Il Papa: la famiglia sotto attacco, ideologie di vario tipo saccheggiano i valori umani

Francesco riceve i padri di Schönstatt in occasione del Capitolo generale e li esorta a dare risposte alle preoccupazioni degli uomini e donne del nostro tempo: “Molti matrimoni in crisi, giovani tentati, anziani dimenticati, bambini sofferenti… farsi portatori di speranza e aprire nuove strade”. Il saluto al nuovo superiore Awi Mello

Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano

Nelle “situazioni buie” di oggi, tra “matrimoni in crisi, giovani tentati, anziani dimenticati, bambini sofferenti”, mentre la famiglia è sotto attacco e “colonizzazioni ideologiche” tentano di “saccheggiare selvaggiamente” gli stessi valori umani, bisogna farsi portatori di speranza. Papa Francesco riceve i padri della comunità di Schönstatt, movimento mariano cattolico nato in Germania nel 1914, in occasione del Capitolo generale, e chiede loro di dare una risposta alle fatiche e inquietudini della gente.

Il saluto al nuovo superiore generale

Prima del discorso, interamente in spagnolo, il Papa saluta il nuovo superiore generale, padre Alexandre Awi Mello, eletto il 21 agosto scorso. Per cinque anni il religioso brasiliano è stato segretario del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita. Un servizio per il quale Francesco esprime la propria gratitudine: “È stato il mio segretario ad Aparecida, poi la mia guida a Rio de Janeiro, quindi il mio segretario qui. Grazie, per la sua collaborazione in questi anni in comunione con il Successore di Pietro, a beneficio di tutta la Chiesa. Le auguro un ministero fruttuoso in questa nuova responsabilità che le è stata affidata”.

Portatori di speranza

Un grazie, Papa Francesco, lo rivolge anche all’intera comunità:

Voi, cari fratelli e sorelle, svolgete un bel servizio alla Chiesa e al mondo, soprattutto accompagnando le famiglie nelle varie vicende e vicissitudini che stanno attraversando, annunciando a tutti i suoi membri la bellezza dell’“Alleanza d’Amore” che il Signore ha stabilito con il suo popolo. Oggi ci sono molti matrimoni in crisi, giovani tentati, anziani dimenticati, bambini sofferenti. Siete portatori di un messaggio di speranza in queste situazioni buie che ogni fase della vita attraversa.

“Questo – aggiunge il Papa, distaccandosi dal testo scritto – procede un po’ di pari passo con questo saccheggio dei valori umani, un saccheggio che stanno facendo selvaggiamente le colonizzazioni ideologiche di ogni tipo”.

Distanze e ideologie

Sì, dice Francesco, “il mondo ci chiede sempre più spesso di dare risposte agli interrogativi e alle inquietudini degli uomini e delle donne del nostro tempo”. E una delle preoccupazioni più gravi riguarda la famiglia e la sua natura:

Vediamo spesso che la natura della famiglia è attaccata da diverse ideologie, che fanno vacillare le fondamenta che sostengono la personalità dell’essere umano e, in generale, tutta la società. Inoltre, in seno alle famiglie, in molte occasioni si constata una distanza di comprensione tra gli anziani e i giovani

Alleanza tra le generazioni

Il Pontefice ricorda il suo ciclo di catechesi nell’udienza generale del mercoledì per ribadire “l’alleanza tra le generazioni, cioè tra i più anziani e i più giovani, è ciò che può salvare l’umanità, perché in questo modo si conserva l’identità personale e familiare”. In famiglia “non si eredita solo un patrimonio genetico o un cognome, ma anche e soprattutto si eredita la saggezza di ciò che significa essere umano, secondo il progetto di Dio”.

Il mistero della nostra redenzione è quindi intimamente legato anche all’esperienza dell’amore nelle famiglie. E non dimentichiamo che in ultima analisi la fede si trasmette sempre in ‘dialetto’ attraverso le famiglie, gli anziani, i nonni.  

L’esempio della Madonna

Il modello è la Sacra Famiglia, e soprattutto la Vergine Maria, “che si prende cura con amore tenero e impegnato di tutti i suoi figli e figlie, soprattutto dei più poveri, nel corpo e nello spirito”. I membri di Schönstatt  venerano con “grande amore” la Vergine con il titolo di “Madre Tre Volte Ammirabile”. “È un modello fondamentale per tutti, che spinge a creare ponti fondati sulla carità fraterna e sulla comunione dei beni con i più bisognosi”, sottolinea Francesco.

A braccio, racconta che sul suo comodino “è intronizzata la statuetta della Vergine, l’ha messa lì Alexandre (Mello, ndr), e dopo quindici giorni ha portato anche una corona per incoronarla. Ossia che ho tutta la cerimonia fatta della vostra ‘setta’”, dice, tra le risate dei presenti. “Così ogni volta che entro nella mia camera da letto è la prima cosa che vedo e devo ricordarmi di voi”.

Aprire nuove strade

Il Papa conclude infine con l’incoraggiamento ai membri di Schönstatt “ad andare avanti nei vostri apostolati, rinnovandovi sempre con la grazia dello Spirito Santo e mostrando coraggio per aprire cammini nuovi al servizio delle famiglie, per far risplendere la bellezza dell’Alleanza stabilita tra Dio e gli uomini, con la spiritualità e l’esperienza vissuta dei valori cristiani”.

 

articolo originale su Vatican News 01 settembre 2022

La Chiesa che conversa con gli uomini del suo tempo

«La Chiesa italiana attraversa diversi e non semplici problemi ma credo anche che vanti una prerogativa importante: è una Chiesa ricca di spiritualità e di carità per i poveri. E penso che è da qui che dobbiamo ripartire». In questo esordio di una lunga chiacchierata, che in un pomeriggio di fine estate ci ha concesso il neo presidente della Conferenza episcopale italiana, c’è non solo la sintesi estrema del suo programma di lavoro ma anche i tratti principali della personalità del cardinale arcivescovo di Bologna, Matteo Maria Zuppi: una decisa positività che è figlia della sua curiosità intellettuale e della speranza cristiana.

Cominciamo dal Sinodo: si può dire che la partecipazione e i risultati della fase dell’ascolto diocesano siano stati inferiori alle aspettative? In un Sinodo chiamato a discutere di sinodalità, cioè dell’essere Chiesa, spesso è prevalso tra i laici un atteggiamento ancora delegante e tra i preti una qualche diffusa diffidenza.

Sì, è vero. Ma penso anche che proprio questa fatica del cammino sinodale sia paradossalmente segno della necessità e urgenza della prassi sinodale. Perché ci si mette in cammino quando se ne avverte l’esigenza, quella di Cristo che non aspetta, chiama e invia. Questo appuntamento avviene in un momento particolare nella vita della Chiesa e del mondo, cioè nello scorcio finale (si spera) di una pandemia che ha sconvolto le nostre vite, ha cambiato le nostre abitudini, anche religiose, ha svuotato le chiese, ha inciso profondamente sul nostro sentimento religioso, sul nostro essere comunità, e financo sul nostro modo di pregare. Non scordiamoci che nelle nostre intenzioni iniziali questo cammino prevedeva anche dei compagni di viaggio esterni al nostro mondo abituale; non il solito 5 per cento ma quel 95 per cento che ci guarda ma non cammina con noi, e il tempo recente che abbiamo vissuto non c’è stato certo d’aiuto nel progetto. Dobbiamo ripartire da due domande: perché camminare e perché camminare insieme ad altri compagni di viaggio. E questo richiede una grande passione. L’immagine biblica di riferimento è Matteo, 9, 35: «Gesù percorreva tutte le città e i villaggi insegnando nelle loro sinagoghe e predicando il Vangelo del Regno, […] e vedendo le folle ne ebbe compassione perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore», e manda due a due i suoi; e Dio sa quanta stanchezza e sfinitezza c’è ora nel mondo. Anche oggi Dio ci chiama e ci manda. Non giudica, non rimprovera: manda noi! E se aspettiamo, quella sofferenza non incontra la gioia e la luce del Vangelo! Perché “camminare insieme” non è un dibattere insieme, ma aderire alla chiamata, cioè alla vocazione missionaria della Chiesa. La missione però non è un evento dimostrativo per poi accontentarci di rintanarci nelle trincee di sempre. È costitutiva dell’essere discepoli di Gesù. Capire le domande che ci vengono incessantemente dal mondo ci aiuta a vivere la compassione di Gesù, che è partecipazione interiore, condivisione. La pandemia (e con la pandemia della guerra) ci ha investito di tanta sofferenza: la scoperta della vulnerabilità e finitudine umana, le domande sull’Oltre da noi hanno incontrato quella che viene chiamata la “depressione escatologica”, l’incapacità del mondo di pensare e di parlare del futuro. Dobbiamo sì camminare insieme, ma guardando con lo sguardo di Gesù alle stanchezze e fragilità. Saper guardare e interpretare le doglie della creazione, che sono non solo la pandemia, ma anche la guerra, la rovina dell’ambiente, il degradare delle relazioni interpersonali e sociali. Non per lamentarci ma per cogliere quanto c’è comunque di generativo nelle sofferenze dell’oggi.

La passività delegante dei laici è comunque figlia di un’educazione religiosa lacunosa da parte del clero in tema di sinodalità. E spesso i preti hanno interpretato la sinodalità come una cessione di loro prerogative. Viene da pensare che la crisi della Chiesa, più che da imputare alla “secolarizzazione montante” abbia un’origine endemica.

Sono molto d’accordo sulla necessità di non continuare ad agitare la secolarizzazione come causa di tutti i nostri mali. Non è un giorno che viviamo ormai in un ambiente secolarizzato; il tema è semmai quello di saper accogliere le domande che oggi ci pone l’uomo secolarizzato, l’uomo “psicologizzato”, l’uomo che ha subito profonde e rapide mutazioni antropologiche. Molti di noi continuano a coltivare qualche nostalgia della “cristianità”, anche perché sono cresciuti e formati – religiosamente e civilmente – nell’idea di cristianità. Così rischiamo sempre di tornare a una logica di controllo, di numeri, di presenze, di rapporti di forza. Benedetto XVI parlava profeticamente di una “minoranza creativa” e Papa Francesco sviluppa ulteriormente parlando con tutti, facendoci capire che tutti ci appartengono. Sicuramente parte della Chiesa fa fatica a seguire questa prospettiva, perché resiste un’autocoscienza ideologizzata ed esclusiva. Basti pensare all’autocoscienza di una comunità parrocchiale, che spesso appare confusa, fragilizzata, se non – per usare un termine oggi un po’ abusato – autoreferenziale. Per questo penso che il Sinodo sia una straordinaria opportunità affinché la Chiesa recuperi una forte passione, come Papa Francesco, a parlare a tutti. In realtà non si tratta di innovare radicalmente lo stile ecclesiale, ma semplicemente mettere in pratica e declinare le intuizioni che sessant’anni fa già propose il Concilio Vaticano II . Malgrado le turbolenze post conciliari da un lato e le chiusure preconcette di quegli anni, oggi possiamo trarre efficacemente dai testi dei padri conciliari il giusto percorso da camminare insieme.

Rimaniamo sul tema dell’ascolto che lei ha giustamente posto come questione centrale del camminare insieme. Le domande da ascoltare sono tuttavia molto diverse dal passato. Dai tempi del Concilio a oggi è intervenuto un cambiamento epocale, che non è solo culturale, non è solo la globalizzazione, la digitalizzazione o la psicologizzazione delle relazioni. Ma è il cambiamento antropologico. L’essere umano non si sottrae all’evoluzione. L’uomo e la donna di oggi sono molto diversi da quelli su cui abbiamo costruito buona parte del pensiero teologico. Ontologicamente, se si può dire, diversi.

