I migranti, le loro storie ed esperienze in un libro fotografico di Luca Leone Paolo Dieci è il direttore del CISP una ong con sede a Roma che opera a livello nazionale e internazionale attraverso progetti umanitari a favore dei più deboli, in particolare migranti.
“Accogliere la dimensione multiculturale delle nostre società come un’opportunità storica da valorizzare e non come una minaccia, lavorare con le comunità e associazioni di immigrati, responsabilizzandole e identificandole come strumenti essenziali per l’integrazione, rafforzare, la collaborazione tra Europa, Maghreb ed Africa Sub Sahrariana e le politiche di cooperazione internazionale” sono alcune delle strategie da mettere in atto per affrontare in maniera diversa e costruttiva il fenomeno migratorio secondo Paolo Dieci.
Con Paolo Dieci abbiamo approfondito il tema dell’immigrazione in questa intervista.
D.
Direttore, l’importanza e l’urgenza di un libro come “Sogni di sabbia” è data dalla cronaca nazionale e internazionale.
Qual è la posizione del Cisp rispetto alle politiche migratorie europee e nazionali e quali urgenze avete individuato? R.
Alcuni limiti di tali politiche sono così sintetizzabili: scarso coordinamento a livello europeo, tendenza, soprattutto in Italia, a identificare il tema della migrazione con quello della sicurezza e, soprattutto, mancanza di una visione globale dei processi migratori, che vanno compresi e gestiti nel loro insieme, per essere chiari dalla loro origine alla loro destinazione.
Sembra oggi di assistere a una rincorsa al presidio delle frontiere, quasi che queste fossero minacciate da pericolose invasioni.
Questa visione delle cose è ristretta, inefficacie, oltre ché, come vedremo, moralmente discutibile.
Le migrazioni sono processi globali, che nascono dallo squilibrio impressionante tra paesi ricchi e paesi poveri, si alimentano di aspettative per una vita diversa quando non da vere e proprie fughe.
Governare tali processi presidiando le coste è impossibile.
Servono politiche integrate, di accoglienza, cooperazione internazionale, formazione e orientamento delle comunità di immigrati.
Servono chiaramente anche accordi tra stati, ma in questo caso vorrei fare due brevi considerazioni.
La prima è che tali accordi vanno sottoscritti non solo con gli Stati del Maghreb, ma anche con quelli dell’Africa a sud del Sahara, dove spesso migrare significa provare a vincere le catene della povertà.
Esistono esempi concreti ai quali l’Italia può rifarsi; penso, ad esempio, all’accordo siglato tra Unione Europea e Mali per l’attivazione di servizi di informazione e orientamento professionale ai migranti potenziali.
La seconda considerazione è che tali accordi non devono avere come principale o unica finalità il respingimento dei migranti, senza dare loro oltretutto la possibilità di esporre le loro ragioni, di motivare, in molti casi, la richiesta di asilo.
D.
La soluzione giusta alla pressione migratoria dal Sud verso Nord è nei respingimenti o altre dovrebbero essere le risposte, forse tutte più adeguate? R.
Il respingimento indiscriminato è innanzitutto moralmente inaccettabile perché nega la possibilità di richiedere asilo anche a coloro che ne avrebbero diritto.
Inoltre spinge in modo coatto i migranti in situazioni – lontano dai riflettori dei media – che nessun organo internazionale è in grado di monitorare.
Nessuno ha “ricette” o soluzioni a problematiche così imponenti, che – lo ripeto – affondano le loro radici nella disuguaglianza mondiale.
Possiamo però provare a ipotizzare un percorso, un processo verso cui andare.
Provo a sintetizzare alcuni punti: accogliere la dimensione multiculturale delle nostre società come un’opportunità storica da valorizzare e non come una minaccia (non si dovrebbe scordare che uno dei paesi più multiculturali del mondo, gli Usa, sono una grande e solida potenza mondiale, non uno stato frantumato da divisioni e conflitti interni); lavorare con le comunità e associazioni di immigrati, responsabilizzandole e identificandole come strumenti essenziali per l’integrazione; rafforzare, nel senso che ho già provato a chiarire, la collaborazione tra Europa, Maghreb ed Africa Sub Sahrariana; rafforzare le politiche di cooperazione internazionale.
L’intervista è disponibile sul sito della Infinito edizioni (www.infinitoedizioni.it) e può essere ripresa liberamente citando la fonte (Luca Leone ©Infinito edizioni 2009).
Infinito edizioni: 06 93162414 Cell: 320 3524918 (Maria Cecilia Castagna), 347 3807428 (Luca Leone) info@infinitoedizioni.it, www.infinitoedizioni.it CISP ONLUS, Sogni di sabbia.
Storie di migranti, Infinito Edizioni, 2009, Isbn: 978-88-89602-58-4, pp.96 Euro 15.00 Libro fotografico a cura di Sandro De Luca, con testi di Gad Lerner e Ubah Cristina Ali Farah “Nessuno considera clandestino lo straniero irregolare che bada a sua madre, gli pota la vigna o fa le pulizie nel condominio.
Clandestini sono sempre gli altri: buttateli fuori!” (Gad Lerner).
Non tutti i viaggi terminano con la destinazione sognata, e non tutti quelli che partono riescono a realizzare il loro progetto.
Per tanti migranti il miraggio diventa un incubo, una trappola da cui non riescono più a uscire.
Lo raccontano i protagonisti di questo libro corredato da splendide foto, che con i loro volti ci raccontano che cosa c’è – in questo caso in Algeria – prima di Lampedusa.
Partiti dal Congo, dal Niger, dal Mali, dal deserto del Sahara, sono tanti, sempre di più, quelli che non vedranno mai l’Europa.
Perché rimangono bloccati nei Paesi del Maghreb, in un limbo da cui non riescono più a uscire.
Scoprire il viaggio prima del viaggio, la loro vita prima della partenza, può aiutarci a comprendere, a smontare pregiudizi e stereotipi.
Prima di diventare migranti, irregolari o clandestini, sono persone.
Come noi.
“Non è vero che questi giovani migranti non hanno nulla da perdere.
Hanno solo il coraggio di rischiare.
Buttarsi a capofitto con quel briciolo di incoscienza necessario per affrontare l’impossibilità” (dalla prefazione di Ubah Cristina Ali Farah).
In difesa di Pio XII.
GIOVANNI MARIA VIAN, In difesa di Pio XII.
Le ragioni della storia, Marsilio 2009, ISBN: 8831797670 , ISBN-13: 9788831797672 Pagine: 167, € 13,00 Un contributo alla verità storica su Pio XII dagli scritti di Giovanni Maria Vian, Paolo Mieli, Saul Israel, Andrea Riccardi, Rino Fisichella, Gianfranco Ravasi, Tarcisio Bertone, Benedetto XVI — Eugenio Pacelli è stato il papa forse più controverso del Novecento.
Alla “venerabile memoria” riconosciutagli da contemporanei e successori, dagli anni sessanta si è andata gradatamente sostituendo la “leggenda nera” di Pio XII che rende ancora oggi difficile lo svolgimento di un normale dibattito storiografico.
Mentre è in corso la causa per la sua beatificazione, si è riaccesa aspra la polemica sul suo pontificato e sulla linea di condotta tenuta durante la Seconda guerra mondiale, di fronte alla Shoah e negli anni della guerra fredda.
Questo libro, attraverso gli interventi di autorevoli storici e teologi, ebrei e cattolici, intende fornire gli elementi per rifondare le interpretazioni del ruolo di Pio XII nella storia: gli anni da diplomatico della Santa Sede a Monaco e poi a Berlino, l’attività di segretario di Stato al fianco di Pio XI, l’elezione al soglio pontificio in un momento storico drammatico, il confronto con una modernità incalzante verso cui si pose come precursore del concilio Vaticano II.
Per gentile concessione dell’Autore, pubblichiamo l’introduzione al libro “In difesa di Pio XII – Le ragioni della storia” a cura di Giovanni Maria Vian, edizioni Marsilio.
Pio XII? Un papa lontano, dai tratti così sbiaditi da non essere più riconoscibili o, in alternativa, dai contorni sin troppo carichi, ma perché deformati da una rappresentazione polemica talmente aspra e persistente da oscurare la realtà storica.
È questa l’immagine che oggi prevale di Eugenio Pacelli, eletto sulla sede di Pietro alla vigilia dell’ultima guerra mondiale.
Destino singolare per il primo romano pontefice che, sul cammino aperto dal predecessore, divenne popolare e davvero visibile in tutto il mondo.
Grazie all’incipiente e tumultuosa modernità, anche della comunicazione, che il papa di Roma volle e seppe utilizzare: dai ripetuti viaggi – che lo portarono in Europa e America come diplomatico e segretario di Stato – al nuovo genere dei radiomessaggi, dalle grandi manifestazioni pubbliche alle copertine dei rotocalchi, dal cinema a un mezzo appena agli albori e destinato a grandi fortune come la televisione.
Destino ancor più singolare se si pensa poi all’autorevolezza generalmente riconosciutagli in vita e ai giudizi positivi quasi unanimi che nel 1958, mezzo secolo fa, ne accompagnarono la scomparsa.
Come è stato allora possibile un simile rovesciamento d’immagine, verificatosi per di più nel giro di pochi anni, più o meno a partire dal 1963? I motivi sono principalmente due.
Il primo risiede nelle difficili scelte politiche compiute da Pio XII sin dall’esordio del pontificato, poi durante la tragedia bellica, e infine al tempo della guerra fredda.
La linea assunta negli anni del conflitto dal papa e dalla Santa Sede, avversa ai totalitarismi ma tradizionalmente neutrale, nei fatti fu invece favorevole all’alleanza antihitleriana e si caratterizzò per uno sforzo umanitario senza precedenti, che salvò moltissime vite umane.
Questa linea fu comunque anticomunista, e per questo, già durante la guerra, il papa cominciò a essere additato dalla propaganda sovietica come complice del nazismo e dei suoi orrori.
La seconda ragione fu l’avvento del successore, Angelo Giuseppe Roncalli.
Questi, descritto già molto tempo prima del conclave come candidato (e, una volta eletto, come papa) «di transizione», in ragione soprattutto dell’età avanzata, prestissimo venne salutato come «il papa buono », e senza sfumature sempre più contrapposto al predecessore: per il carattere e lo stile radicalmente diversi, ma anche per la decisione inattesa e clamorosa di convocare un concilio.
Gli elementi principali che spiegano il cambiamento dell’immagine di papa Pacelli sono dunque la scelta anticomunista di Pio XII e la contrapposizione con Giovanni XXIII.
Contrapposizione che venne accentuata soprattutto dopo la morte di quest’ultimo e l’elezione di Giovanni Battista Montini (Paolo VI), anche perché fu favorita dalla polarizzazione dei contrasti, al tempo del Vaticano II, tra conservatori e progressisti, che trasformarono in simboli contrapposti i due papi scomparsi.
Intanto, nel rilancio delle accuse sovietiche e comuniste, ripetute con insistenza durante la guerra fredda, ebbe un ruolo decisivo il dramma Der Stellvertreter («Il vicario») di Rolf Hochhuth, rappresentato per la prima volta a Berlino il 20 febbraio 1963 e tutto giocato sul silenzio di un papa dipinto come indifferente davanti alla persecuzione e allo sterminio degli ebrei.
Di fronte all’estensione della polemica in Inghilterra, a difendere Pio XII scese in campo il cardinale Montini – già stretto collaboratore di Pacelli – con una lettera alla rivista cattolica «The Tablet» che arrivò in redazione il giorno della sua elezione al pontificato, il 21 giugno, e fu pubblicata anche su «L’Osservatore Romano» del 29 giugno: «Un atteggiamento di condanna e di protesta, quale costui rimprovera al Papa di non avere adottato, sarebbe stato, oltre che inutile, dannoso; questo è tutto».
Severa, e scandita da parole scelte attentamente, la conclusione di Montini: «Non si gioca con questi argomenti e con i personaggi storici che conosciamo con la fantasia creatrice di artisti di teatro, non abbastanza dotati di discernimento storico e, Dio non voglia, di onestà umana.
Perché altrimenti, nel caso presente, il dramma vero sarebbe un altro: quello di colui che tenta di scaricare sopra un Papa, estremamente coscienzioso del proprio dovere e della realtà storica, e per di più d’un Amico, imparziale, sì, ma fedelissimo del popolo germanico, gli orribili crimini del Nazismo tedesco.
Pio XII avrà egualmente il merito d’essere stato un “Vicario” di Cristo, che ha cercato di compiere coraggiosamente e integralmente, come poteva, la sua missione; ma si potrà ascrivere a merito della cultura e dell’arte una simile ingiustizia teatrale?».
Da papa, più volte Montini sarebbe tornato a parlare di Pacelli, di cui volle difendere l’opera di pace e la «venerabile memoria» il 5 gennaio 1964, congedandosi a Gerusalemme dal presidente israeliano, mentre nel sacrario dedicato alle vittime della persecuzione nazista il cardinale decano Eugène Tisserant accendeva sei lumi in ricordo dei milioni di ebrei sterminati.
Quando «Paolo vi pose piede in terra israeliana, in quella che fu la tappa più significativa e “rivoluzionaria” della sua missione palestinese, tutti avvertirono» – ricordò Giovanni Spadolini su «il Resto del Carlino» del 18 febbraio 1965, dopo le prime rappresentazioni a Roma del dramma di Hochhuth e le conseguenti accese polemiche – «che il Pontefice intendeva rispondere, dallo stesso cuore del focolare nazionale ebraico, ai sistematici attacchi del mondo comunista che non mancavano di trovare qualche complicità o qualche condiscendenza anche nei cuori cattolici».
Allo storico laico era chiarissimo il ruolo della propaganda comunista nella mitizzazione negativa di Pacelli, con una consapevolezza che nella rappresentazione pubblica dei decenni successivi è quasi scomparsa, per lasciare il posto a una strumentale e denigratoria associazione della figura di Pio XII alla tragedia della Shoah, di fronte alla quale avrebbe taciuto o di cui si sarebbe addirittura reso complice.
La questione del silenzio del papa è così divenuta preponderante, spesso tramutandosi in polemica accanita, provocando reazioni difensive di frequente solo apologetiche, e rendendo più difficile la soluzione di un reale problema storico.
