della psicanalisi, di chi percepisce la debolezza delle ideologie, ma anche di chi sente la vita infragilita… Significativa è la sua storia nella crisi del ’68, attento ai giovani chiassosi per le vie di Parigi, accanto al liceo dove insegnava.
Per lui il ’68 fu una grande messa in scena ‘liturgica’ della rivoluzione, con il rifiuto generalizzato del padre, cioè della tradizione.
Clément scarnifica l’utopia del ’68, ma non rinuncia a credere che si possa cambiare il mondo.
Anzi si convince che è la via del cuore a cambiare l’uomo.
Per questo bisogna accogliere la fede dei Padri.
Così, nel ’68, fece un’esperienza tanto diversa: a Istanbul, per un libro-intervista, interrogò il patriarca di Costantinopoli, Athenagoras.
All’epoca della rivolta contro il padre, il teologo quarantacinquenne si mise in ascolto del patriarca più che ottantenne: ne scoprì l’indomita forza spirituale, non rassegnata alla disunione dei cristiani, all’odio tra le nazioni, al vuoto della vita di tanti.
Nella stagione della contestazione o dell’uccisione dei padri, durante il ’68, Clément dialogò con il vecchio padre.
Ne nacque un libro, che rappresenta un capolavoro di spiritualità e di storia.
Da un albero antico, egli traeva linfa per sperare.
Sono care a Clément le parole di Berdjaev, poste all’inizio del suo libro La Révolte de l’Esprit (un titolo che appare una sfida in un tempo in cui si dissolvono le ideologie e i giovani cercano ‘paradisi’ artificiali): «Non ci si può rivoltare che in nome della realtà ultima, dello Spirito, cioè in nome di Dio».
Clément non è uno spirituale fuori dalla storia e senza sogni sul mondo.
Ha il senso della storia e il gusto di indagarla: vuol dire provarne a coglierne anche le profondità.
Qui si scopre una forza di cambiamento, non percepibile alla superficie.
La resurrezione di Cristo fa che la storia non divenga un inferno: «Se la storia non è nutrita di eternità, diventa una zoologia», conclude.
Dio non ha abbandonato la povera e dolorosa storia degli uomini.
Così lo sguardo del cristiano non è cieco davanti al dolore né chiuso nella gabbia del pessimismo o illuso da utopici paradisi in terra.
Ne sono testimonianza i testi della Via Crucis al Colosseo che scrisse nel ’98 per Giovanni Paolo II.
Clément ha cantato in tutta la sua opera la bellezza e l’attualità del cristianesimo.
Ha sentito che è la speranza per il nostro tempo.
Ma soprattutto è stato un credente vero che, con sapienza, ha realizzato in sé un’umanità, amica di Dio e amica degli uomini.
Andrea Riccardi
Numeri e fede/3: «Ma la geometria non è atea»
Intervista alla matematica Lucia Alessandrini Professoressa, come vive la sua esperienza di matematica e di credente? «Non regge l’equazione “Se c’è razionalità, non c’è religione”.
Assolutamente non sussiste opposizione o incompatibilità.
Si tratta di avere una visione completa dell’uomo, in cui la razionalità non è vista solo come razionalità scientifica.
Credo che della razionalità dell’uomo facciano parte varie componenti.
La mia esperienza di credente è il fondamento della mia esistenza.
Questo non significa che, per sentirmi cristiana, io debba fare accenni di tipo religioso agli studenti durante le lezioni di matematica.
Non mi permetterei mai di farlo, mi sento di essere una cristiana per come vivo nella totalità della mia esistenza».
Mai un conflitto interiore fra il matematico e la credente? «La formazione universitaria e poi la carriera non sempre ti permettono di approfondire la parte “sapienziale” del tuo lavoro.
Non sempre puoi situarti in un ambito più ampio, non tanto in una tradizione quanto in una visione del mondo che, se parliamo il linguaggio biblico, è appunto di tipo sapienziale.
Se potessi riscrivere il libro del Siracide, per esempio, ci metterei dentro la figura del matematico, insieme con quella dello scriba e con le altre che vi compaiono».
I giovani che studiano matematica e sono credenti riescono a coltivare insieme la visione scientifica e quella sapienziale? «Anche i giovani che vengono da un impegno in parrocchia, da gruppi di preghiera, da movimenti ecclesiali, quando arrivano a Matematica a volte sono in difficoltà: manca loro (e devono costruirsela) una visione in cui non s’incontra un baratro tra l’approccio scientifico e quello sapienziale.
La maggior parte dei ragazzi ha una preparazione religiosa che, in genere, risale all’epoca della Cresima, e una conoscenza della Bibbia che è di livello piuttosto basso.
Quando viene proposto loro il discorso intellettuale severo, dal punto di vista della scienza, e debbono confrontarlo nel loro animo con la conoscenza di tipo religioso, si ritrovano (mi si lasci passare il termine) piuttosto “infantili”, perché in epoca infantile hanno appreso quella conoscenza.
Allora si domandano: “Com’è possibile che la Chiesa proponga di credere questo, mentre qui sento dei ragionamenti diversi?”.
Io penso che possa aiutarli una riscoperta dello studio della Bibbia , o ancora meglio frequentare un master in scienza, filosofia e teologia».
Questo approccio potrebbe fornirlo la scuola superiore? «Si potrebbe puntare sulla Bibbia, uno dei “codici” della nostra cultura.
I ragazzi si renderebbero conto che non si chiede loro di credere a “favolette”: gli studi biblici avanzati sono di tipo scientifico.
Constaterebbero come, nell’approccio a un testo religioso, venga usata la ragione.
Tutto questo, naturalmente, accanto allo studio della filosofia, che dovrebbe avere un ruolo fondamentale nella formazione dei giovani.