Questa è una questione importantissima che dobbiamo urgentemente affrontare. Senza rimpianti per il passato e senza fughe in avanti. Dobbiamo allora con coraggio comprendere l’antropologia, i cambiamenti già intervenuti e quelli che una rapidità vanno prospettandosi. E poi, con altrettanto coraggio, porci la domanda sul perché la bellezza umana dell’essere cristiani non attrae e quella sul “che fare?”. Tanti si sentono giudicati e non amati, così non facciamo né l’uno né l’altro. L’interferenza di questi cambiamenti con la sfera della morale fin qui proposta è evidente. Si pensi per esempio a come le scoperte delle neuroscienze incidono sulla nostra tradizionale idea di volere, e di libero arbitrio. O pensate alle questioni riguardanti i generi e la loro fluidità. Temi sui quali fatichiamo perché ci troviamo innanzi non più un’alterità di pensiero, una contrapposizione, ma un comune sentire, e una conseguente pratica. È saltata completamente l’idea del limite, l’idea che non ti evolvi se non moltiplicando le esperienze, sperimentando tutto e cambiando a piacimento le interpretazioni del reale. Lo stesso vale per le modifiche antropologiche derivate all’uomo digitale. Ma non possiamo certo limitarci a una sfilza di “no”. Dobbiamo piuttosto impegnarci a costruire il profilo attuale del cristiano, cioè dell’uomo evangelico, che è quello di sempre ma che deve parlare all’uomo di oggi. E poi non dimentichiamo che Dio è sempre più intimo a noi stessi. E non solo ci conosce ma ci insegna a conoscerci. Meglio di così!

Il nostro sistema di pensiero, filosofico e teologico, difetta spesso di una certa “fissità” del concetto di uomo. E di donna. Che invece sono esseri sempre dinamici, in continua evoluzione.

Assolutamente sì. Non c’è dubbio. Pensate per esempio a quanta porzione delle nostre capacità intellettive – a cominciare dalla memoria – sono state già trasferite nei devices elettronici, che ormai sono delle protesi dell’umano. È certo che anche questo cambia, e cambierà profondamente l’essere umano per come lo conosciamo. Il tema, sicuramente non facile, è di chiederci cosa può ancora oggi suggerire l’antropologia cristiana al mutato e mutante uomo di oggi. Per esempio: prevale oggi un concetto di benessere che alla resa dei conti non sembra fornire una felicità duratura, piuttosto un effetto narcotizzante. E lo stesso può dirsi per la costante sospinta all’esaltazione dell’“io”, che è funzionale ai consumi e non alla buona vita. O alla medicalizzazione costante che è esorcizzazione della fragilità dell’umano. Il cristiano è un uomo felice. Papa Francesco ce lo ricorda con insistenza, proprio perché è il primo modo di parlare del Vangelo. Ed è un uomo comunitario, fa parte di una famiglia e non un’isola o una monade che sperimenta tutto e non resta con nessuno.

In effetti, come osservava il cardinale Martini, abbiamo medicalizzato i due momenti più importanti della vita, inizio e fine. Si nasce e si muore in ospedale.

Sicuramente c’è una rimozione della vulnerabilità. Questo potrebbe voler dire che per l’uomo di oggi la vita bella è così com’è, hic et nunc: è questa, punto e basta, a volte con amaro fatalismo, a volte con arroganza prometeica e un po’ incosciente. Il cristiano, differentemente, vede e si rende conto della sofferenza che agita tutta l’esperienza umana, dall’inizio alla fine, la sua e quella degli altri e la interpreta, la elabora in compassione e fraternità. Il cristiano è colui che, accogliendola, trasforma quella realtà, quella sofferenza, in una richiesta. Papa Benedetto aveva dato un nome alle conseguenze di questo compiacimento dell’esistente: desertificazione spirituale. Ai tempi del Concilio si era espressa una convinzione, che era anche una speranza, che l’uomo si fosse finalmente reso consapevole dei propri limiti, che rifiutava la sopraffazione, l’odio, la guerra, e quindi preparava a un futuro migliore. Pensate al discorso di Giovanni XXIII sui profeti di sventura dell’11 ottobre 1962 all’apertura del Concilio, in cui li tacciava di non comprendere l’anelito irrevocabile di pace che saliva dagli uomini. Oggi dopo sessant’anni ci ritroviamo di nuovo tutti molto sofferenti, circondati da dinamiche che Papa Francesco non esita a chiamare da “terza guerra mondiale”; stiamo sperimentando di nuovo i veleni della violenza, della sopraffazione, dell’odio. Anche tra fratelli. Anche nella Chiesa. Prevalgono disillusione e disincanto. Il mondo digitalizzato e individualizzato alimentano le polarizzazioni. Manca invece l’unica risposta possibile: la compassione, cioè una lettura esistenziale ed esperienziale che aiuti, ci aiuti a ritrovarci.

Il cambio al vertice della Cei è stato anche un’occasione di verifica dello stato di salute della Chiesa italiana.

Devo dirvi che sono contento che questo passaggio tra il cardinale Bassetti e me coincida con il cammino sinodale. In qualche modo la verifica che richiamate è il Sinodo. Perché è un guardarsi, un capirsi non come un circolo chiuso ma come popolo. Che vuol dire essere cristiano oggi? Cosa mi chiede la Chiesa di essere? Non sono domande a cui possiamo rispondere in privato, garantiti da un facile spiritualismo alla moda. Perché ha ragione Papa Francesco: i due pericoli sempre incombenti sono gnosticismo e pelagianesimo, che relegano la religione nella dimensione individuale. Il cammino insieme invece può creare molta autocoscienza delle difficoltà, degli errori, dei limiti, aiutarci a capire che sono delle opportunità, delle potenzialità per la comunicazione del Vangelo. Ecco, per questo dobbiamo individuare quali sono oggi le vere priorità della Chiesa italiana, per non correre dietro a falsi problemi o a temi che oscillano sul confine dell’autoreferenzialità. Il documento di sintesi nazionale della fase diocesana del Sinodo va preso come un punto di partenza, che richiede ancora molto lavoro nel senso della specificazione, di comporre la pluralità delle idee per superare quel disincanto che dicevamo prima. Non basta solo esortare alla conversione ma cambiare camminando.

Ancora sulla Chiesa italiana: alcuni dati statistici, circa i matrimoni civili o la frequenza sacramentaria, sembrerebbero dire che si allarga anche in campo ecclesiale una forbice tra Nord e Sud.

Mah, la forbice c’è sempre stata, e la forza della secolarizzazione della società italiana mi sembra pervasiva in ogni dove, anche se le forme in cui si manifesta sono poi abbastanza diverse nelle diverse regioni del Paese. Però, lasciatemi dire, se è vera l’immagine della desertificazione spirituale, ci deve essere anche l’acqua. Il deserto in quanto tale esprime la sete, il bisogno – e la ricerca – dell’acqua. Se c’è il deserto significa anche che c’è una nuova ricerca di acqua. Dobbiamo guardare alla sete, non lamentarci del deserto. Soddisfare questa sete significa spiegare, e ancor più mostrare, com’è vivere da cristiani oggi. Perché ne vale la pena, e dona più soddisfazioni del protagonismo digitalizzato imperante o dell’essere meri spettatori di un mondo nel quale è sempre più difficile relazionarsi. C’è un’agiografia francescana che racconta della prima predicazione di san Francesco nella mia diocesi, esattamente ottocento anni fa, e dice come san Francesco non sembrava che predicasse perché in realtà conversava in un dialogo aperto coi bolognesi. Questo è il modello della nostra presenza nel mondo; esserci, parlare al cuore, tessere relazioni e fare sentire la presenza di Cristo.

Eppure la Chiesa italiana, per dirla con Giuseppe De Rita, ha un problema di “postura”. Come anche voi scrivete nel documento di sintesi del percorso sinodale, di fronte ai tanti temi su cui è chiamata a dire la sua – povertà, cultura dello scarto, pace, giustizia sociale, lavoro, giovani ed educazione – appare come afona, balbettante. Come si fa allora a conversare?

Abbiamo fatto la nostra scelta di conversare e quindi innanzitutto abbiamo deciso di ascoltare. Abbiamo impegnato questi due anni all’ascolto. Gli esiti certamente sono controversi, probabilmente perché noi preti siamo più abituati a rispondere che a domandare, più propensi a definire, circoscrivere, dare certezze, spiegare chi siamo, a parlare sopra che ascoltare. Il tema invece è quello di saper raccogliere quanto la realtà intorno a noi ci propone, come dice Papa Francesco “farci schiaffeggiare dalla realtà”. Mi viene in mente, per fare un esempio tra i tanti, il giudizio che don Giussani dette di Pierpaolo Pasolini. Due mondi di provenienza che più lontani non si può immaginare. Eppure Giussani non ebbe esitazioni ad accogliere e ad appassionarsi del pensiero di Pasolini, fino ad attribuirgli il ruolo di maestro. Occorre avere sempre un atteggiamento accogliente e non giudicante, mentre veniamo spesso identificati come aprioristicamente giudicanti, anche quando magari non lo siamo. Ma perché veniamo considerati giudicanti? Intanto perché, diciamolo, troppo spesso abbiamo un’ossessione a giudicare, perché sentiamo che se non lo facessimo non adempiremmo al nostro ruolo. C’è dentro di noi uno zelo che ci porta a difendere la trincea della verità. Pensiamo che questo sia il nostro essenziale compito e che questo significhi seguire il Vangelo. Ma non è così. Perché certo il Vangelo è la verità ma è ben diverso dall’atteggiamento farisaico, il quale comunica la Legge, mentre a noi il Vangelo chiede di comunicare l’Amore. Dirti la legge è condannarti. Non possiamo usare il Vangelo come una clava. La misericordia, l’ascolto non giudicante, l’attenzione pastorale non sono cedevolezze. Poi certo sono consapevole che c’è anche il rischio di inseguire le filosofie del mondo. Ma con queste il discrimine è molto netto: loro esaltano l’Io, noi ragioniamo solo in termini di Noi. La Chiesa non corre dietro all’Io.

Il Noi si sostanzia innanzitutto nell’impegno politico. La Chiesa italiana nei primi quarant’anni della storia repubblicana ha fatto politica. Politica con la P maiuscola ovviamente, non la politique politicienne. E l’efficacia è stata notevole, soprattutto per la funzione di collante tra spinte diverse, di mediazione culturale. Poi con la fine della prima Repubblica e la scomparsa del partito dei cattolici si disse che il ruolo dei cattolici sarebbe stato quello, in entrambi i poli, di influenzare la politica sui valori cristiani. Oggi sembrerebbe essere accaduto il contrario: è la politica che influenza i cattolici. La divisione politica precede ogni altra distinzione tra cattolici.

Intanto c’è da dire che la polarizzazione è oggi la cifra di tutta la società. E i cristiani non sono estranei alla società. La polarizzazione regna sovrana su tutti i temi, grandi e piccoli. Credo che questa sia la risposta istintiva e semplificante alla complessità del mondo in cui viviamo. Aderisci, ma non pensi. Schierandoti non hai bisogno di farti molte domande. Noi dobbiamo invece affrontare la complessità senza timore, porci domande, soprattutto quelle che riguardano il “chi” , cioè ponendo al centro la persona. Questa è la via della semplicità e non della semplificazione. L’altra cosa, che giustamente rilevate, è guai ad avvelenare con la logica politica le relazioni ecclesiali! Non è un fenomeno solo italiano; penso per esempio alla forte polarizzazione politica rappresentata nella Chiesa americana. Ma laddove la politica ha usato categorie pseudo-teologiche o spirituali per inquinare la vita ecclesiale alla fine hanno perso tutti. Dobbiamo fare molta attenzione su questo aspetto. E non solo per le strumentalizzazioni esterne quanto per le divisioni interne. Guai a cadere nelle trappole a esempio delle finte contrapposizioni tra sociale e spirituale, o alle divisioni, spesso artificiose, sui temi etici. Sui temi etici non possiamo limitarci a ripetere le lezioncine del passato, ma dobbiamo trovare nuove parole per nuove domande. Con molta franchezza: se sui temi etici il mondo va da un’altra parte vuol dire certo che non dobbiamo omologarci o dire quello che il mondo vuole sentirsi dire ma sapere dire le verità di sempre nella cultura o nelle categorie di oggi. Questa è la sfida ed è tutt’altro che cedevolezza ma responsabilità, altrimenti ripetiamo una verità diventata dura da accettare. Pensiamo al discorso sulla famiglia: non abbiamo ancora saputo fare qualcosa di meglio di quanto proposto dalla secolarizzazione. Paolo VI e Mazzolari lo dicevano già ai loro tempi: tanti sono lontani e il problema non sono loro, siamo noi! C’è in loro una domanda, implicita, di una Chiesa più evangelica, più madre e per questo esigente e coinvolgente, che non fa la matrigna e dice: «Te lo avevo detto io».