Interrogativi e accuse per i silenzi e l’apparente indifferenza di Pio XII di fronte alle incipienti tragedie e agli orrori della guerra erano venuti infatti da cattolici: come da Emmanuel Mounier già nel 1939, nelle prime settimane del pontificato, e più tardi da esponenti polacchi in esilio.
Lo stesso Pacelli più volte s’interrogò sul suo atteggiamento, che fu dunque una scelta consapevole e sofferta di tentare la salvezza del maggior numero possibile di vite umane piuttosto che denunciare continuamente il male con il rischio reale di orrori ancora più grandi.
Come sottolineò ancora Paolo vi, secondo il quale Pio XII agì «per quanto le circostanze, misurate da lui con intensa e coscienziosa riflessione, glielo permisero», al punto che non si può «imputare a viltà, a disinteresse, a egoismo del Papa, se malanni senza numero e senza misura devastarono l’umanità.
Chi sostenesse il contrario, offenderebbe la verità e la giustizia » (12 marzo 1964); Pacelli fu infatti «del tutto alieno da atteggiamenti di consapevole omissione di qualche suo possibile intervento ogni qualvolta fossero in pericolo i valori supremi della vita e della libertà dell’uomo; anzi egli ha osato sempre tentare, in circostanze concrete e difficili, quanto era in suo potere per evitare ogni gesto disumano e ingiusto» (10 marzo 1974).
Così, l’interminabile guerra sul silenzio di papa Pacelli ha finito per oscurare l’obiettiva rilevanza di un pontificato importante, anzi decisivo nel passaggio dall’ultima tragedia bellica mondiale, attraverso il gelo della guerra fredda e le difficoltà della ricostruzione, a un’epoca nuova, in qualche modo avvertita nell’annuncio della morte del pontefice che diede il cardinale Montini alla sua diocesi il 10 ottobre 1958: «Scompare con Lui un’età, si compie una storia.
L’orologio del mondo batte un’ora compiuta».
Un’età, comprendente gli anni spaventosi e dolorosi della guerra insieme a quelli duri del dopoguerra, che si volle dimenticare nei suoi tratti reali.
Insieme al papa che l’aveva affrontata, inerme.
E presto si è dimenticato anche il suo governo, attento ed efficace, di un cattolicesimo che si faceva sempre più mondiale, il suo insegnamento imponente e innovatore in moltissimi ambiti che ha preparato di fatto il concilio Vaticano II e che da questo in parte è stato ripreso, l’avvicinamento alla modernità e la sua comprensione.
Inoltre, al nodo storiografico già intricato – e al cui scioglimento Paolo VI volle contribuire disponendo la pubblicazione dagli archivi vaticani di migliaia di Actes et documents du Saint-Siège relatifs à la seconde guerre mondiale, in dodici volumi a partire dal 1965 – si è intrecciato quello della causa di canonizzazione.
L’avvio di questa insieme a quella di Giovanni XXIII fu annunciato proprio in quell’anno dallo stesso Montini in concilio, nel tentativo di contrastare la contrapposizione dei due predecessori e quindi l’uso strumentale delle loro figure, divenute quasi simboli e bandiere di tendenze opposte del cattolicesimo.
A mezzo secolo dalla morte di Pio XII (9 ottobre 1958) e a settant’anni dalla sua elezione (2 marzo 1939) sembra tuttavia formarsi un nuovo consenso storiografico sulla rilevanza storica della figura e del pontificato di Eugenio Pacelli, l’ultimo papa romano.
A questo riconoscimento ha voluto contribuire «L’Osservatore Romano» pubblicando una serie di testi e contributi di storici e teologi, ebrei e cattolici, qui rielaborati e raccolti insieme agli interventi di Benedetto XVI e del suo segretario di Stato, il cardinale Tarcisio Bertone.
Ragionando sul caso Pio XII, Paolo Mieli ha mostrato l’inconsistenza della «leggenda nera» e si è detto convinto che proprio gli storici riconosceranno l’importanza e la grandezza di Pacelli.
Andrea Riccardi ha sintetizzato formazione e carriera del futuro papa e ha ricostruito il significato del suo pontificato.
La sensibilità dell’insegnamento teologico di Pio XII di fronte alla modernità e la sua incidenza sul cattolicesimo successivo sono state messe in luce da Rino Fisichella.
E dai discorsi del papa Gianfranco Ravasi ha fatto emergere il suo mondo culturale.
Postuma, la struggente evocazione di Saul Israel – scritta al tempo della devastante tempesta che travolse il popolo ebraico, nel fragile riparo di un convento romano – esprime la realtà più profonda della vicinanza e dell’amicizia tra ebrei e cristiani, ma soprattutto la fede nell’unico Signore che benedice e custodisce tutti, «sotto le ali dove la vita non ha avuto inizio e non avrà mai fine».
Testimoni del nostro tempo: Il cardinale Massaia
L’8 giugno 1809, a Piovà d’Asti, nasceva il servo di Dio cardinale Guglielmo Massaia.
Nel Bicentenario di tale evento, si stanno svolgendo varie iniziative per riproporre alla considerazione della gioventù d’oggi questa grande figura di missionario dei tempi moderni.
Con lo spirito di san Francesco d’Assisi, il Massaia obbedì alla voce del Papa Gregorio XVI, che gli proponeva un’attività apostolica immane in un territorio fino ad allora poco conosciuto.
Confidando nella Provvidenza Divina, egli accettò d’essere inviato in Etiopia, come vicario apostolico dei Galla.
Era, per lui, un mondo nuovo, ma, sorretto dalla fede dei santi, iniziò il suo eroico apostolato che doveva durare per ben 35 anni.
Si trattò di un’attività missionaria gigantesca, che ancor oggi continua a stupirci.
Era quindi giusto far nuovamente conoscere agli uomini d’oggi tale grande opera apostolica.
Con molta soddisfazione, ho quindi salutato l’iniziativa del noto studioso di storia della santità moderna, qual è monsignor Alessandro Pronzato, che ha voluto regalarci una nuova pubblicazione sul cardinale Massaia.
È un’opera che ho letto con profondo interesse, ammirando soprattutto lo sforzo nel sottolineare la santità di vita di questo importante apostolo dell’Africa.
In realtà, i numerosi scritti finora apparsi sulla figura di tale leggendario missionario abbondavano nel descrivere le sue caratteristiche di viaggiatore instancabile, di studioso della vita dei popoli, di buon samaritano verso tanti ammalati, di uomo dedito, secondo le circostanze, anche ai lavori più umili per aiutare quelle popolazioni.
Bene ha fatto il nostro biografo nell’insistere sull’anima del suo apostolato, su quel fuoco interiore d’amore per Cristo e per i fratelli, che sempre lo sospingeva sul suo doloroso cammino.
Scorrendo le pagine di tale libro, emerge chiaramente la santità eroica del cardinale Massaia, come ben leggiamo nella seconda parte della biografia: “Se questo non è un santo”! Del resto, la sua santità di vita era ben nota al Papa Leone XIII, il Papa che, nel Concistoro del 10 novembre 1884, aveva voluto esaltare tale intrepido missionario creandolo cardinale di Santa Romana Chiesa e che, poi, alla sua morte, il 6 agosto 1889, aveva esclamato, profondamente commosso: “È morto un santo!” Grande fu pure la fama di santità presso i suoi contemporanei.
Qui basterebbe ricordare come parlava di lui il suo grande amico, san Daniele Comboni, che conosceva a fondo il Massaia e con il quale collaborò nella ricerca delle vie migliori per l’apostolato missionario in terra africana.
Basterebbe leggere una lettera che il giovane Comboni scrisse da Parigi al rettore dell’istituto Mazza di Verona, il 22 marzo 1865, nella quale vi sono le seguenti espressioni: “Ho la consolazione di essere qui con un santo uomo, che mi ama come suo figlio e mi circonda di mille premure, e mi fa fino da infermiere.
Più che studio e che pratico con questo sant’uomo, più mi comparisce ammirabile…
Egli, uomo semplice come l’acqua, ma assai colto, menò la vita più santa, di cui so molti particolari”.
Circa la fama di santità di cui godeva in vita il nostro missionario cappuccino, basterebbe pure leggere la testimonianza di san Giustino De Jacobis, il noto sacerdote vincenziano, nominato vicario apostolico per l’Abissinia Superiore e ordinato vescovo dal medesimo cardinale Massaia.
Nei suoi scritti, il De Jacobis parla sovente del “santo prelato”, definendolo “uno dei più preziosi monumenti moderni alla carità apostolica”, e anche “il sant’Eusebio dei nostri giorni” – alludendo alle gravi sofferenze ed all’esilio che dovette subire il santo vescovo di Vercelli.
Felicemente, quindi, monsignor Pronzato ha voluto sottolineare la santità di vita del Massaia.
È stata una grata sorpresa anche per me leggere alcune pagine del libro che hanno il sapore dei Fioretti di san Francesco.
Già conoscevo parecchie testimonianze di altri contemporanei del Massaia.
Le aveva ben sintetizzate nel 2003 il cappuccino Antonino Rosso, noto studioso del cardinale Massaia, in un suo scritto dal titolo Evangelizzazione, promozione umana, fama di santità (Pinerolo, 2003).
Con la presente pubblicazione, monsignor Alessandro Pronzato ha contribuito magistralmente a presentarci la statura spirituale di questo grande uomo di Dio, quale fu il Massaia, sia come religioso cappuccino a Torino, che come vescovo missionario di Africa ed infine come cardinale di Santa Romana Chiesa.
Personalmente, poi, in quest’anno in cui commemoriamo i duecento anni dalla sua nascita, ho voluto rileggere le belle pagine delle memorie storiche redatte dal Massaia per ordine del Papa Leone XIII, e recanti il noto titolo: I miei trentacinque anni di Missione in Alta Etiopia (Roma-Milano, 1885-1895).
Ho voluto poi riflettere sugli scritti dei numerosi altri studiosi, di ieri e di oggi, e sono giunto alla stessa conclusione.
In passato, alla causa di canonizzazione del Massaia era forse nociuto che alcuni scrittori l’avessero piuttosto presentato come il viaggiatore, lo scopritore, l’etnologo, il poliglotta, il medico, il diplomatico che trattava con i responsabili dei cinque regni esistenti nel territorio affidatogli e che manteneva poi contatti con le potenze coloniali europee.
Gli studi recenti hanno però contribuito a porre in giusta luce la spiritualità del Massaia.
Non rimane perciò che esprimere il voto che presto possiamo anche venerare sugli altari questa grande figura di servo di Dio dei tempi moderni.
Si sono aperte a Piovà Massaia, in provincia d’Asti, con una messa presieduta dal decano del collegio cardinalizio Angelo Sodano, le celebrazioni per ricordare i duecento anni dalla nascita del cardinale Guglielmo Massaia, grande missionario dell’Etiopia.
“Egli non ha voluto solo annunciare la Buona novella di Cristo con la sua vita e la sua parola – ha ricordato il porporato nell’omelia – ma ha consacrato tutta la sua esistenza a portare la luce del Vangelo anche nelle lontane terre africane”.
I suoi viaggi apostolici lo portarono, infatti, in molte regioni dell’Africa, anche al di fuori dell’Abissinia.
È ormai giunta al termine – ha ricordato poi il cardinale – l’indagine della Chiesa sulla vita e le opere di “questo grande apostolo dei tempi moderni”.
Sodano ha perciò auspicato che “la celebrazione del bicentenario della nascita del nostro grande cardinale ci spinga tutti a pregare perché presto sia anche riconosciuta dalla Chiesa la sua santità eroica”.
Una preghiera perché il Signore “attraverso anche qualche suo segno straordinario, quali sono i miracoli, voglia guidare la Chiesa a riconoscere presto la santità di questo suo figlio illustre”.
Numerosissime sono le iniziative in programma fino al prossimo autunno in tutta Italia per ricordare la figura di Massaia: convegni, incontri di preghiera, mostre, libri.
Pubblichiamo la prefazione del cardinale decano a un volume appena uscito (Alessandro Pronzato, Tanta strada sotto quei sandali…
Cardinale Guglielmo Massaia un santo dimenticato, Milano, Gribaudi, 2009, pagine 204, euro 13,50) che ne ripercorre l’itinerario umano e spirituale.
59a ASSEMBLEA GENERALE CEI
1. Diaconia della verità e della carità: stanno o cadono insieme “Rispetto alle diverse stazioni della ‘via crucis’ che l’uomo di oggi affronta, la Chiesa non fa selezioni.
La sua iniziativa però non ha mai come scopo una qualche egemonia, non usa l’ideale della fede in vista di un potere.
Le interessa piuttosto ampliare i punti di incontro perché la razionalità sottesa al disegno divino sulla vita umana sia universalmente riconosciuta nel vissuto concreto di ogni esistenza e per una società veramente umana”.
In questa affermazione, contenuta nella prolusione del Cardinale Presidente, si sono ritrovati i Vescovi italiani, chiamati in causa – nel loro discernimento pastorale – non solo da inediti problemi economici e sociali, ma anche da ricorrenti questioni bioetiche.
Non è possibile separare – come taluni invece vorrebbero – la carità dalla verità, perché si tratta di due dimensioni della medesima diaconia che la Chiesa è chiamata a esercitare.
Infatti “fraintendimenti e deviazioni restano incombenti, se non si è costantemente richiamati al valore incomparabile della dignità umana, che è minacciata dalla miseria e dalla povertà almeno quanto è minacciata dal disconoscimento del valore di ogni istante e di ogni condizione della vita”.
A partire da questa convinzione, si è riconfermata una netta presa di distanza da quelle visioni che vorrebbero ridurre la Chiesa ad “agenzia umanitaria”, chiamata a farsi carico delle patologie della società, ma irrilevante rispetto alla fisiologia della convivenza sociale.
Nel contempo, è stato rigettato un modello di Chiesa che si limiti a ribadire una fede disincarnata, priva di connessioni antropologiche e perciò incapace di offrire il proprio apporto specifico all’edificazione della città dell’uomo.
Il vero profilo di una compiuta evangelizzazione richiede di saper servire la persona nella sua integralità, ponendo attenzione sia ai bisogni materiali sia alle aspirazioni spirituali, secondo l’insuperabile intuizione di Paolo VI, per il quale il destino della Chiesa è di “portare la Buona Novella in tutti gli strati dell’umanità e, col suo influsso, trasformare dal di dentro (…)”, fino a “raggiungere e quasi sconvolgere mediante la forza del Vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell’umanità, che sono in contrasto con la Parola di Dio e col disegno della salvezza” (Evangelii nuntiandi, nn.
