Film: La quattordicesima domenica del tempo ordinario

Valutazione

Consigliabile, poetico, Problematico, Adatto per dibattiti
Tematica
Alcolismo, Amicizia, Amore-Sentimenti, Anziani, Dialogo, Dolore, Donna, Famiglia, Famiglia – genitori figli, Malattia, Matrimonio – coppia, Metafore del nostro tempo, Musica, Politica-Società, Povertà, Tematiche religiose
Genere
Drammatico, Sentimentale
Regia
Pupi Avati
Durata
98′
Anno di uscita
2023
Nazionalità
Italia
Titolo Originale
La quattordicesima domenica del tempo ordinario
Distribuzione
Vision Distribution
Soggetto e Sceneggiatura
Pupi Avati
Fotografia
Cesare Bastelli
Musiche
Sergio Cammariere, Lucio Gregoretti
Montaggio
Ivan Zuccon
Produzione
Antonio Avati, Santo Versace, Gianluca Curti. Casa di produzione: Duea Film, Minerva Pictures, Vision Distribution

Interpreti e ruoli

Gabriele Lavia (Marzio), Edwige Fenech (Sandra), Lodo Guenzi (Marzio da giovane), Camilla Ciraolo (Sandra da giovane), Massimo Lopez (Samuele), Nick Russo (Samuele da giovane), Cesare Bocci (Padre di Marzio)

Soggetto

Bologna anni ’70, Marzio, Samuele e Sandra sono tre ventenni pieni di ambizioni: i due ragazzi sognano un futuro nella musica e fondano il gruppo “I Leggenda”, mentre Sandra ha come obiettivo la moda. I loro percorsi si intrecciano, tra pagine di amicizia e amore. Con il passare del tempo, però, sogni e legami mutano di tonalità e forma. Anni dopo, Marzio, Samuele e Sandra si ritrovano, chiamati a fare i conti con guadagni e irrisolti…

Valutazione Pastorale

Ha diretto oltre 50 film tra grande e piccolo schermo, misurandosi con un’ampia varietà di generi. È Pupi Avati, uno dei maestri del cinema italiano contemporaneo, che ha raffinato la sua marca stilistica soprattutto nel racconto della memoria del passato, dell’Italia del XX secolo, tra tradizioni contadine e spinte socio-culturali legate al boom economico. Avati è diventato il cantore dello spirito di un Paese proteso verso il domani, ma con un occhio rivolto sempre al ricordo dolce e malinconico del passato. Ora il regista bolognese è nei cinema con “La quattordicesima domenica del tempo ordinario”, produzione Duea Film, Minerva Pictures in collaborazione con Sky, nei cinema italiani con Vision Distribution. La storia. Bologna anni ’70, Marzio (Lodo Guenzi), Samuele (Nick Russo) e Sandra (Camilla Ciraolo) sono tre ventenni pieni di ambizioni: i due ragazzi sognano un futuro nella musica e fondano il gruppo “I Leggenda”, mentre Sandra ha come obiettivo la moda. I loro percorsi si intrecciano, tra pagine di amicizia e amore. Con il passare del tempo, però, sogni e legami mutano di tonalità e forma. Anni dopo, Marzio (Gabriele Lavia), Samuele (Massimo Lopez) e Sandra (Edwige Fenech) si ritrovano, chiamati a fare i conti con guadagni e irrisolti… “Il tempo ordinario – ha sottolineato Pupi Avati – indica quel momento del calendario liturgico in cui generalmente ci si sposa. E quel giorno di giugno del 1964 rappresenta per me una grande felicità: dopo quattro anni di corteggiamento la ragazza più bella di Bologna finalmente diventava mia moglie”. “Avevo la sensazione – ha aggiunto – che nella mia filmografia mancasse un’opera simile, di confidenze. Pertanto, ho realizzato questo film dove c’è molto di me”. Avati compone dunque un’opera dove i fili della memoria si annodano con quelli del racconto di finzione, una storia che esplora la stagione del sogno giovanile acceso da desiderio di gloria e mosso da energie pulite, approdando poi in età adulta, dove le sfumature diventano dolenti e cupe. Il regista mette a tema il senso di fallimento, la disillusione che abita la stagione avanzata della vita; e lo fa con coraggio e delicatezza, abile nel cogliere stati d’animo e nel dare forma ai rimpianti. Anche se la storia non sembra sempre bene a fuoco, del tutto solida e compatta nei vari passaggi temporali, il film si rivela onesto e generoso, denso di sfumature di sentimento, di pagine esistenziali. È lo sguardo di una grande autore, che rilegge se stesso in una rielaborazione poetica e divulgativa. Consigliabile, problematico-poetico, per battiti.