Su questo aspetto il debito di ascolto maggiore è forse nei confronti delle donne. Le donne che sono sempre state il pilastro fondante della Chiesa. E oggi invece registriamo che la categoria sociale che più tende ad allontanarsi sono le giovani donne. Anzi, registriamo frequentemente che le giovani donne sono proprio “arrabbiate” con la Chiesa.

Sì, lo confermo. E posso aggiungere che questo nasce essenzialmente dal non sentirsi ascoltate. E qui il tema da approfondire è come si ascolta. Noi preti, troppo spesso, coltivando tanti rapporti, ascoltiamo solo con le orecchie. Ricordo, quando ero parroco a Santa Maria in Trastevere, una volta una giovane donna trasteverina mi apostrofò: “A’ don Matte’, ma me stai a senti’?”. “Ma io te sento!”. “No, tu stai a pensa’ a li fatti tua”. Ascoltare non significa fare rilevazioni sociologiche a campione, ma esercitare l’empatia che è generata dalla vera passione per l’altro.

Rilevava di recente il sociologo Mauro Magatti che, a dispetto di chi celebra ogni giorno la fine della religione, le religioni sono quanto mai al centro delle vicende del mondo, soprattutto in senso negativo, nelle contrapposizioni. Il fondamentalismo islamico continua a ispirare violenza in molti paesi, risorge in Europa un sentimento antisemita, in America, come dicevamo, la religione è tra i principali strumenti di scontro politico, o perché strumentalizzata o perché ostracizzata, e anche qui da noi il sovranismo agita impropriamente simboli e temi religiosi. La religione dunque sembra avere un suo spazio ma solo come strumento di divisione.

Beh, è quello che dicevamo anche prima. La polarizzazione come risposta (falsa) alla complessità. E sicuramente la polarizzazione usa le religioni perché ancora oggi possono smuovere grandi passioni. Ma la risposta ce la dà ancora una volta Papa Francesco con Fratelli tutti che non è solo una profonda e innovatrice esplicitazione teologica della fratellanza evangelica, ma è anche il manifesto di un nuovo umanesimo civile. Direi anche l’unico nell’attuale contesto mondiale. Dobbiamo essere capaci di diffondere una parola di “fratellanza necessaria” all’uomo di oggi, una parola che si dimostri migliore e più attraente dell’individualismo consumistico. Una parola che non teme di proporre la porta stretta anziché la porta larga. Perché la porta stretta? Perché quella larga conduce a una felicità effimera e ingannevole. Non dà soddisfazione definitiva, e infatti l’infelicità è oggi quanto mai diffusa. La porta stretta è quella del “noi”, è quella della consapevolezza -per citare ancora Papa Francesco – che, credenti o meno, “non ci si salva da soli”. Dobbiamo far crescere ovunque la comunione. Comunione significa lo stare insieme, l’amicizia. Dobbiamo dire con più forza che la Chiesa è una famiglia. Quelli accanto a noi a messa non sono dei soci, sono dei fratelli, parenti di una stessa famiglia. E non basta dirlo, bisogna viverlo. Il senso dei ministeri a cui siamo chiamati, laici e preti, lo trovi solo nella comunione. I nuovi ministeri istituiti, aperti anche alle donne, saranno un passaggio decisivo nella costruzione di un’architettura di comunione. Ma attenzione che siano risposte “sostenibili”, cioè dalla valenza spirituale e non solo strutturale, funzionale. Pensando all’interesse suscitato da queste nuove ministerialità, vorrei tornare su quanto dicevo all’inizio: la Chiesa italiana è viva, e ha voglia di vivere. Perché è dotata di spiritualità. E perché è immersa nel sociale.

In questa nostra chiacchierata ha citato spesso il termine conversazione spirituale. Cosa intende precisamente?

Direi semplicemente che è un parlare cominciando da se stessi (non dall’altro) presentandosi non in chiave materiale, funzionale, ma appunto spirituale. Cioè di come la mia vita è improntata da un senso. E questo vale tanto per i laici che per i preti. Conversare non è un mestiere, è un mettersi in gioco.

Un’ultima domanda su una questione che ci sta a cuore, perché viene da un’esperienza che anni fa abbiamo fatto insieme: siamo stati insegnanti di religione nei licei, tutti e tre.

Ah già, e ho un ricordo molto bello del tempo in cui ho insegnato religione. Era ancora obbligatorio ed era una sfida ogni volta, ma appassionante.

Malgrado le chiese sempre più vuote, e le pratiche sacramentali in disarmo, l’ora di religione continua a essere scelta da una grande maggioranza di studenti. Per un solo giovane che frequenta una parrocchia ci sono cinquanta giovani che fanno religione a scuola. È la vera “Chiesa in uscita”. Eppure, le diciamo con franchezza, abbiamo la percezione che la sensibilità dei vescovi italiani su questo fronte sia un po’ bassa.

Sì, è un tema che merita una riflessione seria e approfondita. Perché l’ora di religione può essere molto importante per il futuro della Chiesa in Italia. C’è bisogno dell’insegnamento della religione per capire il mondo dove siamo, le nostre radici. Ci serve un’alleanza con i laici – anche atei – che ben comprendono l’importanza della conoscenza religiosa in un sistema culturale, come quello italiano, profondamente permeato dal fatto religioso. Farlo penso sia la migliore difesa dagli estremismi. Continuo spesso a dire: come si può capire veramente Manzoni, o Dante, o la storia dell’arte, o buona parte della filosofia, senza avere una formazione culturale (non catechetica) religiosa di base? In questo discorso aggiungerei un ulteriore argomento: a scuola si fanno due ore a settimana di educazione fisica, ma non c’è neanche un’ora di educazione spirituale. Una contraddizione della più elementare antropologia. Sarebbe bello se i giovani potessero imparare a conoscere se stessi come soggetti spirituali.

 

di ANDREA MONDA
e ROBERTO CETERA

03 settembre 2022 – L’Osservatore romano

Sinodo 2021-2023: la Sintesi nazionale della fase diocesana

Pubblichiamo il testo integrale della Sintesi nazionale della fase diocesana del Sinodo 2021-2023 “Per una Chiesa sinodale: Comunione, partecipazione e missione” che la Presidenza della CEI ha consegnato il 15 agosto alla Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi. Il Sinodo è inteso come un processo sinodale e culminerà nel 2023 con la fase universale, preceduta da quella continentale.
Il documento dà sinteticamente conto del percorso compiuto nell’anno pastorale 2021-2022, dedicato all’ascolto e alla consultazione capillare del Popolo di Dio. Questo primo “step” è stato armonizzato, per volere dei Vescovi, con il Cammino sinodale delle Chiese che sono in Italia, che sta interessando sempre di più i diversi territori con proposte e progetti. La Sintesi, dunque, offre anche una panoramica del primo anno di Cammino sinodale, che fino al 2025 sarà strutturato in tre momenti: fase narrativa (2021-2022 e 2022-2023); fase sapienziale (2023-2024); fase profetica (2025).

 

In ascolto del Popolo di Dio

L’indizione del Sinodo universale ha rappresentato per le Chiese in Italia l’occasione per dare seguito ad alcune indicazioni offerte da Papa Francesco negli ultimi anni. Già nel 2015, al Convegno Ecclesiale Nazionale di Firenze, parlò di “stile sinodale”, mentre nel 2019 tornò sul tema della sinodalità raccomandando di avviare un processo “dal basso verso l’alto, e dall’alto verso il basso”. Così, rispondendo ai suoi ripetuti appelli, raccolti e assunti dalla 74ª Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana, nel maggio 2021 è stato avviato il Cammino sinodale delle Chiese in Italia, ufficialmente apertosi in tutte le diocesi il 17 ottobre 2021 e teso a prestare orecchio a “ciò che lo Spirito dice alle Chiese” (cf. Ap 2-3). Il percorso prevede uno sviluppo in cinque anni, con un’articolazione in tre fasi: narrativa (2021-2022; 2022-2023), sapienziale (2023-2024) e profetica (2024-2025). L’anno pastorale 2021-2022, in sintonia con quanto richiesto dalla Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi, è stato dedicato all’ascolto e alla consultazione capillare del Popolo di Dio, inserendosi a pieno nel tracciato del Sinodo universale “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”: è stata avviata una consultazione anche al di là del perimetro di coloro che si sentono membri della comunità ecclesiale, attraverso la proposta di un cammino spirituale di ascolto reciproco e di una sinodalità vissuta sulla quale far leva per quella riforma che il Signore domanda continuamente alla sua Chiesa. Del cammino percorso in questo primo anno si dà qui sinteticamente conto.

Il coinvolgimento è stato ampio ed eterogeneo: dalle Chiese locali nelle loro articolazioni (diocesi, parrocchie, zone pastorali o foranie…) e in tutte le loro componenti, con lo sforzo di raggiungere anche i mondi della politica, delle professioni, della scuola e dell’università, fino ai luoghi della sofferenza e della cura, alle situazioni di solitudine e di emarginazione.

Non sono mancate incertezze e perplessità, soprattutto in fase iniziale, a rallentare il percorso, specialmente in una stagione segnata da ansie e smarrimento, dal riacutizzarsi della pandemia con il suo carico di lutti, sofferenze e disagi, allo scoppio della guerra in Ucraina, che ha riacceso ferite, paure e risentimenti. In mezzo a queste crisi, il Popolo di Dio ha cercato di superare individualismi, scetticismi e steccati, e si è messo in cammino.

È stato costituito un Gruppo di coordinamento nazionale, si sono formati circa 50.000 gruppi sinodali, con i loro facilitatori, per una partecipazione complessiva di mezzo milione di persone. Più di 400 referenti diocesani hanno coordinato il lavoro, insieme alle loro équipe, sostenendo con costanza e convinzione iniziative, producendo sussidi e raccogliendo narrazioni. Si è creata una rete di corresponsabili che è un primo frutto, inatteso, del Cammino e una risorsa preziosa per la sua prosecuzione. Il collegamento tra i referenti è stato importante per sostenere un lavoro ricco e impegnativo che si è dovuto confrontare anche con resistenze dovute alla paura di attivare un processo destinato semplicemente a lasciare le cose come stanno.

Sono duecento le sintesi diocesane e 19 quelle elaborate da altri gruppi – per un totale di più di 1.500 pagine – pervenute alla Segreteria Generale della CEI a fine giugno. In alcune Chiese locali il cammino si è innestato su Sinodi diocesani in corso, appena avviati o da poco conclusi, con l’attenzione d’intrecciare il percorso diocesano con quello nazionale e universale e con la disponibilità a leggere il Sinodo diocesano come un dono anche per le altre Chiese, con uno spirito nuovo e una visione più ampia che può contribuire a uscire dalla logica dei Sinodi di documenti.

Il soffio dello Spirito ha rimesso in movimento le comunità, a volte stanche e ripiegate su se stesse, ha aperto gli occhi e il cuore consentendo di vedere e riconoscere i “compagni di viaggio” e il debito di ascolto maturato nel tempo. Diverse persone, talvolta confinate nell’invisibilità, sono state raggiunte dall’invito del Sinodo e coinvolte in un percorso di ascolto che le ha viste finalmente protagoniste. Del resto, è apparso subito chiaro che non c’è nulla che sia estraneo alla vita della Chiesa e, quindi, che la Chiesa può essere davvero la casa di tutti. Va, tuttavia, segnalato che il percorso compiuto durante il primo anno ha intercettato principalmente la parte della comunità ecclesiale italiana che in qualche modo gravita o afferisce ai circuiti parrocchiali, seppur con eccezioni anche importanti e tanta creatività. La parrocchia resta il paradigma strutturante dell’immaginario pastorale e missionario, sebbene la presenza e l’azione dei cattolici italiani si svolga anche in circuiti che hanno un minor ancoraggio parrocchiale. Si tratta di un dato da tenere in considerazione per avere una piena percezione dell’articolazione, della varietà e della ricchezza delle forme del camminare delle Chiese in Italia.