18-19).
Tenere insieme queste due dimensioni dell’unica diaconia della Chiesa esige in concreto non separare la solidarietà dalla spiritualità e, di conseguenza, non disgiungere la ricerca della fede dalla realizzazione del bene comune.
2. Il compito urgente dell’educazione quale tema degli Orientamenti pastorali del prossimo decennio L’ampio spazio dedicato ai lavori di gruppo, a seguito della relazione fondamentale, ha fatto emergere un radicato consenso intorno alla scelta dell’educazione quale tema portante degli Orientamenti pastorali della Chiesa in Italia nel decennio 2010-2020.
Si è condivisa la consapevolezza che l’urgenza della questione non nasce in primo luogo da una contingenza particolare, ma dalla necessità che ciascuna persona ed ogni generazione ha di esercitare la propria libertà.
Infatti – come ha affermato con chiarezza il Santo Padre Benedetto XVI – “anche i più grandi valori del passato non possono essere semplicemente ereditati, vanno fatti nostri e rinnovati, attraverso una, spesso sofferta, scelta personale”.
Si è dunque privilegiato un atteggiamento positivo e non allarmistico e si è precisato che questa scelta è in profonda continuità con il recente cammino della Chiesa in Italia, dal momento che comunicare il Vangelo è riproporre in modo essenziale Cristo come modello di umanità vera in un contesto culturale e sociale mutato.
Su questo punto, è stata ribadita la necessità di non sottovalutare l’impatto delle trasformazioni in atto, senza peraltro limitarsi semplicemente a recensirne le cause socio-culturali, indulgendo a diagnosi sconsolate e pessimiste.
Al contrario, si intende ribadire che l’educazione è una questione di esperienza: è un’arte e non un insieme di tecniche e chiama in causa il soggetto, di cui va risvegliata la libertà.
È questo il punto centrale su cui far leva per riscoprire la funzione originaria della Chiesa, a cui spetta connaturalmente generare alla fede e alla vita, attraverso una relazione interpersonale che metta al centro la persona.
La libertà, peraltro, prende forma soltanto a contatto con la verità del proprio essere, quando cioè è sollecitata a prendere posizione rispetto alle grandi domande della vita e, in primo luogo, rispetto alla questione di Dio.
Di qui la centralità del rapporto tra libertà e verità, che non può essere eluso e che è variamente declinato, tanto nel rapporto tra libertà e autorità quanto in quello tra libertà e disciplina.
Esiste poi un altro binomio che va correttamente interpretato, cioè quello tra persona e comunità, il che indica che nel processo educativo intimità e prossimità devono crescere insieme.
Da queste considerazioni scaturiscono due conseguenze, largamente condivise dall’Assemblea: la prima individua nella Chiesa particolare e specificamente nella parrocchia il luogo naturale in cui avviare il processo educativo, senza peraltro sminuire il contributo originale delle aggregazioni ecclesiali; la seconda dà rilievo ai soggetti del processo educativo (sacerdoti, religiosi e religiose, laici qualificati e, naturalmente, la famiglia e la scuola), dal momento che figure di riferimento accessibili e credibili costituiscono gli interlocutori necessari di qualsiasi esperienza educativa.
In sintesi, si è convenuto sul fatto che la scelta del tema dell’educazione è necessaria, perché intercetta tutti i nodi culturali, raggiunge l’uomo in quanto tale e interagisce con la persona guardando a tutta la sua vita: vivere è educare.
3. La crisi economica e il “Prestito della speranza” Il richiamo del Cardinale Presidente a non sottovalutare la crisi occupazionale in corso “come si trattasse di alleggerire la nave di futile zavorra” (prolusione) ha avuto ampia risonanza nell’opinione pubblica.
Anche nel dibattito assembleare è stato sottolineato come il termine ‘esubero’ non tenga nel debito conto un tessuto sociale che va sfilacciandosi, a motivo delle disuguaglianze che aumentano invece di diminuire.
Nessuno ignora il pesante impatto della sfavorevole congiuntura economica internazionale, di cui non si riesce a cogliere ancora esattamente la portata, né si intende minimizzare l’impegno profuso da chi detiene l’autorità.
Resta però evidente che i costi del difficile momento presente ricadono in misura prevalente sulle fasce più deboli della popolazione.
Di qui l’esigenza di avviare una prossimità ancora più concreta al mondo del lavoro, non limitandosi a riproporre modelli del passato, ma come “segno di un’attenzione nuova verso la profonda relazione tra la fede e la vita” (prolusione).
Accanto a quest’indicazione di carattere pastorale, si è preso positivamente atto delle molteplici iniziative promosse nei mesi passati in tutta Italia dalle Diocesi e dalle Conferenze Episcopali Regionali per fronteggiare le difficoltà del mondo del lavoro.
In tale contesto, l’iniziativa della Conferenza Episcopale Italiana di costituire un fondo di garanzia per le famiglie numerose che abbiano perso l’unica fonte di reddito costituisce un ulteriore e corale seme di speranza.
A nessuno sfugge che la scelta del sostegno alla famiglia è indice di una visione precisa di società, in cui tale soggetto sociale è percepito e costituisce davvero il principale fattore di integrazione e di umanizzazione.
La colletta promossa a tale scopo il 31 maggio in tutte le chiese italiane ha avuto un indubbio valore pedagogico ed è stata indice di una spiccata sensibilità che non deve spegnersi.
4. L’immigrazione: ospitalità e legalità Sulla questione dell’immigrazione, che negli ultimi tempi ha suscitato ampi dibattiti, i Vescovi hanno concordato sul fatto che si tratta di un fenomeno assai complesso, che proprio per questo deve essere governato e non subìto.
È peraltro evidente che una risposta dettata dalle sole esigenze di ordine pubblico – che è comunque necessario garantire in un corretto rapporto tra diritti e doveri – risulta insufficiente, se non ci si interroga sulle cause profonde di un simile fenomeno.
Due azioni convergenti sembrano irrinunciabili.
La prima consiste nell’impedire che i figli di Paesi poveri siano costretti ad abbandonare la loro terra, a costo di pericoli gravissimi, pur di trovare una speranza di vita.
Tale problema esige di riprendere e incrementare le politiche di aiuto verso i Paesi maggiormente svantaggiati.
La seconda risposta sta nel favorire l’effettiva integrazione di quanti giungono dall’estero, evitando il formarsi di gruppi chiusi e preparando ‘patti di cittadinanza’ che definiscano i rapporti e trasformino questa drammatica emergenza in un’opportunità per tutti.
Ciò è possibile se si tiene conto della tradizionale disponibilità degli italiani – memori del loro passato di emigranti – ad accogliere l’altro e a integrarlo nel tessuto sociale.
Suonerebbe infatti retorico l’elogio di una società multietnica, multiculturale e multireligiosa, se non si accompagnasse con la cura di educare a questa nuova condizione, che non è più di omogeneità e che richiede obiettivamente una maturità culturale e spirituale.
In questa logica, è stato suggerito di dotarsi di un osservatorio nazionale specializzato per monitorare ed interpretare questo fenomeno, e si è chiesto alle parrocchie, all’interno del loro precipuo compito di evangelizzazione, di diventare luogo di integrazione sociale.
5. Il terremoto in Abruzzo: una prova di solidarietà Il tragico sisma che ha colpito vaste zone dell’Abruzzo ha suscitato una corale reazione di solidarietà che, come ha sottolineato Benedetto XVI, “è un sentimento altamente civico e cristiano e misura la maturità di una società”.
Grande apprezzamento è stato anche espresso per la compostezza e la fierezza con cui le popolazioni abruzzesi hanno affrontato l’immane sciagura, segno di una fede tenace e di un’identità radicata.
Molto resta da fare nel delicato passaggio dalla prima fase dell’emergenza al lento ritorno alla quotidianità.
Anche in questi momenti la Chiesa non vuole far venir meno la sua vicinanza non solo mettendo a frutto il generoso raccolto della colletta nazionale appositamente indetta nella domenica dopo Pasqua, ma anche favorendo iniziative di gemellaggio fra le Diocesi.
L’auspicio è che per il prossimo autunno tutte le famiglie abbiano una sistemazione adeguata e che le comunità possano disporre di locali decorosi per la socializzazione e l’esercizio del culto.
6. Decisioni e adempimenti di carattere giuridico-amministrativo I Vescovi, con due distinte delibere, hanno approvato l’attribuzione di un punteggio aggiuntivo per la remunerazione dei docenti e degli officiali a tempo pieno delle Facoltà teologiche e degli Istituti superiori di scienze religiose e hanno stabilito il criterio per determinare la quota della remunerazione che deve essere assicurata dalla parrocchie personali ai parroci e ai vicari parrocchiali che vi prestano servizio.
Dette delibere saranno pubblicate una volta ottenuta la prescritta autorizzazione da parte della Santa Sede.
È stato presentato e approvato il bilancio consuntivo della Conferenza Episcopale Italiana per l’anno 2008, sono stati approvati i criteri di ripartizione e assegnazione delle somme derivanti dall’otto per mille per l’anno 2009 ed è stato illustrato il bilancio consuntivo dell’Istituto centrale per il sostentamento del clero per l’anno 2008.
7. Comunicazioni e informazioni Nel corso dell’Assemblea è stato approvato il Documento comune per un indirizzo pastorale dei matrimoni tra cattolici e battisti in Italia, punto di arrivo di un cammino condiviso con l’Unione Cristiana Evangelica Battista d’Italia per favorire la preparazione e la vita nel matrimonio delle coppie miste, in una prospettiva ecumenica che valorizza la fede nell’unico Signore.
Come sempre, l’Assemblea ha posto attenzione all’approfondimento di alcuni ambiti particolari dell’agire ecclesiale.
È stato dato spazio in primo luogo all’attività di Caritas italiana nella Chiesa e nel Paese, evidenziando, fra le prospettive di lavoro, la cura del rapporto fra carità e cultura, l’attenzione a una pastorale integrata, la formazione alla spiritualità della carità, l’accompagnamento delle Caritas diocesane meno attrezzate, la presenza nel contesto europeo.
Per quanto riguarda l’ambito delle comunicazioni sociali, è stato focalizzato il passaggio alla televisione digitale terrestre, processo già avviato in alcune regioni e destinato a completarsi entro il 2012.
Si tratta di un’innovazione tecnologica che comporta significative ricadute anche sul piano della fruizione dello strumento, offrendo allo spettatore una più ampia gamma di scelta fra i canali e la possibilità di interagire con il mezzo televisivo.
Con l’avvento del digitale terrestre, l’emittente cattolica SAT2000 – che muterà il nome in TV2000 – entrerà nelle case di tutti gli italiani.
Ciò comporterà pure una rivisitazione del suo rapporto con le emittenti locali che ne ritrasmettevano il segnale e con le quali si intende mantenere e rinnovare il rapporto di reciproca collaborazione.
Circa l’impegno delle Chiese in rapporto all’Unione Europea, con particolare riguardo all’azione degli organismi internazionali a ciò deputati, è stata ribadita l’importanza di un’attenzione costante e attiva a sostegno della costruzione della “casa degli europei”, senza peraltro mortificare indebitamente le diverse identità nazionali.
Sono state fornite dettagliate informazioni intorno a due eventi ecclesiali futuri di grande importanza: la Settimana Sociale del Cattolici Italiani, che si terrà a Reggio Calabria dal 14 al 17 ottobre 2010, e il Congresso Eucaristico Nazionale, che si celebrerà ad Ancona dal 4 all’11 settembre 2011.
È stato offerto un primo ragguaglio sull’Anno sacerdotale indetto dal Papa a partire dal 19 giugno.
Sul tema, i Vescovi torneranno nel dettaglio nell’Assemblea straordinaria, che si terrà ad Assisi dal 9 al 12 novembre 2009.
Infine, è stata presentata e consegnata la Lettera ai cercatori di Dio, recentemente pubblicata a cura della Commissione Episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi.
Essa si propone come un sussidio offerto a chiunque voglia farne oggetto di lettura personale e come punto di partenza per dialoghi destinati al primo annuncio, all’interno di un itinerario che possa introdurre all’esperienza della vita cristiana nella Chiesa.
7. Nomine L’Assemblea Generale ha nominato S.E.
Mons.
Bruno Schettino, Arcivescovo di Capua, Presidente della Commissione Episcopale per le migrazioni.
Il Consiglio Episcopale Permanente, riunitosi mercoledì 27 maggio 2009, in concomitanza con i lavori dell’Assemblea Generale, ha provveduto alle seguenti nomine: – Presidente Nazionale Femminile della Federazione Universitaria Cattolica Italiana (FUCI): sig.na Sara Martini.
– Assistente Ecclesiastico Nazionale per la formazione dei capi dell’Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani AGESCI): don Giacomo Lombardi (Oria).
– Consulente Ecclesiastico Nazionale del Coordinamento Enti e Associazioni di volontariato penitenziario – SEAC: p.
Vittorio Trani, OFM Conv.
– Presidente Nazionale dell’Associazione Familiari del Clero: sig.ra Anna Cavazzuti.
– Assistente Ecclesiastico Nazionale dell’Associazione Familiari del Clero: don Irvano Maglia (Cremona).
La Presidenza della Conferenza Episcopale, riunitasi lunedì 25 maggio 2009, ha nominato S.E.
Mons.
Cosmo Francesco Ruppi, Amministratore apostolico di Lecce, membro della Commissione Episcopale per la cultura e le comunicazioni sociali.
Roma, 9 giugno 2009 COMUNICATO FINALE La 59a Assemblea Generale dei Vescovi italiani si è svolta nell’Aula del Sinodo in Vaticano dal 25 al 29 maggio 2009, con la partecipazione di 240 membri, 23 Vescovi emeriti, 24 rappresentanti di Conferenze Episcopali Europee, nonché del Nunzio Apostolico in Italia.
Tra gli invitati, docenti ed esperti sulle problematiche dell’educazione, in ragione del tema principale dei lavori: “La questione educativa: il compito urgente dell’educazione”.