Utilizzazione

Indicato per la programmazione ordinaria e per successive occasioni di dibattito.

 

In dialogo con Pupi Avati: “Il discorso della montagna è la mia Costituzione”

Giovedì 11 Maggio 2023

Un articolo di: Sergio Perugini

Dal 4 maggio è nei cinema “La quattordicesima domenica del tempo ordinario”, il nuovo film di Pupi Avati, con Gabriele Lavia, Edwige Fenech e Lodo Guenzi, che si è già posizionato tra i primi del box office. Avati è uno dei maestri del cinema italiano, che si è sempre distinto per la capacità di raccontare memoria e tradizioni del Paese muovendosi tra realismo e poesia, alternando pagine di diffusa dolcezza a sguardi malinconici. Autore di oltre 50 titoli tra grande e piccolo schermo nel corso di cinque decenni – “Il cuore altrove”, “Gli amici del bar Margherita”, “Un matrimonio”, “Lei mi parla ancora” e “Dante” -, ha ottenuto numerosi riconoscimenti tra cui 3 David di Donatello e 7 Nastri d’argento. Lo abbiamo incontrato per una riflessione sul cinema, tra vis poetica e dimensione del Sacro. Agenzia SIR-Cnvf.

Lei ha dichiarato che “La quattordicesima domenica del tempo ordinario” è molto personale. Ci vuole spiegare perché?
Vado ad affrontare un arco narrativo molto lungo, che parte dalla mia primissima adolescenza, quando – come tutti – avevo l’ardire di poter attendere dalla vita cose straordinarie. Pensavo che la musica mi desse quella possibilità di raccontarmi, persino di essere famoso. Da lì la parabola si spinge all’oggi, dove con lucidità e serenità comprendo che la maggior parte della mia vita è ormai trascorsa. Così, come un drone, ho sorvolato i miei ricordi, cercando di capire cosa abbia parametrato i momenti più felici.

L’unità di misura della felicità?
Il giorno del mio matrimonio, quando mi trovai a poter sposare quella ragazza che avevo corteggiato per 4 anni. Mi sembrava che quella giornata fosse di una felicità senza pari. Posso affermare che lo è ancora. La temperatura della mia gioia di quel giorno penso di non averla mai più raggiunta. Ho ritenuto giusto rendicontarlo attraverso il cinema, sottolineando anche la distanza che spesso sperimentano le persone tra le loro aspettative e ciò che poi accade nella realtà.

Fa riferimento al personaggio di Marzio?
Sì. Nello specifico, però, c’è un aspetto fondamentale della storia che riguarda il ritrovarsi con una donna, Sandra – interpretata da adulta da Edwige Fenech –, che manifesta una capacità di rimuovere ciò che va rimosso, di saper ricominciare. Una donna che dipinge le pareti di casa di blu, una metafora che indica ancora fiducia nella vita, nel domani.

