Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano scrive al Papa sulla “Caritas in Veritate”

Il Presidente Giorgio Napolitano ha inviato una lettera a S.S.
Benedetto XVI in merito all’enciclica “Caritas in Veritate”, di seguito il testo.
Ho letto con grande interesse la Sua terza enciclica Caritas in veritate che, rivolta anche “a tutti gli uomini di buona volontà”, porta il Suo messaggio all’interno di società in cui vi è in questi anni apprensione ed incertezza non solo per le prospettive e per il futuro dell’economia mondiale e dello sviluppo, ma anche per i cambiamenti che si vanno delineando nei rapporti umani, nel mondo del lavoro e dell’impresa, nelle relazioni tra gli abitanti del pianeta e l’ambiente e le risorse naturali che per molto tempo sono state considerate inesauribili.
Sono certo che i temi centrali che riguardano la vita dell’uomo in rapporto ai suoi simili e le grandi questioni che toccano le nostre società, così come delineati nell’enciclica e collegati da quel filo rosso che Ella ha saputo così chiaramente rendere visibile nel testo, costituiranno uno stimolo ad una riflessione che potrà risultare benefica per tutti.
L’affermazione di Vostra Santità che oggi la questione sociale è diventata radicalmente questione antropologica costituisce in effetti un invito ad un ripensamento approfondito e sereno di molti aspetti della vita e del funzionamento degli aggregati umani, con particolare riferimento “al senso dell’economia e dei suoi fini” e alla necessità di una “revisione profonda e lungimirante del modello di sviluppo, per correggerne le disfunzioni e le distorsioni”.
Mi è gradita l’occasione, Santità, per ribadirLe le espressioni della mia più alta considerazione e della mia attenta partecipazione nel seguire lo svolgimento della Sua quotidiana ed estremamente impegnativa missione”.
Roma, 16 luglio 2009

Servizio Civile estero FOCSIV

per il bando 2009 del Servizio Civile Nazionale, Volontari nel mondo – FOCSIV cerca 250 volontari, di età compresa tra i 18 e i 28 anni, da inserire all’interno di 43 paesi per il progetto “Caschi bianchi: interventi umanitari in aree di crisi” per il Servizio Civile all’estero.
  Il Servizio Civile è un’opportunità unica per un importante anno di crescita umana e professionale e per contribuire alla lotta contro ogni forma di esclusione e povertà.
I giovani andranno ad inserirsi in progetti di sviluppo in 43 paesi di Africa, America Latina, Asia ed Europa, in base alle loro competenze per un percorso dal forte valore umano e per un’esperienza altamente formativa.
  Dai seguenti link potrete visionare i nostri progetti e scaricare la nostra locandina sul servizio civile all’estero:   – Progetti 2009  – Locandina   Per maggiori informazioni è possibile contattare lo sportello Informarvi – Tel.
06 6876706 Email informarvi@focsiv.it – o visitare il sito della FOCSIV, www.focsiv.it.
  Il termine ultimo per inviare la candidatura è il 27 luglio 2009 entro le ore 14.

«Gloria a Dio e onore a voi uomini artefici della grande impresa»

