Livelli di responsabilità e autonomia delle scuole in Europa

Il  bollettino, oltre ad includere un quadro politico e storico delle riforme a livello europeo sull’autonomia scolastica, si sofferma ad analizzare i livelli di responsabilità delle scuole nella gestione dei finanziamenti e delle risorse umane.
<!– /* Style Definitions */ p.MsoNormal, li.MsoNormal, div.MsoNormal {mso-style-parent:""; margin:0cm; margin-bottom:.0001pt; mso-pagination:widow-orphan; font-size:12.0pt; font-family:"Times New Roman"; mso-fareast-font-family:"Times New Roman";} @page Section1 {size:612.0pt 792.0pt; margin:70.85pt 2.0cm 2.0cm 2.0cm; mso-header-margin:36.0pt; mso-footer-margin:36.0pt; mso-paper-source:0;} div.Section1 {page:Section1;} — L’attenzione si sposta poi sull’autonomia didattica degli insegnanti per quanto concerne i contenuti curricolari, i metodi di insegnamento e la valutazione degli alunni.
La parte finale presenta, inoltre, i principali modelli di valutazione delle scuole e degli insegnanti nei sistemi scolastici europei.
SCARICA PDF:  bollettino_autonomia_scolastica (1.22 MB) Nello studio dell’Unità Italiana di Eurydice Livelli di responsabilità e autonomia delle scuole in Europa (questo il link diretto allo studio e questo alla nostra presentazione dello studio) emergono dunque confronti con Paesi europei che possono farci capire meglio la scuola che viviamo e quella che potremmo vivere.
Per quello che riguarda l’utilizzo dei fondi pubblici, lo studio ci inserisce nel gruppo di paesi per cui il grado di autonomia cambia a seconda della categoria di spesa.
Le scuole italiane, ancorché vincolate dai livelli di trasferimento dei fondi da parte del Ministero e dai provvedimenti in tema di centralizzazione degli acquisti, sarebbero autonome per le spese di funzionamento, e per l’acquisto di attrezzature informatiche, mentre non sono autonome per le spese e/o acquisizioni di beni immobili (pag.
7).
Nell’utilizzo dei fondi privati (da donazioni, sponsorizzazioni, affitto di locali scolastici, prestiti), le scuole italiane sarebbero completamente autonome per ogni uso (pag.
8).
A nostro avviso, è giusto usare il condizionale per queste fattispecie, dato che l’apporto di risorse private è ancora poco diffuso nel sistema scolastico italiano.
Un capitolo interessante è dato dalla comparazione con gli altri Paesi circa l’autonomia delle scuole nella gestione delle risorse umane.
In Italia le scuole non svolgono selezioni per i posti vacanti o per le sostituzioni di insegnanti assenti, non licenziano docenti, non definiscono compiti e responsabilità, e possono comminare tuttalpiù sanzioni disciplinari.
Lo studio accomuna, con profili leggermente differenti, la nostra situazione a quella di Irlanda, Grecia, Francia, Cipro, Malta, Belgio,Germania, Lussemburgo e Portogallo, e ci distingue dunque dal resto dei paesi europei (pagg.
9-11).
Più avanti nello studio (pag.
15), il Bollettino commenta che “in circa la metà dei paesi europei, la selezione degli insegnanti non rientra nella responsabilità degli istituti scolastici.
Tuttavia, quando la selezione spetta a questi ultimi, il capo di istituto partecipa sempre alla decisione”.
Per quello che riguarda la definizione del curriculo minimo obbligatorio, la scuola italiana, al pari di quelle della maggioranza dei Paesi, non ha nessuna autonomia, mentre è completamente autonoma (qui la situazione europea è più variegata) per quanto riguarda la definizione delle materie opzionali e la scelta dei libri di testo (pagg.
16-21).
Anche per quello che riguarda la valutazione degli alunni, l’autonomia scolastica in Italia è totale.
Infine per quello che riguarda la cosiddetta accountability (definita non solo come “l’assunzione di responsabilità, ma più specificamente un sistema di regole e criteri trasparente, secondo il quale un soggetto accetta anticipatamente di «render conto» ad altri di proprie azioni o risultati specificati”), l’Italia si distingue da praticamente tutto il resto di Europa per l’assenza di valutazione.
Assenza di valutazione esterna dei i singoli istituti scolastici (pag.
28), e assenza di valutazione individuale o collettiva degli insegnanti, effettuata in qualsiasi maniera (pag.
29).
Insomma, c’è di che riflettere.
——————————————————————————– tuttoscuola.com martedì 19 maggio 2009

Siamo tutti nella stessa barca

CARLO MARIA MARTINI, LUIGI MARIA VERZÉ,  Siamo tutti nella stessa barca, EditoreSan Raffaele, Milano, 2009,   EAN9788886270908, pp.
140, € 14,50  “Sono contento che la Chiesa mostri in alcuni casi benevolenza e mitezza, ma ritengo che dovrebbe averla verso tutte le persone che veramente la meritano.” Nuovo ‘sasso nello stagno’ del cardinal Martini, arcivescovo emerito di Milano, che negli ultimi anni ha fatto sentire piu’ volte la propria voce per suggerire alla Chiesa inedite – almeno recentemente – possibilita’ di dialogo con le esigenze del mondo contemporaneo.
L’occasione, questa volta, e’ costituita da un libro-dialogo con don Luigi Maria Verze’, fondatore dell’Ospedale San Raffaele di Milano, dal titolo ”Siamo tutti nella stessa barca” e edito dalla Editrice San Raffele, di cui il Corriere della Sera anticipa oggi alcuni brani.
Per il card.
Martini, dopo la revoca della scomunica ai lefebvriani voluta da papa Benedetto XVI, potrebbe essere giunto il momento di un simile gesto di ”misericordia” verso i divorziati risposati, a cui e’ negata dalla Chiesa la possibilita’ di ricevere la comunione.
”Io mi sono rallegrato per la bonta’ con cui il Santo Padre ha tolto la scomunica ai quattro vescovi lefebvriani – afferma Martini -.
Penso, pero’, con tanti altri, che ci sono moltissime persone nella Chiesa che soffrono perche’ si sentono emarginate e che bisognerebbe pensare anche a loro.
E mi riferisco, in particolare, ai divorziati risposati.
Non a tutti, perche’ non dobbiamo favorire la leggerezza e la superficialita’, ma promuovere la fedelta’ e la perseveranza.
Ma vi sono alcuni che oggi sono in stato irreversibile e incolpevole.
Hanno magari assunto dei nuovi doveri verso i figli avuti dal secondo matrimonio, mentre non c’e’ nessun motivo per tornare indietro; anzi, non si troverebbe saggio questo comportamento.
Ritengo che la Chiesa debba trovare soluzioni per queste persone”.
Il cardinale prosegue: ”Sono contento che la Chiesa mostri in alcuni casi benevolenza e mitezza, ma ritengo che dovrebbe averla verso tutte le persone che veramente la meritano.
Sono, pero’, problemi che non puo’ risolvere un semplice sacerdote e neppure un vescovo.
Bisogna che tutta la Chiesa si metta a riflettere su questi casi e, guidata dal Papa, trovi una via di uscita”.
Nel libro, Martini affronta anche il tema del celibato obbligatorio per i preti della Chiesa cattolica occidentale, dicendosi convinto ”che il celibato sia un grande valore, che rimarra’ sempre nella Chiesa: e’ un grande segno evangelico.
Non per questo e’ necessario imporlo a tutti, e gia’ nelle chiese orientali cattoliche non viene chiesto a tutti i sacerdoti”.
Sulla scelta dei vescovi, oggi scelti da Roma mentre un tempo ‘eletti’, tra l’altro, dal popolo cristiano, il cardinale afferma: ”E’ sempre stato un problema difficile nella Chiesa.
Nelle situazioni antiche in cui partecipava maggiormente il popolo, si verificavano litigi e molte divisioni.
Oggi forse e’ stata portata troppo in alto loco.
Vi sono alcune diocesi in Svizzera e in Germania che lo fanno, ma e’ difficile dire che le cose vadano senz’altro meglio.
In conclusione – conclude Martini – si tratta di una realta’ molto complessa”.
Una conversazione tra il cardinale e don Luigi Verzé Carlo Maria Martini — Non so se sono sveglio o sto sognando.
So che mi trovo completamente al buio, mentre un lento sciabordio mi fa pensare che sono su una barca che scivola via sull’acqua.
Cerco a tastoni di stabilire meglio il luogo in cui mi trovo emi accorgo che vicino ame vi è un albero, forse l’albero maestro dell’imbarcazione.
A poco a poco mi avvicino così da potermi aggrappare a esso con le mani, per avere un po’ di sicurezza e di stabilità nei sempre più frequenti moti della barca sulle onde.
In questo tentativo incontro qualcosa che mi sembra come una mano d’uomo.
Forse è un altro passeggero che sta cercando anche lui di appoggiarsi all’albero maestro.
Non so chi sia, come non so io stesso come mi sia trovato su questa barca.
Ma il tocco di quella mano mi dà fiducia: mi spingo avanti così da poterla stringere ed esprimere la mia solidarietà con qualcuno in quell’oscurità che mette i brividi.
Vorrei anche tentare di dire qualcosa, pur non sapendo se il mio compagno di barca capisce l’italiano.
Ma nel frattempo lui inizia a farmi qualche breve domanda, a cui sono lieto di rispondere.
Si tratta di una persona che non conoscevo, ma di cui avevo sentito parlare.
Mi colpiva il suo interesse per me in quel momento difficile, in cui ciascuno avrebbe voglia di pensare solo a se stesso.
Dialogando così nella notte fonda, in quel momento di incertezza e anche di pericolo si videro a poco a poco spuntare le prime luci dell’alba.
Riconobbi il luogo in cui mi trovavo: eravamo noi due soli in barca.
E usando alcuni remi che trovammo in fondo a essa, ci mettemmo a remare verso la riva, fermandoci ogni tanto per assaporare la tranquillità del lago.
Ci siamo detti molte cose in quelle ore.
È venuto chiaramente alla luce durante la conversazione che eravamo tanto diversi l’uno dall’altro.
Ma ci rispettavamo come persone e ci amavamo come figli di Dio.
Anche il fatto di trovarci sulla stessa barca ci permetteva di comprenderci e di accoglierci, così come eravamo.
Tra le prime cose che ci siamo detti c’è naturalmente un poco di autopresentazione.
Così ho appreso che il mio interlocutore aveva nientemeno che ottantanove anni, mentre io ne avevo ottantadue.
Don Luigi Verzé (tale appresi poi essere il nome di colui che viaggiava con me) presentava la sua vita come quella di uno che aveva vissuto sessantuno anni di sacerdozio.
(…) Luigi Maria Verzé — Quanto è cambiata ora la valutazione etica ecclesiastica, rispetto a quella imposta ai tempi della mia infanzia.
D’altra parte, poiché la moralità è imperativo categorico, la gente si fa una propria etica laica e la Chiesa resta con un’etica cristiana incongruente perché incondivisa dagli stessi devoti.
Ricordo, per esempio, che nella mia visita alle favelas del Brasile frequentemente mi incontravo con povere donne senza marito con un bimbo in seno, un altro in braccio e una sfilza di altri che le seguivano, tutti prodotti di diversi mariti.
Era giocoforza concludere che la pillola anticoncezionale andava consigliata e fornita.
Il Brasile, totalmente cattolico fino agli anni Ottanta, ora è disseminato di chiese e chiesuole semicristiane, organizzate però sui bisogni anche spiccioli della gente.
La Chiesa cattolica è troppo lontana dalla realtà, e le fiumane di gente, quando arriva il Papa, hanno più o meno il valore delle carnevalate e delle feste per la dea Iemanjà, l’antica Venere cui tutti, compreso il prefetto cristiano, gettano tributi floreali.
La Chiesa, più che vivere, sopravvive sulle ossa degli eroici primi missionari.
E poiché siamo in tema di morale pratica, che cosa dice, Eminente Padre, della negazione dei sacramenti a devotissimi divorziati? Io penso che anche ai sacerdoti dovrebbe essere presto tolto l’obbligo del celibato, poiché temo che per molti il celibato sia una finzione.
E non sarebbe più vantaggioso che la consacrazione dei vescovi avvenisse su acclamazione del popolo di Dio, oggi così estraneo ai fatti della Chiesa? Forse non si è ancora maturi per tutto questo, ma Lei non crede che siano temi ai quali si dovrebbe pensare pregando lo Spirito? Carlo Maria Martini — Oggi ci sono non poche prescrizioni e norme che non sempre vengono capite dal semplice fedele.
Per questo, la Chiesa appare un po’ troppo lontana dalla realtà.
Purtroppo sono d’accordo che le fiumane di gente che vanno a manifestazioni religiose non sempre le vivono con profondità.
Occorre prepararle, e occorre dopo dare un seguito di riflessione nell’ambito della parrocchia o del gruppo.
Non credo, però, che si possa dire che in Paesi come il Brasile, la Chiesa non vive ma sopravvive soltanto sulle ossa dei primi eroici missionari.
La Chiesa vive là anche su gente semplice, umile, che fa il proprio dovere, che ama, che sa comprendere e perdonare.
È questa la ricchezza delle nostre comunità.
Tanti laici di queste nazioni e anche tanti laici vicino a noi sono seri e impegnati.
Lei mi chiede che cosa penso della negazione dei sacramenti a devotissimi divorziati.
Io mi so no rallegrato per la bontà con cui il Santo Padre ha tolto la scomunica ai quattro vescovi lefebvriani.
Penso, però, con tanti altri, che ci sono moltissime persone nella Chiesa che soffrono perché si sentono emarginate e che bisognerebbe pensare anche a loro.
E mi riferisco, in particolare, ai divorziati risposati.
Non a tutti, perché non dobbiamo favorire la leggerezza e la superficialità, ma promuovere la fedeltà e la perseveranza.
Ma vi sono alcuni che oggi sono in stato irreversibile e incolpevole.
Hanno magari assunto dei nuovi doveri verso i figli avuti dal secondo matrimonio, mentre non c’è nessun motivo per tornare indietro; anzi, non si troverebbe saggio questo comportamento.
Ritengo che la Chiesa debba trovare soluzioni per queste persone.
Ho detto spesso, e ripeto ai preti, che essi sono formati per costruire l’uomo nuovo secondo il Vangelo.
Ma in realtà debbono poi occuparsi anche di mettere a posto ossa rotte e di salvare i naufraghi.
Sono contento che la Chiesa mostri in alcuni casi benevolenza e mitezza, ma ritengo che dovrebbe averla verso tutte le persone che veramente la meritano.
Sono, però, problemi che non può risolvere un semplice sacerdote e neppure un vescovo.
Bisogna che tutta la Chiesa si metta a riflettere su questi casi e, guidata dal Papa, trovi una via di uscita.
Dopo di ciò Lei affronta un problema molto importante, dicendo che ai sacerdoti andrebbe tolto l’obbligo del celibato.
È una questione delicatissima.
Io credo che il celibato sia un grande valore, che rimarrà sempre nella Chiesa: è un grande segno evangelico.
Non per questo è necessario imporlo a tutti, e già nelle chiese orientali cattoliche non viene chiesto a tutti i sacerdoti.
Vedo che alcuni vescovi propongono di dare il ministero presbiterale a uomini sposati che abbiano già una certa esperienza e maturità (viri probati).
Non sarebbe, però, opportuno che fossero responsabili di una parrocchia, per evitare un ulteriore accrescimento del clericalismo.
Mi pare molto più opportuno fare di questi preti legati alla parrocchia come un gruppo che opera a rotazione.
Si tratta in ogni caso di un problema grave.
E credo che quando la Chiesa lo affronterà avrà davanti anni davvero difficili.
Non mancheranno coloro che diranno di aver accettato il celibato unicamente per arrivare al sacerdozio.
D’altra parte, sono certo che ci saranno sempre molti che sceglieranno la via celibataria.
Perché i giovani sono idealisti e generosi.
Inoltre ci sono nel mondo alcune situazioni particolarmente difficili, in alcuni continenti in particolare.
Penso però che tocchi ai vescovi di quei Paesi fare presente queste situazioni e trovarne le soluzioni.
Lei si domanda anche se non sarebbe più vantaggioso che la consacrazione dei vescovi avvenisse su acclamazione del popolo di Dio.
L’elezione dei vescovi è sempre stato un problema difficile nella Chiesa.
Nelle situazioni antiche in cui partecipava maggiormente il popolo, si verificavano litigi e molte divisioni.
Oggi forse è stata portata troppo in alto loco.
Mi ricordo che un canonista cardinale intervenne in una riunione per dire che non era giusto che la Santa Sede facesse due processi per la stessa persona: uno dovrebbe essere fatto in loco e il secondo dal Nunzio.
Quanto alla partecipazione della gente, vi sono alcune diocesi in Svizzera e in Germania che lo fanno, ma è difficile dire che le cose vadano senz’altro meglio.
In conclusione, si tratta di una realtà molto complessa.
Però l’attuale modo di eleggere i vescovi deve essere migliorato.
Sono temi sui quali si dovrebbe riflettere molto, e parlare anche di più.
Nei sinodi qualcosa emergeva, ma poi non veniva mai approfondito.
Il problema, però, esiste e deve potersi fare una discussione pubblica a questo proposito.
CARLO MARIA MARTINI e LUIGI MARIA VERZÉ 19 maggio 2009