Grande emozione ha suscitato l’incontro con il Santo Padre, che giovedì 28 maggio ha voluto essere presente in Assemblea, donando la sua preziosa e illuminata parola.
La speciale ricorrenza dell’Anno Paolino è stata celebrata solennemente mediante il pellegrinaggio alla Basilica di San Paolo fuori le Mura, culminata nella Concelebrazione eucaristica presieduta dal Cardinale Giovanni Battista Re, Prefetto della Congregazione per i Vescovi.
L’Assemblea ha individuato nell’educazione il tema degli Orientamenti pastorali per il prossimo decennio.
Nel corso dei lavori è stato approvato il Documento comune per un indirizzo pastorale dei matrimoni tra cattolici e battisti in Italia; si è deciso di attribuire un punteggio aggiuntivo per la remunerazione dei docenti e degli officiali a tempo pieno delle Facoltà teologiche e degli Istituti superiori di scienze religiose.
Come ogni anno, è stato presentato e approvato il bilancio consuntivo della Conferenza Episcopale Italiana, sono stati approvati i criteri di ripartizione e assegnazione delle somme derivanti dall’otto per mille per l’anno 2009 ed è stato illustrato il bilancio consuntivo dell’Istituto centrale per il sostentamento del clero.
Distinte comunicazioni hanno avuto per oggetto l’azione di Caritas italiana nella Chiesa e nel Paese, l’impatto del passaggio alla televisione digitale terrestre sulla rete delle emittenti cattoliche, l’Unione Europea e l’impegno delle Chiese, con particolare riferimento all’azione del CCEE e della COMECE, la 46a Settimana Sociale dei Cattolici Italiani, in programma a Reggio Calabria dal 14 al 17 ottobre 2010, e il 25° Congresso Eucaristico Nazionale, che si terrà ad Ancona dal 4 all’11 settembre 2011.
Sono state date puntuali informazioni intorno alla Giornata per la Carità del Papa, che si terrà il 28 giugno prossimo, e all’indizione dell’Anno sacerdotale, che prenderà il via il 19 giugno.
Infine, è stata presentata e consegnata la Lettera ai cercatori di Dio, recentemente pubblicata dalla Commissione Episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi.
«Offrire testimoni a chi cerca Dio»
Intervista a Mons.
Bruno Forte Chi sono oggi i “cercatori di Dio”? Tutti coloro che hanno nel cuore la domanda della felicità, perché la felicità nell’attesa più profonda del cuore umano non può essere che un amore assoluto, un amore senza riserve, che ci avvolga totalmente: chi crede riconosce tutto questo in Dio.
Ecco perché nella definizione di “cercatori di Dio” non si comprendono soltanto quelli che cercano Dio non conoscendolo, ma anche i credenti, che anche nell’esperienza della fede restano assetati di felicità, di amore assoluto.
Proprio per questo quella formula accomuna tutti, perfino gli indifferenti, quelli che sembrano distratti, lontani, e che però non possono non sentire nel cuore il desiderio di una vita piena, ricca di felicità.
Così questa Lettera si rivolge veramente a tutti, agli uni come corrispondenza a una domanda del cuore, alla nostalgia di Dio, nostalgia di bellezza che è in noi; agli altri, “non cercatori apparenti”, con la speranza di suscitare domande, attese, desiderio.
Oggi sappiamo che c’è una grande richiesta di “religioso”, è quasi diventato anche questo un fenomeno consumistico con una molteplicità di “offerta”.
Rispetto a questo fenomeno, come si colloca la Lettera? Il cosiddetto “ritorno di Dio” in realtà è un fenomeno complesso.
Da una parte c’è certamente la domanda vera e profonda di quanti sono pensosi e alla ricerca di un senso ultimo della vita e della storia, capace di dare colore alla fatica dei giorni; sono quei cercatori di speranza, di cui parla per esempio la Spe salvi di Benedetto XVI, alludendo al bisogno di speranza che c’è in tutti noi.
C’è però anche una forma di questo “ritorno di Dio”, che è una sorta di ricerca di sicurezza, di consolazione a buon mercato.
Evidentemente la Lettera, proprio in quanto parte dalle domande vere, inquieta questo tipo di possibili destinatari, nel senso che li stimola a non accontentarsi di certezze facili, di consolazioni di comodo.
In questo senso vorrebbe al tempo stesso essere una proposta di riflessione ai pensanti e una sorta di sfida e di provocazione a quelli che fuggono la fatica del pensiero e della ricerca.
Proprio così essa ha bisogno di essere mediata da testimoni, proposta come strumento di un primo annuncio a quelli che sono in ricerca pensosa, non negligente, ma anche in modo diverso a quelli che bisogna svegliare alla ricerca e dunque all’apertura del cuore al possibile incontro con Dio.
In che modo questa Lettera si propone come strumento anche per la comunità? In due sensi.
Il primo in quanto tutti siamo destinatari di una riflessione data dalle domande che ci accomunano tutti, felicità e sofferenza, amore e fallimenti, lavoro, festa, giustizia e pace, la stessa sfida di Dio, sono interrogativi rispetto ai quali nessuno di noi può sentirsi estraneo o lontano.
Nello stesso tempo però, nel rivolgersi alla comunità cristiana, la Lettera interpella anche gli operatori pastorali, quelli che in modo speciale si consacrano all’annuncio del Vangelo di Gesù, perché nelle loro mani essa diventa un ponte di dialogo e di amicizia possibile con tutti i cercatori di Dio, e anche una via per accendere o stimolare domande in quelli che sembrano invece fuggirle, sempre all’insegna del rispetto e dell’amicizia per tutti.
Così, questo testo vorrebbe anche esprimere il volto di una Chiesa amica, vicina alla complessità della nostra condizione umana, nei suoi risvolti più alti, inquieti, pensosi, ma anche in quelli umili e quotidiani, a volte negligenti e stanchi come spesso ci capita d’incontrare nell’esperienza umana.
Con tutto ciò, come inquadrebbe questo documento? Questa Lettera si rivela come qualcosa di nuovo.
In effetti noi abbiamo tante forme di proposta catechistica, ma forse mancava uno strumento per il primo annuncio come questo.
Uno strumento, cioè, che non voglia dire tutto del cristianesimo, ma si concentri sul messaggio centrale e sulle vie concrete per farne esperienza – la preghiera la Parola di Dio, i sacramenti, l’amore, il desiderio della vita eterna e della bellezza divina – partendo dalle domande del cuore umano e della società in cui ci troviamo.
In questo senso l’auspicio dei vescovi è di aver offerto alla Chiesa in Italia uno strumento che possa aiutare i cercatori di Dio a fare un passo avanti nell’esperienza del suo volto, e quanti non lo ricercano a svegliarsi, a essere in qualche modo stimolati a questa ricerca su cui si gioca la verità e la bellezza della vita.
Un pensatore ebreo molti anni fa mi diceva: “Vivere è cercare Dio, vivere veramente è trovare Dio”.
La Lettera vorrebbe essere uno strumento per aiutarci a vivere e a vivere veramente.
Salvatore Mazza A tutti coloro «che hanno nel cuore la domanda della felicità».
E dunque, in fondo, a tutti.
A chi cerca Dio non conoscendolo, e a chi crede in lui.
Sono questi i destinatari della Lettera ai cercatori di Dio che la Commissione episcopale per la Dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi diffonde oggi, e che pubblichiamo integralmente come inserto del giornale.
«Una proposta di riflessione ai pensanti – spiega in questa intervista monsignor Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto e presidente della Commissione Cei che ha redatto la Lettera – e una sorta di sfida e di provocazione a quelli che fuggono la fatica del pensiero e della ricerca».
Uno strumento che si propone «come qualcosa di nuovo», perché «in effetti – osserva Forte – noi abbiamo tante forme di proposta catechistica, ma forse mancava uno strumento per il primo annuncio come questo».
La rivoluzione Gelmini del sistema di istruzione
L’approvazione dello schema di regolamento per la riforma dei licei consegna al sistema nazionale di istruzione sei licei, riordinati completamente nei piani di studio, negli orari e nella struttura.
I licei nuovi in assoluto sono il musicale-coreutico e il linguistico.
Nei commenti delle prime ore è stato ritenuto nuovo liceo quello delle scienze umane, ma non è proprio così, perché l’ex-liceo socio pedagogico cambia nome, come l’aveva già cambiato in va sperimentale quando era istituto magistrale.
La vera novità nel sistema statale è il linguistico, assente completamente dall’attuale “vecchio” ordinamento.
Il linguistico aveva fatto la sua apparizione per la prima volta nell’ambito di istituti non statali e aveva poi trovato accoglienza in istituti statali soltanto in via sperimentale, ad esempio, all’interno degli ex-istituti magistrali che, dopo la loro cessazione nel 2001 si erano ristrutturati in diversi rami sperimentali (liceo socio-pedagogico, scienze sociali, linguistico, ecc.).
Dal 2010-11, all’avvio della riforma della secondaria superiore, avranno finalmente piena legittimazione ordinamentale con significativa presenza anche nelle scuole statali.
Per il musicale-coreutico, invece, sarà il 2010 l’anno zero con un avvio graduale che interesserà un sessantina di istituti in tutta Italia.
Tutto da scoprire.
tuttoscuola.com Gelmini: ”Quella dei licei è riforma epocale” Primi commenti all’insegna della soddisfazione da parte del ministro dell’Istruzione Mariastella, circa la riforma dei licei approvata oggi dal Consiglio dei ministri.
Per il titolare dell’Istruzione si tratta di “una riforma epocale”: non se ne faceva una dal “1923, eravamo fermi a Gentile”.
Nella consueta conferenza stampa successiva alla riunione a Palazzo Chigi, il ministro ha chiarito che la riforma partirà dal 2010, “per dare alle scuole il tempo di adeguarsi alle novità’ e per avviare un dialogo con le famiglie e un periodo di 5-6 mesi di orientamento che consenta a genitori e ragazzi di fare scelte consapevoli”.
La Gelmini ha anche chiarito come “la ratio del regolamento sta nel tentativo di coniugare la tradizione con l’innovazione privilegiando la qualità” per avere “una scuola che guardi al futuro, recuperando al meglio la tradizione ma senza essere autoreferenziale e comunque legata al mondo del lavoro”.
Il ministro ha infine ricordato che questa “è solo un’approvazione in prima lettura.
Seguirà una concertazione e una seconda lettura”.
Aprea e Meloni: scuola più moderna, rispettando la tradizione “Il Ministro Gelmini con l’approvazione della riforma dei licei dà il via alle innovazioni più significative emerse dal dibattito politico istituzionale degli ultimi anni, attraverso un calendario certo di attuazione”.
E’ la valutazione del presidente della Commissione Cultura della Camera, Valentina Aprea (Pdl), a cui giudizio “le scuole avranno così la possibilità di inaugurare una nuova stagione di opportunità di studio e di formazione degli studenti potendo contare su piani di studio più moderni ed europei, valorizzando le sperimentazioni più riuscite in questi anni, ma senza perdere di vista la tradizione.
Su questo punto insiste anche il ministro della gioventù, Giorgia Meloni, a cui parere la riforma Gelmini “consegna alla storia il 1968, poiché incrocia la grande tradizione scolastica italiana con gli strumenti didattici e gli obiettivi che definiscono la modernità.
Affronta la sfida educativa della nostra epoca senza accantonare quanto di buono è stato fatto negli anni precedenti, ma facendo giustizia delle molte aberrazioni che hanno affossato la scuola in Italia”.
Tra le aberrazioni la Meloni colloca le “innumerevoli sperimentazioni, figlie della cultura sessantottina, introdotte all’interno del sistema educativo a discapito di nozioni basilari per la crescita culturale e civile degli studenti italiani”.
Per il Pd, la riforma dei licei è ritorno al passato, a ”insegnamento classista” Tra le prime reazioni critiche alla riforma dei licei, giunge quello della responsabile Scuola del Partito Democratico senatrice Mariangela Bastico, che ironizza sulla “epocalità” vantata dal ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini per il provvedimento approvato stamattina in prima lettura dal Consiglio dei Ministri.
“La ‘riforma’ Gelmini per i licei – spiega la Bastico – non è altro che un ritorno al passato e ad un’idea che credevamo superata, quella dell’insegnamento classista voluto da Gentile nel 1923 e basato solo sugli apprendimenti teorici”.
La senatrice del Pd articola il proprio giudizio, trovando “condivisibile la riduzione, per i licei come per gli istituti tecnici e professionali, della frammentazione degli indirizzi e delle specializzazioni.
Ma – continua la parlamentare – è profondamente sbagliato che questo determini la cancellazione delle buone sperimentazioni e delle innovazioni che sono state realizzate in questi anni nelle scuole e che al contrario avrebbero dovuto costituire il fondamento della riforma”.
E quindi domanda: “Ma il ministro Gelmini ha idea di quante elaborazioni e quanto lavoro di ricerca e di applicazione ci sia in queste esperienze? Come può il ministro cestinarle con tanta indifferenza?” Per la Bastico, le scelte operate dalla Gelmini sono nel segno del classismo, con la valorizzazione, come unica vera scuola di qualità, di quella liceale, a discapito de gli istituti superiori, e del risparmio a tutti i costi: “Per risparmiare, le nuove norme si applicheranno nelle prime e seconde classi, così gli studenti che salgono sul treno dell’istruzione liceale quest’anno ne dovranno scendere il prossimo, un fatto assolutamente scorretto e che infrange il patto educativo tra scuola, studenti e famiglie”.
La possibile subalternità dell’istruzione tecnica si ritrova nell’ambiguità del rapporto di questa con il liceo tecnologico.
Su tutti questi punti, l’ex viceministro del governo Prodi promette il Partito Democratico sarà in prima fila nel dibattito parlamentare e nel Paese.
Per i sindacati della scuola Scrima (Cisl): la riforma dà più certezze I sindacati confederali della scuola danno giudizi diversi sulla riforma dei licei presentata dal ministro Gelmini.
Nettamente negativo quello della Flc-Cgil, articolato quella della Uil scuola, come abbiamo già riferito, complessivamente positivo invece quello della Cisl scuola.
Per il segretario di quest’ultimo sindacato, Francesco Scrima,”la filiera liceale era quella che richiedeva interventi meno incisivi rispetto ai tecnici e professionali: è stato però fatto un lavoro di chiarezza e, nello stesso tempo, sono state elevate ad ordinamento le diverse sperimentazioni in atto”.