Si è tanto parlato in questi giorni, e in tutto il mondo, e con tutte le voci possibili, dell’impresa lunare; Noi stessi vi abbiamo dedicato qualche esclamazione ammiratrice, così che sembrerebbe ora cosa migliore per Noi tacerne che parlarne.
Ma, oltre il fatto che proprio domani la straordinaria escursione planetaria deve concludersi con il ritorno, che auguriamo felicissimo, degli astronauti sulla terra, questo avvenimento penetra talmente nella psicologia della pubblica opinione da costituire una sorgente di pensieri, di questioni, di spiritualità, che commetteremmo un peccato di omissione, se non Ci fermassimo, anche in questo familiare incontro, a meditarlo un po’.
È purtroppo vero che la superficialità è una abitudine di moda.
Anche le più forti impressioni, che a noi vengono dall’esperienza della vita moderna, si cancellano subito; o subito sono soverchiate da altre successive, così che spesso manca il tempo, manca la voglia di approfondirle, e di coglierne il significato, la verità, la realtà.
Ma in questo caso il trauma della novità e della meraviglia è così forte, che sarebbe stoltezza non riflettere su questa, possiamo dire, sovrumana e storica avventura, alla quale tutti abbiamo, come spettatori esterrefatti, in qualche modo – anche questo meraviglioso – assistito.
Ciascuno vi pensi a suo modo, purché vi pensi! L’importanza degli studi scientifici può essere di per sé oggetto di interminabili considerazioni.
Ad esempio, quella circa lo sviluppo e il progresso, che questi studi hanno avuto nel tempo nostro, fino a modificare la mentalità umanistica tradizionale della nostra cultura e della nostra scuola; il che vuol poi dire della nostra vita.
Il bilancio di questi studi positivi e scientifici è così attivo, che una grande attrattiva vi polarizza molta parte delle nuove generazioni, e un ottimismo sognatore sulle loro future conquiste ne fa quasi un’iniziazione profetica.
E sia pure.
Il campo scientifico merita ogni interesse.  Ma intanto potremmo, di passaggio, osservare come sia fuori luogo, almeno a questo riguardo, il disfattismo oggi di moda contro la società e la sua compagine, e in genere contro la vita moderna.
Questo disfattismo seduce oggi perfino qualche parte della gioventù, e altri uomini di pensiero e d’azione; li gratifica di audace progressismo, e sembra loro conferire una personalità superiore, quando li riempie di istinti ribelli e di spregiudicato disprezzo verso la nostra età e verso il suo sforzo creativo.
La vita invece è seria; e ce lo insegna la somma immensa di studi, di spese, di fatiche, di ordinamenti, di tentativi, di rischi, di sacrifici, che una impresa colossale, come quella spaziale, ha reclamati.
Criticare, contestare è facile; non così costruire, in questa iniziativa si comprende; ma parimente in altre moltissime da cui risulta la nostra presente civiltà.
Perciò Ci sembra che un dovere di ripensamento e di apprezzamento dei valori della vita moderna ci sia intimato dall’avvenimento che stiamo celebrando.
Noi non neghiamo alla critica i suoi diritti, né rimproveriamo al genio dei giovani il suo istinto di emancipazione e di novità.
Ma riteniamo non degno di giovani il decadentismo iconoclasta e privo di amore dei contestatori di mestiere.
I giovani devono sentire l’impulso ideale e positivo che loro è offerto dalla magnifica avventura spaziale.
Ed allora ecco un’altra considerazione.
Questo nostro aperto suffragio per la progressiva conquista del mondo naturale, per via di studi scientifici, di sviluppi tecnici e industriali, non è in contrasto con la nostra fede e con la concezione della vita e dell’universo, ch’essa comporta.
Basta ricordare quanto insegna a questo riguardo il recente Concilio (Gaudium et spes, nn.
37, 58, 59, ecc.).
Qui tocchiamo uno dei punti più delicati della mentalità moderna rispetto alla nostra religione cattolica, una religione cioè positiva, con sue dottrine ben determinate, e ordinate a sistema unitario, incentrato in Gesù Cristo, nel suo Vangelo, nella sua Chiesa.
Ora è facile riscontrare nella mentalità dell’uomo odierno, specialmente di quello dedicato agli studi scientifici, una duplice serie di difficoltà:  una di ordine essenziale, l’altra di ordine storico.
Come può, dice oggi lo studioso, entrare nello schema dogmatico e rituale della vita cattolica l’immenso patrimonio delle scoperte scientifiche, con l’impiego libero e totale della ragione, e con la concezione che ne risulta sul mondo e sull’umana esistenza? E come può, insiste lo studioso osservando i mutamenti continui, rapidi e macroscopici, che avvengono col volgere del tempo nel pensiero e nel costume dell’uomo moderno, rimanere intatta la religione tradizionale, racchiusa in una mentalità statica e d’altri tempi? Occorrerebbero libri interi, sia per formulare queste obiezioni capitali, sia per rispondervi.
Non è certo qui, né in questo momento che lo faremo.
Ma ora Ci basti rassicurarvi.
La fede cattolica, non solo non teme questo poderoso confronto della sua umile dottrina con le meravigliose ricchezze del pensiero  scientifico  moderno, ma lo desidera.
Lo desidera, perché la verità, anche se si diversifica in ordini differenti e se si appoggia a titoli diversi, è concorde con se stessa, è unica; e perché è reciproco il vantaggio che da tale confronto può risultare alla fede (cfr.
Gaudium et Spes, n.
44) e alla ricerca e allo studio d’ogni campo conoscibile.
È stata questa una delle affermazioni caratteristiche e più documentate del pensiero cattolico apologetico del secolo scorso e della prima metà del nostro secolo, con risultati magnifici, dei quali le nostre Università sono documenti gloriosi.  Adesso si profilano altre tendenze, che suppongono, non smentiscono la precedente:  quella, che si rifà alla famosa parola di sant’Agostino, e che possiamo dire psicologica:  “Tu, (o Signore), ci hai fatti per Te ed è inquieto il nostro cuore, finché non si riposi in Te” (Confess.
i, 1).
Il bisogno di Dio è insito nella natura umana, e quanto più essa progredisce tanto più essa avverte, fino al tormento, fino a certa drammatica esperienza, il bisogno di Dio.
Ovvero quella che, tanto per intenderci, potremmo dire la tendenza cosmica:  chi studia, chi cerca, chi pensa non può sottrarsi ad una obiettiva onnipresenza di Dio, antica verità, che il Libro sacro sempre ci ripete:  “Dove andrò io lungi dal Tuo spirito (o Signore), e dove fuggirò io dalla Tua faccia?” (Ps 138, 7).
Impossibile sottrarsi da questa presenza, di cui la materia, la natura è, per chi lo sa comprendere, un libro di lettura spirituale:  “In Lui (cioè in Dio, dice san Paolo) noi viviamo, ci muoviamo, ed esistiamo” (Act 17, 28).
Il Dio ignoto è sempre lì; ogni studio delle cose è come un contatto con un velo dietro il quale si avverte un’infinita palpitante Presenza.
Ora qui è l’attimo sublime, l’attimo della rivelazione, l’attimo in cui Cristo apre il velo e appare nella storica e semplice scena del Vangelo.
Chi è Cristo? Ecco la questione decisiva.
Risponde san Giovanni, al primo capitolo del suo Vangelo:  è il Verbo, è Dio, è Colui per virtù del Quale tutte le cose furono fatte.
E san Paolo confermerà:  è Colui che “è avanti a tutte le cose; e tutte le cose sussistono per lui” (Col 1, 17); ed è Colui che un giorno, il giorno finale “della restaurazione di tutte le cose” (della “apocatastasi”:  Atti degli apostoli, 3, 21) nel quale Egli con la sua potenza “assoggetterà a sé tutte le cose” (Phil 3, 21).
Cioè Cristo è l’alfa e l’omega, il principio e il fine (cfr.
Apoc 1, 8; 21, 6; 22, 13), non solo per i destini dell’uomo, ma per il cosmo intero, che in Lui ha il suo punto focale, donde ogni senso, ogni luce, ogni ordine, ogni pienezza.
Non temiamo, Figli carissimi, che la nostra fede non sappia comprendere le esplorazioni e le conquiste, che l’uomo va facendo del creato, e che noi, seguaci di Cristo, siamo esclusi dalla contemplazione della terra e del cielo, e dalla gioia della loro progressiva e meravigliosa scoperta.
Se saremo con Cristo saremo nella via, saremo nella verità, saremo nella vita.
(©L’Osservatore Romano – 20-21 luglio 2009)

“Iota unum”