Classe terza – Maggio

Prima fase dell’attività Gli insegnanti di religione e scienze presenteranno i testi-guida insieme, commentandoli e approfondendoli in base alle rispettive competenze.
3) Alle origini dell’esistere Biologicamente, l’embrione unicellulare è il risultato della fusione delle due cellule umane fondamentali, dell’ovulo femminile fecondato dallo spermatozoo maschile; in esso ha origine un nuovo “genoma” (insieme del patrimonio genetico inscritto nel DNA).
Evidenziamo tre aspetti del “genoma”.
– Ha un’individualità somatica, è un’entità con una sua originale corporeità.
– È unico e irripetibile.
Non è esistito né mai esisterà, nell’ambito del genere umano, un altro embrione identico.
– Secondo la legge “ontogenica” di sviluppo, «tutto ciò che l’embrione da quel momento in poi è, tutta la sua storia biologica, è già tutta presente in codice.
Se dal quattordicesimo-sedicesimo giorno si formerà la stria, il primo abbozzo di cellule del cervello, se dopo cinque mesi avrà già tutti gli organi strutturati, se dopo nove mesi nascerà, se a un anno circa camminerà, se a una certa età spunteranno i capelli bianchi, tutto ciò è già iscritto in codice nel genoma dell’embrione.
Tutto ciò che si formerà successivamente è già presente nell’embrione fin dal primo istante.
Non è quindi accettabile l’ipotesi che l’embrione sia un essere umano in potenza.
In potenza è soltanto il suo sviluppo; ci troviamo di fronte non a un essere umano potenziale, ma in atto» (Giovanni Russo in Bioetica e Cristiani, ElleDiCi, collana “Mondo nuovo”, p.
13).
La scienza afferma e dimostra come l’embrione sia un essere umano.
Secondo la Chiesa ‒ e non solo ‒ non è lecito rivendicare il “diritto” di poter interrompere una gravidanza, tranne che nel caso in cui la madre si trovi in reale pericolo di vita a causa della gravidanza stessa (in una situazione praticamente di “legittima difesa”): i genitori non sono padroni della vita dei figli.
Giovanni Paolo II affermò: «Confermo che l’uccisione diretta e volontaria di un essere umano innocente è sempre gravemente immorale.
Tale dottrina, fondata in quella legge non scritta che ogni uomo, alla luce della ragione, trova nel proprio cuore, è riaffermata dalla Sacra Scrittura» (Evangelium Vitae, N57).
La mancanza di tutela dell’embrione a livello legislativo rappresenta una lacerante contraddizione in qualsiasi assetto sociale in cui si affermi teoricamente il principio di tutela della persona umana: ciò che, su di esso, è scientificamente dimostrato viene ipocritamente ignorato per lasciare spazio a una visione “di comodo”, che consenta al cittadino una “semplificazione della vita” ottenuta ignorando le verità il cui rispetto richiede impegno.
L’embrione non potrebbe neppure essere oggetto di “sperimentazione selvaggia” che ne comporti la disinvolta manipolazione e la frequente soppressione: quando c’è di mezzo il mistero della vita, il fine non può giustificare i mezzi.
Riflettiamo, con il seguente documento, su quest’ultima problematica.
1) La “scienza della sopravvivenza” Oggi, il rapporto tra scienza e pensiero religioso è basato sul rispetto della reciproca autonomia: sono diversi i campi d’indagine, diversi i metodi e gli obiettivi…
Scienza e fede non sono dimensioni “in opposizione”: la scienza indaga sui fenomeni, le leggi naturali e la loro interazione (sul “come”…); il pensiero religioso va alla ricerca del senso di ogni realtà…
S’interroga sul “perché”.
Si tratta di due approcci a due diversi tipi di conoscenza.
Per lo scienziato credente, le leggi della natura sono altrettanti doni di Dio.
Tuttavia, la Chiesa invita i Cristiani ad assumere un ruolo profetico nei confronti della scienza, che può sia costruire che distruggere, che dev’essere “servizio e non fine”, “mezzo e non termine”, nella consapevolezza che non tutto ciò che è tecnicamente possibile è moralmente lecito.
Il problema è sempre quello della tutela dei diritti fondamentali della persona; il diritto alla vita, alla tutela della sua dignità, della sua complessità e degli equilibri psico-fisici che la caratterizzano…
di tutto ciò si occupa la bioetica.
La “bioetica” nacque come nuova disciplina, nel 1970: l’oncologo americano Van Rensselaer coniò l’espressione presentandola come “scienza della sopravvivenza”, con l’obiettivo di tutelare la qualità della vita.
La “bioetica medica” ne è l’aspetto più conosciuto: tratta le nuove frontiere della medicina, la genetica, e affronta la questione della tutela della persona dal suo nascere, nella fase embrionale, fino alla morte cerebrale, trattando di eutanasia, clonazione, sperimentazioni cliniche…
2) La vita: un valore assoluto? «Ho iniziato il mio tunnel 19 anni or sono.
Ho subito una decina di interventi chirurgici, la radioterapia mi ha distrutto le ossa del viso: mi manca il mento, un pezzo di mascella, non ho la lingua.
Praticamente non ho la bocca, infatti da 36 mesi mi nutro per via enterale (sarebbe un tubetto piantato nello stomaco).
Non sono contento, però sono felice di essere vivo.
Faccio sport, oggi sarò con la mia squadra al Giro della Collina.
Tutte le domeniche, se non sono ricoverato, vado a correre con la squadra.
Arrivo sempre ultimo! Ma quando vedo lo striscione dell’arrivo sono felice.
Il più felice di tutti.
Se fossi morto 19 anni fa, sarei stato sfortunato! Questo sì! Sono 19 anni che mi godo una famiglia meravigliosa e degli amici magnifici» (Lettera firmata, in «La Stampa», «Lettere al giornale», 12 ottobre 1997) L’atleta così sofferente della testimonianza vive una vita difficile, eppure ricca di significato per gli obiettivi da raggiungere, per i rapporti costruiti, per il suo coraggio che sembra avere la forza profetica di far apprezzare agli altri, come un dono, tutto ciò che hanno…
La persona umana è un mistero complesso e splendido: ciascuno può scoprire, o comunque vivere in modo diverso da chiunque altro, una “missione speciale” da portare a termine, con le risorse sorprendenti che porta in sé.
Il concetto di “qualità della vita”, nella nostra società, sta sostituendo quello di “sacralità della vita”.
La vita umana non vale forse “di per sé”, prima ancora che sia caratterizzata da benessere psico-fisico? Il ragazzo “down” può sorprendere ed essere un insegnamento vivente con la sua dolcezza e la sua capacità di gioire per le piccole cose; il bimbo vissuto poche ore può risvegliare nei genitori, nonostante il dolore, un amore così profondo da farli cambiare, progredire; il nonno, dalla sedia a rotelle, può essere una presenza indispensabile per i nipoti, nonostante non sia più giovane, né “bello”, né “utile” nel senso comune del termine…
In un’ottica di fede, ogni persona, unica e irripetibile, è voluta da Dio, l’unico che possa stabilire nell’ambito di un progetto di bene quanto sia giusto che duri un’esistenza terrena, palestra per imparare e insegnare l’amore.
Un’ottica semplicemente umana può comunque giungere alla stessa conclusione: esistere è un diritto intangibile.
La convinzione che l’essere umano debba avere dei diritti e dei doveri assoluti rientra in quei valori scritti nel profondo della coscienza, in quella “legge naturale” che tutti possono condividere, prima che entrino in gioco le differenze ideologiche? Se la risposta è affermativa, il “diritto originario” non è forse quello di…
poter “provare a esserci”? E se un altro principio può essere quello dell’uguaglianza tra esseri umani, con quale autorità un uomo potrebbe decidere della vita di un altro uomo? Il coesistere democratico di opinioni diverse non significa rinuncia alla ricerca di “principi veri” condivisi, che consentano la tutela della persona anche a livello legislativo.
In caso contrario, tutto è “una questione di opinioni”…
E quelle di una Madre Teresa di Calcutta devono avere lo stesso peso di quelle…
di un Adolf Hitler.
Compito fondamentale della bioetica è il riconoscimento di questi principi superiori.
La Chiesa valorizza, tramite le scelte concrete dei cristiani e i documenti del Magistero, questa concezione della bioetica.
DOCUMENTO Cellule staminali ed embrioni Le cellule staminali sono cellule il cui destino non è stato ancora “deciso”.
Possono originare vari tipi di cellule diverse.
Nelle fasi iniziali dello sviluppo umano esse sono situate nell’embrione.
Le cellule staminali (originarie basilari) sono cellule capaci di replicarsi e di dare origine a molti altri tipi di cellule, via via più specializzate.
L’embrione, all’inizio, è composto di cellule ciascuna delle quali è capace di dare origine a tutto l’organismo; per questo, tali cellule vengono chiamate “totipotenti”.
Quando l’embrione arriva ad avere sedici cellule (circa tre giorni di vita), questa capacità viene perduta; le cellule che costituiscono la massa interna dell’embrione divengono “pluripotenti”, rimangono cioè capaci di produrre tutti i tessuti dell’organismo.
Sono queste in senso proprio le cellule staminali.
Subito dopo, le cellule si differenziano ulteriormente e, attraverso vari passaggi, andranno a costituire tutti i diversi tessuti dei vari organi.
Le cellule staminali, oltre che nell’embrione nella sua prima fase di vita, si trovano nel cordone ombelicale e, come si è scoperto negli ultimi anni, anche in molti tessuti dell’adulto: il sistema delle cellule staminali attivo all’inizio della vita dell’embrione si conserva dunque, in parte, per tutta la vita.
Cellule staminali embrionali umane La preparazione di tali cellule, in modo che siano adatte alla sperimentazione, richiede che vengano appositamente prodotti embrioni umani, o che si utilizzino quelli congelati in seguito a tecniche di fecondazione artificiale.
Cellule staminali adulte Nella maggior parte dei tessuti dell’adulto esistono cellule staminali capaci di produrre cellule di ricambio, non solo per il tessuto nel quale risiedono, ma anche per tessuti di altri organi.
Anch’esse sono capaci, attraverso l’applicazione dei più avanzati metodi di biologia molecolare, di dare origine a più tipi di cellule che, impiantate in tessuti sofferenti, si sono mostrate capaci di restituire loro le normali funzioni.
La terapia attraverso le staminali adulte è già una realtà per la leucemia, le lesioni ossee, le ustioni, il trapianto di cornea.
L’uso delle cellule staminali adulte non prevede la soppressione di embrioni né la loro clonazione.
(da A.M.
Baggio, Per la democrazia e la vita, speciale “Città Nuova”, Roma, n.
3, 2005) (Nella seconda parte, una riflessione sull’eutanasia e le attività).
Per l’inserimento dell’argomento in Unità di Apprendimento articolate, vedere Tiziana Chiamberlando, Sentinelle del Mattino, SEI, Volume per la classe terza e Guida.
Unità di lavoro interdisciplinare (religione, scienze) Prima parte OSA di riferimento per l’Irc Conoscenze – Fede e scienza, letture distinte ma non conflittuali dell’uomo e del mondo.
– Vita e morte nella visione di fede cristiana.
Abilità – Confrontare spiegazioni religiose e scientifiche del mondo e della vita.
– Descrivere l’insegnamento cristiano sui rapporti interpersonali, l’affettività e la sessualità.
– Motivare le risposte del Cristianesimo ai problemi della società di oggi.
– Confrontare criticamente comportamenti e aspetti della cultura attuale con la proposta cristiana.
Obiettivi Formativi ipotizzabili Conoscenze e abilità Conoscere e descrivere – termini e concetti fondamentali riguardanti la bioetica; – la posizione della Chiesa cattolica su alcune questioni di bioetica, nel confronto con opinioni diverse.
– Esprimere opinioni motivate sui “vincoli morali” che la scienza dovrebbe avere e sul concetto di “tutela della vita umana”.
Competenze di riferimento dell’allievo in prospettiva triennale – Saper prendere in considerazione il progetto di vita cristiano e la visione cristiana dell’esistenza.
– Sviluppare interesse alla distinzione tra bene e male, alla ricerca della verità.