Ma la scuola ha programmi fissi in cui già vanno inserite, non senza difficoltà, tantissime materie.
E bisogna già combattere molto per salvare la filosofia.
Farei appello invece alla struttura ecclesiale, ai movimenti, alle parrocchie, ai centri culturali.
Questi devono assolutamente trovare tempi e modi per coinvolgere i giovani delle scuole superiori e dell’università».
E quelli che non frequentano regolarmente la parrocchia? «Credo che i giovani e le famiglie possano benissimo rivolgersi a un centro culturale che offra programmi seri.
Mi riferisco per esempio ai centri culturali messi in rete come strumenti del Progetto culturale della Chiesa cattolica.
Dovrebbero occuparsi molto dei giovani, dei giovani adulti, per aiutarli ad adottare una mentalità forse più corretta nell’ambito del dibattito fede-ragione».
Oggi soffre anche la filosofia.
Non interessa più la ricerca delle verità fondamentali, la causa rerum? «La filosofia va difesa in ambito scolastico, senza nulla togliere alla religione.
Formarsi una mentalità che ci permetta di ragionare sulle idee è basilare per poi capire che si può ragionare anche sulle idee che riguardano la fede».
È azzardato affermare che una scoperta matematica ha sempre qualcosa di “religioso” in sé, che assomiglia all’intensa gioia creativa dell’artista? «In matematica scoprire nuove proprietà o dimostrare un nuovo teorema conferisce quella soddisfazione intellettuale che probabilmente prova anche l’artista quando crea un capolavoro.
Il matematico opera in un mondo di idee che lo supererà sempre ma che non è chiuso all’intelligenza dell’uomo, non è il mondo dell’orrore della non-conoscenza: si presta all’approccio dell’uomo purché egli miri alla verità.
Abbiamo dei limiti dovuti alla nostra natura umana, ma la nostra mente è adatta a protendersi verso l’infinito, e questo è il lato prometeico, la “fede” che guida il matematico in quanto tale.
Al di là dell’infinito poi ci sono altri infiniti.
La conoscenza matematica di per sé non ha limiti, siamo noi esseri umani che ne abbiamo.
Ma spesso la matematica incontra il vero freno, quando la società non ha acquisito la piena certezza che la matematica è indispensabile al progresso.
E noi matematici, al giorno d’oggi, ancora più che di finanziamenti, abbiamo bisogno del sostegno sociale e culturale».
Luigi Dell’Aglio È proprio una mosca bianca un matematico che non sia ateo? «Penso proprio di no.
Non sono atea e conosco molti colleghi che credono (come molti che non credono).
Vengo da una famiglia religiosa, ho sempre frequentato la parrocchia e ho lavorato in Italia nei gruppi missionari.
Nel frattempo studiavo matematica perché mi piaceva moltissimo.
(Tutti i matematici risponderebbero così: studiavano per il “gusto” di fare matematica).
A un certo punto, ho dovuto scegliere.
Ho cercato di comprendere quale fosse veramente la mia “chiamata”, e ho concluso che dovevo fare il matematico.
Ho capito che il Signore era anche il Signore della matematica, perciò la mia vita non sarebbe stata divisa a metà; era un’unica vita in cui entravano insieme benissimo questi due impulsi potenti».
La professoressa Lucia Alessandrini è ordinario di Geometria all’Università di Parma.
E che sia un matematico a ventiquattro carati lo dimostrano la forza della sua vocazione scientifica, un’attività di ricerca di primissimo piano, e il modo in cui spiega il suo amore per la “regina delle scienze”.
«La matematica – dice – è collegata alla bellezza delle idee.
Ti attira anche perché con lei non puoi barare.
Una cosa è giusta o sbagliata: non esiste via di mezzo.
E non puoi fermarti, non puoi accontentarti finché non sei arrivato alla fine».
“Un anno con Paolo di Tarso”
Il Servizio Nazionale IRC offre agli Idr un sussidio per l’anno Paolino con alcuni percorsi di approfondimento a cura del bibblista don Cesare Bissoli.
L’approccio è di tipo culturale-scolastico: conoscere il cristianesimo a partire da testimoni autentici.
Il docente potrà liberamente utilizzare i materiali offerti declinandoli secondo il grado e tipo di scuola.
Schede didattiche per l’IRC
“Chiesa in Rete 2.0”
“Chiesa in Rete 2.0” è il titolo del convegno nazionale promosso dall’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali e dal Servizio informatico della Cei che si terrà a Roma il 19 e 20 gennaio 2009.
“Si colloca in una fase di accresciuta consapevolezza di partecipazione ad un fenomeno ampio che offre nuove e diffuse possibilità di supportare l’azione pastorale e culturale delle diocesi – spiegano gli organizzatori -.
Il Convegno vuole contribuire a collocare più saldamente le iniziative diocesane in questo contesto generale, evidenziando anche il contributo della Cei in termini di piattaforme comuni, strumenti, servizi e competenze”.
Si aprirà con il saluto e l’introduzione di S.E.
Mons.
Mariano Crociata, Segretario Generale della Cei, di Don Domenico Pompili, Direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali e del Dott.
Giovanni Silvestri, Responsabile del Servizio informatico della Cei.
Interverranno tra gli altri il Prof.
Adriano Fabris, Docente di filosofia morale all’Università di Pisa, il Prof.
Giuseppe Mazza, Docente di Teologia fondamentale e comunicazioni sociali della Pontificia Università Gregoriana, il Prof.
Stefano Martelli, Docente di sociologia dei processi culturali e comunicativi dell’Università di Bologna, il Prof.
Daniel Arasa, docente di struttura dell’informazione e comunicazione digitale della Pontificia università della Santa Croce.
Informazioni nel sito internet: www.chiesacattolica.it/chieseinrete