Anche in quest’opera ricorrono immagini e temi religiosi. Che rapporto ha con il Sacro? E quali le sfide nel proporlo sullo schermo?
Una volta eravamo in due, perché c’era Ermanno Olmi. Adesso mi sembra di essere rimasto solo… Giorni fa facevo una considerazione in pubblico, raccontando un passaggio del film quando alla protagonista Sandra viene diagnosticato un carcinoma ovarico e Marzio, dinanzi a questa situazione così complessa dove la scienza dimostra dei limiti, reagisce entrando in una chiesa per pregare. Si rivolge al trascendente in cerca di consolazione, di un aiuto, di ascolto e conforto. Ho chiesto alla platea se ricordasse un film recente con una scena simile, ma nessuno ha saputo rispondere. Allora mi viene da pensare di essere una sorta di eccezione. Nel film racconto anche la ricomposizione di un matrimonio dopo 37 anni: sono tutti elementi che vengono dal mio retroterra, dalla cultura cattolica, valori per me fondamentali. E continuo ostinatamente a riproporli, esponendomi a volte al dileggio. Credo comunque di manifestare una certa coerenza, non cedendo alle mode di un “proselitismo laico”, che priva della possibilità di intuire che ci sia dell’altro. Al mistero della vita e della morte la scienza ancora non riesce a dare risposte. E anche io mi domando sempre se sono riuscito a dare un senso alla mia vita.

Ci spieghi meglio.
Ultimamente ho registrato un’inversione di polarità nei riguardi della gioia: è molto più bello donarla, che riceverla. Prenda come paradigma il nostro modo di fare cinema, come ci rivolgiamo agli attori: io abitualmente vado a cercare non gli attori di tendenza, ma chi è stato emarginato, dimenticato o non ha ricevuto determinate opportunità. È il “Discorso della montagna”, “Le beatitudini”, il momento più alto del Vangelo, che rileggo tutte le sere: è la mia Costituzione. È la cosa più bella che ci sia, pronunciato da un ragazzo di duemila anni fa indicando come l’essere umano dovrebbe comportarsi nei riguardi del mondo, del prossimo.

Lei è uno dei cantori della memoria del Paese, abile nel rileggere pagine sociali e tradizioni. Che valore hanno per lei?
Sono fondamentali. Stiamo rimettendo in discussione tutto. Pensi alla famiglia, prenda per esempio la figura paterna, che di fatto si è defilata, dimessa, deresponsabilizzata. Pensi al fatto che è stata rimossa la locuzione avverbiale “per sempre”: non sentirà nessuno dire “per sempre” nei rapporti, nel matrimonio. Viviamo nella precarietà dei legami, non diciamo più “mio marito” o “mia moglie”, bensì il “mio compagno” o “la mia compagna”. È il tratto di una precarizzazione dei rapporti. Sarò probabilmente un vecchio “conservatore”, ma rivendico la qualità della vita attraverso una correttezza dei rapporti e nel rispetto degli altri.

Nel 2022 ha firmato il ritratto del sommo poeta, “Dante”. Che significato ha avuto tale progetto?
Non ho fatto altro che fare mia la lezione di Roberto Rossellini. Era un autore che aveva questo atteggiamento, sapeva ampliare la conoscenza delle cose, anche in tarda età. Così è accaduto a me: sono arrivato tardi alla bellezza del sapere, a trent’anni, perché nella prima parte della mia vita c’era la musica. Ho scoperto il piacere dello studio e ho deciso di condividerlo grazie al cinema. E che gioia ritrovare Dante, un Dante diverso da quello dei banchi di scuola. L’ho voluto far scendere dal piedistallo, renderlo prossimo, con un atto di riconoscenza risarcitoria. Sono orgoglioso che tanti ragazzi nelle scuole abbiano visto il film. Mi sconforta solo che in questi giorni l’Accademia del cinema italiano (Premi David di Donatello) non lo abbia considerato: è candidato solo per il trucco, per il naso di Dante. Io di certo continuo ad andare avanti, ma confesso che è un po’ faticoso. A tratti ci si sente soli, anche nei riguardi del mondo cattolico, di una certa comunicazione cattolica.