Il metodo della conversazione spirituale ha aiutato a vivere il processo sinodale: ascoltare la vita ha permesso di non impantanarsi in uno sterile confronto di idee, ma di favorire uno scambio autentico, in cui cogliere “i segni dei tempi”. Ripartire dall’ascolto dei vissuti ha consentito alle comunità italiane, talvolta arroccate su posizioni di difesa e di rassegnazione, di scoprirsi capaci di accogliere e di amare. Questa metodologia, che promuove una dinamica che aiuta a passare dall’“io” al “noi”, da una prospettiva individuale a una comunitaria, è stata particolarmente apprezzata tanto che da più parti si è sollevata la richiesta di mantenerla, approfondirla e valorizzarla come prassi ordinaria.

La conversazione spirituale ha permesso di far emergere fatiche e limiti delle realtà ecclesiali, ma sempre in una prospettiva propositiva e di speranza. In ordine alle dinamiche interne alla vita della comunità e alla sua forma strutturale, ad esempio, sono state registrate con lucidità alcune annose questioni che affaticano il passo: il clericalismo, lo scollamento tra la pastorale e la vita reale delle persone, il senso di fatica e solitudine di parte di sacerdoti e di altre persone impegnate nella vita della comunità, la mancanza di organicità nella proposta formativa, l’afasia di alcune liturgie. Tale disamina non si è, tuttavia, connotata per il senso di rassegnazione e neppure per i toni accesi della rivendicazione. Anzi, per il modo in cui è stato condotto, il processo sinodale ha aperto spazi e opportunità di ripensamento e di profonda riforma di queste dinamiche, a partire dalle sinergie che ha attivato e dal gusto di lavorare insieme. Non si è semplicemente parlato di sinodalità, ma la si è vissuta, facendo i conti anche con le inevitabili fatiche: nel lavoro dell’équipe diocesana – presbiteri, diaconi, laici, religiosi e religiose insieme, giovani e adulti, e con la presenza partecipe del Vescovo –, nell’accompagnamento discreto e sollecito delle parrocchie e delle realtà coinvolte, nella creatività pastorale messa in moto, nella capacità di progettare, verificare, raccogliere, restituire alla comunità. L’esperienza fatta è stata entusiasmante e generativa per chi ha accettato di correre il rischio di impegnarvisi: in molti contesti ha contribuito a rivitalizzare gli organismi di partecipazione ecclesiale, ha aiutato a riscoprire la corresponsabilità che viene dalla dignità battesimale e ha lasciato emergere la possibilità di superare una visione di Chiesa costruita intorno al ministero ordinato per andare verso una Chiesa “tutta ministeriale”, che è comunione di carismi e ministeri diversi. A riguardo non va sottaciuta la fatica a suscitare un coinvolgimento cordiale di una porzione non trascurabile del clero, che ha visto il Cammino sinodale con una certa diffidenza. In alcuni passaggi, inoltre, non è risultata scontata la sintonia tra le modalità ordinarie di esercizio del ministero episcopale e l’assunzione di uno stile pienamente sinodale, a cui il Cammino punta.

I referenti diocesani si sono incontrati alcune volte online e due volte in presenza a Roma: dal 18 al 19 marzo e dal 13 al 15 maggio 2022. Quest’ultimo appuntamento residenziale, con la partecipazione dei Vescovi rappresentanti delle Conferenze Episcopali Regionali, ha permesso di stendere insieme una prima sintesi nazionale; successivamente, durante la 76ª Assemblea Generale della CEI (23-27 maggio), alla quale hanno preso parte, nelle giornate del 24 e 25 maggio 2022, 32 referenti diocesani, cioè due per ogni Regione ecclesiastica, si è ulteriormente riflettuto, in modo sinodale, arrivando a definire alcune priorità emerse dall’ascolto del Popolo di Dio.

 

In dieci nuclei la varietà di accenti e sensibilità delle Chiese in Italia
Ascoltare, accogliere, relazioni, celebrare, comunicazione, condividere, dialogo, casa, passaggi di vita e metodo sono i dieci nuclei attorno a cui sono state organizzate le riflessioni emerse dalle sintesi diocesane: non si tratta di categorie astratte, predeterminate, ma di modalità per agganciare, raccogliere e presentare l’esperienza vissuta del camminare insieme delle Chiese in Italia, nelle loro articolazioni e specificità. Questa scelta di fondo rappresenta anche il tentativo di riprendere il percorso compiuto tra i due ultimi Convegni Ecclesiali Nazionali, celebrati a Verona (16-20 ottobre 2006) e a Firenze (9-13 novembre 2015), con l’intento di passare dall’usuale strutturazione per settori d’azione o secondo le missioni degli Uffici pastorali (ai diversi livelli) a una visione che tenta di abbracciare sempre l’insieme dell’esistenza delle persone e di cogliere le interconnessioni della vita.

Ogni nucleo va inteso come una dimensione, una declinazione o un ambito del camminare insieme. In questo senso, i dieci nuclei non sono alternativi, ma complementari; alcuni espressi come verbi, altri come sostantivi, proprio per rispettare le risonanze con cui sono stati espressi. La loro pluralità non rappresenta un limite da superare, attraverso un’operazione di omogeneizzazione o di gerarchizzazione, ma contribuisce a custodire il fondamentale pluralismo dell’esperienza delle Chiese in Italia, con tutta la varietà di accenti e sensibilità da cui sono attraversate e di cui sono portatrici.

2.1 Ascoltare

L’ascoltare e il sentirsi ascoltati sono certamente la grande riscoperta del processo sinodale e il suo primo inestimabile frutto, insieme al discernimento. Uno dei dati più evidenti è il riconoscimento del debito di ascolto come Chiesa e nella Chiesa, verso una molteplicità di soggetti. Le sintesi diocesane e le altre che sono pervenute direttamente alla Segreteria della Cei, hanno messo in luce la necessità di crescere nell’ascolto di ogni persona nella sua concreta situazione di vita. Con chiarezza le Chiese che sono in Italia hanno messo in luce la necessità di porsi in ascolto dei giovani, che non chiedono che si faccia qualcosa per loro, ma di essere ascoltati; delle vittime degli abusi sessuali e di coscienza, crimini per cui la Chiesa prova vergogna e pentimento ed è determinata a promuovere relazioni e ambienti sicuri nel presente e nel futuro; delle vittime di tutte le forme di ingiustizia, in particolare della criminalità organizzata; dei territori, di cui imparare ad accogliere il grido, grazie all’apporto di competenze specifiche e all’impegno di “stare dentro” a un luogo e alla sua storia. L’ascolto chiede di far cadere i pregiudizi, di rinunciare alla pretesa di sapere sempre che cosa dire, di imparare a riconoscere e accogliere la complessità e la pluralità.

Un ascolto autentico è già annuncio della buona notizia del Vangelo, perché è un modo per riconoscere il valore dell’altro, il suo essere prezioso. L’ascolto è allora tutt’uno con la missione affidata alla Chiesa ed è principio e stile di un’assunzione di responsabilità per il mondo e per la storia. Una particolare attenzione in questo ascolto deve essere riservata alle situazioni di povertà: è a partire da qui ed è con i poveri del mondo che le nostre comunità devono poter delineare il cammino per il Terzo millennio. Resta chiaro che la finezza dell’udito viene pian piano plasmata dalla Parola del Signore che apre l’orecchio e spalanca il cuore. L’autentico ascolto della Parola è l’antidoto contro il ripiegamento su di sé, la via verso una presenza incisiva nella realtà sociale e verso una crescente condivisione. In radice, l’ascolto della Parola e l’ascolto della vita sono il medesimo ascolto, perché il Signore si lascia incontrare nella vita ordinaria e nell’esistenza di ciascuno, ed è lì che chiede di essere riconosciuto. Di qui l’esigenza, unanimemente sentita, di rimettere al centro la Parola, immaginando percorsi di crescita in questa dimensione e investendo su figure che sappiano accompagnarli.

2.2 Accogliere

La consultazione sinodale ha messo in luce l’importanza di vivere la prossimità nella pluralità delle situazioni di vita e di condizioni che abitano un territorio: le persone costituiscono la vera ricchezza delle comunità, ciascuna con il suo valore unico e infinito. Non si tratta di pensare che chi è parte della comunità ecclesiale debba fare uno sforzo di apertura verso chi rimane sulla soglia. Piuttosto, l’accoglienza è un cammino di conversione per dare forma nella reciprocità a una comunità fraterna e inclusiva che sa accompagnare e valorizzare tutti. Questa consapevolezza consente di superare la distinzione “dentro” / “fuori”.

Vivere l’accoglienza significa armonizzare il desiderio di una “Chiesa in uscita” con quello di una “Chiesa che sa far entrare”, a partire dalla celebrazione dell’Eucaristia. La creazione di un “ministero di prossimità” per i laici dedicati all’ascolto delle situazioni di fragilità potrebbe sostenere il processo di rinnovamento in vista di comunità più aperte, meno giudicanti e capaci di non lasciare indietro nessuno. Si coglie l’esigenza di un ripensamento complessivo: numerose sottolineature fanno emergere carenze sul piano della capacità di inclusione. In particolare, si riconosce il bisogno di toccare ferite e dare voce a questioni che spesso si evitano. Tante sono le differenze che oggi chiedono accoglienza: generazionali (i giovani che dicono di sentirsi giudicati, poco compresi, poco accolti per le loro idee e poco liberi di poterle esprimere; gli anziani da custodire e da valorizzare); generate da storie ferite (le persone separate, divorziate, vittime di scandali, carcerate); di genere (le donne e la loro valorizzazione nei processi decisionali) e orientamento sessuale (le persone Lgbt+ con i loro genitori); culturali (ad esempio, legate ai fenomeni migratori, interni e internazionali) e sociali (disuguaglianze, acuite dalla pandemia; disabilità ed emarginazione).

2.3 Relazioni

Le persone vengono prima delle cose da fare e dei ruoli: questo principio è risuonato più volte nella consultazione sinodale, insieme al riconoscimento di quanto venga spesso disatteso. La cura delle relazioni chiede di non lasciarsi ingabbiare da ruoli e funzioni – pur necessari – e di non utilizzarli come recinti in cui chiudersi. Ognuno nella comunità ecclesiale ha bisogno di imparare a vivere relazioni più attente all’altro, soprattutto quando si svolge un ministero e un servizio: i sacerdoti, per primi, sono chiamati a essere “maestri di relazione”, capaci di stare e camminare con gli altri. Peraltro, emergono anche la preoccupazione per il senso di solitudine che a volte vivono anche i sacerdoti e la necessità di comunità capaci di accompagnarli.

Le relazioni hanno bisogno di tempo e di cura costante: sono un bene fragile che necessita di energie individuali, di sinergie comunitarie e di accettazione delle fatiche e delle sconfitte. Le comunità necessitano di cammini di riconciliazione per abitare e superare i conflitti e le frammentazioni. Ciò richiede di riconoscere che la dimensione relazionale non cresce in modo automatico, ma giorno dopo giorno dando spazio all’incontro, al confronto e al dialogo, e sapendo camminare con gli altri senza voler imporre a tutti i costi il proprio ritmo.

L’incontro con le persone non va vissuto come un corollario, ma come il centro dell’azione pastorale. Perciò è importante rivedere in una prospettiva maggiormente comunitaria il tema delle funzioni e delle mansioni svolte attualmente dai presbiteri. Avere a cuore le relazioni nella comunità significa riconoscere e prendersi cura delle diverse forme di solitudine e di coloro che vivono situazioni di fragilità e marginalità.

2.4 Celebrare

Pur nella diversità delle situazioni, il processo sinodale è stato segnato da una forte tensione spirituale. La Parola di Dio è riconosciuta come chiave per tornare a essere credibili ed è forte il desiderio di una sua conoscenza più approfondita attraverso modalità quali Lectio Divina, Liturgia della Parola, formazione biblica. Potendo essere guidate da diaconi, religiosi o laici (uomini e donne) formati, permetterebbero di offrire più occasioni di incontro con la Parola e di rispondere alla sete di vita nello Spirito.

