Il Tar del Lazio su Irc e credito scolastico Sergio Cicatelli In agosto i giornali sono a corto di notizie e allora si lascia spazio volentieri a dibattiti vuoti o polemiche superficiali per riempire in qualche modo le pagine.
C’è chi approfitta di questa situazione trovando facile ospitalità per “notizie” abilmente costruite e destinate a sopravvivere alla propria reale consistenza.
È il caso della sentenza del Tar del Lazio n.
7076, che è esplosa su TV e giornali tra l’11 e il 12 agosto scorsi, con titoli che parlavano di esclusione degli Idr dagli scrutini e interviste inneggianti alla recuperata laicità della scuola.
Chi si è fermato alla lettura dei giornali (o almeno di certi giornali) avrà immaginato un terremoto scolastico; chi ha cercato di documentarsi meglio avrà compreso la reale portata della sentenza e della notizia ad essa collegata.
Vogliamo quindi provare a ricostruire la vicenda, riconducendola entro i suoi effettivi confini giuridici ed evitando di discutere sui massimi sistemi (valore della religione, tradizioni storiche, laicità dello stato e della scuola, ecc.) come hanno fatto tanti degli esperti che, da posizioni diverse, sono intervenuti nei giorni scorsi sull’argomento cadendo nella trappola della polemica precostituita.
Anzitutto, il merito della questione.
Non si parla assolutamente di esclusione degli Idr dagli scrutini ma solo del contributo dell’Irc al credito scolastico negli ultimi tre anni di scuola superiore, in vista dell’esame di stato.
Il Tar del Lazio ha riunito insieme in un’unica trattazione due ricorsi che impugnavano le ordinanze ministeriali del 2007 e 2008 sugli esami di stato (OM 26/07 e OM 30/08), in cui era previsto (art.
8, cc.
13-14) che l’Irc potesse intervenire nella banda di oscillazione del punteggio di credito insieme agli altri fattori previsti dal regolamento d’esame (frequenza, partecipazione al dialogo educativo, attività integrative, crediti formativi extrascolastici).
Sull’OM 26/07 il Tar si era già espresso nel maggio 2007 disponendone la sospensione, ma la sua ordinanza (n.
2408) era stata tempestivamente annullata dal Consiglio di Stato (sez.
VI, decreto presidenziale cautelare n.
2699 del 31-5-2007 e ord.
2920 del 12-6-2007).
Incuranti di quell’annullamento, i ricorrenti – che nel frattempo hanno chiamato a raccolta altri alleati costituendo un cartello di ben 24 associazioni e comunità religiose non cattoliche (con sigle invero talvolta sovrapponibili) – hanno riproposto il medesimo ricorso contro l’ordinanza dell’anno successivo e il Tar ha abbinato inopinatamente la trattazione di entrambi i ricorsi (del resto identici) nella sentenza attuale pur conoscendo già la posizione contraria del superiore Consiglio di Stato.
In secondo luogo, diamo un’occhiata alle date.
La prima udienza pubblica in merito si tiene l’11 febbraio 2009, in singolare coincidenza con l’ottantesimo anniversario del primo Concordato.
La camera di consiglio si svolge il 6 maggio e la sentenza porta la data del 17 luglio.
C’è da chiedersi come mai sia finita sui giornali solo il 12 agosto, ma forse i registi della comunicazione hanno voluto assicurarsi una platea sgombra da altri eventi per ottenere una maggiore risonanza.
Inoltre, non va dimenticato che i ricorsi riguardano le ordinanze del 2007 e del 2008, relative ad anni scolastici che hanno da tempo concluso e perfezionato le loro operazioni; e la sentenza non ha alcuna efficacia sull’anno scolastico ancora in corso, che vedrà concludere nei prossimi giorni gli scrutini lasciati in sospeso a giugno per gli studenti che dovevano recuperare qualche materia.
Ma siamo certi che qualche zelante docente o dirigente non mancherà di sollevare la questione, comunque priva di qualsiasi fondamento giuridico.
Pare che anche contro l’ordinanza di quest’anno (OM 40/09) sia stato fatto ricorso, ma il Tar non si è ancora pronunciato.
Nel frattempo, lo scorso 19 agosto è uscito in Gazzetta Ufficiale l’atteso regolamento della valutazione (DPR 20-6-2009, n.
122), che scioglie ogni dubbio ribadendo che l’Idr partecipa regolarmente all’attribuzione del punteggio per il credito scolastico (art.
6, c.
3).
Infine, è curioso che il Tar del Lazio si sia pronunciato sulla questione dopo aver già respinto (con sentenza n.
7101 del 2000) il medesimo ricorso sull’ordinanza del 1999.
Ma si tratta di sezioni diverse del medesimo Tar: mentre nel 2000 era intervenuta la sezione terza bis del Tar laziale, da qualche anno il solito gruppo di ricorrenti ha trovato un insperato alleato nella sezione terza quater del medesimo Tar, che è già intervenuta in altre occasioni (puntualmente amplificate dalla stampa) su questioni relative alla valutazione dell’Irc.
Il collegio giudicante – composto dal dr.
Mario Di Giuseppe, presidente, e dal dr.
Umberto Realfonzo, relatore, di volta in volta affiancati da un terzo giudice – si era infatti già occupato di valutazione dell’Irc (ordinanze nn.
741-742 del 2006) disponendo la sospensiva della CM 84/05 che all’epoca aveva consentito il rientro dell’Irc in un unico documento di valutazione.
Il Ministero era stato di conseguenza costretto ad emanare le note del 3-2-2006, del 9-2-2006 e del 12-2-2006 con cui si precisava che le istituzioni scolastiche avrebbero prima “potuto” e poi “dovuto” redigere le consuete schede separate di valutazione dell’Irc.
La posizione della sezione terza quater del Tar laziale è facilmente riassumibile nella tesi della natura religiosa e non scolastica dell’Irc, nonostante il Concordato del 1984 lo abbia collocato «nel quadro delle finalità della scuola» e la successiva Intesa del 1985 abbia fissato tutti gli aspetti che ne fanno un insegnamento pienamente scolastico (programmi didattici, libri di testo, percorsi di formazione degli Idr).
Non è forse un caso che spesso, quando non cita formalmente norme costituite, il Tar parli di scelta della “religione cattolica” e non di scelta dell’“insegnamento” della religione cattolica, non volendo – forse inconsciamente – riconoscere valenza scolastica (di insegnamento) a quella che per esso rimane una scelta di fede e una dichiarazione di appartenenza.
I giudici della sezione terza quater, infatti, collocano l’Irc nell’ambito della «tutela di valori di carattere morale, spirituale e/o confessionale» che da un lato legittimano le diverse confessioni religiose a ricorrere e dall’altro riducono le coordinate scolastiche dell’Irc.
Essi sono consapevoli di entrare in contraddizione con i colleghi che nel 2000 si erano invece pronunciati a favore dell’Irc, ma contestano la logica della precedente pronuncia, fondata «su un presupposto logico e giuridico che non può essere condiviso, cioè che l’insegnamento di una religione, qualunque essa sia (sia cattolica che di altri culti), possa essere assimilata a qualsiasi altra attività intellettuale o educativa in senso tecnico del termine», dato che «qualsiasi religione – per sua natura – non è né un’attività culturale, né artistica, né ludica, né un’attività sportiva né un’attività lavorativa ma attiene all’essere più profondo della spiritualità dell’uomo ed a tale stregua va considerata a tutti gli effetti».
Già nelle ordinanze del 2007 la sezione terza quater aveva anticipato in forma sintetica le sue opinioni ritenendo «l’insegnamento della religione come una materia extracurriculare, come è dimostrato dal fatto che il relativo il giudizio – per coloro che se ne avvalgono – non fa parte della pagella ma deve essere comunicato con una separata “speciale nota”»; per altro verso, «sul piano didattico, l’insegnamento della religione non può a nessun titolo, concorrere alla formazione del “credito scolastico” di cui all’art.
11 del D.P.R.
n.
323/1988, per gli esami di maturità, che darebbe postumamente luogo ad una disparità di trattamento con gli studenti che non seguono né l’insegnamento religioso e né usufruiscono di attività sostitutive».
Con simili premesse, è facile ai giudici Di Giuseppe, Realfonzo e Amicuzzi accogliere oggi le ragioni dei ricorrenti, che possono essere sinteticamente riassunte come segue: 1) il divieto di discriminazione fissato dallo stesso Concordato del 1984 come conseguenza della scelta effettuata sull’Irc; 2-a) la disparità di trattamento tra chi si avvale dell’Irc e chi non se ne avvale, 2-b) l’indeterminatezza dei criteri di valutazione del credito scolastico che possono dar luogo ad ulteriori discriminazioni, 2-c) la tardiva pubblicazione delle istruzioni che fissano criteri per la valutazione di attività scelte in precedenza; 3) l’illegittimità costituzionale dell’art.
9 del Concordato stesso per la disparità di trattamento tra le diverse confessioni religiose.
Con atti separati alcuni hanno anche sostenuto che l’attribuzione del credito condizionerebbe la scelta di avvalersi dell’Irc.
È abbastanza facile notare invece che: 1) il divieto di discriminazione, in ragione del principio costituzionale di uguaglianza, non può essere interpretato a senso unico come possibile solo nei confronti di chi non si avvale dell’Irc ma deve valere anche a tutela di coloro che si avvalgono dell’Irc, impedendo che siano posti in difficoltà con il tentativo di rendere inefficace ai fini scolastici la scelta effettuata; 2-a) la scelta sull’Irc inevitabilmente determina una condizione diversa tra chi se ne avvale e chi non se ne avvale (altrimenti non avrebbe senso scegliere) e si deve solo evitare che la diversità diventi discriminazione con l’imposizione di una condizione deteriore (ad entrambe le parti) in ragione di quella scelta; 2-b) i criteri di valutazione sono istituzionalmente affidati alla discrezionalità delle singole scuole a motivo della loro autonomia (DPR 275/99, art.
4, c.
4) e del carattere tecnico della valutazione stessa; 2-c) le ordinanze sugli esami sono sempre state pubblicate in corso d’anno con istruzioni che si ripetono ogni volta per consuetudine consolidata, anche se si deve riconoscere che la sede più appropriata per le disposizioni sull’Irc sarebbe stata il regolamento dell’esame o una sua integrazione; 3) la legittimità costituzionale dell’art.
9 del nuovo Concordato è stata riconosciuta una prima volta dalla Corte costituzionale con la sentenza 203/89 (qui si intravede una nuova fragile contestazione, relativa all’uguaglianza tra confessioni religiose, ma la distinta definizione delle rispettive condizioni negli articoli 7 e 8 della Costituzione dovrebbe sufficientemente convincere circa la legittimità delle soluzioni adottate).
Per evidenti ragioni di spazio dobbiamo sorvolare sulle questioni procedurali e sugli errori tecnici commessi dai giudici.
Su questi ultimi – per non lasciare nel vago l’accusa – ci limitiamo a segnalare che il divieto di voto e di esame viene attribuito, insieme alla scheda separata di valutazione, al Protocollo addizionale del nuovo Concordato mentre è materia normata dall’art.