 ROMANO AMERIO, Iota unum.
Studio delle variazioni della Chiesa cattolica nel secolo XX, a cura di Enrico Maria Radaelli, prefazione del card.
Darío Castrillón Hoyos, Lindau, Torino, 2009.
ROMANO AMERIO, Stat veritas.
Séguito a Iota unum, a cura di Enrico Maria Radaelli, Lindau, Torino, 2009.
Da domani fanno ritorno nelle librerie italiane, editi da Lindau, due volumi entrati tra i classici della cultura cattolica, il cui contenuto è in impressionante sintonia col titolo e col fondamento della terza enciclica di Benedetto XVI: “Caritas in veritate”.
I due volumi hanno per autore Romano Amerio, letterato, filosofo e teologo svizzero scomparso nel 1997 a 92 anni di età.
Un suo grande estimatore, il teologo e mistico don Divo Barsotti, ne sintetizzò così il contenuto: “Amerio dice in sostanza che i più gravi mali presenti oggi nel pensiero occidentale, ivi compreso quello cattolico, sono dovuti principalmente a un generale disordine mentale per cui viene messa la ‘caritas’ avanti alla ‘veritas’, senza pensare che questo disordine mette sottosopra anche la giusta concezione che noi dovremmo avere della Santissima Trinità”.
In effetti, Amerio vide proprio in questo rovesciamento del primato del Logos sull’amore – ossia in una carità senza più verità – la radice di molte “variazioni della Chiesa cattolica nel secolo XX”: le variazioni che egli descrisse e sottopose a critica nel primo e più imponente dei due volumi citati: “Iota unum”, scritto tra il 1935 e il 1985; le variazioni che lo portarono a porre la questione se con esse la Chiesa non fosse divenuta altra cosa da sé.
Molte delle variazioni analizzate in “Iota unum” – ma ne basterebbe una sola, uno “iota”, stando a Matteo 5, 18 che dà il titolo al libro – spingerebbero il lettore a pensare che una mutazione d’essenza vi sia stata, nella Chiesa.
Amerio però analizza, non giudica.
O meglio, da cristiano integrale qual è, lascia a Dio il giudizio.
E ricorda che “portae inferi non praevalebunt”, cioè che per fede è impossibile pensare che la Chiesa smarrisca se stessa.
Una continuità con la Tradizione permarrà sempre, pur dentro turbolenze che la oscurano e fanno pensare il contrario.
C’è uno stretto legame tra le questioni poste in “Iota unum” e il discorso di Benedetto XVI del 22 dicembre 2005 alla curia romana, discorso capitale per quanto riguarda l’interpretazione del Concilio Vaticano II e il suo rapporto con la Tradizione.
Ciò non toglie che lo stato della Chiesa descritto da Amerio sia tutt’altro che pacifico.
Benedetto XVI, nel discorso del 22 dicembre 2005, paragonò la babele della Chiesa contemporanea al marasma che nel IV secolo seguì al Concilio di Nicea, descritto da san Basilio, all’epoca, come “una battaglia navale nel buio di una tempesta”.
Nella postfazione che Enrico Maria Radaelli, fedele discepolo di Amerio, pubblica in coda a questa riedizione di “Iota unum”, la situazione attuale è paragonata piuttosto allo scisma d’Occidente, cioè ai quarant’anni tra il XIV e il XV secolo che precedettero il Concilio di Costanza, con la cristianità senza guida e senza una sicura “regola della fede”, divisa tra due o persino tre papi contemporaneamente.
In ogni caso, riedito oggi a distanza di anni, “Iota unum” si conferma libro non solo straordinariamente attuale, ma “costruttivamente cattolico”, in armonia col magistero della Chiesa.
Nella postfazione Radaelli lo mostra in modo inconfutabile.
La conclusione della postfazione è riprodotta più sotto.
Quanto al secondo libro, “Stat veritas”, pubblicato da Amerio nel 1985, esso è in lineare continuità col precedente.
Confronta la dottrina della Tradizione cattolica con le “variazioni” che l’autore ravvisa in due testi del magistero di Giovanni Paolo II: la lettera apostolica “Tertio millennio adveniente” del 10 novembre 1994 e il discorso al Collegium Leoninum di Paderborn del 24 giugno 1996.
Il ritorno in libreria di “Iota unum” e “Stat veritas” rende giustizia sia al loro autore, sia alla censura di fatto che si è abbattuta per lunghi anni su entrambi questi suoi libri capitali.
In Italia, la prima edizione di “Iota unum” fu ristampata tre volte per complessive settemila copie, nonostante le sue quasi settecento pagine impegnative.
Fu poi tradotto in francese, inglese, spagnolo, portoghese, tedesco, olandese.
Raggiunse decine di migliaia di lettori in tutto il mondo.
Ma per gli organi cattolici ufficiali e per le autorità della Chiesa era tabù, oltre che naturalmente per gli avversari.
Caso più unico che raro, questo libro fu un “long seller” clandestino.
Continuò a essere richiesto anche quando si esaurì nelle librerie.
La rottura del tabù è recente.
Convegni, commenti, recensioni.
“La Civiltà Cattolica” e “L’Osservatore Romano” si sono anch’essi svegliati.
All’inizio del 2009 una prima ristampa di “Iota unum” è apparsa in Italia per i tipi di “Fede & Cultura”.
Ma questa nuova edizione del libro ad opera di Lindau, assieme a quella di “Stat veritas”, ha in più il valore della cura filologica, da parte del massimo studioso ed erede intellettuale di Amerio, Radaelli.
Le sue due ampie postfazioni sono veri e propri saggi, indispensabili per capire non solo il senso profondo dei due libri, ma anche la loro perdurante attualità.
Lindau, con Radaelli curatore, ha in animo di pubblicare nei prossimi anni l’imponente “opera omnia” di Amerio.
> Grandi ritorni: Romano Amerio e le variazioni della Chiesa cattolica (15.11.2007) > “La Civiltà Cattolica” rompe il silenzio.
Su Romano Amerio
(23.4.2007) > Fine di un tabù: anche Romano Amerio è “un vero cristiano” (6.2.2006) > Un filosofo, un mistico, un teologo suonano l’allarme alla Chiesa (7.2.2005) __________ Su Enrico Maria Radaelli, discepolo di Amerio, e sul suo libro “Ingresso alla bellezza”: > Tutti a vedere il “sacro teatro dei cieli”.
Un teologo fa da guida
(15.2.2008) Qui di seguito ecco un brevissimo assaggio della postfazione a “Iota unum”: le considerazioni finali.
Tutta la Chiesa in uno “iota” di Enrico Maria Radaelli […] La conclusione è che Romano Amerio si rivela essere il pensatore più attuale e vivificante del momento.
Con il garbo teoretico che contraddistinse tutti i suoi scritti, egli offre con “Iota unum” un pensiero molto costruttivamente cattolico, colmando uno spazio filosofico e teologico altrimenti incerto su interrogativi gravi.
Egli individua e indica che nella Chiesa una crisi c’è, ed è crisi che pare anche sovrastarla, ma mostra che non l’ha sovrastata; che pare rovinarla, ma non l’ha rovinata.
Individua poi e indica con chiarezza la causa prima di questa crisi in una variazione antropologica e prima ancora metafisica.
Individua e indica infine gli strumenti logici (iscritti nel Logos) necessari e sufficienti (eroicamente sufficienti, ma sufficienti) per superarla.
E tutto questo Amerio lo fa sviluppando un “modello di continuità” con la Tradizione, di ordinata e perciò perfetta obbedienza al papa, di intima adesione alla regola prossima della fede, che parrebbe chiarire in tutto come va intesa quella “ermeneutica della continuità” richiesta da papa Benedetto XVI nel discorso alla curia romana del 22 dicembre 2005 per mantenersi sicuri sulla strada della ragione, che è a dire sulla strada della salvezza, ossia sulla strada della Chiesa per perseguire la vita.
Romano Amerio: critico sì, discontinuista mai.
Questo “modello di continuità” tutto ameriano attende solo di essere oggi finalmente riconosciuto, anzi, finalmente apprezzato.
Chissà: magari persino seguìto, per il bene comune (teorico e pratico, filosofico ed etico, dottrinale e liturgico) della Città di Dio, con la semplicità e il coraggio necessari.
Se con l’uso di ambiguità e di contraddizioni si è riusciti a compiere una rivoluzione antropologica verso le più vane fantasie, tanto più si potrà compiere, e con meno sforzo, una più sana rivoluzione antropologica verso la Realtà, giacché è più facile essere semplici che essere complessi.