La celebrazione eucaristica è e rimane “fonte e culmine” della vita cristiana e, per la maggioranza delle persone, è l’unico momento di partecipazione alla comunità. Tuttavia, si registrano una distanza tra la comunicazione della Parola e la vita, una scarsa cura delle celebrazioni e un basso coinvolgimento emotivo ed esistenziale.

Di fronte a “liturgie smorte” o ridotte a spettacolo, si avverte l’esigenza di ridare alla liturgia sobrietà e decoro per riscoprirne tutta la bellezza e viverla come mistagogia, educazione all’incontro con il mistero della salvezza che tocca in profondità le nostre vite, e come azione di tutto il Popolo di Dio. In tal senso risulta urgente un aggiornamento del registro linguistico e gestuale. Da riscoprire è anche il valore della pietà popolare (spesso legata ai santuari e alla devozione mariana) che continua a dare i suoi frutti a favore della costruzione dell’identità cristiana e comunitaria delle parrocchie e dei territori, e che, se rettamente vissuta, può essere occasione di annuncio e di proposta per i cosiddetti lontani, a condizione di un discernimento delle potenziali ambiguità e di uno sforzo per farne occasione di crescita di una coscienza civile, sensibile ai problemi sociali ed economici delle famiglie e dei poveri.

2.5 Comunicazione

Comunicazione e linguaggi sono due parole chiave che emergono dai materiali provenienti dalle diocesi. Risulta diffusa la percezione di una Chiesa che trasmette l’immagine di un Dio giudice più che del Padre misericordioso. Un linguaggio non discriminatorio, meno improntato alla rigidità, ma più aperto alle domande di senso, sembra la chiave per parlare a tante persone in ricerca, per rendere la Chiesa più accessibile, più comprensibile e più attraente per i giovani e i “lontani”, più capace di trasmettere la gioia del Vangelo. Non basta un’operazione di maquillage: la conversione del linguaggio richiede di tornare a contattare il cuore pulsante dell’esperienza della fede all’interno della concretezza della vita degli uomini e delle donne di oggi. Dalla Chiesa e nella Chiesa si attende un linguaggio chiaro, coraggioso e competente sulle questioni del nostro tempo, attento a scegliere termini che esprimano rispetto e non siano giudicanti, senza concessioni alla superficialità.

Quanto all’ambiente digitale, se è necessario che la Chiesa stia lì dove le persone trascorrono parte del loro tempo, è altrettanto fondamentale investire in cura e formazione, così da apprendere i nuovi linguaggi e aprire percorsi di senso senza assumere la logica degli influencer, ma puntando a dare forma a comunità aperte e non a “bolle” della fede. L’utilizzo sapiente dei nuovi media può consentire anche di raccontare meglio le attività ecclesiali, spesso poco conosciute all’esterno anche per la fatica, l’incapacità e il timore nel comunicarle.

La partecipazione e la corresponsabilità hanno bisogno della linfa vitale di una comunicazione trasparente, della condivisione delle informazioni e della cura nel coinvolgere i diversi soggetti parte nei processi. Proprio la mancanza di trasparenza, secondo alcuni, ha favorito insabbiamenti e omissioni su questioni cruciali quali la gestione delle risorse economiche e gli abusi di coscienza e sessuali.

2.6 Condividere

Nelle narrazioni sinodali si percepisce un forte desiderio di riconoscimento del valore della corresponsabilità, che si sviluppa dove le persone si sentono valorizzate, non si percepiscono tradite, violate, abbandonate. La corresponsabilità appare come il vero antidoto alla dicotomia presbitero-laico. La Chiesa appare troppo “pretocentrica” e questo deresponsabilizza, diventando un alibi per deleghe o rifiuti da parte dei laici, relegati spesso a un ruolo meramente esecutivo e funzionale, anziché di soggetti protagonisti, costruttori di un “noi”. Ma non per questo esenti dal rischio di sviluppare forme di clericalismo nella gestione dei piccoli spazi di potere loro affidati.

L’emarginazione dei laici riguarda prevalentemente le donne: ciò di cui si sente universalmente la mancanza è una reale condivisione delle responsabilità che consente alla voce femminile di esprimersi e di contare. Particolare attenzione va riservata a religiose e consacrate, che spesso si sentono utilizzate soltanto come “manodopera pastorale”.

In ordine alla corresponsabilità, si registra poi il mancato o inefficace funzionamento degli organismi di partecipazione: diverse comunità ne sono prive, mentre in molti casi sono ridotti a una formalità, a giustificazione di scelte già definite. Perciò se ne invoca il rilancio come spazi di concreta esperienza della corresponsabilità ecclesiale, lo sviluppo di leadership allargate e l’acquisizione di uno stile sinodale in cui le decisioni si prendono insieme, sulla base dell’apporto di ciascuno a comprendere la voce dello Spirito, nella chiave del discernimento e non della democrazia rappresentativa.

Può essere di aiuto in tal senso anche l’avvio di una pastorale integrata tra le parrocchie e delle parrocchie con quanti vivono l’annuncio negli ambienti di vita. Quel che si impone in ogni caso è la valorizzazione della comune dignità battesimale che, oltre ogni logica puramente funzionale, conduca a riconoscere la responsabilità di tutti i credenti, ciascuno con il dono che gli è proprio, nella edificazione e nella missione della comunità ecclesiale.

Alla ricchezza della comunione e all’efficacia dello sforzo di evangelizzazione possono contribuire movimenti, associazioni e gruppi ecclesiali, in quanto luoghi di educazione alla corresponsabilità ed esperienze preziose per l’evangelizzazione, quando si aprono alla collaborazione tra di loro e alla partecipazione alla vita della Chiesa locale.

2.7 Dialogo

La Chiesa vive la fede immersa nell’oggi, confrontandosi quotidianamente con il mondo del lavoro, della scuola e della formazione, gli ambienti sociali e culturali, gli aspetti cruciali della globalizzazione. Grazie a questo confronto, si è consapevoli che la fede non è più il punto di riferimento centrale per la vita di tante persone: per molti il Vangelo non serve a vivere. Eppure anche questo tempo chiama a raccogliere, con parresìa e umiltà, la sfida di lasciarsi sorprendere dai semi del Verbo presenti in ogni contesto, scorgendoli nei luoghi e nelle forme più impensate, come segni di creatività dello Spirito.

La cura della casa comune, il dialogo intergenerazionale, l’incontro tra diverse culture, la crisi della famiglia, la giustizia, la politica, l’economia, gli stili di vita, la pace e il disarmo… La comunità cristiana è chiamata a dire la sua, ma spesso appare afona, chiusa, giudicante, frammentata e poco competente. I luoghi e le modalità di dialogo nella Chiesa sono ancora pochi, in modo particolare tra Chiesa locale e società civile: spesso si percorrono cammini paralleli dove ognuno vive la propria realtà senza interferire, senza interrogarsi. Il processo sinodale ha svelato che molte realtà sociali, amministrative e culturali nutrono il desiderio di un confronto più assiduo e di una collaborazione più sistematica con le realtà ecclesiali. Una Chiesa sinodale è consapevole di dover imparare a camminare insieme con tutti, anche con chi non si riconosce in essa, con chi appartiene ad altre fedi, con chi non crede, imparando a decentrarsi e ad attraversare i conflitti. Dalla cultura attuale può imparare maggiore capacità di dialogo e confronto, nel rispetto delle diverse competenze e dei differenti ambiti, sapendo anch’essa mettersi in discussione, così come dai poveri può apprendere maggiore umiltà e tenacia. Una particolare risorsa per il dialogo è costituita dalla ricchezza di arte e di storia custodita in tante comunità, che può diventare terreno d’incontro con tutti.

2.8 Casa

Sentirsi o non sentirsi a casa costituisce il criterio del giudizio dei singoli sulla Chiesa. Casa è uno spazio accogliente, che non devi meritarti, luogo di libertà e non di costrizione. Per molti la parrocchia, il gruppo, il movimento sono contesti di vero incontro, di amicizia e di condivisione. Chi si percepisce fuori dalla comunità cristiana spesso osserva invece dinamiche più simili a quelle di un contesto settario o di un “fan club”. Ci si sente estranei di fronte ad aree di specializzazione pastorale, che facilmente si traducono in ambiti di potere. Più che una casa, la comunità viene pensata come un centro erogazione servizi, più o meno organizzato, di cui si fatica a cogliere il senso. Perciò è urgente ripensare lo stile e le priorità della casa. Se accogliere e accompagnare diventano preminenti, tutto deve essere reso più essenziale, a cominciare da strutture e aspetti burocratici. La Chiesa-casa non ha porte che si chiudono, ma un perimetro che si allarga di continuo.

Anche le comunità ecclesiali rischiano l’autoreferenzialità e la chiusura, o la creazione di “bolle”: gruppi in cui si vivono cammini di fede e di vita intensi, ma con poca disponibilità ad accogliere le novità, di persone e proposte. Tante “bolle” separate rendono le comunità frammentate, spazi in cui si rischia di dividersi poteri e ruoli, di essere esclusivi ed escludenti verso chi bussa. Per contrastare la sfida della frammentazione, a livello parrocchiale e diocesano, occorre investire nella costruzione di relazioni fraterne, valorizzando la pluralità delle sensibilità e provenienze come risorsa. In particolare, la testimonianza della carità è misura della capacità di aprirsi.

2.9 Passaggi di vita

Una comunità cristiana che vuole camminare insieme è chiamata a interrogarsi sulla propria capacità di stare a fianco delle persone nel corso della loro vita, e di accompagnarle a vivere in autenticità la propria umanità e la propria fede in rapporto alle diverse età e situazioni. È qui chiamata in causa l’azione formativa delle comunità, ma anche quanto esse siano in grado di offrirsi come punto di riferimento per le traiettorie di vita sempre più complesse degli uomini e delle donne di oggi. L’accompagnamento della vita delle persone è ben più ampio della formazione, perché riguarda lo stare a fianco, il sostenere, così da dare alle persone la possibilità di coltivare la propria coscienza credente, di accrescere le proprie risorse relazionali, cognitive, affettive, spirituali, attraverso esperienze condivise.

Nelle Chiese locali e nelle parrocchie le esperienze associative (oratori, gruppi, associazioni e movimenti) rappresentano un patrimonio formativo che, se adeguatamente coltivato, consente alle comunità di accompagnare la crescita in umanità e nella fede delle persone, nelle diverse età e condizioni di vita, nel dialogo intergenerazionale e nel sostegno alla dimensione vocazionale.

Una richiesta condivisa è di ripensare i percorsi di accompagnamento perché siano a misura di tutti: delle famiglie, dei più fragili, delle persone con disabilità e di quanti si sentono emarginati o esclusi. Anche il camminino dell’iniziazione cristiana ha bisogno di transitare alla logica dell’accompagnamento, integrando la dimensione cognitiva, quella affettiva, quella relazionale, quella estetica attraverso una pluralità di strumenti e linguaggi.

Si rivela inoltre imprescindibile rivedere la formazione iniziale e continua dei presbiteri sia nei contenuti, sia nelle forme, oltre che rafforzare le competenze delle laiche e dei laici impegnati nei diversi ministeri, a partire dal servizio catechistico, anche valorizzando al meglio gli Istituti di Scienze religiose, le Scuole di teologia e le Facoltà Teologiche. In tal senso, anche la necessità messa in luce da tanti di rendere le famiglie soggetto e non destinatario dell’azione pastorale, in quanto paradigma delle relazioni che accompagnano la vita delle persone. È tempo di camminare insieme alle famiglie, ai sacerdoti e ai consacrati/e.

 

2.10 Metodo

Per dare forma e concretezza al processo sinodale è stato proposto un metodo di ascolto delineato secondo i principi della conversazione spirituale. Non è stata l’unica strada percorsa; accanto ai piccoli gruppi sinodali, sono stati realizzati anche incontri e confronti assembleari, colloqui con singole persone; somministrazione di questionari, realizzazione di documenti da parte di alcuni gruppi. La varietà dei metodi e degli strumenti rappresenta una ricchezza, ma a condizione che si salvaguardi la coerenza dei mezzi con il fine, che è promuovere le relazioni e la costruzione di legami.