Ha ancora storie da realizzare?
Fortunatamente non ho sogni nel cassetto. Sin dai primi film, molto sessantottini, che oggi rimpiango come risultato dell’insipienza, perché non conoscevo bene il mezzo – Ingmar Bergman diceva che solo dopo 7 film aveva realizzato un’opera che gli assomigliasse –, sono riuscito a essere coincidente con il mio cinema. Non è presunzione, ma semplicemente consapevolezza di quello che faccio. Non ho particolari storie da raccontare, perché ho sempre proposto tutti gli anni la storia che desideravo. Non ho mai aderito ai salotti, all’“amichetteria” per dirla alla Fulvio Abbate, perché sono stato sempre molto “alternativo”. Non ho la frustrazione di film non realizzati. Per fare “Dante” ho impiegato 20 anni, ma alla fine ci sono riuscito.

 

 

Commissione Nazionale valutazione film CEI

 

San Domenico sul valore di una tranquilla preparazione prima di prendere grandi decisioni

La quantità e la durata del nostro lavoro futuro dipende dal carattere sviluppato e dalla formazione che portiamo nel processo.

Quando nacque San Domenico, sua madre ebbe una strana visione di suo figlio come un cane che teneva in bocca una torcia accesa. Si staccò da lei e diede fuoco al mondo. Se alla fine la sua visione si è avverata – San Domenico ha davvero cambiato il mondo – durante la sua giovinezza e nella prima età adulta non c’erano assolutamente segni che si realizzasse. Da ragazzo era insignificante e tranquillo. Gli piaceva leggere tranquillamente, non era né popolare né impopolare con gli altri ragazzi e mostrava una pietà normale, devota ma non eccessiva, quando si trattava di chiesa. Come altri bambini piccoli, fingeva di suonare la messa e, inoltre, era molto colpito dall’idea di diventare un monaco di clausura. Sembrava destinato a una vita tranquilla.

Quando è andato all’Università di Palencia, era conosciuto come un giovane studioso e equilibrato. Intorno ai 25 anni fu ordinato sacerdote. Il suo incarico lo portò nel paese di Osma dove visse in un gruppo semimonastico di sacerdoti annesso a una parrocchia. Per nove anni Domenico visse con fratelli sacerdoti e seguì serenamente la regola di sant’Agostino. Era una vita pacifica e santa. Era una vita piuttosto insignificante.

Nella sua biografia di Dominic, Bede Jarrett osserva: “Questo sembra, forse, un inizio di carriera molto gentile, persino monotono…” Se fosse stato così che la sua vita avesse continuato a procedere, probabilmente sarebbe morto felice ma completamente sconosciuto.

Non è quello che è successo. Affatto. Oggi San Domenico è uno dei santi più famosi della sua epoca, spesso citato insieme a San Francesco. L’ordine religioso che ha fondato ha aderenti in tutto il mondo che si definiscono domenicani in suo onore.

Quello che è successo?

Ecco cosa è successo. Dopo i suoi anni tranquilli a Osma, Domenico divenne un predicatore itinerante. Lo ha fatto per 13 anni, andando di città in città. Durante questo periodo, il suo profilo pubblico è cresciuto ma non aveva ancora formato un ordine religioso. Ancora una volta, se avesse vissuto la sua vita come predicatore di circoscrizione, probabilmente sarebbe morto felice, ma il suo nome sarebbe sconosciuto oggi.

Iniziò il suo ordine religioso solo nell’anno 1216. Lo costruì per cinque anni – tutto qui. Un’esplosione di attività massiccia e ispirata. Cinque brevi anni e poi fu chiamato a casa dal suo Signore. Il suo ordine religioso gli sopravvisse e influenzò il corso della storia.

Ciò che mi ha sorpreso quando ho conosciuto la sua storia è che la stragrande maggioranza della vita di Dominic è stata spesa nella preparazione. Poi, in quella scelta unica, decisiva, quella che ha riversato tutte le sue energie in un’unica attività, ha trasformato la sua vocazione. Era una fioritura tardiva ma ha lasciato un’impronta duratura.