La dimensione teologico-pastorale della “Caritas in veritate”

Vari i timori che hanno accompagnato la gestazione dell’enciclica: su tutti, la persuasione diffusa e condivisa che i temi sociali non appartenessero alle corde profonde della teologia e della pastorale di Joseph Ratzinger.
Un papa “teologo”: appassionato a questioni di fede e all’affermazione della verità soprattutto ad intra Ecclesiae, solo occasionalmente dedito a questioni ad extra Ecclesiae e soltanto quando si tratti di difendere la possibilità della religione di chiesa nel mondo e nella cultura post-moderni.
1.Carità nella verità: reciproca inclusione di teoria e prassi Invece il primo dato, emergente fin dal titolo, è l’affermazione dell’unità profonda di verità e di carità, di fede creduta e di vita vissuta, di fides quae e di fides qua.
Chi si occupa di teologia pastorale avrà tirato un sospiro di sollievo, ritrovando nella riflessioni introduttive (i nn.
1-7) il filo che trattiene inestricabilmente teoria e prassi, teologia speculativa e teologia pratica.
Su tale filo si regge la teologicità non solo della teologia pastorale ma anche della Dottrina sociale della chiesa, nonchè la loro legittimità, tanto ad intra che ad extra.
Il tema della reciproca inclusione di teoria e di prassi nonchè della loro specificità è giustificato dall’enciclica a partire da un’unità originaria del conoscere, che possiamo qui riassumere come unità di intelligenza e di amore.
Già in Deus caritas est, 10 il papa dimostrava come questo fosse un dato che sporge non solo dall’esperienza umana elementare, ma pure dalla rivelazione cristiana.
Si comprende così perchè la teologia si interessi di tutte le questioni pratiche umane, e dunque anche di quelle sociali.
Che l’azione sia inscritta nella comprensione, è tanto dato originario dell’uomo quanto nota peculiare della Rivelazione cristiana, la cui attestazione non è mai solo informativa, ma sempre performativa: cioè conversione interiore e cambio della vita.
Anche sociale.
2.
La Dottrina sociale ha il suo “luogo” nella Tradizione della fede apostolica “Appartiene da sempre alla verità della fede […] che la Chiesa, essendo a servizio di Dio, è a servizio del mondo in termini di amore e di verità” (n.11).
Tale dato originario è richiamato dal papa attraverso il rapporto che egli stabilisce tra l’enciclica, il Concilio, il magistero sociale precedente e soprattutto la Populorum progressio di Paolo VI (nn.
8-11 e l’intero primo capitolo), omaggiata di un impegnativo riconoscimento: “esprimo la mia convinzione che la Populorum progressio merita di essere considerata come ‘la Rerum novarum’ dell’epoca contemporanea” (n.
8).
Questa unità tra pronunciamenti sociali diversi ma tutti con le medesime radici è spiegata dal papa come sviluppo della Tradizione della fede apostolica (n.
10).
Si tratta di un tema “classico” e in fondo prevedibile in un pontefice che interpreta il Concilio entro l’ermeneutica della continuità.
Ciò che appare se non nuova almeno ribadita con fermezza, è l’uso di una tale ermeneutica per il corpus della Dottrina sociale.
Il che può significare non tanto (come certamente si affanneranno a interpretare – e scrivere – altri, non noi) che al potenziale di emancipazione sociale iscritto nel cristianesimo si vuol mettere la museruola di una riduzione conservatrice, ma che nella chiesa non si è ancora sufficientemente compreso e agito intendendo la Dottrina sociale come “parte integrante della nuova evangelizzazione”.
Dunque come un ambito che non può essere trascurato dalla ordinaria predicazione e dalla pastorale ordinaria delle comunità cristiane.
La Dottrina sociale – nella sua valenza culturale e con la sua pretesa di offrire non solo precetti, ma anche una visione complessiva dell’uomo e della società, coestensiva alla visione cristiana della vita, è un capitolo strutturale del contributo che la fede cristiana può e desidera offrire al superamento della crisi della ragione moderna occidentale, ricollocando l’uomo nella sua costitutiva relazionalità sociale.
3.
Una questione sociale complessa, non solo per via della globalizzazione Tale “crisi antropologica” è in fondo alla base delle molte cose che non vanno anche in economia, politica e sistemi sociali vari (cfr.
n.
34), cosicchè si potrebbe sostenere che la questione sociale oggi viene a coincidere con la “questione antropologica” di ruiniana memoria (cfr.
n.
51).
La carità nella verità vede urgente ricomporre un intero che sia di nuovo l’uomo-non-scisso: in cui, ad esempio, fede e ragione si sostengono e si “allargano” a vicenda, i regni di Dio tornano ad essere uno (e non uno nella mano destra e un altro nella sinistra, come sosteneva Lutero), l’anima e il corpo non si ignorano tra loro, l’individuo sia parte di una società, e più in generale l’uomo non tratti Dio da nemico.
Tali scissioni – per certi versi senz’altro all’origine della modernità, nonchè di quell’esito che è la differenziazione luhmanniana – necessitano di essere risignificate anche nella sfera sociale della vita a partire da un centro.
Questo centro non può essere costitutito da un sottosistema-quale-che-sia (n.34).
La religione cattolica ritiene che dall’incarnazione del Figlio di Dio in poi, un tale centro sia offerto a tutti: in forza dell’unione ipostatica Dio e l’uomo non sono scissi o separati tra loro, così che il papa può sorprendentemente ri-affermare che “l’annuncio di Cristo è il primo e principale fattore di sviluppo” (n.
8; PP n.
16).
Questo sviluppo ‘integrale’ si dà entro un’intelaiatura chel’enciclica tesse tra la questione della vita umana, quella del diritto al vangelo e quella sociale.
Proprio ricalcando il magistero montiniano, Benedetto XVI lega Humanae vitae (HV), Evangelii nuntiandi (EN) e Populorum progressio (PP).
La questione della vita umana (HV), del progresso sociale ed economico (PP) e del diritto al vangelo (EN) si saldano tra loro fondando la dignità inviolabile e l’effettiva possibilità dello sviluppo dei popoli e dei singoli a un livello che non rimanga puramente quello del potere e dell’economia (o del potere dell’economia).
Per quanto affermato fin dall’inizio a proposito del legame tra tra teoria e prassi, risulta chiaro che una certa visione della procreazione umana porta implicito un certo legame o non-legame con il Dio rivelato dal vangelo e dunque un certo modello di rapporti sociali ed economici.
E così via.
Sarà a carico di chi rigetterà l’enciclica esplicitare il proprio apparato teorico a riguardo dell’antropologia e dell’evangelizzazione, implicito in quel rifiuto pratico; e sostenere la congruenza tra la sua posizione e quella espressa da Gesù, così come ci è stata trasmessa finora.
Possibilmente, senza creare nuove scissioni.
4.
Gv 21, 25 a Cioè: “Vi sono ancora molte altre cose…” nell’enciclica che meriterebbero di essere riprese.
Una osservazione si può ancora fare: quanto è bella la chiesa quando non parla solo di se stessa! Quando il sale o il lievito di cui essa dispone vengono immessi dentro la pasta che è la vita del mondo.
Isolare le prese di posizione della Chiesa e trattarle come distillati da laboratorio, senza farli regire con situazioni e contesti concreti, non porta che a un’estenuazione del dato di fede.
A dibattiti che, avvitandosi su se stessi, rendono incomprensibile se non inutile la fede, perchè privata del suo essenziale supposto che è non l’uomo astratto, ma quello reale (cfr.
RH n.
14).
Che pena se la recezione dell’enciclica in Italia si limitasse al dibattito “meglio per la Chiesa lasciar perdere la bioetica e concentrarsi sulle questioni sociali”- come se non esistesse tra loro la connessione di cui sopra! Sarà interessante raccogliere le reazioni e i dibattiti di quanti sono impegnati nella pastorale sociale e nella Caritas, più o meno internationalis: ci aiuteranno a coniugare la carità nella verità? O si perpetueranno – anche qui – le “moderne” scissioni: carità/giustizia, evangelizzazione/promozione umana, impegno sociale/vita spirituale, cittadino/cristiano? ————- *Don Paolo Asolan insegna Teologia Pastorale all’Istituto Pastorale “Redemptor Hominis” della Pontificia Università Lateranense.