Le restituzioni hanno segnalato un diffuso e cordiale apprezzamento per la conversazione spirituale attorno alla Parola di Dio, con i suoi tre passi: la presa di parola da parte di ciascuno dei partecipanti, così che nessuno resti ai margini; l’ascolto della parola di ciascuno da parte degli altri e delle risonanze che essa produce; l’identificazione dei frutti dell’ascolto e dei passi da compiere insieme. Questo metodo ha consentito di avviare o ricostruire percorsi comunitari, grazie all’attenzione alle risonanze profonde con l’esclusione di forme di dibattito o discussione, che ha permesso alle persone di raccontarsi senza sentirsi giudicate. Inoltre ha spinto a entrare in contatto con il piano delle emozioni e dei sentimenti, più profondo di quello della logica e dell’argomentazione razionale, e per questo meno frequentato, ma di grande importanza in termini antropologici e di fede: è su questo piano che la persona decide di mettersi veramente in gioco e di affidarsi. Si spiega così la diffusa richiesta di assumerlo come prassi ordinaria, in particolare per attivare gruppi di ascolto e discernimento. Ugualmente si è messo in luce il timore che l’entusiasmo e la voglia di partecipazione che l’esperienza dei gruppi sinodali ha generato possa spegnersi presto, se ad essa non viene data continuità e se il processo sinodale avviato non condurrà a cambiamenti concreti (prassi e istituzioni) nella vita delle comunità.

 

Dalle priorità ai “cantieri sinodali” per continuare a camminare insieme

Il discernimento sulle sintesi diocesane e l’elaborazione dei dieci nuclei hanno permesso di individuare alcune priorità, su cui si concentrerà il prosieguo del processo sinodale. Sempre in sintonia con il Sinodo universale, infatti, le Chiese in Italia approfondiranno la fase di ascolto, prestando particolare attenzione a crescere nello stile sinodale e nella cura delle relazioni, a sviluppare e integrare il metodo della conversazione spirituale, a promuovere la corresponsabilità di tutti i battezzati, a snellire le strutture per un annuncio più efficace del Vangelo.

In quest’ottica, sarà decisivo prestare ascolto ai diversi “mondi” in cui i cristiani vivono e lavorano, cioè camminano insieme a tutti coloro che formano la società, con una peculiare attenzione a quegli ambiti che spesso restano in silenzio o inascoltati: il vasto mondo delle povertà (indigenza, disagio, abbandono, fragilità, disabilità, emarginazione, sfruttamento, esclusione o discriminazione nella società come nella comunità cristiana), gli ambienti della cultura (scuola, università e ricerca), delle religioni e delle fedi, delle arti e dello sport, dell’economia e finanza, del lavoro, dell’imprenditoria e delle professioni, dell’impegno politico e sociale, delle istituzioni civili e militari, del volontariato e del Terzo settore. Sono spazi in cui la Chiesa vive e opera, attraverso l’azione personale e organizzata di tanti cristiani, e l’ascolto non sarebbe completo se non riuscisse a cogliere anche la loro voce. Per favorire un ascolto ampio e autentico, sarà necessario rimodulare i linguaggi ecclesiali, per apprenderne di nuovi, per frequentare canali meno usuali e anche per adattare creativamente il metodo della “conversazione spirituale”, così da andare incontro a chi non frequenta le comunità cristiane. In tal senso, sarà importante rafforzare e rendere stabile nel tempo l’ascolto dei giovani che il mondo della scuola e dell’università ha reso possibile, per entrare in relazione con persone che altrimenti la Chiesa non incontrerebbe.

Un’altra istanza emersa è quella della verifica dell’effettiva qualità delle relazioni comunitarie e della tensione dinamica tra esperienza di fraternità e spinta alla missione, che prende in esame anche il funzionamento delle strutture, perché siano al servizio della missione e non assorbano energie per il solo auto-mantenimento. La riflessione, che aiuterà a verificarne sostenibilità, funzionalità e impatto ambientale, dovrà anche affrontare il tema del decentramento pastorale e contribuire al rilancio degli organismi di partecipazione (specialmente i Consigli pastorali e degli affari economici), perché siano luoghi di autentico discernimento comunitario e di reale corresponsabilità. Il tema delle strutture porterà con sé la necessità di continuare a riflettere su che cosa significa realizzare concretamente uno stile di leadership ecclesiale animato dalla sinodalità.

L’anno pastorale 2022-2023 sarà poi occasione per concentrarsi sui servizi e sui ministeri ecclesiali, per vincere l’affanno e radicare meglio l’azione nell’ascolto della Parola di Dio e dei fratelli: è questo, infatti, che può distinguere la diaconia cristiana dall’impegno professionale e umanitario. Spesso la pesantezza nel servire, nelle comunità e nelle loro guide, nasce dalla logica del “si è sempre fatto così” (cf. Evangelii gaudium 33), dall’affastellarsi di cose da fare, dalle burocrazie ecclesiastiche e civili incombenti, trascurando la centralità dell’ascolto e delle relazioni. Di fronte alla grande sete di ascolto della Parola di Dio e dei fratelli e delle sorelle, è fondamentale riconnettere la diaconia con la sua radice spirituale, per vivere la “fraternità mistica, contemplativa, che sa guardare alla grandezza sacra del prossimo, che sa scoprire Dio in ogni essere umano” (Evangelii gaudium 92). All’interno di questa riflessione sullo stile dell’essere Chiesa sarà possibile affrontare le questioni legate alla formazione di laici, ministri ordinati, consacrate e consacrati; alla corresponsabilità femminile all’interno della comunità cristiana; alle ministerialità istituite, alle altre vocazioni e ai servizi ecclesiali innestati nella comune vocazione battesimale del Popolo di Dio “sacerdotale, profetico e regale”.

Per alimentare e sostenere il Cammino sinodale delle Chiese in Italia in comunione con il processo in corso a livello universale, si è scelto di raggruppare le priorità emerse lungo tre assi, definiti “cantieri sinodali”: quello della strada e del villaggio (l’ascolto dei mondi vitali), quello dell’ospitalità e della casa (la qualità delle relazioni e le strutture ecclesiali) e quello delle diaconie e della formazione spirituale. Questi cantieri potranno essere adattati liberamente e ogni Chiesa locale potrà aggiungerne un quarto che valorizzi una priorità risultante dal percorso compiuto lungo il primo anno.

Quella del cantiere è un’immagine che indica la necessità di un lavoro che duri nel tempo, che non si limiti all’organizzazione di eventi, ma punti alla realizzazione di percorsi di ascolto e di esperienze di sinodalità vissuta, la cui rilettura sia punto di partenza per le successive fasi del Cammino sinodale nazionale. Il carattere laboratoriale ed esperienziale dei cantieri potrà adattare il metodo della “conversazione spirituale” e aprire il processo sinodale anche a coloro che non sono stati coinvolti finora.

 

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CEI_Sintesi_Nazionale

 

18 Agosto 2022

«CATECHETICA ED EDUCAZIONE»

da oggi puoi scaricare il secondo numero del 2022!!!

““Dire Dio” ai margini della vita e
in un tempo di incertezze”

 

ACCEDI ALLA RIVISTA ONLINE nella sezione “CATECHETICA ED EDUCAZIONE”

 

 

Editoriale

«Dire Dio è legittimo? Non c’è uomo che non lo conosca, almeno per sentito dire; perché se ne parla: non c’è lingua che non lo nomini. Legittimamente? […] Una tradizione secolare e autorevole lo ha riconosciuto all’origine della realtà, causa e fondamento del mondo. […]

In epoca moderna scuole filosofiche di impatto straordinariamente vasto e accreditato hanno negato alla ragione umana il diritto di parlare di Dio (Kant); hanno screditato l’intera compagine tradizionale che ne esigeva la presenza (Nietzsche); hanno denunciato il riferimento a Dio come evasivo di un impegno umano responsabile (Feuerbach-Marx)».1

Così si esprimeva Zelindo Trenti in uno dei suoi testi di riflessione sul tema della religiosità e fede. Oggi probabilmente saremmo portati a calcare le tinte e considerare la situazione delle religioni e della religiosità umana in modo differente e con tonalità più drammatiche. La pandemia a livello planetario, l’in-sorgere di nuove minacce climatiche e infettive, la guerra nel cuore dell’Europa, il segno delle “chiese vuote” sono fenomeni che caratterizzano la nostra epoca mentre continuano a delinearsi scenari inattesi e imprevedibili.
Sono tanti e variegati gli approcci scientifici su questa frontiera del pensiero umano e vasta la gamma interpretativa che va dalla negazione alla assolutezza. Tra gli estremi si stagliano varie posizioni gravide di considerazioni più o meno incerte, più o meno autentiche, più o meno significative a seconda della singolarità di soggetti e dei gruppi di appartenenza, delle culture e dei vissuti storici.

La missione evangelizzatrice e la catechesi della Chiesa risentono di questo humus più o meno resistente o accogliente, più o meno ingenuo (per non dire bigotto) o critico e scettico, più o meno significativo e interessato alla vita o disancorato da essa, non di rado indifferente e stornato su altri orizzonti di senso o di non-senso.
Tra le tante esperienze emblematiche quella del sociologo e teologo Tomáš Halík è indicativa non solo per leggere la realtà complessa che abitiamo, ma an-che per rintracciare vie nuove e spazi liberi per la ricerca religiosa: Forse è giunto il tempo di abbandonare molte di quelle parole pie che ab-biamo continuamente sulle nostre bocche e sui nostri stendardi. Queste parole, a causa di un uso continuo, spesso troppo superficiale, sono consumate, usurate, hanno perso il loro significato e il loro peso, si sono svuotate, diventando leggere e facili. Altre invece sono sovraccariche, rigide e arrugginite; sono diventate troppo pesanti per riuscire a esprimere il messaggio del Vangelo, la buona novella. Alcune parole pie oggi suonano come tamburi scoppiati, non sono più in grado di cantare la gloria di Dio – “non sanno danzare”, così come si aspettava Nietzsche da un Dio in cui avrebbe potuto credere. Nietzsche, che discendeva da una stirpe di pastori protestanti, aveva implacabilmente diagnosticato nei nostri sermoni la presenza di una “pesantezza dello spirito”, e soprattutto della “moralina”, il veleno della moralizzazione burbera e inacidita. Questa pseudo-serietà, superba e tetra – indice di una mancanza di umorismo e di spontaneità, di scarsa liberà interiore – mi ha sempre ricordato Michol, la figlia di Saul, che quando re David si era messo a ballare davanti all’arca lo aveva disprezzato, del resto questo tipo di devozione viene punita, come nel suo caso, con la sterilità.2

Questo secondo numero dell’annata 2022 di “Catechetica ed Educazione” intende apportare degli approfondimenti sui dati in buona parte inediti della Ri-cerca sulla Religiosità in Italia3 a confronto con quelli emersi nella Ricerca sui Catechisti oggi in Italia.4

L’incrocio dei dati e delle interpretazioni che sono state offerte, alcune delle quali confluiscono nella presente monografia, offrono una visione in progress dato che questi anni dal 2020 in avanti continuano a essere segnati drammaticamente da fenomeni inediti e preoccupanti. Sia i dati, sia le interpretazioni sono da verificare continuamente visto il cambiamento d’epoca e i fenomeni inattesi che si sono e si stanno verificando.
Le riflessioni raccolte nel presente numero offrono una panoramica variegata, frutto dell’attenzione inter- e trans-disciplinare che l’Istituto di Catechetica dell’UPS di Roma ha da sempre coltivato, in collegamento e collaborazione con varie e diversificate istituzioni universitarie. Agli esperti coinvolti che hanno accettato di interagire sull’argomento va un sentito grazie e in particolare alla prof.ssa Maria Paola Piccini e al prof. Giuseppe Ruta che hanno curato la sezione monografica.