Preparazione tranquilla

Per tutta la vita sono stato impaziente. Voglio prendere decisioni rapidamente e agire subito. Non mi piace essere rallentato o sentirmi come se stessi perdendo tempo. Al lavoro, ho sempre voluto essere subito il capo. Volevo correre attraverso la mia educazione e uscire nel mondo reale. Ero sempre fuori di testa con il processo di formazione in seminario perché non vedevo l’ora di entrare in una parrocchia e farmi coinvolgere. Volevo passare a quello che consideravo il vero lavoro. Fino ad oggi, ho quasi zero capacità di attenzione per riunioni e lunghi processi decisionali. Per così tanto tempo ho considerato la risolutezza e la prontezza come virtù preminenti che ho trascurato l’importanza della pazienza e della calma preparazione.

La vita di San Domenico, però, rivela quanto sia importante restare a riposo e prepararsi adeguatamente. Forse ha iniziato più tardi del previsto, forse era persino frustrato e si sentiva come se la vita gli stesse passando accanto, ma una volta iniziato ha viaggiato veloce e lontano.

Nella sua biografia, Jarrett scrive: “È stato un momento cruciale per il santo che gli ha permesso di valutare la profondità del proprio carattere …” e che Dominico possedeva “una vita paziente e nascosta prima dell’inizio del ministero pubblico”.

Ripensando a tutti i momenti preparatori della mia vita – di solito i momenti in cui ero frustrato e impaziente – sono stati tutti di enorme aiuto per il mio sviluppo. I capi e i formatori che ho interrogato ne sapevano sempre più di me, le persone nelle riunioni che rallentano il processo con le domande, le tante persone che mi hanno insegnato a esaminare le questioni da più angolazioni. Soprattutto, quel tempo non è mai stato sprecato perché stavo sviluppando il personaggio. Come mostra la vita di Domenico, la quantità e la durata del nostro lavoro futuro dipende dal carattere sviluppato e dalla formazione che portiamo nel processo. Il successo è una questione di preparazione.

Come conclude Jarrett, “Solo un uomo che ha costruito con cura il suo personaggio può sperare un giorno di costruire il mondo”.

aleteia.org

Web Report del Webinar: Cultura digitale e IRC. Opportunità e criticità 

Web Report

Aggiornamento per gli Insegnanti di Religione dei quattro Ordini scolastici, di scuola statale e paritaria, su un tema contemporaneo che caratterizza il territorio in cui si muovono bambini e ragazzi, protagonisti con i loro insegnanti della quotidianità scolastica.

Il Webinar, svoltosi nel pomeriggio del 31 marzo u.s. è stato momento di confronto con aspetti caratterizzanti la cultura digitale. Anche punto di ripresa di una lunga e apprezzata tradizione formativa, che per decenni ha espresso l’attenzione nei confronti dell’IRC e dei suoi Insegnanti da parte della Facoltà di Scienze dell’Educazione, attraverso le strutture e il personale dell’Istituto di Catechetica. Un terreno fertile ha ripreso ad essere lavorato dopo l’inevitabile sosta pandemica, con una progettazione che già dallo scorso autunno si è concretizzata in iniziative precise: il terzo numero 2022 della rivista “Catechetica ed Educazione”, un Seminario di ricerca e il momento formativo primaverile, a cui si cercherà di far seguire altre proposte, a partire già dalla prossima estate.

Quale questione fa da scenario alla riflessione offerta? Evidenziare e tematizzare categorie che permettano di interpretare la cultura contemporanea. Con particolare attenzione all’ambientazione scolastica, dunque con una decisa curvatura educativa. Secondo le esigenze tipiche dell’elaborazione del fenomeno religioso nel percorso di istruzione dei cittadini.

Un interrogativo sempre opportuno e da tenere attivo anche quando si affronta il “digitale”: di che parliamo? Il Prof. Fabio Pasqualetti ha accompagnato gli ascoltatori dietro le quinte del digitale, portando in chiaro gli intendimenti che sorreggono i meccanismi dei social ed evidenziando gli effetti sulla percezione culturale e sociale. La profilazione è l’obiettivo di tanta proposta mediatica e l’allargamento di orizzonti offerto dalla rete si rivela – al contrario – un rafforzamento della consuetudine del “simile col simile”, fino a raggiungere la contrazione sul presente e l’isolamento solipsistico. Ricadute etiche ed antropologiche, che si rivelano operative nell’avamposto culturale e sociale costituito dalla scuola.