Dio o gli dei

GIAMPAOLO CREPALDI , Dio o gli dei.
Dottrina sociale della Chiesa: percorsi, Ediz.
Cantagalli, 2009, ISBN 978-88-8272-440-5.
pp.
192 ,euro 14,50  Benedetto XVI ci sta insegnando che assegnare un posto a Dio nella sfera pubblica è indispensabile perché le energie umane si possano pienamente sviluppare, suscitate dal ”Dio dal volto umano”.
In questa luce, anche la parola della Chiesa e con essa la sua dottrina sociale, acquistano la loro fondamentale importanza.
La Dottrina sociale della Chiesa non è un sapere marginale o residuale.
Essa, come afferma la Deus caritas est, è all’incrocio della fede e della ragione, e interloquisce a pieno titolo con i saperi che presiedono all’organizzazione del mondo.
Ecco l’importante novità di metodo di questo libro.
Vengono affrontati fondamentali problemi dell’età nostra e viene dimostrato sul campo che la Dottrina sociale della Chiesa ha una capacità orientativa insostituibile.

La resurrezione di Gesù

La risurrezione di Gesù dal sepolcro, la terza notte successiva alla sua morte, non ebbe osservatori diretti e pertanto non è descritta nei Vangeli, i quali riferiscono le testimonianze successive.
I punti essenziali su cui tutti e quattro gli evangelisti concordano sono i seguenti: Maria Maddalena e altre donne si recano al sepolcro, all’alba del quarto giorno, per completare l’imbalsamazione del corpo di Gesù; trovano che la pietra con cui i sommi sacerdoti e i farisei l’avevano fatta sigillare per evitare un eventuale trafugamento del cadavere (vedi Matteo 27,62-66) è stata rimossa e il sepolcro è vuoto; infine, Gesù risorto appare a varie riprese, prima alle donne e successivamente ai discepoli.
Ciascuno di questi punti è stato oggetto di una vastissima iconografia, la quale non ha tuttavia rinunciato a fissare la propria attenzione sul momento fondamentale, quello della risurrezione vera e propria, a causa del suo altissimo contenuto religioso e simbolico.
  Poiché, come abbiamo detto, nessuno dei quattro Vangeli descrive il momento preciso in cui Gesù risorto esce dal sepolcro, riportiamo in forma sintetica le versioni dei quattro Vangeli concernenti la rivelazione dell’avvenuta risurrezione.
  dal Vangelo di Matteo Passato il sabato, al sorgere dell’alba Maria Maddalena e «l’altra Maria» (Maria di Cleofa, madre di Giacomo e di Giuseppe) si recano al sepolcro (28,1).
Vi è «un gran terremoto» e appare un angelo dall’aspetto «come la folgore» che fa rotolare via la pietra.
Nel vederlo, la guardie, sconvolte, diventano «come morte» (28,2-4).
L’angelo annuncia alle donne: «So che cercate Gesù crocifisso; non è qui: è risorto», e le invita a comunicare la notizia ai discepoli (28,5-7).
Mentre le donne si recano dai discepoli, Gesù appare loro dicendo «Rallegratevi!» (28,8-10).
  dal Vangelo di Marco Trascorso il sabato, allo spuntar del sole Maria Maddalena, Maria di Giacomo e Maria di Salome si recano al sepolcro per imbalsamare Gesù (16,1-2).
Trovano che la pietra è rotolata via e all’interno vi è un giovane «rivestito di una veste bianca» che annuncia loro la risurrezione di Gesù, invitandole a comunicarlo ai discepoli e «specialmente a Pietro».
Le donne però, prese dalla paura, «non dissero nulla a nessuno» (16,3-8).
Gesù risorto appare allora a Maria Maddalena, a due discepoli e infine a tutti gli Undici (16,9-14).
  dal Vangelo di Luca Il primo giorno della settimana, di buon mattino, Maria di Magdala (Maddalena), Giovanna (moglie di Chuza, amministratore di Erode, discepola di Gesù), Maria di Giacomo e altre donne si recano al sepolcro «portando gli aromi che avevano preparato» (24,1).
Trovano che la pietra è stata rimossa e il sepolcro è vuoto.
Appaiono due uomini «con vesti splendenti» che annunciano loro la resurrezione di Gesù (24,2-8).
Le donne riferiscono la notizia agli Undici, che però si mostrano increduli.
Pietro corre al sepolcro per verificare di persona, ma trova solo le bende che avvolgevano il corpo di Gesù (24,9-12).
  dal Vangelo di Giovanni Mentre è ancora buio, il primo giorno della settimana Maria Maddalena si reca al sepolcro e vede che la pietra è stata rimossa (20,1).
Va subito ad avvisare Pietro e «l’altro discepolo che Gesù amava» (lo stesso Giovanni evangelista), i quali corrono al sepolcro ove rinvengono le bende e il sudario, quindi ritornano a casa (20,2-10).
Maria invece rimane al sepolcro ove le appaiono due angeli e subito dopo lo stesso Gesù (episodio del «Noli me tangere» (20,11-17).