Roberto Cipriani, con il suo articolo La religiosità in Italia, tra incertezza e spiritualità antistituzionale offre le coordinate dell’indagine, mettendo in rilievo gli aspetti nevralgici della situazione nazionale.
Cecilia Costa si sofferma sul tema delle Potenzialità e limiti nel “dire Dio” oggi in Italia e oltre… cogliendo l’apporto delle scienze sociali nella visione della realtà umana e sociale e indicando alcune provocazioni per il sapere teologico.
Nando Pagnoncelli entra in merito all’emblematica contingenza che è stata vissuta durante il “lockdown” e le prime due ondate del Covid19, con il suo contributo La religiosità degli italiani nel pieno della crisi pandemica. Si tratta di un approfondimento, a partire dai sondaggi nazionali svolti dall’IPSOS nel periodo che va dal 2020 al 2021.
Seguono alcuni approfondimenti che reagiscono al quadro precedente-mente delineato. Antonino Romano incrocia i dati della Ricerca condotta da Cipriani e collaboratori e della ricerca dell’ICa con il suo articolo I Catechisti italiani tra religiosità diffuse e formazione disattesa, cogliendone somiglianze e differenze. Maria Paola Piccini opera due interessanti e inediti focus su fede, famiglia e gruppi primari e su Dio, educazione, catechesi, figure religiose, giovani mediante nuove elaborazioni del corpus delle interviste effettuate nell’ambito della ricerca Religiosità in Italia. Cristiana Freni compie un’interessante lettura antropologica su Catechesi, religiosità, valori diffusi, mentre la prospettiva pedagogica è svolta da Pierpaolo Triani nel puntuale contributo Tra incertezza e indifferenza. Alcune sfide educative della catechesi nell’oggi in Italia. Conclude la sezione di approfondimento dal punto di vista teologico e catechetico Giuseppe Ruta con il titolo “interrogante” È possi-bile ravvivare il “lucignolo fumigante”?, provando ad ascoltare e individuare nella realtà e nel filtro della ricerca quantitativa e qualitativa i valori diffusi, la fede in-certa e la sete di Assoluto.
Il fascicolo si chiude con un forum a quattro voci sulla Storia della catechesi, a partire da un evento singolare che si è svolto presso l’Aula J. E. Vecchi (FSE-UPS), il 12 maggio 2022, alle ore 15. L’Istituto di Catechetica ha organizzato e realizzato la presentazione della sezione “Storia della catechesi”, in quattro vo-lumi, della collana “Catechetica, Educazione e Religione”, edita dalla LAS (Libre-ria Ateneo Salesiano). Dopo il saluto del Decano FSE Prof. Antonio Dallagiulia, sono intervenuti il prof. Angelo Giuseppe Dibisceglia, docente di Storia della Chiesa, il prof. José María Pérez Navarro, fsc, catecheta e direttore della Rivista spagnola “Sinite”, i due autori viventi il prof. Giuseppe Biancardi sdb, coautore con Ubaldo Gianetto, del volume sulla catechesi contemporanea (2015) e il prof. Luigi La Rosa, autore del volume sulla catechesi medioevale (2022). Sono stati ricordati anche i salesiani autori deceduti: oltre a Gianetto coautore con Biancardi, Pietro Braido, autore del volume sulla catechesi moderna (2014) e Roman Murawski, autore del volume sulla catechesi antica (2021). L’incontro, seguito di presenza e online, ha visto la partecipazione di diversi allievi ed exallievi dell’Istituto e cultori di storia della Chiesa, della Congregazione Salesiana e della catechesi. A conclusione i vari relatori hanno potuto rispondere ad alcuni interrogativi suscitati dalla presentazione.

Il Direttore dell’Istituto, prof. Ubaldo Montisci ha, infine, ringraziato relatori e intervenuti, mettendo in rilievo che si tratta di un unicum nel panorama degli studi storici e catechetici, un’opera rilevante di 2256 pagine (è questo il totale dei quattro volumi) che documentano il profilo genetico della catechesi dalle origini alla contemporaneità. L’incontro, durato due ore, è stato il modo di recuperare la memoria di questo “antiquum ministerium”, come l’ha definito Papa Francesco nel motu proprio del 10 maggio 2021, un’opportunità preziosa di riflessione per un rilancio della catechesi per l’oggi e il futuro. A partire, e non a prescindere, dalle radici della storia.

Il nostro Istituto si sente, così, continuamente provocato a indagare le sfide del passato e a cogliere quelle del presente per un servizio culturale ed ecclesiale che, guardando al futuro, sia all’altezza delle nuove sfide ed evangelicamente profetico.

 

I MEMBRI DELL’ISTITUTO DI CATECHETICA
catechetica@unisal.it

 

ALLEGATO:

C&E 7(2022)2 

 

Corsi integrativi per Insegnanti di Religione

Vi portiamo a conoscenza di una proposta della Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione Auxilium di Roma.

Si tratta di una iniziativa che può interessare gli studenti di teologia che volessero insegnare religione.

Da gennaio 2023 si attiveranno i corsi complementari previsti dalla CEI che possono abilitare all’IRC, da integrare nei piani di studio della Facoltà di Teologia, Missiologia, Scienze bibliche.

Sarà un percorso in due moduli con un inizio in presenza e poi on line.

Ecco qui l’informazione completa:

Corsi integrativi per Insegnanti di Religione

Lettore, accolito e catechista: le prassi e le regole per diventarlo

Pubblicata il documento della Cei per inserire il tema dei ‘ministeri istituiti’ all’interno del Cammino sinodale delle Chiese che sono in Italia.

 

Recependo gli interventi di papa Francesco con i due motu proprio “Spiritus Domini” e “Antiquum Ministerium”, entrambi emanati nel 2021, la Conferenza Episcopale Italiana ha elaborato una Nota per orientare la prassi concreta delle Chiese di rito latino che sono in Italia sui ministeri istituiti del lettore, dell’accolito, del catechista.

Il documento, pubblicato oggi, è introdotto da una breve presentazione firmata dai due vescovi presidenti delle Commissioni episcopali direttamente competenti sul tema: Franco Giulio Brambilla di Novara (dottrina della fede, annuncio, catechesi) e Gianmarco Busca di Mantova (liturgia).

Con questa Nota spiegano i due presuli, la Cei “intende inserire il tema dei ‘ministeri istituiti’ all’interno del Cammino sinodale delle Chiese che sono in Italia, in modo che possa diventare anche un’opportunità per rinnovare la forma Ecclesiae in chiave più comunionale”. Il Cammino sinodale costituirà così “un luogo ideale di verifica anche sulla effettiva ricaduta dei nuovi ministeri istituiti del lettore, dell’accolito e del catechista nella prassi ecclesiale”.

Concretamente la Nota – che è ad experimentum per il prossimo triennio – precisa che il lettore: proclama la Parola di Dio nell’assemblea liturgica, in primis nella celebrazione eucaristica; potrà avere un ruolo anche nelle diverse forme liturgiche di celebrazione della Parola, della liturgia delle Ore e nelle iniziative di (primo) annuncio. Prepara l’assemblea ad ascoltare e i lettori a proclamare i brani biblici, anima “momenti di preghiera e di meditazione (lectio divina) sui testi biblici”, accompagna “i fedeli e quanti sono in ricerca all’incontro vivo con la Parola”.

L’accolito invece è colui che serve all’altare, coordina il servizio della distribuzione della Comunione nella e fuori della celebrazione dell’Eucaristia, in particolare alle persone impedite a partecipare fisicamente alla celebrazione. Anima inoltre l’adorazione e le diverse forme del culto eucaristico.

Il catechista infine cura l’iniziazione cristiana di bambini e adulti, e accompagna quanti hanno già ricevuto i sacramenti nella crescita di fede. Può “coordinare, animare e formare altre figure ministeriali laicali all’interno della parrocchia, in particolare quelle impegnate nella catechesi e nelle altre forme di evangelizzazione e cura pastorale”.

La Cei, spiega poi la Nota, ha scelto di conferire il “ministero istituito” del/la catechista a una o più figure di coordinamento dei catechisti dell’iniziazione cristiana dei ragazzi e a coloro che in modo più specifico svolgono il servizio dell’annuncio nel catecumenato degli adulti. Non solo. Secondo “la decisione prudente del vescovo e le scelte pastorali della diocesi”, il/la catechista “può anche essere, sotto la moderazione del parroco, un referente di piccole comunità (senza la presenza stabile del presbitero) e può guidare, in mancanza di diaconi e in collaborazione con lettori e accoliti istituiti, le celebrazioni domenicali in assenza del presbitero e in attesa dell’Eucaristia”.

La Nota stabilisce che i candidati ai “ministeri istituiti” possono essere uomini e donne: devono avere almeno 25 anni ed essere persone “di profonda fede, formati alla Parola di Dio, umanamente maturi, partecipi alla vita della comunità cristiana, capaci di instaurare relazioni fraterne e di comunicare la fede sia con l’esempio che con la parola”.

Saranno istituiti dal vescovo dopo un tempo di formazione di almeno un anno da parte di una equipe di esperti. I percorsi formativi saranno stabiliti dai vescovi. Al termine della fase di discernimento vocazionale e di formazione, i candidati saranno istituiti con il rito liturgico previsto dal Pontificale Romano. Il mandato verrà conferito per un primo periodo di cinque anni, rinnovabile previa verifica del vescovo.

 

Gianni Cardinale mercoledì 13 luglio 2022

 

Cei: nota sui ministeri istituiti del Lettore, dell’Accolito e del Catechista

Recependo gli interventi di Papa Francesco (il Motu Proprio “Spiritus Domini” e il Motu Proprio “Antiquum Ministerium”), la Conferenza Episcopale Italiana ha elaborato una Nota per orientare la prassi concreta delle Chiese di rito latino che sono in Italia sui ministeri istituiti del Lettore, dell’Accolito e del Catechista

Vatican News

Approvata ad experimentum per il prossimo triennio dalla 76ª Assemblea Generale ed integrata dal Consiglio Permanente con le indicazioni emerse in sede assembleare, la Nota definisce identità e compiti dei “ministeri istituiti”, illustrando i criteri per l’ammissione e il percorso formativo necessario per essere istituito e ricevere il “mandato” da parte del Vescovo. Il tutto nel quadro dei recenti documenti promulgati da Papa Francesco. Con la Nota, inoltre, la Cei inserisce il tema dei “ministeri istituiti” all’interno del Cammino sinodale che costituirà così un luogo ideale di verifica sull’effettiva ricaduta nel tempo e nei territori. La Nota stabilisce che il Lettore, l’Accolito e il Catechista vengono istituiti in modo permanente e stabile: laici e laiche assumono così un ufficio qualificato all’interno della Chiesa.

SCARICA LA NOTA:

Nota Ministeri

«CATECHETICA ED EDUCAZIONE»

da oggi puoi scaricare il primo numero del 2022!!!

“From Inclusion to Belonging.
Inclusione, appartenenza e protagonismo ecclesiale
delle persone con disabilità”

 

ACCEDI ALLA RIVISTA ONLINE nella sezione “CATECHETICA ED EDUCAZIONE”

 

 

Editoriale

Il presente numero di «Catechetica ed educazione» si pone in continuità con il precedente dedicato al mondo delle disabilità (1/2021): se allora si era riflettuto sull’inclusione, intesa come disposizione della società ad accogliere le persone con disabilità (PcD), in una prospettiva dunque centrata sui diritti, ora si vuole prendere in considerazione piuttosto il versante antropologico, che rimanda alla dimensione profonda dell’appartenenza e di una partecipazione attiva delle PcD a una comunità più ampia.

La riflessione ha preso le mosse dall’articolo di John Swinton, From inclusion to belonging. Il teologo scozzese, fondatore dello “University’s Centre for Spirituality, Health and Disability” di Aberdeen, con questo suo studio, una decina di anni fa ha sviluppato il tema dell’appartenenza come evoluzione della semplice inclusione, aprendo nuove prospettive per un approccio più corretto alla problematica. Le sue considerazioni sono particolarmente significative per-ché fanno da orizzonte agli approfondimenti raccolti nel presente fascicolo.
Il dinamismo che porta dall’inclusione all’appartenenza pone diversi interrogativi che obbligano a una riflessione multidimensionale.