Il Prof. Renato Butera ha offerto un’ampia explicatio terminorum, conducendo gli ascoltatori in un’escursione tra le narrazioni seriali e il loro influsso su comportamenti, emozioni, relazioni e religione. La serialità possiede serietà di intenti e soprattutto di conseguenze, innescando una circolarità ispirativa tra serie e società: la pervasività è ampia e profonda, tanto da creare un’infrastruttura culturale, che fiuta desideri, aspirazioni, bisogni, sogni, dà loro voce e crea tendenze, simbolica, identificazione, mentalità. Di nuovo si riaffaccia il tema etico ed antropologico, che chiede di muoversi in un universo fluido e di rivitalizzare una visione introspettiva, a mitigare la passività di quella meramente intrattenitiva.

I “nostri tempi” non esistono più. Questi sono tempi nuovi. In questi tempi nuovi tutti siamo protagonisti. Bambini, ragazzi e giovani che frequentano la scuola, tessono le loro relazioni in nuovi canali di condivisione e percezione della realtà. La religione, proposta ed elaborata nelle aule scolastiche, può avere una parola da dire.

 

Roma, 03 aprile 2023

Giampaolo Usai

Buona Pasqua !!!

La speranza è una realtà corale! Guardate, alle mie spalle, la scultura del Cristo Risorto (…) Osservate le mani del Cristo: sono come quelle di un maestro di coro. La destra è aperta: dirige tutto l’insieme dei coristi e, tendendo verso l’alto, sembra chiedere un crescendo nell’esecuzione. La sinistra, invece, pur rivolta a tutto il coro, ha l’indice puntato, come per convocare un solista, dicendo: “Tocca a te!”. Le mani del Cristo coinvolgono al tempo stesso il coro e il solista, perché nel concerto il ruolo dell’uno si accordi con quello dell’altro, in una costruttiva complementarità. Per favore: mai solisti senza coro. “Tocca a tutti voi!” e al tempo stesso: “Tocca a te!”. Questo dicono le mani del Risorto: a tutti voi e a te!  Mentre ne contempliamo i gesti, rinnoviamo allora il nostro impegno a “fare coro”, nella sintonia e nell’accordo delle voci, docili all’azione viva dello Spirito

(Papa Francesco)

 

L’ISTITUTO DI CATECHETICA VI AUGURA

UNA BUONA PASQUA DI RISURREZIONE!

 

 

 

Presentazione del volume: “Fare Catechesi in Italia. Tracce e percorsi per la formazione dei catechisti”

Venerdì 19 maggio 2023, ore 15:30

Aula della Facoltà di Scienze della Comunicazione Sociale – Università Pontificia Salesiana 

Scarica locandina in formato pdf

 

“Il momento storico che viviamo in Italia, in Europa e negli altri continenti è particolare: pandemia e guerra, crisi energetica e minacce all’ecosistema, ma anche desiderio di pace e fraternità, esigenza di conversione e di cambio di rotta. Il respiro impresso da papa Francesco e più volte ribadito e rilanciato negli incontri con la Chiesa italiana, attende di essere inculturato nel nostro contesto nazionale, con un rinnovato senso della ministerialità e della diakonia, con la promozione di una catechesi “in uscita”, nel segno della misericordia e come “laboratorio di dialogo” – come si esprime il recente Direttorio per la catechesi del 2020 (nn. 48-54)”.
Mons. Giulio Francesco Brambilla

 

 

 

L’Istituto di Catechetica di Roma (ICa),  Facoltà di Scienze dell’Educazione dell’Università Pontificia Salesiana, dopo aver curato la ricerca nazionale Catechisti oggi in Italia (LAS, Roma 2021), con il coordinamento di Ubaldo Montisci promuove questa piattaforma aggiornata per la formazione dei catechisti avvalendosi di specialisti in campo catechetico, nelle scienze teologiche, dell’educazione e della comunicazione, conosciuti in Italia e all’estero.