Le vere novità, prosegue Scrima, “sono i due licei Musicale-coreutico e delle Scienze umane ed il mantenimento del tecnologico tramite l’opzione.
Il riordino che c’è stato in questo senso fa un po’ di chiarezza e dà più certezze”.
Per la Cisl quindi “il giudizio è sufficentemente positivo, fermo restando che non condividiamo il fatto che si parta in prima e seconda: i processi devono essere graduali, bisogna partire dalla prima, altrimenti il buon lavoro fatto rischia di essere disperso”.
Su quest’ultimo punto i tre sindacati confederali hanno la stessa posizione.
Non sarà facile, per il ministro Gelmini, tener duro su una decisione – quella di applicare la riforma anche nelle classi successive alla prima – che non ha precedenti nella scuola italiana.
Flc Cgil e Uil Scuola: ”Almeno la riforma dei licei parta dalle sole classi prime” Sono queste le preoccupazioni maggiormente riprese da due dei principali sindacati della scuola, Flc Cgil e Uil scuola, che ipotizzano il rischio “caos” connesso all’idea di far partire la riforma nel 2010 sia per la prima che per la seconda classe.
Le due organizzazioni fanno gli esempi di chi si iscrive quest’anno all’istituto d’arte, e in seconda, l’anno prossimo, dovrà sostanzialmente cambiare scuola, dato che l’istituto confluirà nel liceo artistico, e di coloro che si iscrivono in percorsi sperimentali molti dei quali saranno cancellati per confluire nei sei indirizzi decisi dal Ministero.
Mimmo Pantaleo, segretario della Flc Cgil, spiega che “far partire la riforma in prima e in seconda significa costringere gli alunni di prima del 2009 a cambiare indirizzo e percorso di studi nel 2010; questo perché cambieranno molti indirizzi, percorsi e materie con la riforma”.
Anche Massimo di Menna, segretario generale della Uil Scuola invita il ministro Mariastella Gelmini a ripensarci: “L’unico motivo di questa operazione é di carattere economico: la riforma riduce materie, indirizzi e organico.
Ma per i ragazzi sarà il caos.
Ormai quasi tutti scelgono le sperimentazioni, chi parte quest’anno con un programma rischia di vederselo cambiato l’anno dopo.
Va bene la razionalizzazione delle sperimentazioni, ma é meglio partire solo con le prime”.
tuttoscuola.com Oltre al provvedimento sulla riforma dei licei e sulle classi di concorso degli insegnanti, è stato approvato anche un terzo provvedimento, relativo alla riorganizzazione dei centri territoriali permanenti e dei corsi serali.
Si tratta di uno schema di regolamento, finalizzato ad ottimizzare le risorse disponibili, ad assicurare una maggiore qualità del servizio per innalzare i livelli di istruzione della popolazione adulta, potenziarne le competenze, favorire l’inclusione sociale, anche degli immigrati, e contribuire al recupero della dispersione scolastica dei giovani con più di 16 anni che non hanno assolto l’obbligo di istruzione.
tuttoscuola.com Assieme al provvedimento sulla riforma dei licei il Consiglio dei ministri ha approvato anche il regolamento che rivede le classi di concorso degli insegnanti.
Il provvedimento non era all’ordine del giorno, ma fonti ministeriali spiegano che è stato portato fuori sacco al Consiglio di oggi perché la prossima settimana non ci sarà il Cdm.
“Un regolamento – ha spiegato il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini – improntato a criteri di flessibilità e che consentirà anche un risparmio”.
L’amministrazione scolastica aveva già da tempo previsto di razionalizzare le classi di concorso, e il provvedimento si è reso urgente perché direttamente collegato alla riforma del sistema scolastico che la Gelmini sta mettendo in atto, soprattutto alla riforma dei licei dove si passa da 400 sperimentazioni a 6 indirizzi.
Per effetto del provvedimento, alcune classi di concorso saranno soppresse, e altre accorpate.
Le fusioni riguarderanno soprattutto le discipline del settore artistico vista la confluenza degli istituti d’arte, con la riforma, nei licei artistici.
Verranno anche istituite nuove classi di concorso come quella di storia della danza o di laboratorio musicale, connesse alla nascita del liceo musicale e coreutico.
tuttoscuola.com Il governo approva la riforma dei licei Due new entry e latino obbligatorio Oltre a classico, scientifico, artistico e linguistico, ci saranno il liceo musicale e quello delle scienze umane Via libera alla riforma dei licei.
Il consiglio dei ministri ha approvato, in prima lettura, il riordino di questo ramo della scuola secondaria superiore.
Da 400 indirizzi si passa a 6 licei con 10 opzioni per gli studenti.
Due le new entry: il liceo musicale e coreutico e il liceo delle scienze umane.
Il latino sarò presente come insegnamento obbligatorio nel liceo classico, scientifico, linguistico e delle scienze umane.
Il nuovo modello partirà gradualmente, coinvolgendo dall’anno scolastico 2010-2011 le prime e le seconde classi; entrerà a regime nel 2013.
Soddisfatta Mariastella Gelmini, ministro dell’Istruzione: il tentativo ha spiegato, è quello di «coniugare la tradizione con l’innovazione privilegiando la qualità».
«È una riforma epocale – ha aggiunto la Gelmini – che modifica un impianto che risale alla legge Gentile del ’23» SEI LICEI – La riforma spazza via gli attuali 396 indirizzi sperimentali, i 51 progetti assistiti dal ministero e le tantissime sperimentazioni attivate e propone sei licei: il liceo artistico, articolato in tre indirizzi (arti figurative, architettura-design-ambiente, audiovisivo-multimedia-scenografia); il liceo classico (sarà introdotto l’insegnamento di una lingua straniera per l’intero quinquennio); il liceo scientifico (oltre al normale indirizzo le scuole potranno attivare l’opzione scientifico-tecnologica, dove salta il latino); il liceo linguistico (tre lingue straniere, dalla terza liceo un insegnamento non linguistico sarà impartito in lingua straniera e dalla quarta liceo un secondo insegnamento sarà impartito in lingua straniera); il liceo musicale e coreutico, articolato appunto nelle due sezioni musicale e coreutica (inizialmente saranno istituite 40 sezioni musicali e 10 coreutiche); infine, il liceo delle scienze umane che sostituisce il liceo sociopsicopedagogico portando a regime le sperimentazioni avviate negli anni scorsi (le scuole potranno attivare un’opzione sezione economico-sociale, dove non è previsto lo studio del latino).
IL LATINO – Il latino è presente come insegnamento obbligatorio nel liceo classico, scientifico, linguistico e delle scienze umane e come opzione negli altri licei.
È previsto un incremento orario della matematica, della fisica e delle scienze «per irrobustire – spiega il ministero – la componente scientifica nella preparazione liceale» degli studenti (gli insegnamenti di fisica e scienze possono essere attivati dalle istituzioni scolastiche anche nel biennio del liceo classico).
C’è un potenziamento delle lingue straniere con la presenza obbligatoria dell’insegnamento di una lingua straniera nei cinque anni ed eventualmente di una seconda lingua straniera usando la quota di autonomia.
Le discipline giuridiche ed economiche si studieranno sia nel liceo scientifico (opzione tecnologica), sia nel liceo delle scienze sociali (opzione economico-sociale) mentre negli altri licei potranno essere introdotte attraverso la quota di autonomia.
Infine, «per essere al passo con l’Europa», è previsto l’insegnamento, nel quinto anno, di una disciplina non linguistica in lingua straniera.
Tutti i licei prevedranno 27 ore settimanali nel primo biennio e 30 nel secondo biennio e nel 5ø anno, ad eccezione del classico (31 ore negli ultimi tre anni), dell’artistico (massimo 35), musicale e coreutico (32).
Corriere della sera 12 giugno 200 La Gelmini ridisegna i licei Meno ore e meno indirizzi Per poter tagliare il numero dei professori le sperimentazioni verranno ridimensionate.
Al biennio solo 27 ore settimanali, alle medie se ne fanno 30 di Salvo Intravaia Ecco i nuovi licei.
Questa mattina il Consiglio dei ministri ha approvato, in prima lettura, il Regolamento che ridisegna “l’assetto ordinamentale, organizzativo e didattico dei licei”.
Meno ore di lezione per buona parte degli studenti, meno indirizzi e qualche novità all’orizzonte.
Ma quella più interessante riguarda senz’altro l’entrata in vigore della riforma che partirà dal 2010/2011con le prime e le seconde classi.
E varrà quindi anche per coloro che hanno scelto quest’anno come proseguire gli studi dopo la secondaria di primo grado.
In sostanza, i 500 mila ragazzini che si accingono quest’anno a sostenere gli esami di terza media frequenteranno a settembre il primo anno della scuola superiore secondo il vecchio sistema (licei e relative sperimentazioni, ma anche istituti tecnici e professionali vecchio stile) per ritrovarsi l’anno successivo con orari, materie e organizzazione nuovi.
I nuovi licei saranno sei: classico, scientifico, delle scienze umane, artistico, linguistico, musicale e coreutico.
Gli ultimi due rappresentano per la scuola statale delle autentiche new entry.
Saranno tre gli indirizzi per il liceo artistico, due le opzioni per il liceo scientifico e per il liceo delle scienze umane.
In tutto tra, indirizzi e opzioni, i ragazzini della terza media potranno scegliere tra 10 differenti “strade”.
Tutte le sperimentazioni del liceo classico e scientifico (oltre 400 tra sperimentazioni e progetti assistiti) subiranno un calo di ore, a volte drastico.
Un effetto che colpirà la maggior parte degli studenti, visto che i corsi sperimentali oggi sono i più gettonati.
Per avere un’idea del calo dell’offerta formativa basta spendere qualche cifra.
Del resto, che si tratti di un provvedimento volto al taglio di un consistente numero di cattedre non è un segreto.
I nuovi licei sono ispirati “a una maggiore razionalizzazione dell’utilizzo delle risorse umane e strumentali disponibili, tali da conferire efficacia ed efficienza al sistema scolastico”, recita l’articolo 1 del provvedimento.
Oggi, il 70 per cento dei ragazzi iscritti al liceo classico e il 60 per cento di quelli in forza allo scientifico seguono un corso sperimentale.
La sperimentazione più seguita al classico è quella in Lingua straniera che da 4.983 ore di studio nei cinque anni passerà a 4.851.
Stesso discorso per il Piano nazionale informatica (ad indirizzo matematico) dallo scientifico: 5.049 ore contro le 4.752 della riforma Gelmini.
Per contro i corsi di ordinamento, frequentati da una minoranza di studenti, vedranno incrementate le ore di lezione.
Tutti i licei, eccetto l’artistico e il musicale, prevedono 27 ore settimanali al biennio.
Meno, cioè, che in terza media, dove si studia per 30 ore settimanali.
Al triennio le ore aumentano: 30 allo scientifico, al liceo delle scienze umane e al linguistico, 31 al classico.
Meno Latino, rispetto ai corsi di ordinamento, e più Matematica allo scientifico che perde anche alcune ora di Lingua straniera.
Più Matematica e Lingua straniera al classico.
Le scuole potranno modificare il piano di studi ministeriale, ritagliando al massimo il 20 per cento del monte ore annuo al biennio e all’ultimo anno e per il 30 per cento nel secondo biennio.
Ma nessuna disciplina potrà subire un taglio di ore superiore al 30 per cento.
Inoltre, le scuole potranno attivare insegnamenti opzionali ma soltanto nei limiti di organico assegnato dal ministero.
Insomma: autonomia sì ma nei limiti delle risorse disponibili.
Tra gli insegnamenti opzionali figurano Diritto ed economia, Informatica, Storia dell’arte, Latino, Greco, Musica e Legislazione sociale, Psicologia, Pedagogia.
All’ultimo anno è anche previsto l’insegnamento di una disciplina in lingua straniera.
Novità in vista anche per gli organismi che governano la scuola.
Il collegio dei docenti potrà essere articolato in Dipartimenti alla progettazione formativa.
Gli istituti costituiranno un Comitato tecnico-scientifico in cui saranno presenti esperti esterni del mondo del lavoro, delle professioni, della ricerca e dell’università.
Repubblica (12 giugno 2009) Un anno fa, quando con le prime dichiarazioni il neo-ministro Gelmini lasciava intendere che il suo sarebbe stato un incarico di messa a punto dell’esistente, quasi in continuità con il metodo “cacciavite” del suo predecessore per l’assestamento del sistema, nulla faceva certamente presagire che vi sarebbe stata invece quasi una rivoluzione del sistema di istruzione.
Si tratta di un cambiamento sostanziale che si può sintetizzare in un numero: nove.
Nove sono infatti i regolamenti di riordino del sistema che il Consiglio dei Ministri, con quelli di ieri, ha messo in cantiere su proposta del ministro Gelmini in qeusti mesi.
Due regolamenti, approvati in via definitiva e firmati dal Capo dello Stato, sono al vaglio della Corte dei Conti per la registrazione finale e la successiva pubblicazione in Gazzetta ufficiale: sono quello del riordino del primo ciclo e l’altro della rete scolastica.
Due altri regolamenti sono stati approvati definitivamente dal Consiglio dei ministri e attendono la firma del Capo dello Stato, la registrazione della Corte dei Conti e la pubblicazione in Gazzetta: sono il regolamento sulla valutazione degli alunni e quello sugli organici del personale Ata.
Altri due regolamenti,varati due settimane fa, (istruzione tecnica e istruzione professionale) sono stati approvati soltanto in prima lettura dal Consiglio dei ministri e devono percorrere l’intera procedura consultiva che richiederà diversi mesi.
Analogamente, i tre schemi di regolamento approvati ieri (nuovi licei, revisione delle classi di concorso ed istruzione degli adulti) cominciano ora il loro non breve percorso consultivo.
Nessuno regolamento, come si vede, ha concluso l’intera procedura di approvazione con la definitiva entrata in vigore, ma tutti sono stati approvati entro i dodici mesi di tempo richiesti dall’articolo 64 decreto legge 112 del 25 giugno 2008.
tuttoscuola.com
la riforma dei licei
Dopo il varo dei due regolamenti sull’istruzione tecnica e professionale, approvati in prima lettura dal Consiglio dei Ministri a fine maggio, è oggi la volta del regolamento dei licei, che completa il progetto di riforma della scuola secondaria superiore.