Tra le principali domande che chiedono una risposta chiarificatrice assumono particolare rilevanza le seguenti: quale differenza sussiste tra semplice inclusione e autentica appartenenza? Quali sono le condizioni che rendono possibile l’appartenenza e favoriscono la partecipazione attiva, dal punto di vista sociale ed ecclesiale? Quali sono le principali indicazioni che il Diritto canonico e il Magistero universale della Chiesa danno in tal senso ai battezzati? Com’è presente il concetto di appartenenza e partecipazione nel Libro sacro? Quali accorgimenti educativi vanno predisposti per favorire il senso di appartenenza nei soggetti? Quali suggerimenti dare ai responsabili della catechesi per promuovere l’appartenenza e il protagonismo ecclesiale dei battezzati, specie delle PcD? Quali scelte hanno operato i ve-scovi italiani per il coinvolgimento del maggior numero possibile di persone in occasione del Sinodo nazionale? Che cosa pensano le PcD sul concetto di appartenenza e partecipazione?

Tutti i contributi cercano di dare risposta a queste domande, con un’attenzione alla realtà delle PcD. Gianni Carozza prende in esame una situazione ricorrente nella storia della Chiesa quando, nel suo slancio missionario, si trova nella condizione di doversi confrontare con persone di culture e credo differenti, con la difficoltà ad accoglierle incondizionatamente. Il biblista, attraverso l’analisi del noto episodio di Filippo e l’eunuco (At 8,26-40), mette in luce i valori evangelici che portano i primi credenti a includere i “lontani” fino a farne una parte integrante e attiva del popolo di Dio. Si è di fronte a un paradigma di comportamento valido ancora per il tempo presente.
L’esperienza frustrante di una Chiesa che celebra e non include, denunciata da tanti fedeli e non solo disabili, è al centro delle riflessioni di Marco Gallo, liturgista. Nello studio vengono evidenziate quattro situazioni che si pongono come ostacoli per l’appartenenza e la piena partecipazione delle PcD. Se bene intesa e ben celebrata, invece, la liturgia si rivela una risorsa decisiva e non sempre valorizzata per una reale inclusione delle PcD nella vita delle comunità. In tal senso, l’Autore propone quattro movimenti – suggeriti dall’Eucaristia – che favoriscono il superamento delle barriere a vantaggio di tutti nell’assemblea.

La legislazione italiana ha compiuto dei notevoli passi in avanti nell’attenzione alle PcD, difendendo in particolare il loro “diritto a esserci” nella società. Eppure tale prospettiva non è esente da ambiguità, come notano Roberto Franchini e Veronica Donatello, dal momento che non perviene a garantire appieno il dovere di appartenere e di essere artefici del cambiamento nella società. Avendo come orizzonte la riflessione portata avanti dalla teologia della disabilità – di cui si avverte la carenza in ambito italiano – alla luce del modello di E.W. Carter sulla spiritualità, i due autori danno delle indicazioni concrete per degli itinerari pastorali che favoriscano l’appartenenza e il protagonismo delle PcD.

Il contributo di Michele Porcelluzzi esplora le possibilità di partecipazione e le condizioni di appartenenza delle PcD secondo le indicazioni del Codice di Diritto canonico. Ricordato che il Battesimo rimane l’unico requisito per essere in-corporati alla Chiesa, richiamato il diritto per tutti di ascoltare la Parola di Dio e il dovere di annunciare il Vangelo, precisate le condizioni che rendono possibile ricevere i Sacramenti, il canonista afferma il diritto delle PcD di far sentire la loro voce all’interno delle comunità cristiane fino ad assumere anche delle responsabilità ministeriali.

Mons. Erio Castellucci, dal suo osservatorio privilegiato di membro del Gruppo di coordinamento nazionale del Cammino sinodale, offre una schietta disamina dell’importante evento ecclesiale non soffermandosi tanto sulle tappe o gli strumenti predisposti ma sul suo significato riformatore per la vita delle comunità cristiane. La Chiesa italiana, persa la sua connotazione di “eccezione” nel panorama religioso europeo, può trovare nel percorso di avvicinamento al Sinodo una opportunità da non sprecare per riscoprire il suo compito missionario e attuare quella perenne riforma del cuore, della dottrina, delle strutture, sempre necessaria.

In prospettiva psico-educativa, Sara Schietroma e Maurizio Rizzuto esami-nano l’appartenenza considerandola nella sua valenza di qualità e benessere esistenziale. Il bisogno di appartenenza, accanto a quelli di relazione, attaccamento e affiliazione, contraddistingue l’intera esistenza umana. L’articolo esamina approfonditamente i processi che regolano la partecipazione sociale, in contesti capaci di accogliere le diversità insieme al contributo che possono offrire le PcD. In tal senso, sono presentate alcune linee guida atte a favorire la partecipazione, il coinvolgimento e l’investimento degli individui nei contesti comunitari d’appartenenza.

La sezione degli studi termina con il denso contributo specialistico di Pietro Celo. Le persone sorde manifestano un modo differente di stare al mondo, di conoscerlo, di comunicarlo, di tradurlo. L’articolo sviluppa l’idea che la traduzione sia non solo un passaggio comunicativo e cognitivo, ma uno strumento di appartenenza alla comunità degli uomini.
Il presente fascicolo offre, infine, due contributi di taglio più esperienziale soggettivo. Il primo di Fiorenza Pestelli che, a partire dalle competenze acquisite nel campo dell’insegnamento, evidenzia alcune delle condizioni che rendono possibile un intervento formativo efficace nell’ambito delle PcD cognitiva. Il secondo, di Riccardo Benotti, riporta due interviste realizzate dal giornalista con delle persone che vivono quotidianamente la situazione di disabilità.
Recentemente si è svolto a Roma il primo Convegno nazionale organizzato dal Servizio nazionale per la Pastorale delle PcD dal titolo significativo: “Noi” non “loro”. La disabilità nella Chiesa, che ha affrontato esplicitamente il tema dell’appartenenza, della cura reciproca e della partecipazione attiva delle PcD nelle loro comunità.

Ci piace ricordare le parole con cui il teologo scozzese John Swinton ha chiuso il proprio intervento:
Il concetto di inclusione, è spesso limitato a un termine legale: significa che ovunque andiate l’organizzazione deve avere le caratteristiche per permettere l’accesso; ma il problema dell’inclusione, una volta che si entra nell’edificio, è che non ci sia nessuno pronto ad amarti o parlarti. Nei Vangeli, una delle cose che notiamo nell’accoglienza di Gesù è che a volte era lui che ospitava, altre volte era accolto. Nella disabilità, dobbiamo accoglierci l’uno con l’altro, ovunque ci troviamo. Nella Chiesa facciamo accoglienza l’uno dell’altro e non facciamo differenza fra noi e loro. Spero che metteremo in pratica l’accoglienza e attueremo la trasformazione che Dio vuole da noi. Per appartenere e creare una comunità di appartenenza dobbiamo avere “amici speciali” nel senso che ci ha insegnato Gesù: per lui essere amico di qualcuno significa amarlo semplicemente per quello che è. Nella nostra società spesso avere amici serve per avere qualcosa. Il modello di amicizia di Gesù, invece, scompone molte delle barriere che abbiamo per darci un dono.
Sono parole eloquenti, che indicano una direzione da seguire e rappresentano una sfida per tutti gli uomini e le donne di buona volontà impegnati nel mondo della disabilità.

I MEMBRI DELL’ISTITUTO DI CATECHETICA
catechetica@unisal.it

 

ALLEGATO:

CE 7(2022)1

 

FAMIGLIA volume monografico

FAMIGLIA

Il 22° volume delle monografie de “La Civiltà Cattolica”

12 Maggio 2022

La lunga vicenda dell’intera umanità, e quindi anche quella molto più breve della Chiesa, «è popolata da famiglie, da generazioni, da storie di amore e di crisi familiari», scriveva papa Francesco in Amoris laetitia (AL 8), la sua Esortazione apostolica post-sinodale sull’amore nella famiglia. La storia del mondo si è strutturata costantemente intorno a questo vincolo fondamentale.

 

D’altra parte, essere famiglia è diverso oggi rispetto al passato. Le famiglie, come la società, sono attraversate da processi di deistituzionalizzazione e individualizzazione. Osserviamo il calo del numero dei matrimoni e una privatizzazione del vivere insieme; assistiamo anche alla riformulazione del rapporto tra i generi. Inoltre, le fasi di transizione alla vita adulta, sempre più posticipate e non sincronizzate, influiscono sulla decisione di costruire una famiglia, che non è considerata dai giovani tappa essenziale del divenire adulti. Oggi si sposano prevalentemente gli adulti, non i giovani che diventano adulti e, spesso, si diventa genitori prima di sposarsi. Vivere insieme significa oggi scegliere costantemente di rimanere in una relazione impegnativa, ma meno vincolata del passato.

Eppure la coppia resta il motore di qualsiasi progetto familiare. Per questo motivo il benessere delle coppie, e delle famiglie cui danno inizio, dovrebbe essere oggetto di cura e preoccupazione per tutti, perché comunità sane si mantengono tali grazie a relazioni di coppia positive e sempre in evoluzione, seppur zoppicanti e imperfette. Cosa può favorire la stabilità e la durata di una coppia nel tempo? L’amore è solo questione di casualità, o di fortuna, alla base della magia e insieme delle delusioni più cocenti dell’esistenza? L’amore può durare nel tempo?

Con questa particolare attenzione sulla coppia, e in vista del X Incontro Mondiale delle Famiglie (22-26 giugno 2022), abbiamo voluto raccogliere, in un nuovo volume della collana Accénti, alcuni dei numerosi saggi dedicati da La Civiltà Cattolica alla famiglia, che affrontano il tema dal punto di vista psicologico, sociologico, pedagogico, teologico e biblico.

Il primo saggio di Giovanni Cucci è dedicato proprio alla coppia e alla sfida del tempo, e si sofferma su alcuni aspetti, soprattutto psicologici, che possono risultare decisivi per la stabilità e la durata della relazione. Thomas Casey indaga sulla forza della famiglia, un’istituzione di grande importanza per la nostra vita personale e sociale, che influenza in maniera decisiva il nostro modo di agire e di comportarci. A seguire, ancora p. Cucci, con due focus sugli specifici ruoli della madre e del padre nello sviluppo del bambino e nella maturazione della sua vita di fede. Diego Fares ci introduce, quindi, al modello pedagogico di papa Francesco per l’educazione dei figli, che può essere sintetizzato in un’affermazione: «Farsi carico dei desideri e non maltrattare i limiti». Giancarlo Pani ci guida alla scoperta del tema, sconosciuto agli antichi, dei diritti dell’infanzia e del ruolo del cristianesimo nella loro valorizzazione. Un ulteriore articolo di p. Cucci, che si connette con il primo del volume, ripercorre le principali caratteristiche del matrimonio dal punto di vista psicologico-culturale, che lo configurano come un’esperienza di «eternità nel tempo» unica nel suo genere. Seguono poi due saggi a sfondo biblico: Jean-Pierre Sonnet s’interroga sull’associazione biblica tra il giardino e la coppia umana, che troviamo nel Cantico dei Cantici; e Marc Rastoin ci presenta i molti racconti biblici che ci descrivono tutte le realtà della vita familiare, dalle più felici alle più difficili. Gian Luigi Brena, poi, ci accompagna nella comprensione di uno dei principi ermeneutici dell’Amoris laetitia e della vita di coppia, quello della misericordia. Il volume si chiude con due contributi dedicati all’Esortazione apostolica post-sinodale di papa Francesco: un commento al testo e una conversazione sull’Amoris laetitia con il cardinale Christoph Schönborn, considerato dal Papa uno dei più lucidi interpreti di questo documento magisteriale.

Consegniamo questo volume ai nostri lettori nella speranza di restare nel solco di quel «linguaggio di complicità», di cui parla il card. Schönborn a proposito dell’Esortazione apostolica di papa Francesco, che sa aprire un dialogo vivo con gli sposi e con le famiglie, perché si sentano capite e valorizzate.

X Incontro Mondiale delle famiglie

(Roma, 22 – 26 giugno 2022)

Si svolgerà dal 22 al 26 giugno 2022 a Roma il X Incontro Mondiale delle Famiglie. L´evento, come sottolineato anche dal Santo Padre, si svolgerà in una forma inedita e multicentrica, con iniziative locali nelle diocesi di tutto il mondo, analoghe a quelle che contemporaneamente si svolgeranno a Roma.

Il programma:

programma-completo-it

Qui l’indirizzo per seguire le news:

(https://www.romefamily2022.com/it/)