Il volume offre un percorso per la formazione dei catechisti di oggi in Italia, sviluppata in sette parti.

– La prima parte delinea l’orizzonte e presenta le coordinate della cultura oggi in Italia, anche religiosa e pastorale.

– La seconda parte presenta il focus specifico della catechesi. Si entra in merito al linguaggio e ai linguaggi, al contenuto e al metodo della catechesi, richiamando il rapporto tra pedagogia di Dio e pedagogia umana, l’impianto narrativo, dialogico e linguistico, la cultura digitale, la funzione dei catechismi e dei testi scritti e multimendiali.

– La terza parte si sofferma sul punto determinante e centrale dell’identità e della formazione dei catechisti.

– La quarta parte approfondisce la visione della catechesi come processo. Sono presentate le fasi e le dinamiche del kerigma e del “primo annuncio”, della catechesi di iniziazione e delle forme di ripresa iniziatica da parte di giovani e adulti, della catechesi permanente con gli adulti, della catechesi familiare e “intergenerazionale”.

– La quinta parte considera la catechesi in contesto, in modo particolare nella Chiesa locale.

– La sesta parte, a confine, tratta dell’Insegnamento della Religione Cattolica che rientra nell’ambito del “patto educativo” con e per le nuove generazioni.

– La settima parte propone una veduta panoramica sulla scienza catechetica sia nella sua caratterizzazione epistemologica, sia in quella formativa.

È delineata, infine, la proposta formativa dell’ICa che cura questo volume, e di altri Centri presenti in Italia.

 

 

LA COMPETENZA RICONSIDERATA

Carissime exallieve e carissimi exallievi dell’ICa di Roma,

chiediamo il vostro aiuto ai fini di una ricerca in corso sulla competenza catechetica nel nostro Istituto.

Riteniamo importante il contributo di ciascuno di voi per un’attenta verifica, una analisi della situazione attuale e per progettare percorsi di formazione catechetici fedeli alla tradizione dell’ICA e rispondenti alle sfide attuali. Anche se “rubiamo” un po’ del vostro tempo, riteniamo preziose le risposte che ci darete con schiettezza e onestà professionale.

 

Riceverete a breve una mail dalla piattaforma di riferimento su cui rispondere e vi chiediamo la cortesia di inviare le risposte possibilmente entro e non oltre il 16 aprile c.a.

 

Non ci rimane che dirVi grazie.

 

Un fraterno saluto a tutti voi con l’augurio di pace per la Pasqua ormai prossima

 

Don Giuseppe Ruta

Membri dell’ICA e del team di Ricerca

Sinite – In memoria di Emilio Alberich 1933-2022

Sinite è la rivista dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose e Catechetiche “San Pío X” (Pontificia Università di Salamanca). Questa pubblicazione è liberamente accessibile.

In questa occasione, la Rivista n. 191 dedica alcuni articoli alla persona e al contributo di D. Emilio Alberich, eminente catechista spagnolo, morto a Siviglia il 9 settembre 2022.

Di seguito una sintesi dei contenuti del Magazine.

In ricordo di Emilio Alberich Sotomayor Il salesiano Luis A. Gallo, intimo compagno di Emilio Alberich, presenta in questo articolo Emilio Alberich attraverso alcuni frammenti della sua vita, della sua personalità e del suo modo di essere, nonché alcune delle sue pubblicazioni più eccezionali e linee di pensiero della catequeta spagnola.
Le parole di Emilio Alberich Emilio Alberich ha contribuito all’approfondimento della teologia catechistica e dell’insegnamento religioso, producendo una vasta letteratura, dove spiccano i suoi manuali di catechesi, nei quali espone in modo ordinato, sintetico, accessibile e profondo gli assi principali di un nuovo modello di catechesi. Nella stesura della rivista abbiamo deciso di ascoltare il professor Alberich in tre interviste realizzate negli anni 2007, 2012 e 2013 per tre riviste di catechesi.
Alcune dimensioni del linguaggio religioso nella teologia catechistica di Emilio Alberich Questo articolo, in omaggio a don Emilio Alberich, vuole riflettere sul posto del linguaggio religioso nella sua proposta catechistica. Per questo ci soffermeremo a rileggere i suoi scritti principali prestando attenzione soprattutto alla sua proposta di catechesi degli adulti, per approfondire e scoprire come la catechesi possa contribuire al rinnovamento del linguaggio religioso e catechistico. Inizieremo presentando una diagnosi dello stato del linguaggio religioso secondo Alberich, per poi approfondire la proposta dell’autore sulla creazione di una catechesi evangelizzatrice che permetta la formazione di credenti con una fede adulta, in comunità a misura d’uomo e una Chiesa rinnovata.