309 del DLgs 297/94 sulla base di autonome disposizioni risalenti addirittura al 1930; inoltre si sostiene che le ordinanze del 2007 e 2008 si pongono «in palese contraddizione con le precedenti analoghe ordinanze ministeriali», quando invece le norme impugnate risalgono all’OM 128 del 1999 e sono state puntualmente ribadite da tutti i Ministri succedutisi da allora, da Berlinguer a De Mauro, a Moratti e a Fioroni, come dimostra del resto il precedente ricorso risolto dal Tar nel 2000.
Sarebbe inoltre da approfondire l’uso parziale e tendenzioso che i giudici della sezione terza quater fanno delle sentenze della Corte costituzionale, estraendo dal contesto affermazioni incomplete.
Nel 1989, per esempio, la Corte costituzionale si espresse in maniera ambigua, scrivendo che «con l’accordo del 18 febbraio 1984 emerge un carattere peculiare dell’insegnamento di una religione positiva: il potere suscitare, dinanzi a proposte di sostanziale adesione ad una dottrina, problemi di coscienza personale e di educazione familiare, per evitare i quali lo Stato laico chiede agli interessati un atto di libera scelta».
L’Irc non propone assolutamente di aderire ad una fede ma solo di conoscerne correttamente i contenuti, come provano tutti i programmi didattici emanati negli ultimi venticinque anni.
D’altra parte, proprio la Corte costituzionale nella stessa sentenza n.
203 descrive l’Irc come «non implicante una pretesa di adesione diversa o superiore rispetto a quella richiesta per qualsiasi altra materia d’insegnamento».
I giudici della sezione terza quater, invece, sfruttano astutamente l’equivoca espressione della Corte costituzionale per sostenere che, «sul piano giuridico, un insegnamento di carattere etico e religioso, strettamente attinente alla fede individuale, non può assolutamente essere oggetto di una valutazione sul piano del profitto scolastico, proprio per il rischio di valutazioni di valore proporzionalmente ancorate alla misura della fede stessa».
E introducono addirittura il sospetto che la valutazione dell’Irc sia da collegare «alla misura della adesione ai valori dell’insegnamento cattolico impartito» o che il profitto degli avvalentisi più convinti «potrebbe essere condizionato da dubbi teologici sui misteri della propria Fede».
Già solo alla luce di queste sommarie considerazioni risulta facile concludere che la sentenza 7076/09 è solo uno strumento di propaganda ideologica, visto che gli stessi giudici sono intervenuti inutilmente su anni scolastici conclusi e senza che gli interessati abbiano impugnato gli scrutini in cui si sarebbe verificata la supposta disparità di trattamento.
Sull’anno scolastico 2008-09 la sentenza non ha alcuna efficacia, sia perché l’anno è regolamentato dalla specifica OM 40/09 che finora non è stata annullata da alcuna ulteriore disposizione, sia perché è adesso in vigore il regolamento della valutazione (DPR 122/09) che riconosce all’Irc il ruolo di contribuire al credito scolastico.
Inoltre, non è difficile immaginare l’esito del ricorso annunciato dal ministro Gelmini al Consiglio di Stato (e non avrebbero dovuto far fatica ad immaginarlo neanche i giudici della sezione terza quater, visto che l’organo superiore si era già pronunciato in materia).
Ciononostante, la disputa ferragostana sull’Irc è risolta ma non dissolta, perché gli agguerriti ricorrenti non mancheranno di far partire nuovi attacchi alla normativa oggi contenuta nel DPR 122/09 (la Cgil ha da tempo annunciato ricorsi), quanto meno per via dell’incomprensibile distinzione – questa sì discriminante – che il Ministero ha voluto introdurre tra chi frequenta l’Irc e chi frequenta le attività alternative (art.
2, c.
5, e art.
4, c.
1).
D’altra parte, l’obiettivo era quello di riattizzare la polemica sull’Irc rilanciando argomenti e slogan privi di fondamento giuridico ma efficaci su un’opinione pubblica distratta e superficiale.
Come scriveva Beaumarchais: «Calunniate, calunniate.
Qualcosa resterà».
Cultura e Religione: Unità 3

Schema Per introdurci 1.
L’esperienza Elaborazione. Battiato: E ti vengo a cercare – integrazioni degli Autori Stella – Venditti – integrazioni dei collaboratori OF: L’alunno apprende ad interpretare nelle suggestioni che gli vengono dalla natura o nelle intuizioni che attraversano la propria esistenza una presenza misteriosa che le alimenta.
2.
L’intepretazione Cielo: Eliade Notte stellata: Van Gog – integrazioni degli Autori Stonehenge – integrazioni dei collaboratori 3.
Suggestioni per un progetto Vado in cerca di Dio: Slamo 42 Per un bilancio – integrazioni degli Autori Salmo 92 Il Signore rende stabile il mondo – integrazioni dei collaboratori 4.
Inserisci un tuo commento Nel riquadro in fondo: Osservazioni, suggerimenti, critiche all’elaborazione proposta Per scaricare l’intera Unità.
UdA 3 Schema Per introdurci 1.
L’esperienza Elaborazione. Battiato: E ti vengo a cercare – integrazioni degli Autori Stella – Venditti – integrazioni dei collaboratori OF 2.
L’intepretazione Cielo: Eliade Notte stellata: Van Gog – integrazioni degli Autori Stonehenge – integrazioni dei collaboratori 3.
Il progetto Vado in cerca di Dio: Slamo 42 Per un bilancio – integrazioni degli Autori Salmo 92 Il Signore rende stabile il mondo – integrazioni dei collaboratori 4.
Integrazioni proposte nel testo – integrazioni degli Autori – integrazioni dei collaboratori 5.
Osservazioni, suggerimenti, critiche all’elaborazione proposta Per scaricare l’intera Unità: > > > more UD volto per Dio
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“Siamo il popolo della Bibbia. Qui siamo tornati a casa”.

“Il nostro compito è costruire piccoli paradisi” di Giulio Meotti “Siamo tornati a casa”, proclama il cartello all’ingresso di Givat Assaf, un avamposto israeliano che prende il nome da un colono ebreo ucciso dai palestinesi.
Il leader della comunità, Benny Gal, spiega così la loro presenza: “In questo punto preciso, 3.800 anni fa, la terra d’Israele fu promessa al popolo ebraico.
Se ci portano via di qui, in pericolo sarà l’aeroporto internazionale Ben Gurion”.
Givat Assaf è uno dei capisaldi della “Hilltop Youth”, la gioventù delle colline, la seconda generazione di coloni che sta organizzando la resistenza all’evacuazione degli insediamenti giudicati illegali, i cosiddetti “outpost”, al centro delle trattative fra il primo ministro israeliano Netanyahu e l’amministrazione Obama.
Per questi giovani il risorgimento ebraico passa, come all’inizio del Novecento, dal confronto gomito a gomito con gli arabi.
Le regole del processo di pace non sembrano scalfirli.
I soldati israeliani, quelli con cui i coloni condividono brigate e divisa, devono trascinarli via a forza quando da Gerusalemme arriva l’ordine di evacuazione.
Chi resta, vive palmo a palmo con la morte.
Lo scorso aprile uno di questi giovani è stato ucciso a colpi di ascia.
In caso di conflitto non conta la legge dello Stato, ma quella del Signore.
È come la frontiera americana dell’epopea western.
Guai a pensare che sia un fenomeno di estrema destra, categoria priva di senso in Israele.
Con Ariel Sharon primo ministro sono nati 44 avamposti.
Altri 39, secondo i dati di Peace Now, furono edificati sotto Rabin, Peres e Barak, i protagonisti dei negoziati di Oslo.
Gli esecutivi laburisti non hanno fatto quasi nulla per impedire che gli avamposti si moltiplicassero.
Israele non li considera enclave ribelli, almeno a giudicare dalle cospicue forze di sicurezza messe a loro protezione.
Alcuni hanno strade pavimentate, fermate degli autobus, sinagoghe, perfino campi sportivi.
Si va dal semplice container piazzato in cima a una collina o qualche fila di baracche, sino a veri e propri insediamenti realizzati con prefabbricati tipo post terremoto.
Per la preghiera del sabato serve un minyam, il quorum necessario di dieci uomini.
Basta questo per fare un outpost.
Così si trovano dieci famiglie di peruviani convertiti all’ebraismo in un avamposto appena fuori l’insediamento di Efrat, tra Betlemme e Hebron.
David Ha’ivri, originario di Long Island, è uno dei leader della gioventù delle colline e vive con moglie e figli a Kfar Tapuach.
Il villaggio è celebre per il miele che vi si produce, ma soprattutto per essere citato nella Bibbia, nel capitolo 12 del libro di Giosuè.
È una delle trenta città conquistate dagli ebrei al loro arrivo migliaia di anni fa.
Oggi è uno degli insediamenti di punta della Cisgiordania, che i coloni chiamano con i nomi biblici di Giudea e Samaria.
Della “Hilltop Youth” fanno parte giovani nati e cresciuti nelle colonie, che hanno deciso di abbandonare il tetto paterno nei grandi conglomerati per andare ad annidarsi in cima alle colline.
Pregano in sinagoghe spesso fatte di terracotta.
Si costruiscono la casa con le proprie mani, sono single o appena sposati, da pochissimo genitori.
Si ritengono la nuova avanguardia dei coloni.
Il loro motto è: “Costruiamo e il permesso arriverà”.
Vivono a un tiro di schioppo dagli arabi.
Si muovono a cavallo o con un asino.
È una nuova generazione imbevuta di un nazionalismo mistico che si coniuga al pionierismo e all’ascetismo, rigetta il consumismo delle grandi città sulla costa e vive di ideologia e ardore.
Le donne indossano il mitpahat, l’equivalente ebraico, meno avvolgente e più delicato, del chador islamico.
Gli uomini hanno capigliature al vento, lunghi riccioli laterali e camicie a quadri.
“Sono giovani che incarnano l’ideologia della Torah e l’autosacrificio”, ci spiega Ha’ivri.
“La salvezza di Israele e del popolo ebraico non può venire da politicanti che pensano che la battaglia per la terra sia un gioco tattico.
Dieci anni fa abbiamo iniziato a creare avamposti.
Sono giovanissime coppie che hanno deciso di essere pionieri come i genitori, credono nel sionismo, sono idealisti, pronti a lasciare ogni esistenza confortevole nelle grandi città o nelle grandi colonie.
Vogliono essere autosufficienti, con tutti i limiti che questo comporta”.
Shani Simkovitz dirige la Gush Etzion Foundation.
È americana e ha cinque figli.
“Questa è terra contesa, da patteggiare, non terra occupata”, spiega.
“Più di tremila anni fa i nostri padri ci hanno dato una terra, che non è Roma, non è New York, ma questa: la terra ebraica.
Ci hanno mandato qui a costruire, a coltivare, a vivere, ci hanno sostenuto sempre, soprattutto Rabin, Peres e gli altri laburisti.
Fino a oggi.