Classe seconda – Maggio

Unità di Lavoro di approfondimento interdisciplinare (religione, educazione musicale).
Seconda parte OSA di riferimento (Irc) Conoscenze – Conoscere e saper descrivere vari modi di interpretare il messaggio di Gesù nell’arte.
– Conoscere e saper descrivere dati, inerenti la storia della musica, di supporto allo studio sulla storia e l’“identità” della Chiesa (aspetti liturgici).
Obiettivi Formativi ipotizzabili (Irc, educazione musicale) – Conoscere e saper descrivere elementi basilari di storia della musica sacra e il loro significato religioso.
– Conoscere le “intenzioni espressive” di alcuni compositori di musica sacra.
– Dopo averli ascoltati, descrivere i messaggi spirituali di alcuni brani di musica sacra, cogliendo in modo personale il collegamento tra espressione musicale e sentimento religioso.
Competenze di riferimento dell’allievo in prospettiva triennale: – Comprendere e/o utilizzare espressioni artistiche in relazione all’esperienza e alla ricerca religiosa.
Seconda fase dell’attività Al fine di indurre gli allievi alla riflessione sul collegamento tra arte musicale e dimensione religiosa, l’insegnante di religione presenta l’opinione di un grande artista e quella di un grande santo e teologo, s.
Agostino.
La vicenda La musica, la spiritualità, la famiglia e la natura sono protagonisti di questo film-fiaba intensamente poetico, che esalta la vita come stupendo mistero da svelare, che invita ad affinare l’“orecchio interiore” per cogliere l’armonia dell’esistenza stessa, che è l’armonia…
dell’Amore.
L’irlandese ribelle Louis, chitarrista in una band e cantante rock, s’innamora istantaneamente e profondamente della violoncellista Lyla, una ragazza riservata di “buona famiglia”; persino i gusti musicali sembrano dividerli…
Eppure, l’una coglie nell’altro il completarsi della melodia che avverte in sé.
Dal loro brevissimo incontro nasce il piccolo August…
Sottratto con un inganno dal nonno a Lyla, che lo crede morto, crescerà in orfanotrofio.
11 anni dopo, August, sensibile e maturo, è determinato a ritrovare i genitori ed è convinto che essi possano sentire, come lui, la musica nel vento, nell’aria, ovunque; egli sente di incontrarsi con loro in questa dimensione.
Nella mente di August, qualsiasi rumore, qualsiasi sensazione divengono armonia e melodia…
Scappato dall’orfanotrofio, raggiunge New York, dove cade nelle mani di un lestofante chiamato il Mago, che sfrutta ragazzi musicisti soli al mondo mandandoli a suonare sulle strade e offrendo loro, ipocritamente ‒ ma forse non del tutto ‒, una sorta di “famiglia”.
August impara a suonare la chitarra e l’organo, rivelando un talento eccezionale: il Mago diviene il suo “impresario” e ostacola in tutti i modi la sua ricerca dei genitori.
In una chiesa, August verrà “scoperto” da una dolce, piccola cantante gospel e dal sacerdote, grazie a cui riuscirà a entrare in una prestigiosa scuola di musica; lo straordinario talento gli consentirà ben presto di comporre una sinfonia per orchestra ‒ che sembra unificare la forza espressiva e un po’ trasgressiva del padre e la perfezione classica della madre ‒ e di poter debuttare in un grande concerto, in Central Park.
Louis, il papà di August, alla ricerca di Lyla, l’amore vero della sua vita che vuole assolutamente ritrovare e la mamma, alla ricerca del figlio dopo aver appreso dal padre morente che è ancora vivo, verranno attirati dalla sinfonia del loro August, mentre il piccolo dirige l’orchestra.
I genitori riconoscono, nella musica, se stessi, il loro reciproco amore e un amore nuovo e forte, quello del figlio e per il figlio, da sempre certo di quel meraviglioso ritrovarsi.
I contenuti Nel film, la musica è l’espressione, il “farsi udire” di tutto il creato: dei sentimenti umani, della natura…
tutto ciò che vive e si armonizza con ogni altro elemento della realtà.
«È intorno a noi», dice August, «non bisogna fare altro che aprire l’anima, non bisogna fare altro che ascoltare».
È il farsi udire della Verità di ogni essere…
Dunque è anche voce di Dio, del Creatore, voce che è bellezza, appello alla ricerca di legami tra le persone, di collegamenti tra situazioni…
L’armonia è l’esprimersi della sostanza dell’Essere: dell’Amore che è anche grande progetto di Dio per tutte le creature, perfetto come una sinfonia di cui ogni creatura rappresenta una nota insostituibile, in cui nulla è casuale.
Non tutti sanno ascoltare, forse tutti potrebbero imparare.
Afferma il Mago, in un momento in cui un effettivo amore per la musica gli permette di esprimere la sua parte migliore: «Sai cos’è la musica? È Dio che ci ricorda che esiste qualcos’altro a parte noi, in questo universo: la connessione armonica unisce creature che vivono in ogni parte, e persino le stelle.
Tutto scorre dentro di noi, alcuni di noi ascoltano ma altri non ascoltano…».
La vita è presentata come un viaggio alla ricerca dell’essenziale, dei rapporti importanti; “vince” chi coltiva tenacemente dei grandi sogni e che, attimo dopo attimo, affronta con coraggio le difficoltà, senza dimenticare…
i “compagni di viaggio”.
August, geniale eppure umile, è capace di amicizia, di ascolto e di compassione (pensiamo agli altri ragazzini musicisti sfruttati dal Mago); non è mai egocentrico, pur essendo tenace nel ricercare la propria strada; è il “viaggiatore” ideale, guidato dal suo mondo interiore che lo rende saggio anche se è piccolo, pronto a cogliere le occasioni e pronto a dialogare, ottimista come chiunque abbia una meta.
I legami familiari, in questo caso riconquistati a qualsiasi costo, rappresentano i rapporti umani basilari e la prima missione affidata da Dio all’essere umano: sono legami misteriosamente voluti da Lui, al cui interno ciascuno può cogliere la verità e la bellezza dell’altro e il reciproco affetto può creare una somma di armonie ‒ idee, sentimenti, progetti…
‒.
August e i genitori percepiscono il canto delle loro anime ancora prima di incontrarsi…
Forse perché, in una storia così, il “caso” proprio non esiste e tutto è volontà buona di Qualcuno, dal dolore che fa crescere alle porte che possono aprirsi.
1) G .F .Haendel (Halle 1685-Londra 1759) “Alleluja” per coro a voci miste e orchestra, dall’Oratorio “Il Messia”.
Haendel compose musica per il teatro d’opera, musica sacra (21 Oratori) e musica strumentale.
Morì, come aveva sempre sperato, nel giorno di Pasqua.
Dalla “Lauda”, composizione popolare profondamente spirituale, nacque l’Oratorio di cui Haendel fu considerato il padre, forma musicale drammatica con narratore, personaggi, dialogo: uno spettacolo sacro senza scene né azione, per raccontare fatti biblici con meditazioni morali.
Gli Oratori esprimono una visione autenticamente e gioiosamente “cristocentrica” dell’esistenza: il Cristo è unica Verità, Significato, Via, Vita trionfante; Egli è Origine e Destino.
Il famoso “Messia” è dedicato alla nascita di Cristo e alla sua Passione, Morte e Resurrezione: è un affresco musicale grandioso.
Arie toccanti di cantanti solisti sintetizzano e commentano i messaggi biblici; gli interventi corali sono maestosi e possenti, come a rappresentare le grandi folle protagoniste degli eventi biblici e l’intera umanità.
In quello che ascolteremo, molto celebre, il grido di esultanza per la resurrezione di Gesù si ripercuote da una voce all’altra, mentre il martellante ripetersi di note acute sembra accendere lampi di luce.
2) Antonio Vivaldi (Venezia 1678-Vienna 1641) Dal “Gloria” in Re maggiore, “Domine Deus” per soprano e orchestra.
Il compositore e violinista, sacerdote poi dispensato dal suo ministero a causa di problemi di salute, compose moltissima musica vocale e strumentale.
Il “Gloria” fu composto nel 1713: la musica vocale è inserita in un ampio disegno sinfonico in cui la preghiera di lode sembra davvero universale, il canto gioioso di tutta la creazione.
Quest’aria per soprano esprime esultanza, commozione e adorazione del “Signore Dio, Re del cielo, Dio Padre onnipotente…”.
I vocalizzi guidano il pensiero e il cuore “verso l’alto”.
3) J .S.
Bach Toccata e fuga in re minore, organo solo.
Il geniale compositore tedesco fu organista, violinista, Maestro di Cappella presso corti e chiese protestanti; compose musica per strumenti solisti, le Passioni per soli, coro e orchestra, simili all’Oratorio ma in lingua tedesca, Cantate corali in cui espresse una fede profonda e severa.
Credette nel potere formativo della musica; in essa espresse la sua contemplazione del mistero trinitario e del mistero della Croce.
Seppe armonizzare in modo geniale la polifonia antica con nuovi spunti.
La grandiosa e celebre Toccata e Fuga che ascolteremo svela tutte le potenzialità dell’organo, uno strumento che può esprimere grandiosa solennità quanto la sottigliezza del virtuosismo.
In Bach, la geometrica precisione crea perfette “architetture musicali”, comunicando contemporaneamente il calore della sua umanità e la forza della sua fede.
Con l’aiuto aggiuntivo dell’insegnante di educazione artistica, gli allievi sceglieranno il brano istintivamente “preferito” tra i 3 proposti, per poi fare, di getto, un disegno colorato con una tecnica comune concordata, attraverso cui esprimere: – le “immagini mentali” immediatamente suggerite dal brano in relazione a sentimenti (colori, forme astratte, paesaggi, persone…); – eventuali messaggi colti sul senso della vita, sulla missione dell’essere umano nel mondo; – eventuali intuizioni, idee, pensieri sul rapporto con Dio.
Ogni allievo potrà corredare il proprio disegno con una breve spiegazione; i lavori saranno infine esposti e commentati in un dibattito.
Rispondi e confrontati con i tuoi compagni.
– Riassumi con parole tue ciò che la musica rappresenta per August.
Per te, che cosa rappresenta? – La musica, per August, è “voce di Dio”.
In che senso? Qual è la tua opinione personale? – Con le persone mature, sensibili e un po’ speciali come August, il “mondo” si comporta prevalentemente come il Mago o come gli amici che lo hanno aiutato? Fai qualche esempio pratico.
– La musica “unisce”? Se sì, quando e come? Per l’inserimento dell’argomento in Unità di Apprendimento articolate, vedere Tiziana Chiamberlando, Sentinelle del Mattino, SEI, Volume per il biennio e Guida 1) Cantare la verità Con il “senso esterno”, io sento la realtà del mondo e del mio corpo, frammento del mondo; il “senso intimo” mi fa sentire me stesso e gli altri esseri umani; con il “senso divino”, trovo Dio nel fondo dell’anima, che è la Sua immagine.
Il mondo è superficie; Dio è la radice.
L’anima, a contatto della sua radice, comprende le idee eterne, di cui l’arte è immagine, trova la reale essenza dei valori e acquista il potere di elevarsi dal naturale al soprannaturale; suoni e forme, luci e ombre, chiaroscuro e sfumature sono eco di una verità che si trova alla radice dell’essere.
Il cantante non sarà mai un autentico artista, se non adeguerà il senso esterno, quello intimo e quello divino, con il quale acquisterà la facoltà di penetrare nel nucleo della nota musicale e nella radice del suo cuore.
(Giacomo Lauri Volpi, tenore di fama internazionale e uomo di grande fede, in A viso aperto, Edizioni Bongiovanni, p.
146) 2) Cantare e camminare Canta e cammina.
Cantiamo pure ora, non tanto per goderci il riposo, quanto per sollevarci dalla fatica.
Cantiamo da viandanti.
Canta, ma cammina.
Canta per alleviare le asprezze della marcia, ma cantando non indulgere alla pigrizia.
Canta e cammina.
Che significa camminare? Andare avanti nel bene, avanzare nella retta fede, progredire nella santità.
Canta e cammina.
(s.
Agostino) Quinta fase dell’attività La musica, voce dell’universo e di Dio LAVORA SUL FILM Gli insegnanti di religione ed educazione artistica presentano agli allievi, suddividendone la visione nelle loro ore di insegnamento, il film – “La musica nel cuore” (August Rush) di Kristen Sheridan con Freddie Highmore (August), Robin Williams (il Mago) Stati Uniti 2007 Distribuzione Medusa Film Terza fase dell’attività L’insegnante di religione propone le seguenti domande, utili alla riflessione.
Dopo aver letto il primo testo-guida, proposto ad aprile, e le testimonianze di Giacomo Lauri Volpi e s.
Agostino, – racconta, sintetizzando al massimo, la storia della musica liturgica.
Rifletti e rispondi.
– Secondo te, la musica eseguita o ascoltata ‒ in particolare, il canto ‒ può aiutare il credente nella preghiera, o addirittura essere una forma di preghiera? – Secondo il tenore Lauri Volpi, cosa può esprimere di straordinario un vero cantante? – Secondo s.
Agostino, il canto è simbolo di quali atteggiamenti della persona di fede? Quarta fase dell’attività Ascolto, riflessione, espressione e musica classica Gli insegnanti di religione ed educazione musicale propongono all’ascolto degli allievi tre brani di musica: uno corale, uno vocale e uno strumentale.
L’insegnante di educazione musicale approfondirà la biografia dei compositori e le caratteristiche tecniche dei brani, l’insegnante di religione aiuterà gli allievi a trovare in essi l’intenzione “spirituale” degli autori.