Prima dell’approvazione finale saranno necessari i pareri della Conferenza unificata, delle Commissioni parlamentari e del Consiglio di Stato.
Dopo il ritorno al Consiglio dei ministri per l’ok definitivo, occorreranno ancora la firma del Capo dello Stato, la registrazione alla Corte dei Conti e, infine, la pubblicazione in Gazzetta ufficiale, attesa per l’inizio dell’autunno.
Se i tempi saranno rispettati, gli ultimi mesi dell’anno serviranno per informare le famiglie in vita delle iscrizioni scolastiche per il 2010-2011.
L’avvio della riforma, salvo imprevisti, è per il 1° settembre 2010.
I licei saranno sei e faranno piazza pulita di quasi 500 indirizzi e sperimentazioni attualmente esistenti.
Le ultime bozze del provvedimento prevedono 27 ore settimanali per il biennio iniziale e 31 (in media) per il triennio successivo.
Tra le novità dell’ultima ora il liceo scientifico ad indirizzo tecnologico, senza il latino, come opzione del liceo scientifico ordinario, e il liceo economico-sociale, sempre senza il latino, come opzione del liceo delle scienze umane.
——————————————————————————– tuttoscuola.com
La scuola digitale del futuro
Il ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Mariastella Gelmini è intervenuto questa mattina al Symposium Internazionale “Global ICT in Education Networks“, in occasione del quale è stato presentato il Piano d’intervento “La scuola digitale” per la diffusione dell’innovazione nella scuola.
Il progetto è coordinato dal Miur e dall’Agenzia per lo Sviluppo dell’Autonomia Scolastica (ex Indire).
La Scuola digitale è l’ultimo di una serie di importanti provvedimenti messi in campo dal Ministero per diffondere le tecnologie digitali in classe, innovando la scuola dall’interno.
Il Piano d’intervento si articola in due fasi.
La prima, proposta a gennaio 2009 e già operativa, prevede l’introduzione delle “Lavagne interattive multimediali (LIM)”, la seconda denominata cl@ssi 2.0 ha come obiettivo l’utilizzo delle ICT nelle scuole primarie e secondarie di I grado.
Per quello che riguarda le lavagne, questi sono i numeri forniti dal Ministero: a partire dal prossimo anno scolastico (2009-2010) saranno installate 16.000 LIM in altrettante classi della scuola secondaria di I grado.
Inoltre 50.000 insegnanti saranno coinvolti in percorsi di formazione che interesseranno oltre 350.000 studenti.
Nell’anno scolastico 2010-2011 il piano si estenderà alla scuola secondaria di II grado e alla scuola primaria dove saranno distribuite 8.000 LIM e coinvolti circa 25.000 insegnanti.
Il programma di digitalizzazione delle attività scolastiche ha per perni, nelle intenzioni del Ministero, la gestione on line delle supplenze, con la possibilità di chiamare i sostituti con Internet, risparmiando tempo e denaro per telegrammi, e l’estensione delle esperienze già in corso in diverse scuole per il dialogo scuola-famiglia: i genitori verranno informati sulle assenze dei propri figli attraverso sms, le pagelle saranno consultabili online e nelle Scuole Secondarie di II grado sarà avviata la gestione automatica delle presenze-assenze.
L’innovazione interesserà dunque la gestione amministrativa della scuola, ma anche quella didattica.
Al riguardo il ministro ha ricordato come oggi non si impari più soltanto a scuola: “Grazie alla rete, infatti, l’ambiente di apprendimento è diventato molto più ampio di un tempo e comprende luoghi e compagni reali ma anche spazi e compagni virtuali”.
L’inquilino di viale Trastevere ha riconosciuto che “le giovani generazioni utilizzano quotidianamente le nuove tecnologie per comunicare, giocare, socializzare, conoscere il mondo e apprendere.
Per questo bisogna insegnare loro a utilizzare internet con senso critico e con attenzione”.
Campus Art Voice Academy
ART VOICE ACADEMY APRE LE PORTE! Sette giorni full immersion di Campus, tra lezioni aperte, conferenze, performances e spettacoli, per conoscere le attività della scuola e scoprire le proprie attitudini.
Ad aprire il programma, ospite speciale, RON: dalla passione alla professione, il cantautore si racconta ai giovani.
Padova, 26 maggio 2009 – Un’intera settimana per avvicinarsi alle discipline del canto, della musica e della recitazione, scoprire le proprie attitudini e potenzialità, conoscere docenti e modalità didattiche, attività e corsi dell’Art Voice Academy di Riese Pio X, in provincia di Treviso.
Da lunedì 29 giugno a domenica 5 luglio, un vero e proprio Campus in cui l’Accademia apre le proprie porte e accoglie chi voglia visitarne gli spazi e partecipare alle numerose iniziative proposte dal ricco calendario: dibattiti, lezioni aperte, seminari, conferenze tematiche tenute dagli insegnanti della scuola e da esperti dei singoli ambiti artistici.
Un’opportunità da non perdere per valutare i diversi percorsi formativi del centro e, allo stesso tempo, scoprire come una passione e un sogno possano trasformarsi in realtà, facendo leva sui propri talenti ma anche imparando a coltivarli con impegno e serietà.
Centro di alta formazione dello spettacolo divenuto oggi un punto di riferimento in Veneto e non solo, Art Voice Academy cura il perfezionamento e la preparazione di cantanti e performers già affermati e di quanti intendano intraprendere la carriera musicale e artistica.
Nata dall’associazione Voce Arte e Comunicazione (fondata dal maestro Diego Basso), la scuola vuole promuovere e diffondere la cultura della musica e sostenere i giovani o futuri artisti non soltanto garantendo loro una formazione di alto livello – grazie alla comprovata professionalità di tutti i docenti e all’articolata e completa proposta didattica – ma anche accompagnandoli concretamente nel loro inserimento nel mondo del lavoro: un mondo spesso difficile da avvicinare e da affrontare, ancora prima da comprendere e decifrare.
Lo stretto contatto con il settore dello spettacolo è senza dubbio uno dei punti di forza della scuola, come dimostrano le numerose esibizioni e le partecipazioni a prestigiose rassegne musicali di Le Voci dell’Accademia e Academy Voice, le due formazioni composte dagli allievi più preparati e meritevoli, nonché le collaborazioni con grandi artisti del panorama musicale nazionale.
Proprio con l’obiettivo di offrire un’importante occasione di orientamento il Campus è a ingresso libero e si rivolge in particolare ai ragazzi e ai giovani, con possibilità di alloggio presso strutture convenzionate.
Dalla respirazione nel canto alla tecnica vocale, dall’analisi della partitura all’interpretazione di un brano, e ancora l’improvvisazione e la sperimentazione vocale, ma anche l’uso del microfono, il mondo della radio e della discografia, la verità della scena e la costruzione di uno spettacolo,…
: sono solo alcuni dei temi affrontati nei seminari di canto, musica e teatro condotti dai docenti dell’Accademia e da esperti del settore che si svolgeranno tutti presso villa Benzi a Caerano di San Marco (Treviso), sede staccata dell’Accademia.
Ad aprire la settimana di full immersion incontrando i partecipanti sarà niente meno che RON, che racconterà la propria esperienza artistica e umana: la testimonianza personale di uno dei più grandi cantautori italiani, che ha saputo gestire con grande serietà e dedizione il proprio percorso professionale, nonostante la notorietà arrivata a lui in età molto giovane.
Tra gli altri artisti ospiti, giovedì 2 luglio, anche le cantanti Delia Gualtiero e la figlia Chiara Canzian (partecipante a Sanremo Giovani 09) in un incontro sul tema delle “generazioni a confronto”.
Ma il programma della settimana vede anche performances e spettacoli serali aperti a un pubblico più ampio (alcuni presso il teatro arena di villa Eger a Riese Pio X) , per sottolineare l’apertura della scuola al territorio e la sua missione di promozione della cultura musicale e artistica.
A breve il calendario dettagliato e aggiornato sul sito www.vocearteecomunicazione.it.
Per informazioni e iscrizione al Campus: associazione Voce Arte e Comunicazione cell.
392/1011180 Email accademia@vocearteecomunicazione.it.
Entro il 25 giugno 2009, fino ad esaurimento posti.
SS.Corpo e Sangue di Cristo anno B
«Amen» Celebrando l’eucaristia, la comunità ecclesiale partecipa al gesto di autoconsegna e di compassione di Gesù, lo rivive in sé e accetta di lasciarsi plasmare da esso, impegnandosi a trasformare i rapporti tra gli uomini in rapporti di consegna e di compassione.
L’eucaristia porta in sé la forza di cambiare in ciò che essa è coloro che la celebrano e mangiano di quell’unico pane e bevono di quel calice.
Una prospettiva che trova il suo fondamento nell’atto stesso di istituzione dell’eucaristia ed appare tipica della patristica e della grande tradizione teologica.
Basta ricordare, per tutti, uno straordinario testo di Ago-stino rivolto ai battezzati che, per la prima volta, si accostavano alla mensa eucaristica: alla mensa eucaristica: «Se voi siete il corpo e le membra di Cristo, il vostro mistero è deposto sulla tavola del Signore: voi ricevete il vostro proprio mistero! Voi rispondete “Amen” a ciò che voi siete, e con la vostra risposta sottoscrivete.
Sentite dire: “Corpus Christi, il Corpo di Cristo” e rispondete: “Amen”! Siate dunque membra del corpo di Cristo, affinché il vostro “Amen” sia vero».
(S.
AGOSTINO, Sermo 272, in PL 38, 1247).
Il nascondimento di Dio nell’eucaristia Anche in questa lettera voglio tornare per un istante sul tema dell’eucaristia, perché l’eucaristia può definirsi a buon diritto il sacramento in cui Dio si nasconde.
Che c’è di più comune di un po’ di pane e di un bicchiere di vino? Che c’è di più semplice delle parole: «Prendete e mangiate, prendete e bevete: questo è il mio corpo e sangue.
Fate questo in memoria di me»?.
Mi sono trovato spesso con degli amici intorno a una piccola tavola, ho preso del pane e del vino e ho ripetuto le parole dette da Gesù quando si congedò dai suoi discepoli.
Niente di speciale o di spettacolare, nessuna grande folla, nessun canto straordinario, nes-suna formalità.
Solo alcune persone che mangiano un pezzo di pane che non basta a sfa-marli e bevono un sorso di vino che non basta a dissetarli.
Eppure…
in questo nascondi-mento è presente Gesù risorto e si rivela l’amore di Dio.
Come Dio si fece uomo per noi nel nascondimento, così pure nel nascondimento egli si fa per noi cibo e bevanda.
Tanta gente passa vicino all’eucaristia senza curarsene, eppure l’eucaristia è il più grande avvenimento che possa accadere tra noi uomini.
Durante il mio soggiorno all’‘Arca’, in Francia, ho scoperto la stretta relazione tra il na-scondimento di Dio nell’eucaristia e il suo nascondimento nel popolo di Dio.
Mi ricordo che una volta madre Teresa mi disse che non si può vedere Dio nei poveri, se non lo si ve-de nell’eucaristia.
Quelle parole mi sembrarono allora un po’ esagerate; ma ora che ho pas-sato un anno intero con gli handicappati comincio a capirne meglio il significato.
Non è realmente possibile vedere Dio negli esseri umani, se non lo si vede nella realtà nascosta del pane che scende dal cielo.
Fra gli esseri umani puoi vedere tipi di ogni specie: angeli e demoni, santi e bruti, anime caritatevoli e malevoli maniaci del potere.
Tuttavia, è solo quando hai imparato per esperienza personale quanto Gesù si curi di te e quanto egli de-sideri essere il tuo cibo quotidiano, è solo allora che impari anche a vedere ogni cuore co-me dimora di Gesù.
Quando il tuo cuore è toccato dalla presenza di Gesù nell’eucaristia, ricevi occhi nuovi, capaci di conoscere la stessa presenza nel cuore degli altri.
I cuori si parlano fra loro.
Il Gesù che è nel nostro cuore parla al Gesù che è nel cuore dei nostri fra-telli e delle sorelle.
È questo il mistero eucaristico di cui noi facciamo parte.
Noi vogliamo vedere dei risultati e se possibile – vogliamo vederli subito.
Ma Dio opera in segreto e con pazienza divina.
Partecipando all’eucaristia riuscirai un po’ alla volta a comprendere que-sta verità.
E allora il tuo cuore potrà cominciare ad aprirsi al Dio che soffre in chi ti sta in-torno.
(H.J.M.
NOUWEN, Lettere a un giovane sulla vita spirituale, Brescia, Queriniana, 72008, 78).
Parola ed eucaristia L’eucaristia, con tutta la realtà sacramentale che da essa promana, è memoria della Pa-squa di Gesù, non nel senso psicologico del ricordo, sulla misura e secondo le leggi della memoria umana, bensì nella luce della potenza dell’amore divino manifestato nella Pa-squa.
In Gesù morto e risorto Dio proclama e attua la sua amorosa volontà di vicinanza al-l’uomo, di presenza nella storia, di perdono del peccato, di vittoria sulla morte, di inizio di una vita nuova.
L’eucaristia è la concreta modalità storica con cui l’amore onnipotente di Dio, culminante nella Pasqua di Gesù, raggiunge il suo intento di rendersi realmente pre-sente e operante in ogni momento della storia umana.
L’eucaristia è presenza viva e reale di Gesù, del suo mistero, del suo sacrificio, della sua Pasqua.
Tutta la vicenda di Gesù, dall’incarnazione del Figlio preesistente alla dolorosa umiliazione del Crocifisso, alla glorificazione del Cristo risuscitato e datore dello Spirito, si ripropone a noi nell’eucaristia, in forza dell’interiore efficacia del sacrificio pasquale.
(Carlo Maria MARTINI, Incontro al Signore risorto, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2009, 142-143).
Diventare segni di Cristo amore Lo Spirito di Cristo che ha parlato per mezzo dei profeti, e che nel Cristo morto e risor-to ha ridato al mondo la speranza dell’amore, è presente e operante nella Chiesa, che non cessa di ripresentare all’uomo d’oggi l’istanza suprema della verità e della carità [ …
].