I miei figli sono nati qui, ma non c’è più terra legale su cui costruire, il governo da tempo non concede più permessi per una casa, per questo nascono gli outpost.
Gli avamposti sono estensioni delle comunità esistenti.
Ma lo stesso avviene a Gerusalemme, dove migliaia di israeliani abitano al di là della Linea Verde”.
Un altro leader delle colline vive in un agglomerato di roulotte abbarbicate sul monte Artis, chiamato Pisgat Yaakov, che significa la collina di Giacobbe.
Un luogo isolato d’inverno, tanto lì nevica.
Tra queste trenta famiglie c’è Yishai Fleischer, il fondatore di Kumah, un’organizzazione che promuove alyah, cioè immigrazione di ebrei in Israele, e conduce un programma radiofonico di grande successo.
“Abbiamo una vita idilliaca e naturalistica, è una regione bellissima, in mezzo alle montagne”, ci dice Yishai.
“I nostri padri hanno camminato qui tremila anni fa, siamo un po’ come i nuovi hippy.
Lavoriamo la terra.
C’è molta musica, religione, è una vita felice.
Preghiamo, meditiamo, conduciamo un’esistenza spirituale.
Siamo il popolo aborigeno.
Ero a New York, da studente credevo nel sionismo e decisi che questo era il posto dove avrei dovuto vivere.
Abbiamo quello che ci serve.
Ci sentiamo pionieri, siamo dei veri sionisti.
Molti miei amici sono religiosissimi e lavorano nel settore high tech.
I nostri figli crescono con valori autentici”.
È una vita, ammette Yishai, molto pericolosa.
“Giro armato, odio le pistole, non significa che debba usarle, ma devo proteggere la mia famiglia.
Il nostro villaggio è citato più volte nella Bibbia, per questo attrae molte persone.
Lei vive a Roma, una città sacra per il suo popolo, il mio è nato e cresciuto in Israele.
Qui senti di essere parte della terra e del cielo.
Siamo cresciuti sapendo che il prossimo passo sarebbe stato il nostro”.
Yishai sa bene che i coloni non sono amati dagli israeliani che vivono sulla costa.
“Siamo isolati nell’opinione pubblica, ma lavoriamo ogni giorno per migliorare.
Oggi il nazionalismo non è “cool”, non è politicamente corretto.
Non mi aspetto di conquistare i cuori delle persone che non vivono qui.
È semplice: questa è la nostra terra.
Secondo le norme internazionali, secondo la Bibbia, secondo la storia.
Viviamo in tempi eccitanti in cui il popolo ebraico torna a casa.
Quando ci svegliamo la mattina non pensiamo alla pace, ma a condurre una vita felice, dignitosa e piena di amore.
Dobbiamo essere vigili, ci sono persone qui che vogliono ucciderci in quanto ebrei.
Hanno la stessa ideologia dei nazisti.
Gli europei non si sono interessati alla sorte degli ebrei sessant’anni fa, e allora stiano lontani da noi oggi.
Sappiamo perché siamo qui, abbiamo una missione che portiamo avanti tutti i giorni.
Il nostro posto è qui”.
David Ha’ivri descrive così i giovani delle colline: “Molti sono contadini o pastori, ci sono studenti, tutti pionieri che vivono in zone desertiche, vuote, senza abitanti, non ci sono palestinesi cui venga sottratto alcunché, i coloni piantano alberi, coltivano la terra, portano acqua, cibo, elettricità.
Nei grandi insediamenti la sicurezza è ben organizzata, ma in queste comunità di poche famiglie il peso della sicurezza è enorme.
La seconda generazione è molto più attaccata alla terra della prima, sono nati qui, il loro sangue viene da qui.
Sono persino più religiosi dei padri”.
Molti di questi avamposti sono stati creati negli anni proprio lì dove i palestinesi avevano ammazzato un colono.
Come Itay Zar, che oggi vive in un outpost intitolato al fratello ucciso.
Venti famiglie, una dozzina di scatole di metallo, quaranta bambini e un maneggio per cavalli.
“Non siamo venuti qui per divertirci.
C’era il deserto, oggi la terra fiorisce”.
Il leader spirituale dell’outpost, Ariel Lipo, dice che il loro compito è costruire “piccoli paradisi”.
Maoz Esther, sette baracche di lamiera e cinque famiglie, non lontano da Ramallah, è il primo avamposto preso di mira da Netanyahu da quando è salito al potere.
È già stato rimosso tre volte.
E per tre volte ricostruito.
L’ultima pochi giorni fa.
Il leader della comunità, Avraham Sandack, è arrivato su questa altura direttamente da una delle colonie smantellate a Gaza da Ariel Sharon.
Studia per diventare rabbino e intanto fa le pulizie in una sinagoga.
“Il nostro spirito è lo stesso dei nostri padri”, ci dice Avraham.
“Due anni fa era la festa di Hanukkah, siamo partiti da un insediamento vicino e abbiamo costruito una casa di pietra.
Una mamma con tre figlie piccole si è trasferita da sola per due mesi sulla collina.
Non avevano elettricità né acqua.
Ma sapevano di appartenere alla terra d’Israele.
Nella Bibbia si parla di questa terra per la profezia del regno di Dio.
Ci dà forza per andare avanti.
Ieri abbiamo iniziato a ricostruire quello che l’esercito ha distrutto.
Qui riusciamo a essere equi con la nostra anima.
Qui c’è qualcosa di metafisico.
Dio non è in cielo o da qualche parte.
Dio è parte di noi, è in tutta la nostra vita”.
Sono i figli e i nipoti dei primi coloni inviati dai governi israeliani a “far fiorire il deserto” nei territori contesi dopo la guerra dei sei giorni del 1967.
Bibbia in mano e fucile in spalla, tanti bambini, vita di sacrifici, un’anima nazionalista e una religiosa.
Nell’insieme, i coloni sono circa trecentomila, e il presidente americano Barack Obama, nel discorso del Cairo, li ha indicati come l’ostacolo principale sulla via di quella pace tra “due popoli e due Stati” che è anche l’obiettivo della politica vaticana.
Per tre quarti di loro l’ostacolo non appare insormontabile.
Vivono non lontano dalla Linea Verde del vecchio armistizio tra Israele e Giordania, a est di Gerusalemme, nei grandi insediamenti di Ariel, Gush Etzion, Ma’aleh Adumim, Givat Zeev, Latrun, che non coprono più del cinque per cento dei territori contesi, trattabili.
Ma poi ci sono gli altri.
I cinquantamila che vivono in piccoli o piccolissimi insediamenti di poche centinaia o decine di abitanti.
Oppure negli outpost, gli avamposti.
Gli avamposti, nei luoghi più impervi e sperduti, sono la nuova realtà degli insediamenti.
Se ne contano ormai un centinaio.
Si sono moltiplicati in questi ultimi anni, assieme alla Hilltop Youth, alla “gioventù delle colline”, la nuova generazione dei coloni.
Gli outpost sono tutti illegali.
I giovani li costruiscono e l’esercito israeliano li sgombera.
Ma sempre ne risorgono di nuovi.
Chi sono questi giovani delle colline? Come vivono? Quale visione biblica li muove? Perché si avventurano lì? Accetteranno di lasciare? Il reportage che segue risponde a queste domande.
Ne è autore Giulio Meotti, già noto ai lettori di www.chiesa per un’inchiesta choc su Rotterdam islamizzata che ha fatto il giro del mondo in più lingue.
L’articolo è apparso l’8 agosto 2009 sul quotidiano “il Foglio”, con un seguito sullo stesso giornale il 13 agosto.
In settembre uscirà un libro-inchiesta di Meotti su Israele.
La conoscenza è sempre un avvenimento

«La conoscenza è sempre un avvenimento»: questo il tema che darà il titolo alla trentesima edizione del Meeting per l’amicizia fra i popoli.
Lungi dal voler proporre un inaccessibile discorso per addetti ai lavori, parleremo innanzitutto dell’uomo e del suo rapporto con il mondo.
In un clima generale di preoccupante incertezza e diffusa sfiducia verso il futuro, avvertiamo l’urgenza di riporre al centro del dibattito la dinamica attraverso cui l’uomo conosce il reale.
Per fare questo occorre capire se la conoscenza sia riducibile ad un’interpretazione arbitraria, ad una “costruzione” del soggetto, se debba essere intesa nell’esclusivo senso della – presunta “obbiettiva” – conoscenza scientifica, oppure se essa non sia piuttosto «un incontro tra una energia umana e una presenza» e dunque sempre un avvenimento, che accade in modalità e figure diverse tra loro e comporta costitutivamente un elemento irriducibile di alterità.
Alain Finkielkraut afferma: «Un avvenimento è qualcosa che irrompe dall’esterno.
Un qualcosa di imprevisto.
È questo il metodo supremo della conoscenza.
Bisogna ridare all’avvenimento la sua dimensione ontologica di nuovo inizio.
È un’irruzione del nuovo che rompe gli ingranaggi, che mette in moto un processo».
Alla base di ogni percorso di conoscenza, anche o soprattutto scientifica, vi è l’imbattersi in qualcosa di nuovo, che prima non era entrato nel raggio dell’esperienza o semplicemente non veniva considerato.
Ciò fa sì che la conoscenza sia sempre in movimento e quindi sempre perfettibile.
Ma il nuovo che irrompe e innesca o rilancia la dinamica del conoscere non è solo qualcosa, è anche – e necessariamente – qualcuno: è ciò che chiamiamo testimone.
Senza la mediazione di testimoni non vi sarebbe sviluppo della conoscenza e non vi sarebbero civiltà e cultura, non vi sarebbe storia.
Più radicalmente: è la testimonianza dell’altro, quando si tratta di un’umanità diversa, pienamente corrispondente alle attese costitutive dell’uomo, che rende evidente, “conoscibile”, il senso del vivere.
Ragione e affettività sono profondamente unite nella dinamica della conoscenza: senza affezione, cioè senza un moto di adesione sincera e interessata verso il reale, la ragione non può conoscere.
Come afferma Jean-Luc Marion, «l’amore è una parte centrale della razionalità».
Gli appuntamenti del Meeting saranno l’occasione per incontrare testimoni per i quali la vita continua ad essere l’avventura di una conoscenza sempre nuova proprio perchè avvenimento.
http://www.meetingrimini.org/
Cultura e Religione: Unità 4

Schema Per introdurci 1.
L’esperienza di riferimento Elaborazione – Integrazioni degli autori – Integrazioni dei collaboratori OF: Lo studente viene introdotto alla comprensione del come e del perché è nata la Bibbia ebraica e cristiana. 2.
L’interpretazione Elaborazione La Bibbia ebraico cristiana Dalla vita al libro Gli eventi fondanti La formazione della Bibbia La composizione della Bibbia dell’A.T. – Integrazioni degli autori – Integrazioni dei collaboratori 3.
Per un bilancio Elaborazione – Integrazioni degli autori – Integrazioni dei collaboratori 4.
Inserisci un tuo commento Osservazioni, suggerimenti, critiche all’elaborazione proposta Per la consultazione dell’intera Unità UdA 4
La sentenza del TAR del Lazio e e gli insegnanti di religione

Sentenza TAR Lazio n.