Classe prima – Maggio

Quinta fase dell’attività L’insegnante propone agli allievi le seguenti attività, seguite dal confronto tra loro e dalle sue conclusioni.
a) Dopo aver letto con attenzione il terzo testo-guida e i Documenti, prova a descrivere il Volto di Dio secondo i Cristiani, immaginando di rivolgerti a un interlocutore che non sappia assolutamente nulla.
Si potrà lavorare individualmente oppure in piccoli gruppi con portavoce, producendo semplici testi sintetici ed esponendoli in classe.
Tale procedimento potrà essere utilizzato anche per la proposta successiva.
b) Riprendi i primi testi-guida e confronta le “visioni di Dio” ebraica, islamica e cristiana.
– Quali sono gli aspetti specifici, originali di ciascuna tradizione religiosa? – Quali comportamenti e azioni di Dio sono comuni alle tre religioni? Per l’inserimento dell’argomento in Unità di Apprendimento articolate, vedere Tiziana Chiamberlando, Sentinelle del Mattino, SEI, Volume per il biennio e Guida Terza fase dell’attività L’insegnante presenta alla classe l’ultimo testo-guida.
Quarta fase dell’attività – DOCUMENTI Nei tre monoteismi…
Nell’Antico Testamento Dio si definisce: «Io sono colui che sono» (Jahvé), cioè «l’essere»; il passato, il presente, il futuro: definizione misteriosa ma piena di significato.
Nel Nuovo Testamento Dio si rivela come «l’amore», definizione che apre alla speranza; la felicità cercata dall’uomo è l’amore, e ha la sua sorgente in Dio.
Per parlare di Dio nell’Islam il Corano recita: «Nel nome di Dio, clemente e misericordioso! Sia lode a Dio, il Signore del Creato, il Clemente, il Misericordioso, il Padrone del dì del Giudizio! Te noi adoriamo, Te invochiamo in aiuto: guidaci per la retta via, la via di coloro con i quali non sei adirato, la via di quelli che non vagano nell’errore».
Per incontrare Dio, che è l’Essere, bisogna meditare; per incontrare Dio, che è l’Amore, bisogna amare.
Colui che non pensa non può conoscere Dio; colui che non ama non può incontrare Dio.
Ci vorranno secoli prima che l’umanità capisca e si convinca che Dio è «uno solo»: è l’Essere, è l’Amore.
(A.
Viganò, Dio cammina con gli uomini, Elledici, collana «Chi è Dio Padre?», p.
21) Divinità di Cristo nel Nuovo Testamento «Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio Unigenito, che è nel seno del Padre, Lui lo ha rivelato» (Gv 1,18) «Per mezzo di Lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili…
Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in Lui…
Il primogenito di coloro che risuscitano dei morti…
Perché piacque a Dio fare abitare in Lui ogni pienezza e per mezzo di Lui riconciliare a sé tutte le cose» (Col 1,15-20)  Sullo Spirito…
    «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista…» (Lc 4,18-19, richiamo a Is 61,1-2) «Lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel mio nome, vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».
(Rm 8,15-16)   3) Il Dio dei Cristiani Dio-Amore: la Trinità In Gesù di Nazareth, Uomo e Dio, secondo i Cristiani il Signore realizza pienamente la rivelazione di sé avviata ai tempi dell’Antico Testamento, si avvicina intimamente a ogni essere umano.
Afferma l’evangelista Giovanni, in tre parole: «Dio è Amore».
Per il Cristiano, credere in Dio non significa soltanto essere certo della sua esistenza; significa soprattutto essere certi che Dio “è” Amore, che l’amore generoso e illimitato, quello che vuole il bene supremo di chi viene amato, è ciò che Egli offre…
significa anche credere che il suo atto di amore più grande sia stato quello di rendersi visibile assumendo la natura umana.
Egli è in sé comunicazione, corrente di amore.
È la Trinità, mistero e luce per l’uomo, unico Dio in tre persone.
Dio Padre, l’Onnipotente, l’Onnisciente, l’Eterno, crea l’universo e chiama l’uomo alla vita unicamente per amore; il suo progetto è quello di un cosmo riconciliato in una perfetta armonia tra Lui e le sue creature, degli uomini tra loro e con l’intera creazione…
Egli è Amore che genera.
Il Padre invia il Figlio che si incarna, che diviene espressione umana della Divinità; Egli è il mezzo attraverso cui tutte le azioni amorose di Dio giungono a compimento.
Il Cristo, infatti, è il Verbo di Giovanni, la Parola suprema di Dio: rivela l’identità di Dio attraverso il proprio agire, rivela chi sia l’uomo, figlio di Dio e fratello degli altri uomini, e quale sia il destino di riconciliazione del creato (tema del “Regno di Dio”).
Egli soprattutto redime, salva l’uomo dal male e dalla morte attraverso la propria morte e il trionfo della Resurrezione; quest’ultima anticipa il destino di tutti e inaugura un tempo in cui uomini e donne di fede, insieme con il Risorto invisibile ma presente, possono lavorare per costruire una nuova realtà.
Lo Spirito Santo è l’Amore che unisce Padre e Figlio e che viene da loro donato all’umanità (pensiamo al tramite dei Sacramenti), espressione divina della saggezza e della forza di amare e combattere il male.
Lo Spirito prega con e per l’uomo, lo ispira nel profondo, gli permette di migliorare nei rapporti come da solo non potrebbe fare; porta con sé doni che producono forza, sete di giustizia, capacità crescenti di rinuncia all’egoismo…
Gesù, Uomo e Dio Il Cristiano vede in Gesù il suo unico Maestro: medita sul suo insegnamento, vuole seguirlo, vorrebbe imitarlo…
Soprattutto, può guardare a Lui ed esclamare come l’apostolo Tommaso, quando accettò l’evidenza della resurrezione: «Mio Signore e mio Dio!» «Nessuno viene al Padre se non attraverso di me…» (Gv 14, 6).
Gesù soltanto, che è una cosa sola con il Padre, può rivelare il volto di Dio.

«Credete almeno alle opere, perché sappiate che il Padre è in me ed io nel Padre»…
L’opera suprema del Padre, compiuta in Gesù, è il trionfo della vita («Io sono la Resurrezione e la Vita: chi crede in me, anche se muore, vivrà», Gv 11,25) «Prima che Abramo fosse, Io Sono…» (Gv 8,58), afferma Gesù: utilizza il nome stesso di Dio rivelato a Mosé (Es 3,14).
Gesù si identifica apertamente nei titoli messianici degli antichi profeti: «Figlio dell’Uomo», Colui che ristabilirà la giustizia universale al termine della storia umana; «Servo», venuto a dare la vita (Isaia)…
Di fronte al Sinedrio che vuole condannarlo, Egli proclama la propria divinità (Mt 26,63-64).
Nei Vangeli, tuttavia, Gesù evita qualsiasi manifestazione di potenza; preferisce lasciare segni perché la gente si avvicini al mistero della Sua persona con una comprensione graduale.
Pienamente Dio, Gesù è anche pienamente uomo: ha voluto condividere tutto della condizione umana, tranne il peccato; immensamente grande, si è fatto “piccolo” per essere uno di noi…
Non c’è fatica umana che il nostro Dio non abbia provato, secondo i Cristiani.
«Poiché è uomo, Gesù sa quali problemi dobbiamo affrontare; poiché è Dio, può aiutarci» (N .Warren).
Padre suo e nostro, dall’Antico al Nuovo Testamento La paternità di Dio, nel Nuovo Testamento, esprime un’intimità totale con i figli: ogni uomo ‒ non più soltanto nell’ambito del popolo ebraico ‒ è “figlio adottivo” di Dio e fratello di Gesù; il Padre desidera che ogni essere umano gli si affidi con la fiducia di un bambino nei confronti del papà, ed Egli si cura di lui come il pastore della parabola della pecorella smarrita (Lc 15,4-7), o come il padre del “figlio prodigo”, che lo attende a lungo e lo perdona nonostante il suo egoismo e le sue esperienze sbagliate.
L’istituzione dell’Eucaristia rappresenta il rinnovarsi del rapporto tra Dio e uomo, la Nuova Alleanza.
«Se Dio ci ha amati per primo, noi dobbiamo rispondere a questo amore, coinvolgendo in questa onda di calore i nostri fratelli, gli altri uomini.
Avvolta da questo amore, l’intera umanità diventa una famiglia…
comprendiamo la portata dei due comandamenti del cristiano: amore di Dio e amore del prossimo, alimentati da un’unica fiamma che parte da Lui e investe tutta l’umanità» (Carlo Fiore).
Gesù si ricollegò chiaramente all’Antico Testamento: «Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti.
Io non sono venuto per abolire, ma per dare compimento» (Mt 5,17); in Lui, anche gli antichi insegnamenti del Decalogo possono essere compresi nel loro più profondo e autentico significato.
Unità di Lavoro di approfondimento storico-biblico-teologico  Seconda parte OSA di riferimento Conoscenze – Ricerca umana e Rivelazione di Dio nella storia: il Cristianesimo a confronto con l’Ebraismo e le altre religioni.
– Il libro della Bibbia, documento storico-culturale e Parola di Dio.
Abilità – Evidenziare gli elementi specifici della dottrina, del culto e dell’etica delle altre religioni, in particolare dell’Ebraismo e dell’Islam.
– Individuare il messaggio centrale di alcuni testi biblici, utilizzando informazioni storico-letterarie e seguendo metodi diversi di lettura.
– Riconoscere le caratteristiche della salvezza attuata da Gesù in rapporto ai bisogni e alle attese dell’uomo.
Obiettivi Formativi ipotizzabili Conoscenze e abilità – Conoscere e saper descrivere “il volto di Dio” secondo Ebrei, Musulmani e Cristiani, evidenziando aspetti comuni ed eventuali divergenze.
– Individuare il messaggio centrale di testi biblici inerenti l’argomento trattato.
Competenze di riferimento dell’allievo in prospettiva triennale – Possedere essenziali conoscenze bibliche, storiche e dottrinali inerenti il Cristianesimo, soprattutto sulla base della tradizione cattolica.
– Sapersi esprimere nell’ambito del linguaggio specifico.
– Saper cogliere i messaggi fondamentali di passi biblici basilari.