Obama in vaticano

Per preparare la strada all’incontro che avrà con Benedetto XVI in Vaticano nel pomeriggio di venerdì 10 luglio, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha riunito attorno a sè alla Casa Bianca sei giornalisti di altrettante testate cattoliche americane: “Catholic News Service”, “America”, “National Catholic Reporter”, “Catholic Digest”, “National Catholic Register”, “Commonweal”.
In più c’era il reporter religioso del “Washington Post”.
E inoltre, unica giornalista straniera, c’era Elena Molinari per la Radio Vaticana e per “Avvenire”, il quotidiano della conferenza episcopale dell’Italia, il paese che ospita il G8.
L’intervista si è svolta la mattina di giovedì 2 luglio, con domande non preordinate.
Il giorno successivo “Avvenire” l’ha riprodotta quasi integralmente, dandole forte rilievo.
Obama si è detto fiducioso di trovare con il papa una concordia di vedute su temi come la pace in Medio Oriente, la lotta alla povertà, la salvaguardia del clima, la politica dell’immigrazione.
Ma non ha eluso nessuno dei temi – in primo luogo l’aborto – su cui c’è conflitto tra lui e una parte consistente della Chiesa cattolica americana, in testa il cardinale Francis George, presidente della conferenza episcopale e arcivescovo della sua città, Chicago.
Al conflitto aperto tra Obama e un buon terzo dei vescovi degli Stati Uniti si è aggiunta nei mesi scorsi anche un’altra linea di divisione: tra questi vescovi e il Vaticano, da loro giudicato troppo arrendevole nei confronti della politica del nuovo presidente.
Più sotto sono riportati i passaggi dell’intervista che riguardano i temi più controversi, dall’aborto all’omosessualità.
Nelle risposte, Obama porge il ramoscello d’ulivo alla Chiesa, così come aveva già provato a fare il 17 maggio col suo discorso all’università cattolica di Notre Dame.
Ma rimarca anche i punti su cui l’accordo non c’è e non ci sarà.
*** Non c’è però solo Obama che si prepara all’udienza col papa.
Anche il Vaticano suona un suo preludio.
Lo stesso giorno in cui il presidente degli Stati Uniti rilasciava l’intervista ai reporter religiosi, a Roma un’autorevole cardinale pubblicava un commento semplicemente entusiastico ai discorsi tenuti da Obama il 17 maggio all’università di Notre Dame a il 4 giugno all’università di al-Azhar, al Cairo.
Il cardinale è Georges Cottier, 87 anni, svizzero, domenicano, per molti anni in curia come teologo ufficiale della casa pontificia.
Ha pubblicato il suo commento su “30 Giorni”, una rivista cattolica edita in sei lingue molto legata ai circoli diplomatici della curia vaticana e molto attenta alla politica della Chiesa nel mondo, inviata gratuitamente a vescovi e a monasteri di tutto il mondo, diretta dall’ex presidente del consiglio e ministro degli esteri italiano Giulio Andreotti.
Il dotto cardinale trova la visione di Obama fortemente consonante con quella cattolica, a cominciare dalla consapevolezza del peccato originale.
Gli riconosce intendimenti buoni e costruttivi anche sul terreno minato dell’aborto.
Nega che Obama possa essere considerato “abortista”, anzi, gli riconosce la volontà di “fare di tutto affinché il numero di aborti sia il minore possibile”, così come fecero “i primi legislatori cristiani che non abrogarono subito le leggi romane tolleranti verso pratiche non conformi o addirittura contrarie alla legge naturale, come il concubinaggio e la schiavitù”.
Chiama a conforto san Tommaso d’Aquino, secondo il quale “lo Stato non deve mettere delle leggi troppo severe e alte, perché saranno disprezzate dalla gente che non sarà capace di applicarle”.
Plaude a “L’Osservatore Romano” proprio per l’articolo pro-Obama del 19 maggio che aveva fatto infuriare tanti vescovi americani.
Il cardinale Cottier sembra quasi esaltare Obama come un novello Costantino, capo di un moderno impero anch’esso provvido per la Chiesa.
I passaggi del commento di Cottier dedicati alla questione dell’aborto sono riprodotti qui di seguito.
E subito dopo è riportato un estratto dell’intervista di Obama ai reporter religiosi, ricavato principalmente da “Avvenire”, con integrazioni trascritte da altri giornalisti presenti.
Il testo integrale dell’articolo del cardinale Cottier, in “30 Giorni” n.
5, 2009: > La politica, la morale e il peccato originale L’articolo è apparso sinora nelle edizioni italiana e inglese di “30 Giorni”.
Nelle prossime settimane apparirà anche nelle edizioni della rivista in francese, tedesco, spagnolo e portoghese.
__________ L’intervista di Obama nell’ampia trascrizione pubblicata da Elena Molinari su “Avvenire” del 3 luglio 2009: > Obama: con il papa una collaborazione per aiutare il mondo __________ In www.chiesa, i servizi sugli alti e bassi tra Obama e la Chiesa cattolica: > Obama laureato a Notre Dame.
Ma i vescovi gli rifanno l’esame
(26.5.2009) > Angelo o demonio? In Vaticano, Obama è l’uno e l’altro (8.5.2009) 2.
“Difenderò sempre con forza il diritto dei vescovi di criticarmi…” Intervista con Barack Obama D.
– Sul rispetto della vita e sul matrimonio i vescovi cattolici americani hanno espresso critiche e preoccupazioni nei confronti delle sue posizioni.
Come pensa di affrontare tali critiche? O ritiene che finirà con l’ignorarle? R.
– Primo, una forza della nostra democrazia è che ciascuno è libero di esprime le proprie opinioni politiche.
Non ci sarà mai un momento in cui deciderò di ignorare le critiche dei vescovi cattolici, perché sono il presidente di tutti gli americani e non solo di quelli che, per caso, sono d’accordo con me.
Prendo molto seriamente le opinioni delle altre persone e i vescovi americani hanno una profonda influenza sulla Chiesa e anche sulla comunità nazionale.
Vari vescovi sono stati generosi nelle loro opinioni e incoraggianti nei miei confronti, benché rimangano divergenze su alcune questioni.
In questo senso i vescovi americani rappresentano un crocevia di opinioni proprio come avviene in altri gruppi.
Difenderò sempre con forza il diritto dei vescovi di criticarmi, anche con toni appassionati.
E sarei felice di ospitarli qui alla Casa Bianca a parlare dei temi che ci uniscono e di quelli che ci dividono, in una serie di tavole rotonde.
Penso che continueranno ad esserci ambiti in cui concordiamo profondamente e altri nei quali non sarà possibile trovare pieno accordo.
Ciò è sano.
D.