7076 del 17-7-2009 Repubblica Italiana In nome del popolo italiano Il Tribunale Amministrativo Regionale del LAZIO, Sez.III-quater ANNO 2009 composto da dr.
Mario di Giuseppe (Presidente) dr.
Antonio Amicuzzi (Consigliere) dr.
Umberto Realfonzo (Consigliere-rel.) ha pronunciato la seguente SENTENZA sui ricorsi qui riuniti rispettivamente: RG.
n.
4297/2007 presentato da CONSULTA ROMANA PER LA LAICITA’ DELLE ISTITUZIONI ALLEANZA EVANGELICA ITALIANA ASS.
XXXI OTTOBRE PER UNA SCUOLA LAICA E PLURALISTA ASSOCIAZIONE NAZIONALE DEL LIBERO PENSIERO GIORDANO BRUNO ASSOCIAZIONE PER LA SCUOLA DELLA REPUBBLICA ASSOCIAZIONE SCUOLA UNIVERSITA’ RICERCA ASSUR BAGNI FILIPPO CRIDES CENTRO ROMANO INIZIATIVA DIFESA DIRITTI NELLA SCUOLA FEDERAZIONE DELLE CHIESE EVANGELICHE IN ITALIA DEMOCRAZIA LAICA UNIONE ITALIANA DELLE CHIESE CRISTIANE AVVENTISTE 7^ GIORNO UNIONE CRISTIANA EVANGELICA BATTISTA D’ITALIA UAAR UNIONE DEGLI ATEI E DEGLI AGNOSTICI RAZIONALISTI TAVOLA VALDESE SEGRE RUBEN FEDERAZIONE DELLE CHIESE PENTECOSTALI CONSULTA TORINESE PER LA LAICITA’ DELLE ISTITUZIONI CHIESA EVANGELICA LUTERANA IN ITALIA CIDI CENTRO DI INIZIATIVA DEMOCRATICA DEGLI INSEGNANTI COMITATO BOLOGNESE SCUOLA E COSTITUZIONE COMITATO INSEGNANTI EVANGELICI ITALIANI (CIEI) COMITATO TORINESE PER LA LAICITA’ DELLA SCUOLA in persona dei rispettivi rappresentanti legali, tutti rappresentati e difesi dagli avvocati Fausto Buccellato e Massimo Luciani, ed elettivamente domiciliata presso lo studio del primo in Roma in viale Angelico, n.
45; CONTRO – la PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, nella persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura dello Stato; – il MINISTERO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE nella persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato e nei confronti – della Conferenza Episcopale Italiana, non costituitasi in giudizio; – di Ragazzi Lorenzo, non costituitosi in giudizio; con l’intervento ad adjuvandum – dell’UCEI -in persona dei rispettivi rappresentanti legali costituitisi in giudizio con gli Avvocati Buccellato Fausto e Luciani Massimo; – del M.C.E.
in persona dei rispettivi rappresentanti legali costituitisi in giudizio con gli Avvocati Buccellato Fausto e Luciani Massimo; — dell’ORGANIZZAZIONE SINDACALE – COBAS SCUOLA in persona dell’Avv.
Salerni Arturo; e con l’intervento ad opponendum del Sindacato Nazionale Autonomo degli Insegnanti di Religione (SNADIR); del professor Ruscia Orazio e della professoressa Scivoletto Marisa rappresentati difesi dagli avvocati Nastasi Giuseppe, La Rocca Tavana Laura; per l’annullamento dell’ORDINANZA MINISTERIALE n.
26/07 PROT.
n..
2578 recante “ISTRUZIONI E MODALITA’ PER LO SVOLGIMENTO DEGLI ESAMI DI STATO NELLE SCUOLE STATALI E NON STATALI – A.S.
2006/07” e — RG n.
5712/2008 proposto da: CONSULTA ROMANA PER LA LAICITA’ DELLE ISTITUZIONI ASS NAZ LIBERO PENSIERO “GIORDANO BRUNO” ASS COMITATO BOLOGNESE SCUOLA E COSTITUZIONE ASS NAZIONALE EVANGELICA ITALIANA ASS NAZIONALE PER LA SCUOLA DELLA REPUBBLICA ASS.
“XXXI OTTOBRE PER UNA SCUOLA LAICA E PLURALISTA (promossa dagli Evangelici Italiani); ASSOCIAZIONE SCUOLA UNIVERSITA’ RICERCA “AS.SUR” CRIDES-CENTRO ROMANO INIZIATIVA DIFESA DIRITTI NELLA SCUOLA FEDERAZIONE CHIESE PENTECOSTALI DEMOCRAZIA LAICA UNIONE DELLE COMUNITA’ EBRAICHE ITALIANE UNIONE CRISTINA EVANGELICA BATTISTA D’ITALIA UAAR- UNIONE DEGLI ATEI E DEGLI AGNOSTICI RAZIONALISTI TAVOLA VALDESE TASSINARI ARIANNA MCE – MOVIMENTO COOPERAZIONE EDUCATIVA FUSAROLI ALESSANDRO FNISM – FEDERAZIONE NAZIONALE INSEGNANTI UNIONE ITALIANA CHIESE CRISTIANE AVVENTISTE 7^ GIORNO FEDERAZIONE DELLE CHIESE EVANGELICHE IN ITALIA CONSULTA TORINESE LAICITA’ DELLE ISTITUZIONI CGD – COORDINAMENTO GENITORI DEMOCRATICI CHIESA EVANGELICA LUTERANA IN ITALIA CIDI – CENTRO DI INIZIATIVA DEMOCRATICA INSEGNANTI COMITATO INSEGNANTI EVANGELICI ITALIANI (CIEI) COMITATO TORINESE PER LA LAICITA’ DELLA SCUOLA In persona dei rispettivi rappresentati legali, tutti rappresentati e difesi dagli avvocati Fausto Buccellato e Massimo Luciani, ed elettivamente domiciliati presso lo studio del primo in Roma in viale Angelico, n.
45; contro – il Ministero della Pubblica Istruzione, in persona del Ministro pro tempore, costituitosi in giudizio tramite l’Avvocatura dello Stato; – la Presidenza del Consiglio dei Ministri, nella persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura dello Stato; e nei confronti di – la Conferenza Episcopale Italiana, rappresentata e difesa dagli avvocati Alessandro Gigli e Franco Gaetano Scoca con domicilio eletto in Roma,v.
G.
Paisiello, 55; — VITI LUDOVICA, non costituitasi in giudizio per l’annullamento dell’Ordinanza Ministeriale n.
30/08 prot.
2724 recante “Istruzioni e Modalita’ per lo svolgimento degli Esami di Stato” Visto il ricorso con i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione delle Amministrazioni intimate; Visti gli atti tutti della causa; Nominato relatore alla Pubblica Udienza dell’11 febbraio 2009, il Consigliere Umberto Realfonzo; e uditi gli avvocati di cui al verbale d’udienza.
Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue: FATTO I.
Con il primo ricorso di cui in epigrafe, la Consulta Romana per la Laicita’ delle Istituzioni; altre associazioni laiche e atee; altre istituzioni cristiane; ed alcuni studenti iscritti all’ultimo anno di istruzione superiore che avevano scelto di non avvalersi né della religione cattolica, né di insegnamenti sostitutivi chiedono l’annullamento delle ordinanze relativa alla disciplina dell’attribuzione dei crediti scolastici per gli esami di maturita’ per l’anno scolastico 2006-2007 nella parte in cui si prevede: — che i docenti che svolgono insegnamento della religione cattolica partecipino a pieno titolo alle deliberazioni del consiglio di classe concernente l’attribuzione del credito scolastico agli alunni che si avvalgono di tale insegnamento; che analoga posizione completa, sia riconosciuta in sede di attribuzione del credito scolastico ai docenti delle attivita’ didattiche formative alternative all’insegnamento della religione cattolica, limitatamente agli alunni che abbiano seguito le attivita’ medesime (all’art.
8, punto 13); — che l’attribuzione al punteggio, nell’ambito della banda di oscillazione, tenga conto, oltre che degli elementi con l’articolo 14 comma 2 del d.p.r.
323 del 23 luglio 1998, del giudizio formulato dai docenti di cui al precedente comma 13 riguardante l’interesse col quale autunno ha seguito l’insegnamento della religione cattolica ed il profitto che ne ha tratto; ovvero le altre attivita’, ivi compreso lo studio individuale, che si sia tradotto in un arricchimento culturale disciplinare specifico, purché certificato valutato alla scuola secondo modalita’ deliberate dalla istituzione medesima; — che gli alunni che abbiano scelto di assentarsi dalla scuola per partecipare alle iniziative formative in ambito scolastico potessero far valere tali attivita’ esclusivamente come crediti formativi soltanto in presenza dei requisiti previsti dal D.
M.
49 del 24 febbraio 2000 (art.
8, punto 14).
Le parti ricorrenti, premessa una puntualizzazione dei rispettivi profili di legittimazione direttamente connessi ai loro interessi ovvero collegabili alle rispettive finalita’ statutarie ed associative, denunciano tre rubriche di gravame.
In particolare i ricorrenti lamentano: a.
Con il primo motivo si assume la violazione dell’articolo 11 delle disposizioni preliminari del codice civile, all’articolo 9 della legge n.
121 del 1985; all’articolo unico del d.p.r.
202 del 1990 all’articolo 309 del decreto legislativo 297/1994.
Il provvedimento impugnato si porrebbe in contrasto con la lettera c) dell’articolo 9 della legge 121 del 1985, per cui l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non puo’ “dar luogo ad alcuna forma di discriminazione”.
b.
Con il secondo motivo di gravame si lamenta sotto tre profili l’eccesso di potere per disparita’ di trattamento; violazione del principio di ragionevolezza e del principio di certezza giuridica del principio dell’affidamento e del divieto di retroattivita’ degli atti amministrativi in quanto: — adotta diversa criteri di valutazione per l’attribuzione del credito scolastico che svantaggiano nel profitto chi non la sceglie (primo profilo); — l’articolo 8, comma 14, della ordinanza impugnata prevede criteri del tutto indeterminati per l’eventuale valutazione, quali crediti formativi, delle attivita’ svolte dagli studenti che non si siano avvalsi dell’insegnamento della religione cattolica, né di attivita’ sostitutive; e che sono lasciati all’ampia discrezionalita’ di ciascun istituto scolastico con i rischi di ulteriori discriminazioni (secondo profilo in realta’ rubricato al punto 2.1.); — irragionevolmente le disposizioni censurate che avrebbero preteso, alla fine dell’anno scolastico, di fissare i criteri per la valutazione delle attivita’ che erano gia’ state compiute durante l’anno scolastico passato.
Si discriminerebbe cosi’ retroattivamente gli studenti che avevano scelto liberamente di non valersi della religione cattolica, non immaginando che la penalizzazione conseguente sotto il profilo del merito scolastico.
La retroattivita’ cosiddetta impropria (ex Cassazione Sezioni Unite 1 aprile 1993 n.