“Lettera ai cercatori Dio”

CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA , Lettera ai cercatori di Dio, Ed.
PAOLINE , maggio 2009, Collana : LA VOCE DELLE CHIESE LOCALI (73), EAN : 9788831536989, € 2,50 «La Commissione Episcopale si augura che la Lettera possa raggiungere tanti e suscitare reazioni, risposte, nuove domande, che aiutino ciascuno a interrogarsi sul Dio di Gesù Cristo e a lasciarsi interrogare da Lui» (dalla Presentazione di Bruno Forte).
In una sorta di dialogo tra amici, i vescovi italiani in questo importantissimo documento scritto in forma di «Lettera», si rivolgono a tutti coloro che sono alla ricerca del volto del Dio vivente.
Con rispetto e amicizia, vogliono parlare a tutti i cercatori di Dio, cioè a quegli uomini e donne del nostro tempo che cercano ragioni per vivere.
Frutto di un lavoro collegiale che ha coinvolto vescovi, teologi, pastoralisti, catecheti ed esperti nella comunicazione, la Lettera, articolata in tre parti, è fondamentalmente: un invito a riflettere insieme sulle domande che uniscono credenti e non credenti; una testimonianza che rende ragione della speranza che è in coloro che credono; una proposta fatta a chi cerca la via di un incontro possibile con il Dio di Gesù Cristo.

Lettera ai cercatori di Dio

La “Lettera ai cercatori di Dio” è stata preparata per iniziativa della Commissione Episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi della Conferenza Episcopale Italiana, come sussidio offerto a chiunque voglia farne oggetto di lettura personale, oltre che come punto di partenza per dialoghi destinati al primo annuncio della fede in Gesù Cristo, all’interno di un itinerario che possa introdurre all’esperienza della vita cristiana nella Chiesa.
Il Consiglio Episcopale Permanente ne ha approvato la pubblicazione nella sessione del 22-25 settembre 2008.
“Frutto di un lavoro collegiale che ha coinvolto vescovi, teologi, pastoralisti, catecheti ed esperti nella comunicazione, la Lettera si rivolge ai “cercatori di Dio”, a tutti coloro, cioè, che sono alla ricerca del volto del Dio vivente.
Lo sono i credenti, che crescono nella conoscenza della fede proprio a partire da domande sempre nuove, e quanti – pur non credendo – avvertono la profondità degli interrogativi su Dio e sulle cose ultime” scrive nella presentazione S.E.
Mons.
Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti-Vasto e Presidente della Commissione Episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi.
La Lettera vorrebbe suscitare attenzione e interesse anche in chi non si sente in ricerca, nel pieno rispetto della coscienza di ciascuno, con amicizia e simpatia verso tutti.
Il testo parte da alcune domande che ci sembrano diffuse nel vissuto di molti, per poi proporre l’annuncio cristiano e rispondere alla richiesta: dove e come incontrare il Dio di Gesù Cristo? Ovviamente, la Lettera non intende dire tutto: essa vuole piuttosto suggerire, evocare, attrarre a un successivo approfondimento, per il quale si rimanda a strumenti più adatti e completi, fra cui spiccano il Catechismo della Chiesa Cattolica e i Catechismi della Conferenza Episcopale Italiana.
“La Commissione Episcopale si augura che la Lettera possa raggiungere tanti e suscitare reazioni, risposte, nuove domande, che aiutino ciascuno a interrogarsi sul Dio di Gesù Cristo e a lasciarsi interrogare da Lui – aggiunge Monsignor Forte -.
Affida perciò al Signore queste pagine e chi le leggerà, perché sia Lui a farne strumento della Sua grazia”.
Documenti allegati:Lettera.doc