– Lei ha nominato un gruppo di lavoro composto da rappresentanti pro-life e da altri che sostengono il diritto all’aborto, con lo scopo di trovare posizioni comuni.
Quali sono le sue attese realistiche sul risultato dei lavori? R.
– Quel gruppo dovrà fornirmi un rapporto finale entro l’estate e non ho l’illusione che sia in grado, con il solo dibattito, di fare scomparire le differenze.
So che ci sono punti in cui il conflitto non è conciliabile.
Ma posso dirvi che vi sono persone di buona volontà su entrambi i fronti e sarei sorpreso se non si trovassero punti significativi sui quali lavorare insieme.
Fra questi, la necessità di aiutare i giovani a prendere decisioni intelligenti in modo che evitino gravidanze non desiderate, l’importanza di rafforzare l’accesso all’adozione come alternativa all’aborto e il dovere di prendersi cura delle donne incinte e di aiutarle a crescere i loro bambini.
Ci sono invece elementi, come la contraccezione, sui quali le differenze sono profonde.
La mia posizione personale è che si debba coniugare una solida educazione morale e sessuale alla disponibilità di contraccettivi, per prevenire gravidanze indesiderate.
Riconosco che ciò contraddice la dottrina della Chiesa cattolica, quindi non mi aspetto che chi sente fortemente la cosa come materia di fede possa concordare con me su questo, ma questa è la mia opinione personale.
Sarei sorpreso se i sostenitori del diritto all’aborto non fossero d’accordo che bisogna ridurre le circostanze in cui una donna decide di interrompere la gravidanza.
Se essi prendessero questa posizione, io non sarei d’accordo con loro.
Non conosco alcuna circostanza in cui l’aborto sia una decisione felice, e se possiamo aiutare una donna ad evitare di confrontarsi con una situazione nella quale ciò diventi una possibilità, io penso che sia una buona cosa.
Ma di nuovo, questa è la mia opinione.
D.
– Alcuni cattolici lodano il suo contributo nel promuovere temi di giustizia sociale, altri la criticano per le sue posizioni sui temi della vita, dall’aborto alla ricerca sulle cellule staminali embrionali.
Vede ciò come una contraddizione? R.
– Questa tensione del mondo cattolico esisteva ben prima del mio arrivo alla Casa Bianca.
Quando ho cominciato a interessarmi di giustizia sociale, a Chicago, i vescovi cattolici parlavano di immigrazione, nucleare, poveri, politica estera.
Poi, a un certo punto, l’attenzione della Chiesa cattolica si è spostata verso l’aborto e ciò ha avuto il potere di spostare l’opinione del congresso e del paese nella stessa direzione.
Sono temi cui penso molto, ma ora, come non cattolico, non sta a me cercare di risolvere queste tensioni.
Ho visto tuttavia come si possa tentare una conciliazione.
Il cardinale Joseph Bernardin, che ho conosciuto a Chicago, parlava chiaramente ed esplicitamente in difesa della vita.
Ma riteneva questa un “abito senza cuciture” e vi includeva coerentemente una gamma di questioni che erano parte di ciò che egli considerava pro-life e su cui si impegnava, come la lotta alla povertà, la cura dell’infanzia, la pena di morte, la politica estera.
Questa parte della tradizione cattolica è qualcosa che continuamente mi ispira.
E penso che vi sono stati momenti, negli ultimi due decenni, in cui questa tradizione più inclusiva s’è sentita come sepolta sotto il dibattito sull’aborto.
Desidero invece che resti in primo piano nel dibattito nazionale.
D.
– Molte persone, non solo medici, che offrono la propria opera in istituzioni non governative sono molto preoccupate di non poter fare obiezione di coscienza in campi eticamente sensibili.
La posizione della sua amministrazione in merito non è del tutto chiara…
R.
– La mia posizione personale è sempre stata coerente: sono fermamente convinto che debba essere assicurata l’obiezione di coscienza.
Ho difeso una forte obiezione di coscienza nell’Illinois per gli ospedali cattolici e le strutture sanitarie, ne ho discusso con il cardinale Francis George in un recente incontro nello Studio Ovale e l’ho ripetuto durante il mio intervento all’università di Notre Dame.
Capisco che c’è qualcuno che si aspetta sempre il peggio da me, senza che io abbia detto o fatto nulla, ma questo è più un preconcetto che una posizione motivata da una “linea dura” che staremmo cercando di imporre.
Penso che la sola ragione per la quale la mia posizione può apparire non chiara derivi dal fatto che abbiamo cambiato una misura sull’obiezione di coscienza approvata all’ultimo minuto, all’undicesima ora dalla precedente amministrazione e abbiamo deciso di cancellarla perché non era stata ben formulata.
Ma stiamo riesaminando la questione e abbiamo richiesto pareri in merito alla gente, ricevendone centinaia di migliaia.
Posso assicurare che quando questo riesame sarà completato entrerà in vigore una forte obiezione di coscienza.
Essa potrà non andare incontro ai criteri di ogni possibile critica del nostro approccio, ma certamente non sarà più debole di quella che esisteva prima che il cambiamento fosse fatto.
D.
– Come concilia la sua fede cristiana con le promesse fatte durante la campagna elettorale agli omosessuali? R.
– Quanto alla comunità gay e lesbica di questo paese, penso che venga ferita da alcuni insegnamenti della Chiesa cattolica e dalla dottrina cristiana in generale.
Come cristiano, combatto continuamente tra la mia fede e i miei doveri e le mie preoccupazioni nei confronti di gay e lesbiche.
E spesso scopro che c’è molto ardore su entrambi i fronti del dibattito, anche fra chi considero essere ottime persone.
D’altra parte, rimango fermo a quanto ho espresso al Cairo: ogni posizione che liquidi in modo automatico le convinzioni religiose e il credo altrui come intolleranti non capisce il potere della fede e il bene che compie nel mondo.
In ogni caso, come persone di fede dobbiamo esaminare le nostre convinzioni e chiederci se a volte non stiamo causando sofferenza agli altri.
Penso che tutti noi, di qualsiasi fede, dovremmo riconoscere che ci sono state delle volte in cui la religione non è stata messa al servizio del bene.
E sta a noi, penso, compiere una profonda riflessione ed essere disposti a chiederci se stiamo agendo in modo coerente non solo con gli insegnamenti della Chiesa, ma anche con quanto Gesù Cristo, nostro Signore, ci ha chiamati a fare: trattare gli altri come noi vorremmo essere trattati.