3888) — incidendo su di un rapporto in essere in ragione di un fatto passato – avrebbe alterato la disciplina conosciuta dagli interessati e sulla quale essi facevano legittimo affidamento – in violazione del principio dell’affidamento del cittadino sulla situazione giuridica e sulla certezza del diritto piu’ volte ricordato dalla Corte Costituzionale a partire dalla sentenza numero 349/1985 (terzo profilo in realta’ rubricato al punto 2.2.).
c.
In via subordinata i ricorrenti deducono l’illegittimita’ costituzionale dell’articolo 9 della legge n.
121 del 1985; dell’articolo unico del d.p.r.
202 del 1990;dell’articolo 309 del decreto legislativo 297/1994 laddove interpretate nel senso del provvedimento impugnato per violazione degli articoli 3,2,7,8 e 21 della Costituzione per l’inaccettabile compressione del principio di parita’ fra confessioni religiose e del diritto di libera manifestazione del pensiero.
I ricorrenti concludono per l’accoglimento del ricorso e l’annullamento dell’ordinanza ministeriale impugnata.
Si e’ costituito in giudizio il Ministro dell’Istruzione, Universita’ e della Ricerca, che con memoria, in linea preliminare, ha eccepito l’inammissibilita’ del ricorso per la carenza di interesse a ricorrere da parte dei ricorrenti.
Nel merito la Difesa Erariale ha sottolineato l’infondatezza del gravame richiamando il precedente della Corte Costituzionale n.
203/2000 e quello del Tar del Lazio (n.
7101/2000); e rilevando altresi’ che: — l’ordinanza sarebbe una mera proiezione del precetto di cui all’articolo 11 del d.p.r.
n.
323/1998; — che la religione cattolica, al pari delle altre attivita’ alternative, concorre alla determinazione del credito scolastico necessario che non e’ limitato alla considerazione del mero rendimento dell’alunno ma che invece considera la personalita’ umana nel suo complesso ed in tutte le sue manifestazioni.
Sono intervenuti ad adjuvandum con separati atti: il Movimento di cooperazione educativa, la Federazione Nazionale Insegnanti Scuola, e l’Unione degli Studenti, il Coordinamento Genitori Democratici; e l’Unione delle Comunita’ Ebraiche Italiane, rappresentativo della Confessione Ebraica nei rapporti con lo Stato italiano, lamentando che l’attribuzione del credito scolastico condizionerebbe la scelta di avvalersi o meno della religione cattolica, che per tale via non sarebbe cosi’ piu’ realmente libera.
L’ordinanza del 23 maggio 2007 n.2408/2007 con cui e’ stata accolta l’istanza di sospensione cautelare del provvedimento e’ stata riformata dal Consiglio di Stato con ordinanza n.
2920 del 12 giugno 2007 in considerazione della ritenuta inconsistenza giuridica del ricorso; della carenza di danno e del difetto di interesse delle parti.
II.
Con il secondo ricorso la medesima Consulta Romana per la Laicita’ delle Istituzioni; ed i rappresentanti delle altre istituzioni ad associazioni laiche, atee e cristiane ed alcuni studenti iscritti all’ultimo anno di istruzione superiore che avevano scelto di non avvalersi della religione cattolica, né di insegnamenti sostitutivi (tutti meglio indicati in epigrafe) chiedono l’annullamento dell’ordinanza relativa alla disciplina degli esami di maturita’ per l’anno scolastico 2007-2008 nella parte in cui si riproducono le stesse identiche disposizioni dell’ordinanza dell’anno precedente impugnata con il ricorso che precede.
Il ricorso e’ affidato alla denuncia di tre motivi di gravame assolutamente identici a quelli del ricorso che precede ed alla cui sommaria esposizione si rinvia.
In questo secondo giudizio si sono costituiti in giudizio sia il Ministero dell’Istruzione, i cui scritti difensivi riprendono, in rito e nel merito, le medesime argomentazioni sostanziali gia’ svolte sul precedente gravame.
Si’ e’ costituita in giudizio ad opponendum la Conferenza Episcopale Italiana per cui in via preliminare il ricorso sarebbe inammissibile in quanto: – non sarebbe ravvisabile alcun pregiudizio né per le associazioni ricorrenti e neppure per i singoli ricorrenti in quanto l’esame di maturita’ non avrebbe un carattere comparativo (cfr.
TAR Veneto n.1117/2000); non sarebbe stato notificato ad alcun studente che avrebbe scelto la Religione Cattolica mentre sarebbe stata evocata la Conferenza Episcopale che non avrebbe alcun titolo alla chiamata in giudizio.
Né si potrebbe ritenersi sussistente alcun effetto discriminatorio nei confronti di coloro, che non avendo usufruito di insegnamenti alternativi, hanno partecipato in misura minore al dialogo educativo.
Illegittimamente si riconoscerebbe invece l’arricchimento culturale e disciplinare chi partecipa alacremente all’insegnamento della religione.
La mancata considerazione ai fini del credito formativo violerebbe i diritti degli insegnanti di religione che fanno parte del corpo docente con gli stessi diritti e doveri degli altri insegnanti come ricordato dalla Corte Costituzionale (cfr.
sent.
n.390/1999) e che non viene sminuito dalla natura di giudizio motivato.
Nel merito per la Conferenza Episcopale l’ordinanza impugnata non prevederebbe alcun favoritismo per la religione cattolica, limitandosi a prevedere — in applicazione del vigente quadro normativo di cui alla legge 100 21/1985, d.p.r.
751/1985 e del d.p.r.
202/1990; ed e’ il d.p.r.
323/1998 — che anche la religione cattolica, al pari delle altre attivita’ alternative svolte in luogo della stessa, possa concorrere alla determinazione del credito scolastico necessario ai fini della determinazione del voto per l’esame finale.
Chiamata all’udienza pubblica dell’11 febbraio 2008 il ricorso, uditi i difensori delle rispettive parti, e’ stato trattenuto in decisione.
DIRITTO 1.
Deve preliminarmente disporsi la riunione dei ricorsi di cui in epigrafe ai sensi dell’art.52 del Regolamento di cui al R.D.
17 agosto 1907 n.642, stante gli evidenti profili di connessione soggettiva ed oggettiva.
2.
Devono preliminarmente essere esaminate congiuntamente le eccezioni preliminari delle parti resistenti che attengono per la gran parte a profili sostanzialmente coincidenti.
2.1.
Come eccepito, nelle rispetto dalla Difesa Erariale, dal Sindacato Nazionale autonomo degli Insegnanti di Religione, entrambi i gravami sarebbero inammissibile per l’originaria e persistente carenza di interesse dei ricorrenti sia nei sensi evidenziati dal Tar del Lazio con la decisione n.
7101/2000 e sia relativamente ai due alunni, che non avrebbero poi impugnato le operazioni di scrutinio con cui i consigli delle loro rispettive classi, con la partecipazione degli insegnanti di religione delle discipline alternative, hanno segnato i crediti scolastici degli ultimi due anni.
In particolare la Conferenza episcopale costituitasi sul secondo ricorso riporta le argomentazioni dell’ord.
n.
2408/2007 del Consiglio di Stato; ed assume che l’atto impugnato non avrebbe attribuito alcuna misura di favore all’insegnamento della religione cattolica rispetto alle altre attivita’ formative ed alle altre opzioni religiose.
Eccepisce, in via preliminare che: il ricorso sarebbe inammissibile in quanto: – non sarebbe ravvisabile alcun pregiudizio né per le associazioni ricorrenti e neppure per i singoli ricorrenti in quanto, come rilevato, l’esame di maturita’ non avrebbe un carattere comparativo; non sarebbe stato notificato ad alcun studente che avrebbe scelto la Religione Cattolica.
La evocata Conferenza Episcopale non avrebbe infine avuto alcun titolo alla chiamata in giudizio L’eccezione non puo’ essere complessivamente condivisa.
Non puo’ essere condivisa l’opinione per cui “la maturazione del credito scolastico e del parallelo istituto del credito formativo e’ talmente ampia da non richiedere identita’ di posizioni” (cosi’ la n.
7101/2000 cit.
dalle parti resistenti) perche’ l’interesse concreto perseguito dai ricorrenti, attiene alla tutela di valori di contenuto ideale e morale che, come tali, attengono alla personalita’ dell’essere umano.
Qui e’ invocata la tutela dei diritti sociali, religiosi e culturali di tutte le varie minoranze, comunque, non cattoliche.
I rappresentanti dei Cristiani Evangeliciti, dei Pentecostali, dei Cristiani Avventisti del 7^ Giorno, dei Cristiani Battisti, dei Valdesi, dei Pentecostali degli Evangelici, dei Luterani, delle Comunita’ Ebraiche nonché delle associazioni laiche e razionaliste perseguono cioe’ il riconoscimento di una loro pari dignita’ culturale e sociale, che assumono violata.
Pertanto non pare che possano sommariamente liquidarsi i ricorrenti con l’insinuazione di essere, sostanzialmente, degli ignavi in cerca di una pretestuosa tutela per la loro svogliatezza rispetto ai diligenti alunni che hanno optato per la religione cattolica, ma e’ manifesto che i ricorrenti sono soggetti evidentemente portatori di una differente sensibilita’, sia essa religiosa o laica.
L’interesse al ricorso, nel caso in esame, non e’ quindi tanto un interesse di tipo “proprietario”, cioe’ collegato ad un’immediata utilita’ di carattere strumentale o economico dei ricorrenti e delle altre associazioni religiose e laiche, ma si radica in relazione alla richiesta di tutela dei valori di carattere morale, spirituale e/o confessionale che – sia pure numericamente minoritari nella nostra societa’ — sono tutelati direttamente dalla Costituzione, e che quindi come tali non possono restare estranei all’alveo della tutela del giudice amministrativo.
Le associazioni sono legittimate a difendere in sede giurisdizionale gli interessi dei soggetti di cui hanno la rappresentanza istituzionale o di fatto, quando si tratti della violazione di norme poste a tutela della categoria stessa, ovvero di perseguire il conseguimento di vantaggi, di carattere puramente strumentale, giuridicamente riferibili alla sfera della categoria.
(arg.
ex Consiglio Stato, sez.
V, 07 settembre 2007, n.
4692; Consiglio Stato, sez.
VI, 01 luglio 2008, n.
3326).
In sostanza nel caso in esame si rinviene: -) sia la “legitimatio ad causam” in senso stretto, cioe’ l’astratta riferibilita’ del rapporto giuridico processuale al soggetto ricavata dal processo civile che agisce e quindi, la corrispondenza fra l’attore ed il destinatario della sentenza; -) sia la “legittimazione a ricorrere”, cioe’ l’interesse attuale e concreto all’annullamento dell’atto e quindi al ripristino dello status quo ante, connesso con la diretta lesione alla situazione giuridica sostanziale, qui conseguente al notevole rilievo complessivo dei crediti scolastici sull’importo del voto finale.