La Chiesa, infatti, ha la missione, umile e ardente, povera e fiduciosa insieme, di ricon-ciliare con l’amore la società e di restituire l’unità al mondo.
Noi Chiesa, come comunione d’amore, come luogo della perfetta amicizia, siamo chia-mati, partendo dalla nostra povertà, fragilità, dal nostro peccato, a essere principio da cui procede la vita autentica del singolo; siamo chiamati come Chiesa – perché Gesù ci ama – a essere il noi del mondo riconciliato che ha come legge suprema, e in un certo senso unica, la carità, cioè l’amore gratuito e autentico.
Questa Chiesa, di cui siamo grati di essere membra e servitori, ci presenta Gesù, esem-pio e fonte di carità perfetta principalmente nell’eucaristia.
È Gesù nell’atto di dare la vita per te che ti viene proposto nel mistero della Cena.
O Gesù, Cristo amore, manifesta la tua presenza in mezzo a noi! Fa’ che ci accostiamo alla tua cena non come Giuda, che pensa ai suoi trenta denari: ma come Pietro che ti dice: Signore, purificami interamente! Lavami piedi, testa e tutte le membra, purifica ogni mio amore sbagliato, rendimi capace di amore vero.
Fammi, o Signore, segno di unità nella tua Chiesa; fammi strumento della tua pace nel mondo! (Carlo Maria MARTINI, Incontro al Signore risorto, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2009, 156-157).
Il mistero del corpo e del sangue Concluse le antiche feste della Pasqua che si celebravano per ricordare l’antica libera-zione dalla schiavitù d’Egitto del popolo di Dio, Cristo è passato alla nuova Pasqua e ha voluto che la chiesa la celebrasse in memoria della sua redenzione.
Al posto della carne e del sangue dell’agnello sostituì il mistero del suo corpo e del suo sangue.
[…] Egli stesso spezza il pane che porge ai discepoli per dimostrare che il suo corpo sarà in futuro spezza-to non contro la sua volontà, ma, come dice altrove, egli ha il potere di offrire la sua vita da se stesso e di riprenderla di nuovo (cfr.
Gv 10,18).
E prima di spezzare il pane, lo benedice con la grazia sicura del sacramento perché insieme con il Padre e lo Spirito santo ricolma di grazia divina la natura umana che ha assunto per sottostare alla passione.
Benedisse dunque il pane e lo spezzò perché volle sottomettersi alla morte in modo da dimostrare che in lui era veramente la potenza della divina immortalità e insegnare così che il suo corpo ben presto sarebbe risorto dalla morte.
«E preso un calice, rese grazie, lo diede loro e tutti ne bevvero» (Mc 14,23).
Nell’imminenza della passione rese grazie dopo aver preso il pane.
[…] E lui che non meritò affatto di soffrire, umilmente nella sofferenza benedisse per mostrare come deve comportarsi chiunque non soffre per propria colpa.
Infatti, nel mo-mento stesso in cui per compiere ogni giustizia si addossa il peso della nostra colpa, rende ugualmente grazie al Padre proprio per mostrare in che modo dobbiamo sottometterci alla correzione.
«E disse loro: Questo è il mio sangue della nuova alleanza, versato per molti» (Mc 14,24).
Poiché il pane rinvigorisce il corpo, mentre il vino agisce sul sangue, mistica-mente il primo si riferisce al corpo di Cristo e il secondo al suo sangue.
Ma poiché è neces-sario che noi restiamo in Cristo e Cristo in noi, il vino del Signore si mischia nei calici con l’acqua, dato che Giovanni testimonia: «Le acque sono i popoli» (Ap 17,15).
A nessuno è consentito di fare offerta di sola acqua o solo vino, come neppure di grano che non sia sta-to impastato con l’acqua per fame pane.
E questo perché non si pensi che il corpo debba essere separato dalle membra, o che Cristo abbia sopportato la passione non per amore della nostra redenzione, o che noi possiamo essere salvati e offerti al Padre senza la pas-sione di Cristo.
(BEDA IL VENERABILE, Commento al vangelo di Marco 4, COL 120, pp.
611-612).
La singolarità dell’eucaristia «Allora Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede a loro» (Gv 21, 18).
Questa comunione di mensa tra Gesù e i suoi, anche se non è un’eucaristia propriamente detta, riprende il vo-cabolario eucaristico del Nuovo Testamento e ci invita a riflettere sulla cena e sull’eucari-stia.
L’eucaristia, così come è accolta nella fede della Chiesa, presenta un aspetto sorpren-dente, che sconvolge l’intelligenza e commuove il cuore.
Siamo di fronte a uno di quei ge-sti abissali dell’amore di Dio, davanti ai quali l’unico atteggiamento possibile all’uomo è una resa adorante piena di sconfinata gratitudine.
L’eucaristia non è solo la modalità voluta da Gesù per rendere perennemente presente l’efficacia salvifica della Pasqua.
In essa non è presente soltanto la volontà di Gesù che istituisce un gesto di salvezza; in essa è presente semplicemente (ma quali misteri in questa semplicità!) Gesù stesso.
Nell’eucaristia Gesù dona a noi se stesso.
Solo lui può lasciare in dono a noi se stesso, perché solo lui è una cosa sola con l’amore infinito di Dio, che può fare ogni cosa.
Certo, occorre badare anche agli strumenti umani, di cui Gesù si serve.
Poiché la Pa-squa rivela e insieme celebra l’amore di Dio che attrae l’uomo a sé, troviamo plausibile che Gesù nell’ultima cena abbia valorizzato la tensione alla comunione con Dio espressa nel gesto del mangiare insieme e soprattutto abbia fatto riferimento al valore commemorativo dell’alleanza, che era proprio della liturgia pasquale veterotestamentaria.
È quindi norma-le e doveroso che la Chiesa, nel configurare concretamente la liturgia eucaristica, abbia as-sunto nel passato e debba assumere e aggiornare continuamente le espressioni celebrative provenienti dalla nativa spiritualità umana e dalla liturgia veterotestamentaria.
Ma tutto questo è percorso e oltrepassato da una novità assoluta: è tale la forza di camminare manifestata e attuata nel sacrificio della croce, che essa rende presente nell’eu-caristia il Cristo stesso nell’atto di donarsi al Padre e agli uomini per restare sempre con lo-ro.
Gesù, che già in molti modi attrae a sé la Chiesa con la forza del suo Spirito e della sua Parola, suscita nella Chiesa la volontà di obbedire al suo comando: «Fate questo in memo-ria di me» (Lc 22,19).
E quando la Chiesa, nell’umiltà e nella semplicità della sua fede, obbedisce a questo comando, Gesù, con la potenza del suo Spirito e della sua Parola, porta l’attrazione della Chiesa a sé al livello di una comunione così intensa, da diventare vera e reale presenza di lui stesso alla Chiesa: il pane e il vino diventano realmente, per quella misteriosa trasfor-mazione che è chiamata transustanziazione, il corpo dato e il sangue versato sulla croce; nei segni conviviali del mangiare, bere, festeggiare si attua la reale comunione dei credenti col Signore; le funzioni sacerdotali si svolgono non per designazione o delega umana, ma per una reale assunzione dei ministri umani nel sacerdozio di Cristo, secondo le modalità stabilite da Cristo stesso.
L’eucaristia si presenta così come la maniera sacramentale con cui il sacrificio pasquale di Gesù si rende perennemente presente nella storia, dischiudendo a ogni uomo l’accesso alla viva e reale presenza del Signore.
Si tratta di prodigi che fioriscono su quel prodigio di inesauribile amore, che è il miste-ro pasquale.
D’altra parte si potrebbe dire che si tratta della cosa più semplice: Dio, nel-l’eucaristia di Gesù, prende sul serio la propria volontà di alleanza, cioè la decisione di sta-re realmente con gli uomini, di accoglierli come figli, di attrarli nell’intimità della sua vita.
(Carlo Maria MARTINI, Incontro al Signore risorto, vol.
II: Dalla croce alla gloria, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2007, 91-94).
Non di solo pane vive l’uomo Che cosa voleva dire Gesù affermando che l’uomo non vivrà di solo pane? Perché usa questa espressione al futuro invece che al presente? Il Maestro ci vuole far comprendere che la vita vera, quella che attende l’uomo, non la puoi conseguire con i beni materiali.
Essi tutt’ al più permettono alla carne e al sangue di sopravvivere nel frammento di tempo pre-sente, ma senza le prospettive che si aprono sull’ eternità.
Se vuoi vivere in pienezza, oltre i limiti dello spazio e la corrosione del tempo, devi nutrirti di un altro pane, il pane della vita, che viene dal cielo e non dalla terra: «Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno» (Gv 6,51).
Caro amico, la realtà del nostro tempo è sotto i tuoi occhi.
Guardati intorno ed esamina la tua situazione esistenziale.
Quante sono le persone che hanno fame del pane vivo che dà la vita eterna? Quanti sono quelli che sentono il bisogno di cercare Gesù e di scoprirlo nella loro vita? I beni materiali sono divenuti una droga, di cui hanno continua-mente bisogno, ma che li irretiscono nella tela che il ragno infernale tende instancabilmen-te.
Non attendere che la clessidra del tempo si sia svuotata del tutto per renderti conto del-l’inganno mortale.
(Padre Livio FANZAGA, Fa’ posto a Dio, San Paolo, Cinisello Balsamo, 2009, 9).
Nel tuo tabernacolo Signore Gesù, c’è grande silenzio nel tuo tabernacolo.
Dov’è la tua luce? Chi sente la tua voce? Chi ode i tuoi passi? Nel tuo tabernacolo, o Signore, tutto è immobile, tutto è silenzio, tutto è mistero.
Eppure, ogni giorno la tua parola invita alla lode.
Eppure, ogni giorno, tu imbandisci una mensa per coloro che ti amano.
Davanti al tuo santo altare quanti hanno ritrovato la fede, quanti hanno riacquistato la grazia, quanti si sono votati alla tua causa! Tu solo conosci l’intima storia di innumerevoli anime che qui, dinanzi a te, hanno espresso la loro gioia, hanno versato calde lacrime, hanno ritrovato fiducia e speranza.
Nel tuo tabernacolo, o Signore, c’è pienezza di vita.
Tu parli, o Signore.
Tu ascolti, o Signore, Tu ami, o Signore.
Preghiera Signore Gesù, con gioia ci prostriamo in adorazione presso il tuo santo altare.
Con te, o Gesù, tutto è merito di vita eterna, tutto è luce che rischiara la vita, tutto aiuta a proseguire il cammino, tutto è dolcezza…
anche il dolore! Tu sei fonte copiosa di purissima gioia.
Gioia che cominciamo a gustare qui, nella valle del pianto, e che sarà piena quando ci svelerai la tua gloria: al gaudio della fede subentrerà quello della visione.
Signore Gesù, tu, pane vivo disceso dal cielo, ci basti.
Non abbiamo bisogno di altri.
Tu sei la nostra vita.
Tu sei la nostra gioia.
Tu sei il nostro tutto.
Ci affidiamo a te: nostro conforto, nostro gaudio, nostra pace.
(Paolo VI).
Per l’elaborazione della «lectio» di questa domenica – oltre al nostro materiale di archivio, ci siamo serviti di: – Temi di predicazione, Napoli, Editrice Domenicana Italiana, 2002-2003; 2005-2006- .
– COMUNITÀ DI BOSE, Eucaristia e Parola.
Testi per le celebrazioni eucaristiche.
Anno B, a cu-ra di Enzo Bianchi, Goffredo Boselli, Lisa Cremaschi e Luciano Manicardi, Milano, Vita e Pensiero, 2008.
– La Bibbia per la famiglia, a cura di G.
Ravasi, Milano, San Paolo, 1998.
LECTIO – ANNO B Prima lettura: Esodo 24,3-8 In quei giorni, Mosè andò a riferire al popolo tutte le parole del Signore e tutte le norme.
Tutto il popolo rispo-se a una sola voce dicendo: «Tutti i comandamenti che il Signore ha dato, noi li eseguiremo!».
Mosè scrisse tutte le parole del Signore.
Si alzò di buon mattino ed eresse un altare ai piedi del monte, con dodici stele per le dodici tribù d’Israele.
Incaricò alcuni giovani tra gli Israeliti di offrire olocausti e di sacrificare giovenchi come sacri-fici di comunione, per il Signore.
Mosè prese la metà del sangue e la mise in tanti catini e ne versò l’altra metà sull’altare.
Quindi prese il libro dell’alleanza e lo lesse alla presenza del popolo.
Dissero: «Quanto ha detto il Si-gnore, lo eseguiremo e vi presteremo ascolto».
Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo, dicendo: «Ecco il sangue dell’alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole!».
Il capitolo 24 del libro dell’Esodo narra la conclusione dell’alleanza stipulata tra il Signo-re Dio e Israele con la mediazione di Mosè.
Questi, infatti, era stato più volte convocato da Dio sul monte per ricevere le “parole”, riferirle poi al popolo e ritornare da Dio per portare la risposta affermativa del popolo.
Anche questa volta troviamo Mosè che «andò a riferire al popolo tutte le parole del Signore e tutte le norme.
Tutto il popolo rispose a una sola voce dicendo: «Tutti i comandamenti che il Signore ha dato, noi li eseguiremo!» (24,3).
Ricevuto l’assenso da parte del popolo, Mosè diede inizio a un rito: prima costruì un al-tare con dodici stele, una per ogni tribù d’Israele (cf.
24,4), poi fece offrire da alcuni giovani olocausti e sacrifici di comunione in onore del Signore (cf.
24,5).
Infine, completò il rito co-sì: «Mosè prese la metà del sangue e la mise in tanti catini e ne versò l’altra metà sull’altare.
Quin-di prese il libro dell’alleanza e lo lesse alla presenza del popolo.
Dissero: «Quanto ha detto il Signo-re, lo eseguiremo e vi presteremo ascolto».
Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo, dicendo: «Ec-co il sangue dell’alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole!» (24,6-8).
Attraverso questo rito Mosè vuole quindi esprimere una profonda realtà: egli è situato tra i due contraenti: il primo è Dio, che viene rappresentato dall’altare; il secondo è il po-polo, al quale viene di nuovo letto l’intero libro dell’alleanza affinché, in modo consapevo-le, possa pronunciare il suo sì.