La settimana in Terra Santa di Benedetto XVI

Qui di seguito è riprodotto il discorso con cui Benedetto XVI ha concluso il suo viaggio, venerdì 15 maggio.
Ma più sotto è riportato anche il discorso pronunciato la stessa mattina dal papa a Gerusalemme, nella basilica del Santo Sepolcro, ultima tappa del suo pellegrinaggio nei Luoghi Santi.
Benedetto XVI l’ha pronunciato subito dopo aver pregato in ginocchio sulla tomba vuota di Gesù, quella della risurrezione.
E fin dall’inizio ha tenuto a proclamare che all’infuori di Gesù risorto “non vi è sotto il cielo altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati”.
Queste parole non sono una citazione della “Dominus Iesus”, la dichiarazione “sull’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa” emessa nel 2000 dall’allora cardinale Joseph Ratzinger e criticata anche da molti ebrei.
Ma sono la predicazione di Pietro, nel capitolo quarto degli Atti degli Apostoli.
E oggi del suo successore.
A tutti coloro che soffrono nella terra che fu di Gesù, siano essi ebrei o arabi, cristiani o musulmani, Benedetto XVI ha voluto dare questa consegna, davanti alla tomba vuota del Risorto: “La tomba vuota ci parla di speranza, quella stessa che non ci delude, poiché è dono dello Spirito della vita.
Questo è il messaggio che oggi desidero lasciarvi, a conclusione del mio pellegrinaggio nella Terra Santa”.
__________ Discorso di congedo all’aeroporto di Tel Aviv, 15 maggio 2009 di Benedetto XVI Signor presidente, signor primo ministro, eccellenze, signore e signori, mentre mi dispongo a ritornare a Roma, vorrei condividere con voi alcune delle forti impressioni che il mio pellegrinaggio in Terra Santa ha lasciato dentro di me.
[…] Signor presidente, lei ed io abbiamo piantato un albero di ulivo nella sua residenza, nel giorno del mio arrivo in Israele.
L’albero di ulivo, come ella sa, è un’immagine usata da san Paolo per descrivere le relazioni molto strette tra cristiani ed ebrei.
Nella sua lettera ai Romani, Paolo descrive come la Chiesa dei gentili sia come un germoglio di ulivo selvatico, innestato nell’albero di ulivo buono che è il popolo dell’alleanza (cfr.
11, 17-24).
Traiamo il nostro nutrimento dalle medesime radici spirituali.
Ci incontriamo come fratelli, fratelli che in certi momenti della storia comune hanno avuto un rapporto teso, ma sono adesso fermamente impegnati nella costruzione di ponti di duratura amicizia.
La cerimonia al palazzo presidenziale è stata seguita da uno dei momenti più solenni della mia permanenza in Israele – la mia visita al Memoriale dell’Olocausto a Yad Vashem, dove ho reso omaggio alle vittime della Shoah.
Lì ho anche incontrato alcuni dei sopravvissuti.
Quegli incontri profondamente commoventi hanno rinnovato ricordi della mia visita di tre anni fa al campo della morte di Auschwitz, dove così tanti ebrei – madri, padri, mariti, mogli, figli, figlie, fratelli, sorelle, amici – furono brutalmente sterminati sotto un regime senza Dio che propagava un’ideologia di antisemitismo e odio.
Quello spaventoso capitolo della storia non deve essere mai dimenticato o negato.
Al contrario, quelle buie memorie devono rafforzare la nostra determinazione ad avvicinarci ancor più gli uni agli altri come rami dello stesso ulivo, nutriti dalle stesse radici e uniti da amore fraterno.
Signor presidente, la ringrazio per il calore della sua ospitalità, molto apprezzata, e desidero che consti il fatto che sono venuto a visitare questo paese da amico degli israeliani, così come sono amico del popolo palestinese.
Gli amici amano trascorrere del tempo in reciproca compagnia e si affliggono profondamente nel vedere l’altro soffrire.
Nessun amico degli israeliani e dei palestinesi può evitare di rattristarsi per la continua tensione fra i vostri due popoli.
Nessun amico può fare a meno di piangere per le sofferenze e le perdite di vite umane che entrambi i popoli hanno subito negli ultimi sei decenni.
Mi consenta di rivolgere questo appello a tutto il popolo di queste terre: Non più spargimento di sangue! Non più scontri! Non più terrorismo! Non più guerra! Rompiamo invece il circolo vizioso della violenza.
Possa instaurarsi una pace duratura basata sulla giustizia, vi sia vera riconciliazione e risanamento.
Sia universalmente riconosciuto che lo Stato di Israele ha il diritto di esistere e di godere pace e sicurezza entro confini internazionalmente riconosciuti.
Sia ugualmente riconosciuto che il popolo palestinese ha il diritto a una patria indipendente sovrana, a vivere con dignità e a viaggiare liberamente.
Che la “two-State solution”, la soluzione di due Stati, divenga realtà e non rimanga un sogno.
E che la pace possa diffondersi da queste terre; possano essere “luce per le nazioni” (Isaia 42, 6), recando speranza alle molte altre regioni che sono colpite da conflitti.
Una delle visioni più tristi per me durante la mia visita a queste terre è stato il muro.
Mentre lo costeggiavo, ho pregato per un futuro in cui i popoli della Terra Santa possano vivere insieme in pace e armonia senza la necessità di simili strumenti di sicurezza e di separazione, ma rispettandosi e fidandosi l’uno dell’altro, nella rinuncia ad ogni forma di violenza e di aggressione.
Signor presidente, so quanto sarà difficile raggiungere quell’obiettivo.
So quanto sia difficile il suo compito e quello dell’autorità palestinese.
Ma le assicuro che le mie preghiere e le preghiere dei cattolici di tutto il mondo la accompagnano mentre ella prosegue nello sforzo di costruire una pace giusta e duratura in questa regione.
[…] A tutti dico: grazie e che il Signore sia con voi.
Shalom! Quanto al muro che divide Israele dai Territori, la critica che molti ebrei fanno alla Santa Sede è di trascurarne la finalità di barriera di sicurezza, contro le incursioni terroristiche, e di parteggiare più per i palestinesi che per gli israeliani.
Nel suo discorso finale, il papa si è così espresso in proposito: “Una delle visioni più tristi per me durante la mia visita a queste terre è stato il muro.
Mentre lo costeggiavo, ho pregato per un futuro in cui i popoli della Terra Santa possano vivere insieme in pace e armonia senza la necessità di simili strumenti di sicurezza e di separazione, ma rispettandosi e fidandosi l’uno dell’altro, nella rinuncia ad ogni forma di violenza e di aggressione”.
Dicendo così, Benedetto XVI ha riconosciuto da un lato le afflizioni che la barriera infligge al popolo palestinese ma dall’altro – esplicitamente – anche la sua natura di “strumento di sicurezza” per Israele.
E ha invitato tutti, affinché questo muro possa cadere, a coniugare sicurezza e fiducia reciproca, come già aveva fatto lunedì 11 maggio a Gerusalemme, durante la visita “dell’ulivo” al palazzo presidenziale, riflettendo sul doppio significato della parola biblica “betah”.
Inoltre, sempre nel discorso finale all’aeroporto di Tel Aviv, nell’invocare la fine della guerra e del terrorismo e nell’auspicare una “two-State solution”, il papa ha ribadito la necessità che “sia universalmente riconosciuto che lo Stato di Israele ha il diritto di esistere e di godere pace e sicurezza entro confini internazionalmente riconosciuti”.
Con ciò papa Ratzinger è andato incontro alla richiesta che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu gli aveva fatto il giorno precedente a Nazaret, in un colloquio a porte chiuse: quella di condannare le posizioni negazioniste dell’Iran circa l’esistenza dello Stato d’Israele Aveva iniziato il suo viaggio dal Monte Nebo ricordando “l’inseparabile vincolo che unisce la Chiesa al popolo ebreo” ed esprimendo “il desiderio di superare ogni ostacolo che si frappone alla riconciliazione fra cristiani ed ebrei”.
L’ha concluso, venerdì 15 maggio all’aeroporto di Tel Aviv, di nuovo all’insegna di questa prossimità tra i due popoli.
Nel salutare il presidente di Israele prima di ripartire per Roma, Benedetto XVI ha tenuto a dire che l’ulivo piantato da loro assieme nel giardino del palazzo presidenziale è “l’immagine usata da san Paolo per descrivere le relazioni molto strette tra cristiani ed ebrei”.
La Chiesa delle genti è l’ulivo selvatico innestato sull’ulivo buono che è il popolo dell’alleanza.
Si nutrono dalla stessa radice.
Curiosamente, nel suo discorso finale, questa dell’ulivo ebraico-cristiano è stata la prima immagine richiamata da Benedetto XVI nel rivelare i momenti del viaggio che hanno lasciato dentro di lui “le più forti impressioni”.
A questa immagine egli ha fatto seguire due altre istantanee salienti: il memoriale di Yad Vashem e il muro divisorio tra Israele e i Territori.
Entrambi questi momenti avevano procurato al papa delle critiche.
A Yad Vashem lo si era rimproverato d’essere stato elusivo e freddo nel descrivere e condannare la Shoah, quando in realtà Benedetto XVI – come sempre impolitico – si era distaccato dalle formule usuali per svolgere piuttosto una riflessione originale e profonda sul “nome” di tutte le vittime di allora e di sempre, fin dal tempo di Abele.
Nome indelebile non tanto perché impresso nella memoria degli uomini, ma perchè custodito in vita irrevocabilmente in Dio.
Nome che nella Bibbia coincide con la persona e la missione di ogni creatura.
Su questo punto, nel discorso finale, papa Joseph Ratzinger ha implicitamente risposto ai critici ricordando la sua visita del 2006 ad Auschwitz, “dove così tanti ebrei – madri, padri, mariti, mogli, figli, figlie, fratelli, sorelle, amici – furono brutalmente sterminati sotto un regime senza Dio che propagava un’ideologia di antisemitismo e odio.
Quello spaventoso capitolo della storia non deve essere mai dimenticato o negato”.
Ma soprattutto il papa ha voluto incoraggiare a ricavare dalla riflessione sulla Shoah un motivo in più di rappacificazione tra cristiani ed ebrei, di nuovo ricorrendo al simbolo dell’ulivo: “Quelle buie memorie devono rafforzare la nostra determinazione ad avvicinarci ancor più gli uni agli altri come rami dello stesso ulivo, nutriti dalle stesse radici e uniti da amore fraterno”.
Benedetto XVI l’ha pronunciato subito dopo aver pregato in ginocchio sulla tomba vuota di Gesù, quella della risurrezione.
E fin dall’inizio ha tenuto a proclamare che all’infuori di Gesù risorto “non vi è sotto il cielo altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati”.
Queste parole non sono una citazione della “Dominus Iesus”, la dichiarazione “sull’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa” emessa nel 2000 dall’allora cardinale Joseph Ratzinger e criticata anche da molti ebrei.
Ma sono la predicazione di Pietro, nel capitolo quarto degli Atti degli Apostoli.
E oggi del suo successore.
A tutti coloro che soffrono nella terra che fu di Gesù, siano essi ebrei o arabi, cristiani o musulmani, Benedetto XVI ha voluto dare questa consegna, davanti alla tomba vuota del Risorto: “La tomba vuota ci parla di speranza, quella stessa che non ci delude, poiché è dono dello Spirito della vita.
Questo è il messaggio che oggi desidero lasciarvi, a conclusione del mio pellegrinaggio nella Terra Santa”.
Discorso nella basilica del Santo Sepolcro, Gerusalemme, 15 maggio 2009 di Benedetto XVI Cari amici in Cristo, l’inno di lode che abbiamo appena cantato ci unisce alle schiere angeliche ed alla Chiesa di ogni tempo e luogo – “il glorioso coro degli apostoli, la nobile compagnia dei profeti e la candida schiera dei martiri” – mentre diamo gloria a Dio per l’opera della nostra redenzione, compiuta nella passione, morte e risurrezione di Gesù Cristo.
Davanti a questo Santo Sepolcro, dove il Signore “ha vinto l’aculeo della morte e aperto il regno dei cieli ad ogni credente”, vi saluto tutti nella gioia del tempo pasquale.
[…]  Il Vangelo di san Giovanni ci ha trasmesso un suggestivo racconto della visita di Pietro e  del discepolo amato alla tomba vuota nel mattino di Pasqua.
Oggi, a distanza di circa venti secoli, il successore di Pietro, il vescovo di Roma, si trova davanti a quella stessa tomba vuota e contempla il mistero della risurrezione.
Sulle orme dell’Apostolo, desidero ancora una volta proclamare, davanti agli uomini e alle donne del nostro tempo, la salda fede della Chiesa che Gesù Cristo “fu crocifisso, morì e fu sepolto”, e che “il terzo giorno risuscitò dai morti”.
Innalzato alla destra del Padre, egli ci ha mandato il suo Spirito per il perdono dei peccati.
All’infuori di Lui, che Dio ha costituito Signore e Cristo, “non vi è sotto il cielo altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati” (Atti 4, 12).
Trovandoci in questo santo luogo e considerando quel meraviglioso evento, come potremmo  non sentirci “trafiggere il cuore” (cfr.
Atti 2, 37), alla maniera di coloro che per primi udirono la predicazione di Pietro nel giorno di Pentecoste? Qui Cristo morì e risuscitò, per non morire mai più.
Qui la storia dell’umanità fu definitivamente cambiata.
Il lungo dominio del peccato e della morte venne distrutto dal trionfo dell’obbedienza e della vita; il legno della croce svela la verità circa il bene e il male; il giudizio di Dio fu pronunciato su questo mondo e la grazia dello Spirito Santo venne riversata sull’umanità intera.
Qui Cristo, il nuovo Adamo, ci ha insegnato che mai il male ha l’ultima parola, che l’amore è più forte della morte, che il nostro futuro e quello dell’umanità sta nelle mani di un Dio provvido e fedele.
La tomba vuota ci parla di speranza, quella stessa che non ci delude, poiché è dono dello Spirito della vita (cfr.
Romani 5, 5).
Questo è il messaggio che oggi desidero lasciarvi, a conclusione del mio pellegrinaggio nella Terra Santa.
Possa la speranza levarsi sempre di nuovo, per la grazia di Dio, nel cuore di ogni persona che vive in queste terre! Possa radicarsi nei vostri cuori, rimanere nelle vostre famiglie e comunità ed ispirare in ciascuno di voi una testimonianza sempre più fedele al Principe della Pace.
La Chiesa in Terra Santa, che ben spesso ha sperimentato l’oscuro mistero del Golgota, non deve mai cessare di essere un intrepido araldo del luminoso messaggio di speranza che questa tomba vuota proclama.
Il Vangelo ci dice che Dio può far nuove tutte le cose, che la storia non necessariamente si ripete, che le memorie possono essere purificate, che gli amari frutti della recriminazione e dell’ostilità possono essere superati, e che un futuro di giustizia, di pace, di prosperità e di collaborazione può sorgere per ogni uomo e donna, per l’intera famiglia umana, ed in maniera speciale per il popolo che vive in questa terra, così cara al cuore del Salvatore.
Quest’antica chiesa dell’Anastasis reca una sua muta testimonianza sia al peso del nostro  passato, con tutte le sue mancanze, incomprensioni e conflitti, sia alla promessa gloriosa che continua ad irradiare dalla tomba vuota di Cristo.
Questo luogo santo, dove la potenza di Dio si rivelò nella debolezza, e le sofferenze umane furono trasfigurate dalla gloria divina, ci invita a guardare ancora una volta con gli occhi della fede al volto del Signore crocifisso e risorto.
Nel contemplare la sua carne glorificata, completamente trasfigurata dallo Spirito, giungiamo a comprendere più pienamente che anche adesso, mediante il Battesimo, portiamo “sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nella nostra carne mortale” (2 Corinzi 4, 10-11).
Anche ora la grazia della risurrezione è all’opera in noi! Possa la contemplazione di questo mistero spronare i nostri sforzi, sia come individui che come membri della comunità ecclesiale, a crescere nella vita dello Spirito mediante la conversione, la penitenza e la preghiera.
Possa inoltre aiutarci a superare, con la potenza di quello stesso Spirito, ogni conflitto e tensione nati dalla carne e rimuovere ogni ostacolo, sia dentro che fuori, che si frappone alla nostra comune testimonianza a Cristo ed al potere del suo amore che riconcilia.
Con tali parole di incoraggiamento, cari amici, concludo il mio pellegrinaggio ai luoghi  santi della nostra redenzione e rinascita in Cristo.
Prego che la Chiesa in Terra Santa tragga sempre maggiore forza dalla contemplazione della tomba vuota del Redentore.
In quella tomba essa è chiamata a seppellire tutte le sue ansie e paure, per risorgere nuovamente ogni giorno e continuare il suo viaggio per le vie di Gerusalemme, della Galilea ed oltre, proclamando il trionfo del perdono di Cristo e la promessa di una vita nuova.
Come cristiani, sappiamo che la pace alla quale anela questa terra lacerata da conflitti ha un nome: Gesù Cristo.
“Egli è la nostra pace”, che ci ha riconciliati con Dio in un solo corpo mediante la Croce, ponendo fine all’inimicizia (cfr.
Efesini 2, 14).
Nelle sue mani, pertanto, affidiamo tutta la nostra speranza per il futuro, proprio come nell’ora delle tenebre egli affidò il suo spirito nelle mani del Padre.
Permettetemi di concludere con una speciale parola di incoraggiamento ai miei fratelli vescovi e sacerdoti, come pure ai religiosi e alle religiose che servono l’amata Chiesa in Terra Santa.
Qui, davanti alla tomba vuota, al cuore stesso della Chiesa, vi invito a rinnovare l’entusiasmo della vostra consacrazione a Cristo ed il vostro impegno nell’amorevole servizio al suo mistico Corpo.
Immenso è il vostro privilegio di dare testimonianza a Cristo in questa terra che Egli ha santificato mediante la sua presenza terrena e il suo ministero.
Con pastorale carità rendete capaci i vostri fratelli e sorelle e tutti gli abitanti di questa terra di percepire la presenza che guarisce e l’amore che riconcilia del Risorto.
Gesù chiede a ciascuno di noi di essere testimone di unità e di pace per tutti coloro che vivono in questa Città della Pace.
Come nuovo Adamo, Cristo è la sorgente dell’unità alla quale l’intera famiglia umana è chiamata, quella stessa unità della quale la Chiesa è segno e sacramento.
Come Agnello di Dio, egli è la fonte della riconciliazione, che è al contempo dono di Dio e sacro dovere affidato a noi.
Quale Principe della Pace, Egli è la sorgente di quella pace che supera ogni comprensione, la pace della nuova Gerusalemme.
Possa Egli sostenervi nelle vostre prove, confortarvi nelle vostre afflizioni, e confermarvi nei vostri sforzi di annunciare e di estendere il suo Regno.
A voi tutti e a quanti vanno le vostre premure pastorali imparto cordialmente la mia benedizione apostolica, quale pegno della gioia e della pace di Pasqua.
__________ Il programma, i discorsi, le omelie del viaggio di Benedetto XVI: > Pellegrinaggio in Terra Santa, 8-15 maggio 2009 __________ Qui di seguito è riprodotto il discorso con cui Benedetto XVI ha concluso il suo viaggio, venerdì 15 maggio.
Ma più sotto è riportato anche il discorso pronunciato la stessa mattina dal papa a Gerusalemme, nella basilica del Santo Sepolcro, ultima tappa del suo pellegrinaggio nei Luoghi Santi.
__________ Discorso di congedo all’aeroporto di Tel Aviv, 15 maggio 2009 di Benedetto XVI Signor presidente, signor primo ministro, eccellenze, signore e signori, mentre mi dispongo a ritornare a Roma, vorrei condividere con voi alcune delle forti impressioni che il mio pellegrinaggio in Terra Santa ha lasciato dentro di me.
[…] Signor presidente, lei ed io abbiamo piantato un albero di ulivo nella sua residenza, nel giorno del mio arrivo in Israele.
L’albero di ulivo, come ella sa, è un’immagine usata da san Paolo per descrivere le relazioni molto strette tra cristiani ed ebrei.
Nella sua lettera ai Romani, Paolo descrive come la Chiesa dei gentili sia come un germoglio di ulivo selvatico, innestato nell’albero di ulivo buono che è il popolo dell’alleanza (cfr.
11, 17-24).
Traiamo il nostro nutrimento dalle medesime radici spirituali.
Ci incontriamo come fratelli, fratelli che in certi momenti della storia comune hanno avuto un rapporto teso, ma sono adesso fermamente impegnati nella costruzione di ponti di duratura amicizia.
La cerimonia al palazzo presidenziale è stata seguita da uno dei momenti più solenni della mia permanenza in Israele – la mia visita al Memoriale dell’Olocausto a Yad Vashem, dove ho reso omaggio alle vittime della Shoah.
Lì ho anche incontrato alcuni dei sopravvissuti.
Quegli incontri profondamente commoventi hanno rinnovato ricordi della mia visita di tre anni fa al campo della morte di Auschwitz, dove così tanti ebrei – madri, padri, mariti, mogli, figli, figlie, fratelli, sorelle, amici – furono brutalmente sterminati sotto un regime senza Dio che propagava un’ideologia di antisemitismo e odio.
Quello spaventoso capitolo della storia non deve essere mai dimenticato o negato.
Al contrario, quelle buie memorie devono rafforzare la nostra determinazione ad avvicinarci ancor più gli uni agli altri come rami dello stesso ulivo, nutriti dalle stesse radici e uniti da amore fraterno.
Signor presidente, la ringrazio per il calore della sua ospitalità, molto apprezzata, e desidero che consti il fatto che sono venuto a visitare questo paese da amico degli israeliani, così come sono amico del popolo palestinese.
Gli amici amano trascorrere del tempo in reciproca compagnia e si affliggono profondamente nel vedere l’altro soffrire.
Nessun amico degli israeliani e dei palestinesi può evitare di rattristarsi per la continua tensione fra i vostri due popoli.
Nessun amico può fare a meno di piangere per le sofferenze e le perdite di vite umane che entrambi i popoli hanno subito negli ultimi sei decenni.
Mi consenta di rivolgere questo appello a tutto il popolo di queste terre: Non più spargimento di sangue! Non più scontri! Non più terrorismo! Non più guerra! Rompiamo invece il circolo vizioso della violenza.
Possa instaurarsi una pace duratura basata sulla giustizia, vi sia vera riconciliazione e risanamento.
Sia universalmente riconosciuto che lo Stato di Israele ha il diritto di esistere e di godere pace e sicurezza entro confini internazionalmente riconosciuti.
Sia ugualmente riconosciuto che il popolo palestinese ha il diritto a una patria indipendente sovrana, a vivere con dignità e a viaggiare liberamente.
Che la “two-State solution”, la soluzione di due Stati, divenga realtà e non rimanga un sogno.
E che la pace possa diffondersi da queste terre; possano essere “luce per le nazioni” (Isaia 42, 6), recando speranza alle molte altre regioni che sono colpite da conflitti.
Una delle visioni più tristi per me durante la mia visita a queste terre è stato il muro.
Mentre lo costeggiavo, ho pregato per un futuro in cui i popoli della Terra Santa possano vivere insieme in pace e armonia senza la necessità di simili strumenti di sicurezza e di separazione, ma rispettandosi e fidandosi l’uno dell’altro, nella rinuncia ad ogni forma di violenza e di aggressione.
Signor presidente, so quanto sarà difficile raggiungere quell’obiettivo.
So quanto sia difficile il suo compito e quello dell’autorità palestinese.
Ma le assicuro che le mie preghiere e le preghiere dei cattolici di tutto il mondo la accompagnano mentre ella prosegue nello sforzo di costruire una pace giusta e duratura in questa regione.
[…] A tutti dico: grazie e che il Signore sia con voi.
Shalom!