Per questo il Collegio non si sente di condividere che “non potrebbe avere tutela del soggetto, che pur avendo conseguito buoni risultati dello studio, ha mostrato scarsa partecipazione al dialogo educativo ovvero non ha avuto assiduita’ nella frequenza scolastica oppure non ha voluto impegnarsi in esperienze coerenti con il corso di studi frequentato …fino al punto da disconoscere agli altri vantaggi che l’ordinamento intende loro attribuire” per cui “nessuno ….
puo’ sentirsi pregiudicato per il solo fatto che un altro alunno abbia praticato lo sport e ricevuto credito, altro abbia svolto attivita’ artistiche, altro abbia lavorato percependo una distribuzione se stessi e vedi che ad esercitare attivita’ sportiva ovvero non si abbia attitudine artistica ovvero spirito di intraprendenza”(sempre la n.
7101 cit.
dalle parti resistenti).
L’assunto e’ infatti fondato su un presupposto logico e giuridico che non puo’ essere condiviso, cioe’ che l’insegnamento di una religione qualunque essa sia (sia cattolica che di altri culti) possa essere assimilata a qualsiasi altra attivita’ intellettuale o educativa in senso tecnico del termine.
Qualsiasi religione – per sua natura — non e’ ne’ un’attivita’ culturale, ne’ artistica, ne’ ludica, ne’ un’attivita’ sportiva ne’ un’attivita’ lavorativa ma attiene all’essere piu’ profondo della spiritualita’ dell’uomo ed a tale stregua va considerata a tutti gli effetti.
Come sara’ evidente in seguito, salvo che in una teocrazia (di cui non mancano purtroppo esempi negativi anche nell’epoca contemporanea) la fede in un Dio non puo’ essere—nemmeno indirettamente — qualificata come un’ordinaria “materia scolastica”, al pari delle altre.
Di qui l’interesse dei non credenti, ovvero dei differentemente credenti, ad impugnare gli atti che ritengono violino le loro piu’ profonde convinzioni morali o religiose.
Infine si deve rilevare come i ricorsi risultano comunque ritualmente notificati ad almeno un alunno che aveva optato per l’insegnamento della religione.
2.2.
Pur con tutto il rispetto per la differente opinione del Giudice d’appello non si rinviene alcun effetto preclusivo assoluto derivante dal fatto che alcune ricorrenti (quali ad es.
la Tavola Valdese ed il Comitato Torinese per la laicita’ della Scuola) avessero partecipato al giudizio conclusosi con la predetta decisione passata in giudicato, dato che comunque altre associazioni non erano state parti di quel giudizio.
L’articolo 205, primo comma, del decreto legislativo 16 aprile 1994 n.297 prevede il potere di disciplinare anno per anno (evidentemente secondo le indicazioni del Ministro di turno) tali profili.
Deve osservarsi in conseguenza che, per una precisa scelta del legislatore, tra le diverse ordinanze non vi e’ alcun diretto rapporto di continenza o di continuita’, ma ciascuna di esse e’ una autonoma fonte regolatrice rispetto alle precedenti analoghe disposizioni ministeriali.
Come e’ evidente dal loro stesso oggetto, l’efficacia dispositiva delle ordinanze precedenti era limitata al relativo anno scolastico ed, analogamente fanno quelle impugnate.
Percio’ nessuna preclusione processuale puo’ essere rinvenuta nel fatto che una certa definizione di un punto in un precedente provvedimento (il cui gravame sia stato disatteso) venga poi ripreso analogamente in un successivo analogo ma ontologicamente separato atto.
Non appare dunque ostativa all’esame del gravame la mancata impugnativa delle precedenti ordinanze ministeriali, dato che non vi e’ un alcun vincolo di presupposizione necessaria tra le diverse ordinanze.
2.3.
Per il medesimo ordine di ragioni di cui sopra devono essere disattese le eccezioni del Sindacato Nazionale autonomo degli Insegnanti di Religione che lamentano che l’accoglimento del ricorso risulterebbe gravemente lesivo della funzione e della dignita’ professionale degli insegnanti di religione cattolica relativamente alla asserita mancata impugnativa delle precedenti ordinanze ministeriali.
In coerenza con quello che si diceva prima e’ infatti evidente come – se il vulnus qui lamentato attiene ai diritti personalissimi — il ricorso non e’ diventato inammissibile né e’ sopravvenuta la carenza di interesse dei due alunni ricorrenti per la mancata successiva impugnativa da parte loro delle operazioni di scrutinio con i crediti attribuiti con la partecipazione degli insegnanti di religione delle discipline alternative.
Anche tale eccezione va disattesa.
3.
Nel merito, nell’ordine logico delle questioni deve essere esaminato il terzo motivo.
3.1.
Con tale mezzo si lamenta, in via subordinata, l’illegittimita’ costituzionale dell’articolo 9 della legge n.
121 del 1985; dell’articolo unico del d.p.r.
202 del 1990; e dell’articolo 309 del decreto legislativo 297/1994 laddove interpretate nel senso del provvedimento impugnato per violazione degli articoli 3,2,7,8 e 21 della Costituzione per l’evidente irragionevolezza e per le possibili discriminazione e disparita’ di trattamento che ne deriverebbero; per l’inaccettabile compressione del principio di parita’ fra confessioni religiose, nonché della liberta’ religiosa e del diritto di manifestazione del pensiero.
Per le ricorrenti, si impedirebbe la garanzia che la scelta per l’una o per l’altra soluzione fosse dettata solo da considerazioni personali dell’interessato in assenza di qualsiasi condizionamenti o discriminazioni, in violazione dei principi della Corte Cost.
che aveva configurato anche la situazione di “non obbligo” per coloro che non esercitano nessuna delle tre scelte proposte “non essendo alternativi e equivalenti l’insegnamento della religione cattolica ed altro impegno scolastico, per non condizionare dall’esterno della coscienza individuale l’esercizio della liberta’ costituzionale, come quella religiosa, coinvolgente l’interiorita’ della persona”.
Posto dunque che, secondo l’insegnamento del Giudice delle Leggi, il giudice remittente deve privilegiare l’interpretazione della disposizione conforme a Costituzione non puo’ proporre questioni meramente interpretative, volte a suffragare, o a far escludere, la legittimita’ di tesi ermeneutiche (cfr infra multa Corte Costituzionale, 18 marzo 2005, n.
112) e’ cosi’ evidente come un convincimento circa la rilevanza e la manifesta fondatezza dell’eccezione potrebbe eventualmente pervenirsi solo nel caso in cui si ritenesse di dover aderire al convincimento del giudice d’appello circa la legittimita’ – e quindi la conformita’ alle norme di legge richiamate — delle ordinanze impugnate con i presenti ricorsi.
Nel caso in esame, la prospettata eccezione di incostituzionalita’ non appare strettamente pregiudiziale al fine della richiesta di valutazione circa l’illegittimita’ degli atti impugnati.
Contrariamente a quanto vorrebbero, sia pure in via subordinata, le parti ricorrenti – e come sara’ meglio chiarito in seguito – e’ l’interpretazione delle norme data dall’Amministrazione che ha portato all’adozione di una disciplina annuale delle modalita’ organizzative degli scrutini di esame, che appare aver generato una violazione dei diritti di liberta’ religiosa e della libera espressione del pensiero; nonche’ di libera determinazione degli studenti relativamente all’insegnamento della religione cattolica.
Di qui la non manifesta rilevanza, allo stato, della questione.
4.
Per ragioni di economia espositiva possono essere esaminati unitariamente– attesa la loro assoluta specularita’ ed assorbenza — i seguenti profili di gravame relativi alla prima ed alla seconda censura di entrambi i ricorsi.
4.1.
Con il primo motivo si deduce che il provvedimento impugnato si porrebbe in contrasto con la lettera c) dell’articolo 9 della legge 121 del 1985, recante applicazione del concordato nel 1984 fra lo Stato italiano e la Santa Sede, per cui la scelta degli studenti o dei loro genitori di avvalersi, o meno, dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non puo’ “dar luogo ad alcuna forma di discriminazione”.
Il protocollo addizionale agli accordi del 1984 che fu formalizzato con il d.p.r.
202 del 1990, prevedeva che gli insegnanti di religione cattolica non avrebbero potuto disporre, né di voti, ne’ svolgere esami, ma semplicemente stilare, “in luogo” di voti ed esami, una “nota speciale”, nella quale dar conto dell’interesse con il quale ciascuno studente aveva seguito l’insegnamento ed il profitto ottenuto.
Per le parti ricorrenti, l’articolo 205, comma uno, del decreto legislativo 16 aprile 1994 n.297 con cui e’ stato approvato il testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, che attribuisce al ministero della pubblica istruzione il potere di disciplinare annualmente, con propria ordinanza, le modalita’ organizzative degli scrutini di esami, avrebbe dovuto essere interpretato alla luce dei principi complessivamente risultanti dal medesimo decreto legislativo ed in particolare dal disposto dell’articolo n.
309 in base al quale, tra l’altro, i docenti dell’insegnamento della religione cattolica: — fanno parte della componente docente degli organi scolastici con gli stessi diritti e doveri degli altri docenti, ma partecipano alle valutazioni periodiche finali solo per gli alunni che si sono avvalsi dell’insegnamento della religione cattolica (terzo comma); — stilano “una speciale nota, da consegnare unitariamente alla scheda o alla pagella scolastica, riguardante l’interesse con il quale l’alunno segue l’insegnamento di profitto che ne ritrae”.
L’insegnante di religione ha certamente pari dignita’ rispetto agli altri docenti, ma partecipa a medesimo titolo degli altri, alla determinazione complessiva della valutazione degli studenti, solo ed esclusivamente nel caso in cui il suo parere sia necessario (e quindi determinante) per la decisione circa la promozione o la bocciatura dello studente.
Per le ricorrenti se la disciplina legislativa e la costante prassi amministrativa stabiliscono che l’insegnamento della religione cattolica non deve comparire sulla scheda di valutazione bensi’ sulla speciale nota in luogo dei voti di cui non dispone degli esami che non puo’ svolgere, ed allora e’ evidente che le disposizioni qui impugnate nel prevedere che gli insegnanti di religione cattolica “partecipino a pieno titolo” alla decisione sul credito scolastico, si pongono in evidente palmare contrasto con le fonti appena richiamate.
Le ricorrenti richiamando le argomentazione poste a base di un’interrogazione scritta di alcuni senatori, lamentano ancora che l’ordinanza impugnata: — non trova giustificazione in alcuna innovazione legislativa o regolamentare, e si porrebbe in contrasto con l’orientamento costante alla Corte Costituzionale (le sentenze nn.
203/1989 e il 13/1991); — ha l’effetto di indurre gli studenti a rinunciare alle scelte dettate dalla propria coscienza garantita dalla Carta Costituzionale dell’articolo 9 del Concordato in vista di un punteggio piu’ vantaggioso nel credito scolastico.
4.2.
Con il secondo motivo di gravame si lamenta, sotto due profili di chiusura, l’eccesso di potere per disparita’ di trattamento; violazione del principio di ragionevolezza e del principio di certezza giuridica del principio dell’affidamento e del divieto di retroattivita’ degli atti amministrativi.