1.
“Obama mi ricorda i primi legislatori cristiani…” di Georges Cottier […] Nel suo discorso alla università di Notre Dame, mi ha colpito come Obama non abbia evitato di affrontare la questione più spinosa, quella dell’aborto, sulla quale aveva ricevuto tante critiche anche dai vescovi Usa.
Da una parte tali reazioni sono giustificate: nelle decisioni politiche riguardo all’aborto sono implicati valori non negoziabili.
Per noi è in gioco la difesa della persona, dei suoi diritti inalienabili, di cui il primo è proprio quello alla vita.
Ora nella società pluralistica ci sono differenze radicali su questo punto.
C’è chi, come noi, considera l’aborto un “intrinsece malum”, ci sono quelli che lo accettano, e addirittura alcuni che lo rivendicano come un diritto.
Il presidente non prende mai quest’ultima posizione.
Al contrario, mi sembra che dia dei suggerimenti positivi – lo ha sottolineato anche “L’Osservatore Romano” del 19 maggio –, proponendo pure in questo caso la ricerca di un terreno comune.
In questa ricerca – avverte Obama – nessuno deve censurare le proprie convinzioni, ma al contrario deve sostenerle davanti a tutti e difenderle.
Il suo non è affatto il relativismo malinteso di chi dice che si tratta di opinioni che si oppongono ad altre opinioni, e che tutte le opinioni personali sono incerte e soggettive, e dunque conviene metterle da parte quando si parla di queste cose.
Inoltre, Obama riconosce la gravità tragica del problema.
Che la decisione di abortire “strazia il cuore di ogni donna”.
Il terreno comune che lui propone è questo: lavorare tutti insieme per ridurre il numero delle donne che cercano di abortire.
E aggiunge che ogni regolamentazione legale di questa materia deve garantire in maniera assoluta l’obiezione di coscienza per gli operatori sanitari che non vogliono dare la propria assistenza a pratiche abortive.
Le sue parole vanno nella direzione di diminuire il male.
Il governo e lo Stato devono fare di tutto affinché il numero di aborti sia il minore possibile.
È certo soltanto un “minimum”, ma è un minimum prezioso.
Mi ricorda l’atteggiamento dei primi legislatori cristiani che non abrogarono subito le leggi romane tolleranti verso pratiche non conformi o addirittura contrarie alla legge naturale, come il concubinaggio e la schiavitù.
Il cambiamento avvenne con un cammino lento, segnato tante volte da regressi, man mano che nella popolazione il numero dei cristiani aumentava, e, con loro, l’impatto del senso della dignità della persona.
All’inizio, per garantire il consenso dei cittadini e custodire la pace sociale, vennero mantenute in vigore le cosiddette “leggi imperfette”, che evitavano di perseguire azioni e comportamenti in contrasto con la legge naturale.
Lo stesso san Tommaso, che pure non aveva dubbi sul fatto che la legge deve essere morale, aggiunge che lo Stato non deve mettere delle leggi troppo severe e alte, perché saranno disprezzate dalla gente che non sarà capace di applicarle.
Il realismo dell’uomo politico riconosce il male e lo chiama col suo nome.
Riconosce che occorre essere umili e pazienti, combatterlo senza la pretesa di sradicarlo dalla storia umana attraverso strumenti di coercizione legale.
È la parabola della zizzania, che vale anche a livello politico.
D’altro canto, questo non diventa in lui giustificazione di cinismo o d’indifferentismo.
La tensione a diminuire per quanto possibile il male rimane persistente.
È un obbligo.
Anche la Chiesa ha sempre percepito come lontana e pericolosa l’illusione di eliminare totalmente il male dalla storia per via legale, politica o religiosa.
La storia anche recente è disseminata di disastri prodotti dal fanatismo di chi pretendeva di prosciugare le fonti del male nella storia degli uomini, finendo per trasformare tutto in un grande cimitero.
I regimi comunisti seguivano esattamente questa logica.
Così come il terrorismo religioso, che uccide addirittura in nome di Dio.
E quando un medico abortista viene ucciso da militanti antiaborto – è successo di recente negli USA – occorre ammettere che persino gli slanci ideali più alti, come la sacrosanta difesa del valore assoluto della vita umana, si possono corrompere e trasformarsi nel loro contrario, diventando parole d’ordine a disposizione di un’ideologia aberrante.
I cristiani sono portatori nel mondo di una speranza temporale realista, non di un vano sogno utopico, anche quando testimoniano la propria fedeltà a valori assoluti come la vita.
Santa Gianna Beretta Molla, la dottoressa che muore per aver rifiutato le cure che avrebbero potuto far male alla bambina che portava in seno, con il suo eroismo ordinario e silenzioso tocca i cuori non solo dei cristiani; ricorda a tutti il destino comune cui tendiamo.
È una forma profetica dello stile evangelico della testimonianza cristiana.
Obama, nel suo discorso alla University of Notre Dame, fa proprio su questo aspetto un accenno molto importante.
Racconta di quando fu coinvolto in un progetto di assistenza sociale nei quartieri poveri di Chicago – finanziato da alcune parrocchie cattoliche – a cui partecipavano anche volontari protestanti ed ebrei.
In quell’occasione gli capitò di incontrare persone accoglienti e comprensive.
Vide lo spettacolo delle opere buone alimentate dal Signore tra di loro.
E in questo spettacolo fu “attratto dall’idea di far parte della Chiesa.
È stato attraverso questo servizio”, conclude, “che sono stato condotto a Cristo”.
Fa anche un elogio commovente del grande cardinale Joseph Bernardin, che allora era arcivescovo di Chicago.
Lo definisce “un faro e un crocevia”, amabile nel suo modo di persuadere e nel suo tentativo continuo di “avvicinare le persone e trovare un terreno comune”.
In quell’esperienza, dice Obama, “parole e opere delle persone con le quali ho lavorato nelle parrocchie di Chicago toccarono il mio cuore e la mia mente”.
Lo spettacolo della carità, che viene da Dio, ha la forza di toccare e attirare la mente e i cuori degli uomini.
E questo è l’unico germe di cambiamento reale nella storia degli uomini.
Obama cita anche Martin Luther King, di cui si sente discepolo.
Che solo quarantun anni dopo l’assassinio di King proprio lui sia presidente degli Usa è un segno e una prova dell’efficacia storica della fiducia nella forza della verità.
[…] __________