Droga e minori

RELAZIONE 2008 La droga continua ad uccidere, nonostante l’impegno delle forze dell’ordine.
E l’Italia resta tra i principali poli europei sia come area di transito che di consumo.
Il nostro è un Paese dove domanda e offerta restano elevate e dove operano le mafie che non solo controllano i traffici internazionali, ma hanno cominciato a produrre la droga in proprio.
È l’allarme che arriva dalla la Direzione centrale dei servizi antidroga (Dcsa) del Viminale, nella sua relazione annuale.
Dal 1973, quasi 22mila vittime.
Nel 2008 è morta per droga più di una persona al giorno.
Vittime che si vanno a sommare ai quasi 22mila morti dal 1973 (l’anno in cui cominciarono le rilevazioni) ad oggi.
Le vittime, 502 nel 2008, sono comunque meno rispetto alle 606 del 2007, con un calo del 17%.
La droga che uccide di più resta l’eroina: 209 vittime contro le 37 attribuite alla cocaina.
I più colpiti sono gli uomini (450, l’89% del totale) a partire dai 25 anni per raggiungere i picchi massimi nella fascia superiore ai 40.
Nella relazione si segnala però che anche tra i giovanissimi si sono registrate vittime: 14 ragazzi tra i 15 e i 19 anni e un adolescente sotto i 15.
Aumentano i minori coinvolti.
E proprio quello sui i minori è uno dei dati che preoccupa di più gli investigatori: nel 2008, infatti, è salito il numero di quelli coinvolti nei traffici di droga.
L’anno scorso ne sono stati denunciati 1.124 (76 arrestati), con un incremento rispetto al 2007 dell’8%.
Quanto alle donne, ne sono state denunciate 3.054, con un calo del 4% dal 2007.
Oltre 28mila le persone arrestateIl contrasto messo in atto dalle forze di polizia ha comunque prodotto risultati importanti.
Delle 35.097 segnalazioni all’autorità giudiziaria, che hanno portato a 28.522 arresti (il 3,18% in più rispetto al 2007), la maggioranza riguarda cittadini italiani (23.691 persone, pari al 67%).
Vi è anche un consistente numero di stranieri: 11.406, il 32% del totale con un incremento del 6% rispetto al 2007.
Boom dei sequestri di hashish.
Nel complesso sono stati sequestrati nel 2008 42.196 chili di droga e le operazioni antidroga sono state 22.470 (+ 1,63 rispetto al 2007).
A fronte di un calo dei sequestri di eroina (-30,22%) e marijuana (-47,69%) si è però registrato un forte aumento di quelli di hashish (70,24%).
Anche i sequestri di cocaina crescono, anche se in misura meno rilevante (4,66%).
Le mafie ora producono in proprio.
È la novità accertata dalle inchieste: la coltivazione diretta «garantisce guadagni maggiori e meno rischi per il trasporto» tanto che, dice la relazione, la produzione di cannabis sta diventando «l’oro verde del capitalismo criminale».
Per il resto la ’Ndrangheta si conferma «una delle grandi holding della droga», capace di far diventare l’Italia negli ultimi 20 anni «il centro strategico del mercato globale della cocaina, instaurando contatti diretti con i narcos della Colombia e detenendo il monopolio del traffico in Europa».

Benedetto XVI a Gerusalemme e Betlemme.