2.1.
In una prima prospettazione si lamenta che l’ordinanza, in palese contraddizione con le precedenti analoghe ordinanze ministeriali, nel prescrivere un diverso criterio di valutazione per l’attribuzione del credito scolastico, rispettivamente, gli studenti che si siano avvalsi dell’insegnamento alla religione cattolica o di un’attivita’ alternativa, discriminerebbe quei studenti che, nell’esercizio del diritto fondamentale riconosciuto dalla sentenza 13/1991, abbiano scelto di assentarsi all’edificio scolastico o comunque di astenersi da ogni insegnamento alternativo durante l’ora di religione cattolica.
E cio’ perche’, ai sensi dell’articolo tre, comma sei, legge 425/1997 “a conclusione dell’Esame di Stato viene assegnato a ciascun candidato un voto finale complessivo in centesimi, che e’ il risultato della somma dei punti attribuiti dalla commissione d’esame alle prove scritte dal colloquio e dei punti per il credito scolastico acquisito da ciascun candidato.
La commissione d’esame dispone di 45 punti per valutazione delle prove scritte e di 30 punti per la valutazione del colloquio.
Ciascun candidato puo’ far valere un credito scolastico massimo di 25 punti”.
In conseguenza chi non sceglie l’insegnamento della religione cattolica sarebbe esposto al rischio di presentarsi in condizione di svantaggio sul mercato del lavoro o in occasione della partecipazione a selezione per l’ammissione ai corsi universitari o borse di studio connotati come noto da un’altissima competitivita’.
Tale situazione non sarebbe comunque rimediata dalla possibilita’ degli studenti “non avvalentisi” di ottenere, in luogo del “credito scolastico”, la valutazione dell’attivita’ eventualmente svolta fuori dalla scuola quale i “crediti formativi” di cui al D.M.
49 del 24 febbraio 2000.
5.
Entrambi gli assunti sono fondati nei sensi e nei limiti che seguono.
In linea generale, il concetto di separazione tra la sfera religiosa e quella civile (cfr.
Vangelo S.
Matteo 22, 15-21) e’ stato uno dei preziosi contributi della Cristianita’ alla civilta’ occidentale.
Oggi il principio della laicita’ dello Stato, se non e’ definito in alcuna norma, e’ stato chiaramente enunciato dalla Corte costituzionale nell’ampia accezione di “garanzia dello Stato per la salvaguardia della liberta’ di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale”, e rispetto al quale lo Stato si pone in condizione di “neutralita’” (cfr.
sent.
12 aprile 1989, n.
203).
I principi della Carta costituzionale postulano dunque uno Stato che, rispetto alla religione, non si pone in termini di ostilita’, “ma si pone al servizio di concrete istanze della coscienza civile e religiosa dei cittadini” (cosi’ n.
203 cit.).
Nello specifico del problema proprio nella ricordata pronuncia, e’ stato poi affermato che l’insegnamento della religione cattolica concerne un diritto di liberta’ costituzionale “non degradabile, nella sua serieta’ e impegnativita’ di coscienza, ad opzione tra equivalenti discipline scolastiche”.
Sulla considerazione che la religione non e’ una “materia scolastica” come le altre deve essere ancorato il convincimento circa l’illegittimita’ della sua riconduzione all’ambito delle attivita’ rilevanti ai fini dei crediti formativi.
E cio’, non perché la religione cattolica non debba essere considerata un’attivita’ priva di valori storici e culturali ma anzi, al contrario, non puo’ essere considerata una normale disciplina scolastica proprio perché e’ un insegnamento di pregnante rilievo morale ed etico che, come tale, abbraccia quindi l’intimo profondo della persona che vi aderisce.
Al riguardo e’ stato autorevolmente sottolineato che, nelle societa’ contemporanee, senza i valori religiosi anche molti non credenti perdono punti di riferimento.
La sfera religiosa concerne aspetti che coinvolgono la dignita’ (riconosciuta e dichiarata inviolabile dall’art.
2 Cost.) dell’essere umano; e spetta indifferentemente tanto ai credenti quanto ai non credenti, siano essi atei o agnostici (cfr.
Corte costituzionale, 08 ottobre 1996, n.
334).
Ma proprio per questa ragione, sul piano giuridico, un insegnamento di carattere etico e religioso strettamente attinente alla fede individuale non puo’ assolutamente essere oggetto di una valutazione sul piano del profitto scolastico per il rischio di valutazioni di valore proporzionalmente ancorate alla misura della fede in essa.
Sotto tale profilo e’ dunque evidente l’irragionevolezza dell’Ordinanza che nel consentire l’attribuzione di vantaggi curriculari, inevitabilmente collega in concreto tale utilita’ alla misura della (magari solo ostentata, verbale e strumentale) adesione ai valori dell’insegnamento cattolico impartito.
Tal circostanza, del resto, concerne anche gli stessi alunni che hanno aderito all’insegnamento della religione con un consapevole convincimento, ma il cui profitto potrebbe essere condizionato da dubbi teologici sui misteri della propria Fede.
Infatti, lo Stato, dopo avere sancito il postulato costituzionale dell’assoluta, inviolabile liberta’ di coscienza nelle questioni religiose, di professione e di pratica di qualsiasi culto “noto”, non puo’ conferire ad una determinata confessione una posizione “dominante” — e quindi un’indiscriminata tutela ed un’evidentissima netta poziorita’ – violando il pluralismo ideologico e religioso che caratterizza indefettibilmente ogni ordinamento democratico moderno (Corte europea dir.
uomo , 25 maggio 1993, n.
260).
In una societa’ democratica, al cui interno convivono differenti credenze religiose, certamente puo’ essere considerata una violazione del principio del pluralismo il collegamento dell’insegnamento della religione con consistenti vantaggi sul piano del profitto scolastico e quindi con un’implicita promessa di vantaggi didattici, professionali ed in definitiva materiali.
Nel caso non puo’ essere infatti dimenticato che ai sensi dell’art.
3, comma sei, della L.
425/1997 il credito scolastico, che puo’ arrivare fino ad massimo di punti 25, pesa per oltre il 55,55 % dei 45 punti assegnati per le prove scritte ed e’ pari all’83,33 % dei 30 punti assegnati per la valutazione del colloquio.
Una cosi’ radicale svalutazione del valore complessivo delle prove scritte ed orali sul valore del voto finale ben puo’ giustificare le preoccupazione di chi non abbraccia tale culto, circa la rilevanza e l’incidenza dei crediti in questione sull’esito dell’esame.
Al riguardo non puo’ ignorarsi il fatto che, per comune esperienza di vita, nelle nostre scuole (metropolitane e non) le c.d.
materie alternative — concernendo comunque una minoranza della popolazione scolastica — spesso o non vengono attivate affatto per mancanza di risorse ovvero nella realta’ delle cose si riducono al semplice “parcheggio” degli alunni in qualche aula (quando non nei corridoi).
E cio’ anche quando gli alunni delle piu’ eterogenee etnie del mondo e delle altre piu’ disparate confessioni rappresentano quasi il 40% degli studenti (con punte addirittura del 90 % in alcune estreme periferie dei grandi agglomerati urbani).
Né, come esattamente ricordato con il primo profilo del secondo motivo, tale discriminazione viene meno per la possibilita’ degli studenti “non avvalentisi” di ottenere la valutazione delle attivita’ eventualmente svolte fuori dalla scuola quale “crediti formativi” di cui al D.M.
49 del 24 febbraio 2000.
Infatti, mentre ai sensi dell’articolo 11 del d.p.r.
323/1998, il “credito scolastico” costituisce la valutazione del grado di preparazione complessiva raggiunta da ciascun alunno nell’anno scolastico in corso con riguardo al profitto e dell’assiduita’ della frequenza scolastica; i “crediti formativi” debitamente documentati esprimono generiche esperienze, cui possano derivare competenze coerenti con il tipo di corso cui si riferisce all’esame di Stato (cfr.
Consiglio di Stato 22 giugno 2005 n.
3290).
Il che in concreto comporta che le famiglie laiche o degli alunni stranieri appartenenti ad altre confessioni siano di fatto costretti o, ad accettare cinicamente e subdolamente l’insegnamento di una religione cui non credono; ovvero a subire un’ulteriore discriminazione di carattere religioso, che si accompagna e si aggiunge spesso a quelle di carattere razziale, economico, linguistico e culturale.
Il sistema complessivo, in essere in concreto, ha dunque l’effetto di indurre gli studenti a rinunciare alle scelte dettate dalla propria coscienza garantita dalla Carta Costituzionale dell’articolo 9 del Concordato in vista di un punteggio piu’ vantaggioso nel credito scolastico.
In coerenza con i valori fondanti della Cedu, in una societa’ al cui interno convivono differenti credenze religiose e’ necessario conciliare gli interessi dei diversi gruppi e garantire il rispetto delle convinzioni di ciascuno (arg.
ex Corte europea dir.
uomo, 31 luglio 2001), e non puo’ manifestare una preferenza per una particolare confessione o credenza religiosa, ma deve garantire il suo ruolo di arbitro imparziale (cfr.
Corte europea dir.
uomo, 10 novembre 2005).
In tale ottica non pare che le ordinanze qui impugnate rispettino il principio di imparzialita’ e di par condicio tre la confessioni che e’ alla base della neutralizzazione dei contrasti tra le diverse confessioni nelle democrazie occidentali contemporanee.
Le ordinanze impugnate si pongono dunque in radicale contrasto con la lettera c) dell’articolo 9 della legge 121 del 1985, in quanto l’attribuzione di un credito formativo ad una scelta di carattere religioso degli studenti o dei loro genitori, quale quella di avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, da’ luogo ad una precisa forma di discriminazione, dato che lo Stato Italiano non assicura identicamente la possibilita’ per tutti i cittadini di conseguire un credito formativo nelle proprie confessioni (islamica, ebrea, cristiane, di altro rito) ovvero per chi dichiara di non professare alcuna religione in Etica Morale Pubblica (come del resto avviene in Germania).
6.
In tali esclusivi assorbenti profili entrambi i ricorsi sono dunque fondati e devono essere accolti.
Per l’effetto deve essere dichiarato l’annullamento delle ordinanza di cui in epigrafe.
Le spese, in ragione della natura controversa delle questioni trattate, possono tuttavia essere compensate tra tutte le parti.
PQM il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio- Sez.III^-quater : 1.
riunisce gli epigrafati ricorsi ai sensi dell’art.52 del Regolamento di cui al R.D.
17 agosto 1907 n.642;.
2.
Accoglie i ricorsi e per l’effetto annulla i provvedimenti meglio specificati in epigrafe.
3.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorita’ Amministrativa.
Cosi’ deciso dal Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio- Sez.III^-quater, in Roma, nella Camera di Consiglio dell’11 febbraio 2009/6 maggio 2009.
IL PRESIDENTE dr.
Mario Di Giuseppe IL CONSIGLIERE-EST.
dr.
Umberto Realfonzo COMUNICATO STAMPA MIUR Dichiarazione del ministro Mariastella Gelmini Gelmini: Ricorso al Consiglio di Stato.