Che cosa può unire i due contraenti, per suggellare solennemente il patto? Mosè sceglie allora il segno del sangue, il quale, versato per metà sull’altare e per l’altra metà sul popo-lo, stabilisce tra i due una ”comunione”.
Non è difficile, nelle parole del versetto 8, ricono-scere l’analogia con il sangue di un’altra vittima, ben più importante di quegli animali sa-crificati.
Infatti, Gesù Cristo, sull’altare della croce, versa il proprio sangue con cui viene aspersa l’umanità per ritrovare, finalmente la pace e la riconciliazione con il Padre (cf.
Col 1,19-20).
Il sangue, tra l’altro indica anche un rapporto di “parentela”, che ci viene guada-gnato da Gesù Cristo.
In virtù di questo sangue, allora, non siamo «più stranieri né ospiti, ma siamo concittadini dei santi e familiari di Dio» (Ef 2,19), addirittura figli di adozione di un Padre eccezionale, che per farci entrare nella sua famiglia non ha esitato di mandare sulla croce il suo Figlio Unigenito.
Seconda lettura: Ebrei 9,11-15 Fratelli, Cristo è venuto come sommo sacerdote dei beni futuri, attraverso una tenda più grande e più perfetta, non costruita da mano d’uomo, cioè non appartenente a questa creazione.
Egli entrò una volta per sempre nel santuario, non mediante il sangue di capri e di vitelli, ma in virtù del proprio sangue, ottenendo così una redenzione eterna.
Infatti, se il sangue dei capri e dei vitelli e la cenere di una giovenca, sparsa su quelli che sono contaminati, li santificano purificandoli nella carne, quanto più il sangue di Cristo – il quale, mosso dallo Spirito eterno, offrì se stesso senza macchia a Dio – purificherà la nostra coscien-za dalle opere di morte, perché serviamo al Dio vivente? Per questo egli è mediatore di un’alleanza nuova, perché, essendo intervenuta la sua morte in riscatto delle tra-sgressioni commesse sotto la prima alleanza, coloro che so-no stati chiamati ricevano l’eredità eterna che era stata promessa.
Su questa linea si trova anche lo stupendo brano della Lettera agli Ebrei.
L’autore, in poche battute, evidenzia i due grandi mezzi con i quali Cristo entra nel santuario.
Egli, ve-nuto in mezzo all’umanità in qualità di sommo sacerdote dei beni futuri per il fatto che ci ha ottenuto la redenzione eterna, entrò nel santuario «attraverso una tenda più grande e più perfetta, non costruita da mano d’uomo, cioè non appartenente a questa creazione.
Egli entrò una volta per sempre nel santuario, non mediante il sangue di capri e di vitelli, ma in virtù del proprio sangue» (9,11-12).
Ma occorre chiarire bene a che cosa si riferisca l’autore con i termini ‘tenda” e “santua-rio”.
Infatti, la tenda, più grande e perfetta, non può essere paragonata con la tenda che Mosè eresse nel deserto per custodire l’arca dell’alleanza, perché designa un’altra realtà, che era ben nota ai primi cristiani.
Inoltre essa va intesa in rapporto all’altro mezzo ossia al sangue, e alle ulteriori qualificazioni, su cui bisogna fare delle precisazioni: quando si dice che la tenda è «non costruita da mano di uomo» ci si collega con Mc 14,58, dove i falsi te-stimoni, durante il processo, accusarono Gesù dicendo: «Noi lo abbiamo udito mentre di-ceva: Io distruggerò questo tempio fatto da mani d’uomo e in tre giorni ne edificherò un altro non fatto da mani d’uomo».
Benché tale affermazione si trovi in una deposizione di falsi testimoni, il suo tenore orienta chiaramente a capire che non è questo che l’evangelista considera falso, poiché un confronto con Gv 2,19 conferma che Gesù ha realmente afferma-to tale “profezia”.
La tenda è, quindi, il corpo glorioso di Cristo, nuova creazione realizzata in tre giorni per mezzo dell’effusione del suo sangue.
La tenda, che è il corpo glorioso di Cristo, consente all’umanità aspersa dal sangue di lui, di entrare in contatto, o meglio in comunione, con il santuario, ossia con la santità e la trascendenza di Dio Padre.
Cristo ha, in altre parole, portato a compimento ciò che nel-l’Antico Testamento era desiderato ma impossibile da realizzare.
D’altronde, se Dio si ac-contentava di considerare efficaci i sacrifici animali, come non doveva reputare “definiti-vo” quello di suo Figlio? «Infatti, se il sangue dei capri e dei vitelli e la cenere di una giovenca, sparsa su quelli che sono contaminati, li santificano purificandoli nella carne, quanto più il sangue di Cristo – il quale, mosso dallo Spirito eterno, offrì se stesso senza macchia a Dio – purificherà la nostra coscienza dalle opere di morte, perché serviamo al Dio vivente?» (9,13-14).
In forza di tutto questo, Cristo può ben essere considerato «mediatore di una nuova al-leanza, perché, essendo ormai intervenuta la sua morte per la redenzione delle colpe commesse sotto la prima alleanza, coloro che sono stati chiamati ricevano l’eredità eterna che è stata promessa» (9,15).
Vangelo: Marco 14,12-16.22-26 Il primo giorno degli Àzzimi, quando si immolava la Pa-squa, i discepoli dissero a Gesù: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?».
Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo.
Là dove entrerà, dite al padrone di ca-sa: “Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”.
Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi».
I discepoli andarono e, en-trati in città, trovarono come aveva detto loro e prepara-rono la Pasqua.
Mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Pren-dete, questo è il mio corpo».
Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti.
E disse loro: «Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti.
In verità io vi dico che non berrò mai più del frut-to della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel re-gno di Dio».
Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli U-livi.
Esegesi Il brano evangelico proposto in quest’anno liturgico ci riconduce immediatamente al contesto insieme semplice e solenne della Pasqua.
Così infatti inizia Marco: «Il primo giorno degli Àzzimi, quando si immolava la Pasqua, i discepoli dissero a Gesù: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?» (14,12).
La Pasqua rappresentava la festa più importante dell’anno liturgico ebraico: con essa il popolo d’Israele si ricollega ancora oggi all’evento salvifico vissuto con Mosè e ricorda la liberazione dalla schiavitù in Egitto, em-blema di liberazione da ogni qualsivoglia forma di schiavitù e dipendenza, sia materiale che spirituale.
Fondamentale risulta il patto che viene stipulato: Dio consegna la Legge e s’impegna a essere il Dio d’Israele, svolgendo anche la funzione di padre, di soccorritore, di giudice e medico, di ispiratore e difensore.
Da parte sua, Israele promette fedeltà, cioè di eseguire tutto ciò che il Signore comanda.
Tale alleanza viene suggellata attraverso il san-gue di animali quali vittime offerte in sacrificio, come poi vedremo nella prima lettura.
Alla festa di Pasqua ne fu associata un’altra, pur importante, tanto da divenire un tut-t’uno, ossia la festa degli Azzimi.
Quest’ultima era connessa all’usanza primaverile agrico-la di iniziare l’anno nuovo con il primo raccolto dell’orzo.
Perciò tale inizio veniva espresso con l’eliminazione del vecchio lievito (durante la settimana degli azzimi gli alimenti fatti con il lievito vecchio devono sparire, perché si mangia pane non lievitato in attesa del lie-vito nuovo alla fine della festa).
Il tutto confluisce nella cena pasquale, quando si mangia il pane azzimo, unitamente all’agnello, maschio, senza difetto e nato nell’anno (cf.
Es 12,5), secondo l’usanza dei pastori per la loro festa di primavera.
Con questi cibi, che indicano il rinnovarsi della vita nella tradizione pastorale e in quella agricola, Israele rammenta che la propria origine è legata all’azione salvifica e liberatrice di Dio.
Il momento in cui i discepoli pongono a Gesù la domanda circa la preparazione della cena pasquale è quello dell’inizio della settimana degli Azzimi, il giorno in cui i sacerdoti, nel tempio, di pomeriggio, immolavano gli agnelli che sarebbero poi stati consumati a Pa-squa.
Marco, però, mostra che Gesù aveva già pensato al luogo della cena e, addirittura, indica ai discepoli pure a chi devono rivolgersi appena entrati in città: «Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo.
Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”.
Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi».
I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua» (14,13-16).
La pericope letta non comprende i versetti che ci presentano lo smascheramento di Giuda (vv.
17-21), per cui si passa subito al racconto dell’istituzione.
Non è certo facile commentare in poco spazio il racconto dell’istituzione dell’eucaristia, perciò è preferibile soffermarsi sul senso del sangue in rapporto all’alleanza, argomento poi da completare con la trattazione delle altre letture bibliche.
Che cosa sia il sangue per l’uomo biblico viene chiarito da Lv 17,11.14: «Poiché la vita della carne è nel sangue.
Perciò vi ho concesso di porlo sull’altare in espiazione per le vo-stre vite; perché il sangue espia, in quanto è la vita […]; perché la vita di ogni essere viven-te è il suo sangue, in quanto sua vita; perciò ho ordinato agli Israeliti: Non mangerete san-gue di alcuna specie di essere vivente, perché il sangue è la vita d’ogni carne; chiunque ne mangerà sarà eliminato».
Esso è dunque un elemento vitale, necessario all’uomo per la sua vita biologica della quale, in qualche modo, segna anche il limite, la peribilità.
Difatti, quando tra i giudei si voleva alludere alla fragilità della condizione umana, si usava spes-so la formula basar wadam (carne e sangue), come Gesù stesso fece in Mt 16,17.
Ma il san-gue è anche elemento di trasmissione di vita da un essere a un altro.
Se il sangue è legato inscindibilmente alla vita e alla sua trasmissione, l’espressione “versare il sangue”, invece, ha il significato di “uccidere”.
Tenendo presente tutto ciò, noi ci orientiamo alla contemplazione di Gesù crocifisso, che non ha rifiutato di “versare il sangue”, ossia di venire ucciso per noi, perché egli sape-va bene che dal suo sangue sparso scaturisce l’espiazione e la vita per chi confida in Lui: «E disse loro: Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti » (14,24).
Egli, dunque, è libero e sovrano nel suo donarsi a nostro favore, non solo attraverso una morte violenta, che manifesta tutto il livore dei suoi avversari, bensì anche con l’atto di imbandire una mensa con il pane-corpo e il vino-sangue, a sostegno della nostra cronica debolezza.
È il banchetto eucaristico, il quale, mentre ci fa ricordare la tragica morte del Giusto per eccel-lenza, ci restituisce la gioia di “proclamare” la sua risurrezione, per cui egli è presente e vi-vo in mezzo a noi, sostenendo con fedeltà, il peso dell’alleanza.
Meditazione Sullo sfondo dell’ultima cena di Gesù si stende idealmente la grande scena dell’alleanza al Sinai.
Nella cornice aspra e solitaria di quel monte del dialogo tra Dio e Israele si compie un rito, solennemente descritto dal capitolo 24 dell’Esodo.
Il sangue è il simbolo della vita, l’altare è il segno della presenza di Dio, il popolo è tutto attorno all’altare come un’unica comunità spirituale.
Il sangue sacrificale è versato da Mosè sull’altare e sul popolo, quindi su Dio e sull’uomo.
Un patto di sangue lega ormai il Signore e Israele in una relazione di intimità e di amore.
È proprio a quelle parole che Gesù rimanda nell’ultima sera della sua vita terrena, quando nella «grande sala con i tappeti» del Cenacolo celebra la cena pasqua-le coi suoi discepoli.
Il rito pasquale giudaico entrava nel vivo con la benedizione del pane nuovo azzimo, cioè senza lievito (Esodo 12-13).
«Sii lodato tu, Signore, Dio nostro, re del mondo, che hai fatto nascere pane dalla terra»; così si esprimeva l’antica benedizione del pane.
A quel punto il capofamiglia spezzava la focaccia azzima e la offriva ai commensali in segno di comunione e di benedizione.
Gesù, pur seguendo il rituale, ne offre all’improvviso un si-gnificato sorprendente e inedito.
Decisive, infatti, sono le parole della sua “benedizione del pane”: «Prendete, questo è il mio corpo», che nel linguaggio semitico significano sempli-cemente e paradossalmente: «Questo sono io stesso».
Spezzando quel pane e offrendolo ai commensali Cristo stabiliva con loro un legame di comunione profonda, facendo sì che es-si entrassero nella sua stessa vita, nella sua morte e nella sua gloria.
Nel rito giudaico, alla consumazione del pane azzimo e dell’agnello pasquale seguiva la benedizione solenne del calice, che spesso veniva anche inghirlandato.
Anche a questo punto Gesù imprime al rituale una svolta con le parole del suo “ringraziamento” (in greco il termine è “eucaristia”): «Questo è il mio sangue, il sangue dell’alleanza, versato per mol-ti».
È qui che riecheggiano le parole di Mosè al Sinai: il vino della Pasqua è ora il sangue di Cristo e il sangue di Cristo crea l’alleanza piena e perfetta tra Dio e l’uomo.
È un «sangue versato per molti», espressione orientale per indicare che è il sangue di una persona sacri-ficata per salvare tutti gli uomini.
Gesù indirizza infine ai suoi discepoli un ultimo messaggio che si affaccia sul suo futuro: egli annunzia che, dopo la cena eucaristica e la pausa buia della morte, berrà il calice del vino nuovo nel regno di Dio.
È il banchetto della perfezione celeste cantato da Isaia, du-rante il quale si «eliminerà la morte per sempre e il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto» (25,8; vedi Apocalisse 21,4).
La cena eucaristica che noi oggi celebriamo nella so-lennità del Corpo e del Sangue del Signore è, quindi, una pregustazione di un’intimità senza incrinature e senza frontiere con Dio.
È per questo che l’eucaristia domenicale è ce-lebrata sempre «nell’attesa della venuta» gloriosa del Cristo.
L’eucaristia è espressione del-la presente vicinanza di Dio al suo popolo, che pellegrina in mezzo alle oscurità della sto-ria, ma è anche squarcio di luce verso la speranza che il dolore e la morte saranno espulsi dalla storia.
Quando celebriamo l’eucaristia dovremmo scoprire un bagliore del senso ul-timo della vita nostra e dell’umanità, anche se attorno – come in quella sera – calano le te-nebre della morte, si consuma il tradimento.