Benedetto XVI ha trascorso l’intera giornata di mercoledì nei Territori palestinesi: a Betlemme e nel campo profughi di Aida.
E questa è stata, inevitabilmente, la giornata più “politica” del suo viaggio.
Il papa si è incontrato a più riprese con il presidente Abu Mazen, ha tenuto dei discorsi a lui e alla popolazione palestinese, ha camminato in luoghi segnati dal conflitto.
Ad Aida l’alto muro che divide Israele dai Territori era visibilissimo, incombente.
Benedetto XVI non si è sottratto alle aspettative.
Ha invocato un superamento del conflitto all’insegna dei due popoli e due Stati.
Ha reclamato sicurezza per Israele.
Ha detto ai palestinesi di rifiutare il terrorismo.
Ha auspicato l’abbattimento del muro.
Un obiettivo di papa Joseph Ratzinger, in questo viaggio, era di conquistare il consenso dei cattolici arabi, fortemente ostili ad Israele.
In Giordania ci è riuscito.
A ovest del Giordano l’impresa era più difficile.
Ma le tappe di Betlemme e di Aida hanno giovato.
Il papa è stato molto sobrio nel richiamare le ragioni di Israele e molto esplicito e partecipe, invece, nel tratteggiare le ragioni dei palestinesi e soprattutto la loro sofferenza.
Sarebbe però riduttivo e fuorviante interpretare in chiave solo politica il messaggio complessivo che Benedetto XVI ha voluto rivolgere ai cristiani di Terra Santa.
A giudizio del papa la Chiesa sarà influente – anche sul terreno politico – se saprà fare altro: se aiuterà anzitutto a “rimuovere i muri che noi costruiamo attorno ai nostri cuori, le barriere che innalziamo contro il nostro prossimo”.
Benedetto XVI mira primariamente a convertire a Dio i cuori e le menti.
L’ha detto e l’ha scritto più volte.
Ed è rimasto fedelissimo a questa sua “priorità” anche in un viaggio pur così carico di valenza politica come questo in Terra Santa.
Per capirlo, basta ripercorrere i gesti e le parole con cui egli ritma il viaggio.
Qui di seguito è riportata una piccola antologia delle parole da lui dette mercoledì 13 maggio a Betlemme e Aida, e il giorno precedente a Gerusalemme.
I passaggi più direttamente politici sono riportati per primi.
Ma in essi già si coglie che lo sguardo di Benedetto XVI va oltre.
E questo “oltre” egli l’ha esplicitato soprattutto nelle omelie delle messe celebrate il 12 maggio a Gerusalemme nella Valle di Giosafat e il 13 maggio a Betlemme nella Piazza della Mangiatoia, presenti migliaia di fedeli, alcuni dei quali accorsi fin da Gaza.
Ai cristiani ha detto di non abbandonare la Terra Santa, come hanno fatto soprattutto negli ultimi anni.
Ma perché restare? La risposta del papa è sorprendente, assolutamente da leggere.
Rimanda al “vedere” e al “toccare” dei primi discepoli di Gesù.
Al fondamento sensibile della fede.
Altri lampi della visione che Ratzinger vuole trasmettere sono i passaggi dedicati a Gerusalemme e a Betlemme: alla potenza simbolica, profetica, teologica di queste città sante.
E infine è tutto da leggere il discorso tenuto da Benedetto XVI ai capi musulmani la mattina del 12 maggio a Gerusalemme, dopo aver visitato – prima volta assoluta per un papa – la Cupola della Roccia, sul luogo del sacrificio di Abramo e dell’ascesa di Maometto al cielo.
Una magnifica sintesi di come questo papa vede il servizio che ebraismo, cristianesimo ed islam possono dare all’unità della famiglia umana.
Ecco dunque l’antologia, in cinque capitoli: 1.
IL PAPA “POLITICO”.
DAI DISCORSI NEI TERRITORI A Betlemme, la mattina di mercoledì 13 maggio: Signor Presidente, la Santa Sede appoggia il diritto del suo popolo ad una sovrana patria palestinese nella terra dei vostri antenati, sicura e in pace con i suoi vicini, entro confini internazionalmente riconosciuti.
[…] È mia ardente speranza che i gravi problemi riguardanti la sicurezza in Israele e nei Territori palestinesi vengano presto decisamente alleggeriti così da permettere una maggiore libertà di movimento, con speciale riguardo per i contatti tra familiari e per l’accesso ai luoghi santi.
I palestinesi, così come ogni altra persona, hanno un naturale diritto a sposarsi, a formarsi una famiglia e avere accesso al lavoro, all’educazione e all’assistenza sanitaria.
Prego anche perché, con l’assistenza della comunità internazionale, il lavoro di ricostruzione possa procedere rapidamente dovunque case, scuole od ospedali siano stati danneggiati o distrutti, specialmente durante il recente conflitto in Gaza.
Questo è essenziale affinché il popolo di questa terra possa vivere in condizioni che favoriscano pace durevole e benessere.
[…] Rivolgo questo appello ai tanti giovani presenti oggi nei Territori palestinesi: non permettete che le perdite di vite e le distruzioni, delle quali siete stati testimoni suscitino amarezze o risentimento nei vostri cuori.
Abbiate il coraggio di resistere ad ogni tentazione che possiate provare di ricorrere ad atti di violenza o di terrorismo.
Al campo profughi di Aida, nel pomeriggio di mercoledì 13 maggio: Cari amici, la mia visita al campo profughi di Aida questo pomeriggio mi offre la gradita opportunità di esprimere la mia solidarietà a tutti i palestinesi senza casa, che bramano di poter tornare ai luoghi natii, o di vivere permanentemente in una patria propria.
[…] So che molte vostre famiglie sono divise – a causa di imprigionamento di membri della famiglia o di restrizioni alla libertà di  movimento – e che molti tra voi hanno sperimentato perdite nel corso delle ostilità.
Il mio cuore si unisce a quello di coloro che, per tale ragione, soffrono.
Siate certi che tutti i profughi palestinesi nel mondo, specie quelli che hanno perso casa e persone care durante il recente conflitto di Gaza, sono costantemente ricordati nelle mie preghiere.
[…] Quanto le persone di questo campo, di questi Territori e dell’intera regione anelano alla pace! In questi giorni tale desiderio assume una particolare intensità mentre ricordate gli eventi del maggio del 1948 e gli anni di un conflitto tuttora irrisolto, che seguirono a quegli eventi.
Voi ora vivete in condizioni precarie e difficili, con limitate opportunità di occupazione.
È comprensibile che vi sentiate spesso frustrati.
Le vostre legittime aspirazioni ad una patria permanente, ad uno Stato palestinese indipendente, restano incompiute.
E voi, al contrario, vi sentite intrappolati, come molti in questa regione e nel mondo, in una spirale di violenza, di attacchi e contrattacchi, di vendette e di distruzioni continue.
Tutto il mondo desidera fortemente che sia spezzata questa spirale, anela a che la pace metta fine alle perenni ostilità.
Incombente su di noi, mentre siamo qui riuniti questo pomeriggio, è la dura consapevolezza del punto morto a cui sembrano essere giunti i contatti tra israeliani e palestinesi: il muro.
In un mondo in cui le frontiere vengono sempre più aperte – al commercio, ai viaggi, alla mobilità della gente, agli scambi culturali – è tragico vedere che vengono tuttora eretti dei muri.
Quanto aspiriamo a vedere i frutti del ben più difficile compito di edificare la pace! Quanto ardentemente preghiamo perché finiscano le ostilità che hanno causato l’erezione di questo muro! Da entrambe le parti del muro è necessario grande coraggio per superare la paura e la sfiducia, se si vuole contrastare il bisogno di vendetta per perdite o ferimenti.
Occorre magnanimità per ricercare la riconciliazione dopo anni di scontri armati.
E tuttavia la storia ci insegna che la pace viene soltanto quando le parti in conflitto sono disposte ad andare oltre le recriminazioni e a lavorare insieme a fini comuni, prendendo sul serio gli interessi e le preoccupazioni degli altri e cercando decisamente di costruire un’atmosfera di fiducia.
Deve esserci una determinazione ad intraprendere iniziative forti e creative per la riconciliazione: se ciascuno insiste su concessioni preliminari da parte dell’altro, il risultato sarà soltanto lo stallo delle trattative.
L’aiuto umanitario, come quello che viene offerto in questo campo, ha un ruolo essenziale da svolgere, ma la soluzione a lungo termine ad un conflitto come questo non può essere che politica.
Nessuno s’attende che i popoli palestinese e israeliano vi arrivino da soli.
È vitale il sostegno della comunità internazionale.
Rinnovo perciò il mio appello a tutte le parti coinvolte perché esercitino la propria influenza in favore di una soluzione giusta e duratura, nel rispetto delle legittime esigenze di tutte le parti e riconoscendo il loro diritto di vivere in pace e con dignità, secondo il diritto internazionale.
Allo stesso tempo, tuttavia, gli sforzi diplomatici potranno avere successo soltanto se gli stessi palestinesi e israeliani saranno disposti a rompere con il ciclo delle aggressioni.
A Betlemme, la sera di mercoledì 13 maggio: Signor Presidente, cari amici, […] con angoscia ho visto la situazione dei  rifugiati che, come la Santa Famiglia, hanno dovuto abbandonare le loro case.
Ed ho visto il muro che si introduce nei vostri territori, separando i vicini e dividendo le famiglie, circondare il vicino campo e nascondere molta parte di Betlemme.
Anche se i muri possono essere facilmente costruiti, noi tutti sappiamo che non durano per sempre.
Essi possono essere abbattuti.
Innanzitutto però è necessario rimuovere i muri che noi costruiamo attorno ai nostri cuori, le barriere che innalziamo contro il nostro prossimo.
__________ 2.
CRISTIANI NELLA TERRA SANTA.
PERCHÉ RESTARE Dall’omelia della messa nella Valle di Giosafat, martedì 12 maggio: Cari fratelli e sorelle, […] vorrei qui accennare direttamente alla tragica realtà – che non può mai cessare di essere fonte di preoccupazione per tutti coloro che amano questa città e questa terra – della partenza di così numerosi membri della comunità cristiana negli anni recenti.
Benché ragioni comprensibili portino molti, specialmente giovani, ad emigrare, questa decisione reca con sé come conseguenza un grande impoverimento culturale e spirituale della città.
Desidero oggi ripetere quanto ho detto in altre occasioni: nella Terra Santa c’è posto per tutti! Mentre esorto le autorità a rispettare e sostenere la presenza cristiana qui, desidero al tempo stesso assicurarvi della solidarietà, dell’amore e del sostegno di tutta la Chiesa e della Santa Sede.
Cari amici, nel Vangelo che abbiamo appena ascoltato, san Pietro e san Giovanni corrono alla tomba vuota, e Giovanni, ci è stato detto, “vide e credette” (Giovanni 20, 8), Qui in Terra Santa, con gli occhi della fede, voi insieme con i pellegrini di ogni parte del mondo che affollano le chiese e i santuari, siete felici di vedere i luoghi santificati dalla presenza di Cristo, dal suo ministero terreno, dalla sua passione, morte e risurrezione e dal dono del suo Santo Spirito.
Qui, come all’apostolo san Tommaso, vi è concessa l’opportunità di “toccare” le realtà storiche che stanno alla base della nostra confessione di fede nel Figlio di Dio.
La mia preghiera per voi oggi è che continuiate, giorno dopo giorno, a “vedere e credere” nei segni della provvidenza di Dio e della sua inesauribile misericordia, ad “ascoltare” con rinnovata fede e speranza le consolanti parole della predicazione apostolica e a “toccare” le sorgenti della grazia nei sacramenti ed incarnare per gli altri il loro pegno di nuovi inizi, la libertà nata dal perdono, la luce interiore e la pace che possono portare salvezza e speranza anche nelle più oscure realtà umane.
Nella Chiesa del Santo Sepolcro, i pellegrini di ogni secolo hanno venerato la pietra che la tradizione ci dice che stava all’ingresso della tomba la mattina della risurrezione di Cristo.
Torniamo spesso a questa tomba vuota.
Riaffermiamo lì la nostra fede sulla vittoria della vita, e preghiamo affinché ogni “pietra pesante” posta alla porta dei nostri cuori, a bloccare la nostra completa resa alla fede, alla speranza e all’amore per il Signore, possa essere tolta via dalla forza della luce e della vita che da quel primo mattino di Pasqua risplendono da Gerusalemme su tutto il mondo.
Dall’omelia della messa nella Piazza della Mangiatoia, mercoledì 13 maggio: Cari fratelli e sorelle, […] “non abbiate paura!”.
Questo è il messaggio che il successore di San Pietro desidera consegnarvi oggi, facendo eco al messaggio degli angeli e alla consegna che l’amato papa Giovanni Paolo II vi ha lasciato nell’anno del Grande Giubileo della nascita di Cristo.
Contate sulle preghiere e sulla solidarietà dei vostri fratelli e sorelle della Chiesa universale, e adoperatevi con iniziative concrete per consolidare la vostra presenza e per offrire nuove possibilità a quanti sono tentati di partire.
Siate un ponte di dialogo e di collaborazione costruttiva nell’edificare una cultura di pace che superi l’attuale stallo della paura, dell’aggressione e della frustrazione.
Edificate le vostre Chiese locali facendo di esse laboratori di dialogo, di tolleranza e di speranza, come pure di solidarietà e di carità pratica.
Al di sopra di tutto, siate testimoni della potenza della vita, della nuova vita donataci dal Cristo risorto, di quella vita che può illuminare e trasformare anche le più oscure e disperate situazioni umane.
La vostra terra non ha bisogno soltanto di nuove strutture economiche e politiche, ma in modo più importante – potremmo dire – di una nuova infrastruttura “spirituale”, capace di galvanizzare le energie di tutti gli uomini e donne di buona volontà nel servizio dell’educazione, dello sviluppo e della promozione del bene comune.
Avete le risorse umane per edificare la cultura della pace e del rispetto reciproco che potranno garantire un futuro migliore per i vostri figli.
Questa nobile impresa vi attende.
Non abbiate paura! __________ 3.
IL MISTERO DI GERUSALEMME Dall’omelia della messa nella Valle di Giosafat, martedì 12 maggio: Cari fratelli e sorelle, […] l’esortazione di Paolo di “cercare le cose di lassù” (Colossesi 3, 1) deve continuamente risuonare nei nostri cuori.
Le sue parole ci indicano il compimento della visione di fede in quella celeste Gerusalemme dove, in conformità con le antiche profezie, Dio asciugherà le lacrime da ogni occhio e preparerà un banchetto di salvezza per tutti i popoli (cfr.
Isaia 25, 6-8; Apocalisse 21, 2-4).
Questa è la speranza, questa la visione che spinge tutti coloro che amano questa Gerusalemme terrestre a vederla come una profezia e una promessa di quella universale riconciliazione e pace che Dio desidera per tutta l’umana famiglia.
[…] Riuniti sotto le mura di questa città, sacra ai seguaci delle tre grandi religioni, come possiamo non rivolgere i nostri pensieri alla universale vocazione di Gerusalemme? Annunciata dai profeti, questa vocazione appare come un fatto indiscutibile, una realtà irrevocabile fondata nella storia complessa di questa città e del suo popolo.
Ebrei, musulmani e cristiani qualificano insieme questa città come loro patria spirituale.
Quanto bisogna ancora fare per renderla veramente una “città della pace” per tutti i popoli, dove tutti possono venire in pellegrinaggio alla ricerca di Dio, e per ascoltarne la voce, “una voce che parla di pace” (cfr.
Salmo 85, 8)! Gerusalemme in realtà è sempre stata una città nelle cui vie risuonano lingue diverse, le cui pietre sono calpestate da popoli di ogni razza e lingua, le cui mura sono un simbolo della cura provvidente di Dio per l’intera famiglia umana.
Come un microcosmo del nostro mondo globalizzato, questa città, se deve vivere la sua vocazione universale, deve essere un luogo che insegna l’universalità, il rispetto per gli altri, il dialogo e la vicendevole comprensione; un luogo dove il pregiudizio, l’ignoranza e la paura che li alimenta, siano superati dall’onestà, dall’integrità e dalla ricerca della pace.
Non dovrebbe esservi posto tra queste mura per la chiusura, la discriminazione, la violenza e l’ingiustizia.
I credenti in un Dio di misericordia – si qualifichino essi ebrei, cristiani o musulmani –, devono essere i primi a promuovere questa cultura della riconciliazione e della pace, per quanto lento possa essere il processo e gravoso il peso dei ricordi passati.
__________ 4.
IL MISTERO DI BETLEMME Dall’omelia della messa nella Piazza della Mangiatoia, mercoledì 13 maggio: Cari fratelli e sorelle, […] il Signore degli eserciti, “le cui origini sono dall’antichità, dai giorni più remoti” (Michea 5, 2), volle inaugurare il suo regno nascendo in questa piccola città, entrando nel nostro mondo nel silenzio e nell’umiltà in una grotta, e giacendo, come bimbo bisognoso di tutto, in una mangiatoia.
Qui a Betlemme, nel mezzo di ogni genere di contraddizione, le pietre continuano a gridare questa “buona novella”, il messaggio di redenzione che questa  città, al di sopra di tutte le altre, è chiamata a proclamare a tutto il mondo.
Qui infatti, in un modo che sorpassa tutte le speranze e aspettative umane, Dio si è mostrato fedele alle sue promesse.
Nella nascita del suo Figlio, Egli ha rivelato la venuta di un regno d’amore: un amore divino che si china per portare guarigione e per innalzarci; un amore che si rivela nell’umiliazione e nella debolezza della croce, eppure trionfa nella gloriosa risurrezione a nuova vita.
Cristo ha portato un regno che non è di questo mondo, eppure è un regno capace di cambiare questo mondo, poiché ha il potere di cambiare i cuori, di illuminare le menti e di rafforzare le volontà.
Nell’assumere la nostra carne, con tutte le sue debolezze, e nel trasfigurarla con la potenza del suo Spirito, Gesù ci ha chiamati ad essere testimoni della sua vittoria sul peccato e sulla morte.
E questo è ciò che il messaggio di Betlemme ci chiama ad essere: testimoni del trionfo dell’amore di Dio sull’odio, sull’egoismo, sulla paura e sul rancore che paralizzano i rapporti umani e creano divisione fra fratelli che dovrebbero vivere insieme in unità, distruzioni dove gli uomini dovrebbero edificare, disperazione dove la speranza dovrebbe fiorire! __________ 5.
EBREI, CRISTIANI E MUSULMANI PER L’UNITÀ DELLA FAMIGLIA UMANA Dal discorso dopo la visita della Cupola della Roccia, a Gerusalemme, martedì 12 maggio: La Cupola della Roccia conduce i nostri cuori e le nostre menti a riflettere sul mistero della creazione e sulla fede di Abramo.
Qui le vie delle tre grandi religioni monoteiste mondiali si incontrano, ricordandoci quello che esse hanno in comune.
Ciascuna crede in un solo Dio, creatore e regolatore di tutto.
Ciascuna riconosce Abramo come proprio antenato, un uomo di fede al quale Dio ha concesso una speciale benedizione.
Ciascuna ha raccolto schiere di seguaci nel corso dei secoli ed ha ispirato un ricco patrimonio spirituale, intellettuale e culturale.
[…] Poiché gli insegnamenti delle tradizioni religiose riguardano ultimamente la realtà di Dio, il significato della vita ed il destino comune dell’umanità – vale a dire, tutto ciò che è per noi molto sacro e caro – può esserci la tentazione di impegnarsi in tale dialogo con riluttanza o ambiguità circa le sue possibilità di successo.
Possiamo tuttavia cominciare col credere che l’Unico Dio è l’infinita sorgente della giustizia e della misericordia, perché in Lui entrambe esistono in perfetta unità.
Coloro che confessano il suo nome hanno il compito di impegnarsi decisamente per la rettitudine pur imitando la sua clemenza, poiché ambedue gli atteggiamenti sono intrinsecamente orientati alla pacifica ed armoniosa coesistenza della famiglia umana.
Per questa ragione, è scontato che coloro che adorano l’Unico Dio manifestino essi stessi di essere fondati su ed incamminati verso l’unità dell’intera famiglia umana.
In altre parole, la fedeltà all’Unico Dio, il Creatore, l’Altissimo, conduce a riconoscere che gli esseri umani sono fondamentalmente collegati l’uno all’altro, perché tutti traggono la loro propria esistenza da una sola fonte e sono indirizzati verso una meta comune.
Marcati con l’indelebile immagine del divino, essi sono chiamati a giocare un ruolo attivo nell’appianare le divisioni e nel promuovere la solidarietà umana.
Questo pone una grave responsabilità su di noi.
Coloro che onorano l’Unico Dio credono che Egli riterrà gli esseri umani responsabili delle loro azioni.
I cristiani affermano che i doni divini della ragione e della libertà stanno alla base di questa responsabilità.
La ragione apre la mente per comprendere la natura condivisa e il destino comune della famiglia umana, mentre la libertà spinge il cuore ad accettare l’altro e a servirlo nella carità.
L’indiviso amore per l’Unico Dio e la carità verso il nostro prossimo diventano così il fulcro attorno al quale ruota tutto il resto.
Questa è la ragione perché operiamo instancabilmente per salvaguardare i cuori umani dall’odio, dalla rabbia o dalla vendetta.
Cari amici, sono venuto a Gerusalemme in un pellegrinaggio di fede.
Ringrazio Dio per questa occasione che mi è data di incontrarmi con voi come vescovo di Roma e successore dell’apostolo Pietro, ma anche come figlio di Abramo, nel quale “tutte le famiglie della terra si diranno benedette” (Genesi 12, 3; cfr.
Romani 4, 16-17).
Vi assicuro che è ardente desiderio della Chiesa di cooperare per il benessere dell’umana famiglia.
Essa fermamente crede che la promessa fatta ad Abramo ha una portata universale, che abbraccia tutti gli uomini e le donne indipendentemente dalla loro provenienza o da loro stato sociale.
Mentre musulmani e cristiani continuano il dialogo rispettoso che già hanno iniziato, prego affinché essi possano esplorare come l’Unicità di Dio sia inestricabilmente legata all’unità della famiglia umana.
Sottomettendosi al suo amabile piano della creazione, studiando la legge inscritta nel cosmo ed inserita nel cuore dell’uomo, riflettendo sul misterioso dono dell’autorivelazione di Dio, possano tutti coloro che vi aderiscono continuare a tenere lo sguardo fisso sulla sua bontà assoluta, mai perdendo di vista come essa sia riflessa sul volto degli altri.
__________ Il programma, i discorsi, le omelie del viaggio di Benedetto XVI: > Pellegrinaggio in Terra Santa, 8-15 maggio 2009