Ingiusto discriminare insegnamento Religione Cattolica Roma, 12 agosto 2009 “La religione cattolica esprime un patrimonio di storia, di valori e di tradizioni talmente importante che la sua unicità deve essere riconosciuta e tutelata.
Una unicità che la scuola, pur nel rispetto di tutte le altre religioni, ha il dovere di riconoscere e valorizzare.
I principi cattolici dunque, che sono patrimonio di tutti, vanno difesi da certe forme di laicità intollerante che vorrebbero addirittura impedire la libera scelta degli studenti e delle loro famiglie di seguire l’insegnamento della religione.
Per questo ho deciso di ricorrere al Consiglio di Stato contro la decisione del Tar.
Sono fiduciosa che, come è accaduto altre volte in passato, il Consiglio di Stato possa dare ragione al Ministero e all’ordinamento in vigore.
In Italia vi è piena libertà di scegliere se frequentare o meno l’insegnamento della religione.
Non si comprende perché qualcuno voglia limitare questa libertà.
L’ordinanza del Tar infatti determina un ingiusto danno nei confronti di chi sceglie liberamente di seguire il corso.
Il Tar del Lazio ha sostenuto che per chi non sceglie l’insegnamento della religione cattolica può configurarsi una situazione di svantaggio.
Tale tesi non è condivisibile in quanto l’insegnamento della religione cattolica non costituisce un credito scolastico ma un credito formativo e non incide quindi in maniera diretta sul voto finale.
E’ pertanto davvero incomprensibile che solo la religione cattolica non debba contribuire alla valutazione globale dello studente tra tutte le attività che danno luogo a crediti formativi.
L’ordinanza del Tar peraltro tende a sminuire il ruolo degli insegnanti di religione cattolica, come se esistessero docenti di serie a e di serie b.
Al contrario ritengo che il ruolo degli insegnanti di religione vada accresciuto e valorizzato.
Per questo dal prossimo anno è mia intenzione coinvolgere i docenti di religione cattolica in attività di formazione, secondo gli obiettivi della riforma del primo e del secondo ciclo d’istruzione”.
AVVENIRE – 11 Agosto 2009 SCUOLA Ora di religione: il Tar del Lazio la «retrocede» Nuovo attacco all’ora di religione.
Dopo diversi tentativi andati a vuoto, il gruppo di associazioni laiciste e di altre confessioni non cattoliche che da tempo hanno messo nel mirino questo insegnamento, hanno trovato una sponda nel Tar del Lazio.
I giudici amministrativi, con la sentenza 7076 hanno infatti disposto l’annullamento delle ordinanze del ministro Fioroni, emanate per gli esami di Stato del 2007 e del 2008.
In pratica, il Tar ha stabilito che frequentare l’ora di religione non può portare crediti aggiuntivi e che gli insegnanti di religione non possono partecipare «a pieno titolo» agli scrutini.
In particolare, nella sentenza i giudici scrivono che «lo Stato, dopo aver sancito il postulato costituzionale dell’assoluta, inviolabile libertà di coscienza nelle questioni religiose, di professione e di pratica di qualsiasi culto “noto”, non può conferire ad una determinata confessione una posizione “dominante” – e quindi una indiscriminata tutela ed un’evidentissima netta priorità – violando il pluralismo ideologico e religioso che caratterizza indefettibilmente ogni ordinamento democratico moderno».
La decisione del Tar laziale ha già suscitato la legittima protesta dei docenti, per l’evidente tentativo, già per altro portato avanti anche nel recente passato, di emarginare l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche italiane.
«Questa sentenza è semplicemente assurda», tuona Nicola Incampo, docente e membro della commissione paritetica Ministero-Cei per la valutazione dell’insegnamento della religione cattolica.
«Già nel 2006 – prosegue l’insegnante – una sentenza del presidente del Consiglio di Stato, organo giudicante di grado superiore rispetto al Tar, aveva già dichiarato la legittimità delle ordinanze del ministro Fioroni.
Non si capisce, quindi, come adesso i giudici amministrativi possano tornare indietro pronunciandosi su una questione già definita a livello superiore».
Un’altra incongruità del dispositivo del Tar riguarda la presunta “discriminazione” contenuta nell’ordinanza Fioroni.
Per i giudici, infatti, frequentare l’ora di religione non può essere considerato meritevole di crediti scolastici aggiuntivi, rispetto a chi, invece, ha deciso di non avvalersi dell’insegnamento.
«Ma non è così – protesta Incampo –.
Mentre la precedente ordinanza Berlinguer prevedeva, questa sì, i crediti soltanto per chi aveva deciso di frequentare l’ora di religione, il ministro Fioroni ha dato la possibilità di accumulare crediti a tutti, anche a chi frequenta attività sostitutive.
Mi sembra evidente, in definitiva, il tentativo di estromettere, a colpi di sentenze, l’insegnamento della religione dai programmi scolastici».
Un tentativo alquanto maldestro.
La sentenza del Tar, infatti, arriva dopo la conclusione dei lavori della commissione paritetica Ministero dell’Istruzione-Cei, che ha deciso all’unanimità di passare dalla votazione con gli “aggettivi” (sufficiente, buono…) ai voti numerici.
Quando la decisione sarà avallata dal Consiglio di Stato, anche il voto di religione farà media e il problema dei crediti sarà quindi superato una volta per tutte.
Di «decisione estemporanea, bizzarra e discriminatoria, che sarà sicuramente cancellata da ulteriori gradi di giudizio» ha parlato anche il presidente dei senatori del Pdl, Maurizio Gasparri, mentre l’ex-ministro Giuseppe Fioroni, chiamato direttamente in causa, ha ricordato di aver soltanto «applicato la legge».
«Offro un ulteriore spunto di riflessione – ha proseguito l’ex-titolare dell’Istruzione –: visto che al conseguimento dei crediti formativi concorrono una serie molto ampia e varia di discipline, non ultimi anche corsi di danza caraibica, ritengo quindi che possa contribuirvi anche l’ora di religione o della materia sostitutiva, come previsto per legge».
Contro la sentenza del Tar si è espressa la parlamentare del Pd, Paola Binetti, che si è detta contraria a creare «professori di serie A e altri di serie B».
Non ammettere i docenti di religione agli scrutini, inoltre, secondo Binetti sarebbe «massimamente scorretto» e avrebbe ripercussioni negative «anche sugli studenti, in particolare su quelli che hanno scelto di avvalersi dell’insegnamento della religione e si aspettano che, una volta scelto, non sia un optional ma entri a pieno titolo nella valutazione».
Infine, per la parlamentare dell’Udc, Luisa Santolini, la sentenza del Tar del Lazio è «ideologica» e ha come fine quello di «distruggere le tradizioni italiane ed il sentire della gente».
ALTRI COMMENTI Secondo Monsignor Diego Coletti, vescovo di Como e presidente della Commissione episcopale per l’educazione cattolica, la sentenza non tutela, bensì danneggia la laicità dello Stato.
Escluso, però, che la Cei faccia ricorso.
Ai microfoni di Radio Vaticana Coletti ha detto che «se per laicità si intende l’esclusione dall’orizzonte culturale, formativo, civile di ogni identità, vuol dire che si è proprio nel più bieco e negativo risvolto dell’Illuminismo, che prevede che la pace sociale sia garantita dalla cancellazione delle diversità delle identità.
Mentre io credo che uno Stato sanamente laico debba preoccuparsi di far emergere e di rispettare, di mettere in rete casomai e di far crescere tutte le identità, soprattutto quelle di alto profilo etico e culturale».
«Ci sarà da chiedersi – afferma Coletti – come mai su una questione così delicata, la competenza venga data ad un Tribunale amministrativo regionale».
Ma un eventuale ricorso, ha concluso, non spetta alla Cei, bensì ai cittadini italiani e allo stesso ministero dell’Istruzione.
Unità 4 Sperimentatori

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Cliccare il pulsante Salva 5.
Cliccatre il tasto Chiudi
il simbolo evoca Dio
simbolo 4.1 Il soggetto percepisce il mistero che avvolge la realtà Del resto anche solo pochi accenni alla tradizione religiosa evidenziano il versante su cui questa si pone, a cominciare da quando abbiamo documentazione scritta Il fedele indù ai primordi dell’storia che siamo in grado di ricostruire è affascinato dallo splendore della natura; ne ammira la suggestione s’interroga su colui che l’ha fatta: ‘A qual Dio dovremmo fare omaggio con l’oblazione?’ Con più perentoria consapevolezza il salmista che guarda il cielo stellato esclama: ‘I cieli narrano la gloria di Dio’ (Ps 19,2).
L’interrogativo non è iscritto nell’acqua limpida dei ruscelli e non è tracciato dal brillare delle stelle: è suscitato dall’ammirazione; può trasfigurarsi in contemplazione.
Un passaggio che la natura non impone: sollecita.
‘Non è linguaggio e non sono parole di cui non si oda il suono’ (Ps19, 4) rileva giustamente il salmista.
E’ tuttavia un suono che non s’impone; non obbliga.
Annuncia una presenza arcana e definitiva che si nasconde dietro il loro prepotente quanto suggestivo manifestarsi.
Iscritta nella natura; altra dalla natura.
L’occhio e lo strumento abilitati a misurare la natura non percepiscono; l’intelligenza abilitata ad interpretare la natura intuisce: può accoglierla o rifiutarla.
Lo sguardo portato sul mondo può appagarsi del suo splendore; può trovarsi sconcertato appena cerca di darsene spiegazione.
L’universo è avvolto di mistero; quest’arcana presenza che fa trasalire vi si annuncia in maniera così labile e insidiata che qualunque resistenza la mette a tacere; e tuttavia s’impone con tale perentoria autorità che nessuna resistenza è in grado di cancellarla.
E dove incontra disponibilità può imporsi con la maestà dell’ultimo ricorso.
Ancora una volta non è la natura nè la totalità dell’universo che s’impone alla vita dell’ uomo.
Le si propone perché l’uomo la chiami per nome.
Conferisca volto alla pienezza di cui è tacita testimone; dia volto e nome alla presenza di cui è segno fragile e opaco.
Forse mai come quando si esplora il versante ultimo e in definitiva trascendente della realtà ci si rende conto dell’autorità dell’uomo; della forza decisiva del suo linguaggio: delle possibilità di appello e di rifiuto che gli appartengono.
In questo senso la riflessione più recente ha spostato l’attenzione dalla natura all’uomo che la interpreta e la chiama per nome.
Ciò che pare stranamente riduttiva è la tendenza a fermarsi alla superficie.
Perfino la ragione da sempre sospinta all’interpretazione sembra lasciarsi irretire dal fascino della descrizione dalla rivendicazione di dominio e di possesso.
Scienza e tecnica tengono il campo con una pretesa di esaurire il reale e di valorizzare le risorse dell’uomo con una presunzione sconcertante.
Che solo una pensosa riflessione sull’esistenza è in grado di smascherare.
Il richiamo del mistero rappresenta in realtà la via maestra per restituire dignità all’uomo e avvertire lo spessore insondato della natura.