 

indice Sinite

presentazione Sinite 

Gallo Luis Mi testimonio

 

Nel numero di Dicembre 2022 della Rivista di CATECHETICA ed EDUCAZIONE:

EMILIO ALBERICH SOTOMAYOR – IN MEMORIAM Il pensiero Catechetico nelle interviste

Bibliografia Alberich

Porre le basi per una “scienza” giovane: la Catechetica fondamentale di Emilio Alberich – Giuseppe Ruta

Adulti credenti e credibili si diventa! Il contributo di Emilio Alberich alla catechesi degli adulti – Jerome Vallabaraj

 

Gli auguri della Presidenza CEI a Papa Francesco

Di seguito il Messaggio di auguri della Presidenza CEI al Santo Padre in occasione del decimo anniversario dell’elezione al Soglio pontificio.

Beatissimo Padre,
sono passati dieci anni da quel “buona sera” con cui si presentò alla Chiesa e al mondo intero; da allora le Sue parole e i Suoi gesti hanno continuato a toccare il cuore, a sorprendere, a parlare a tutti e a ciascuno.
Quel saluto è stato l’inizio di un dialogo: in questo tempo, ci ha aiutato a capire quanto il Vangelo sia attraente, persuasivo, capace di rispondere ai tanti interrogativi della storia e ad ascoltare le domande che affiorano nelle pieghe dell’esistenza umana.
Ci ha insegnato a uscire, a stare in mezzo alla strada e soprattutto ad andare nelle periferie, per capire chi siamo. Possiamo conoscere davvero noi stessi solo guardando dall’esterno, da quelle prime periferie che sono i poveri: Lei ci ha spinto a incontrarli, a vederli, a toccarli, a fare di loro i nostri fratelli più piccoli. Perché, come ci ha ricordato più volte, la nostra non è una fede da laboratorio, ma un cammino, nella Storia, da compiere insieme.
Vogliamo esprimerLe la nostra gratitudine per aver accolto l’eredità di Benedetto XVI e per averci accompagnato, a partire dall’Anno della Fede, incoraggiandoci a vivere da cristiani nelle tante contraddizioni, sfide e pandemie di questo mondo. Con l’impegno a “tracciare insieme sentieri di pace”, perché “solo la pace che nasce dall’amore fraterno e disinteressato può aiutarci a superare le crisi personali, sociali e mondiali” (Messaggio per la Giornata mondiale della pace, 1° gennaio 2023).
Insieme alle Chiese che sono in Italia Le porgiamo i più cari auguri per questo anniversario, assicurandoLe la nostra vicinanza operosa e la nostra preghiera.

 

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Francesco alle università pontificie: lavorate insieme con slancio e lungimiranza

Il Papa riceve rettori, docenti, studenti e personale delle istituzioni accademiche vaticane e chiede di aprirsi a sviluppi coraggiosi e inediti per favorire la missione universale della Chiesa: l’università non è la scuola dell’uniformità, ma l’accordo tra voci

Paolo Ondarza – Vatican News

Quella delle istituzioni accademiche pontificie romane è “un eredità ricchissima, che può promuovere vita nuova, ma che può anche inibirla se diventa troppo autoreferenziale” o “un pezzo di museo”. Ricevendo in Aula Paolo VI circa 3.000 persone, tra rettori, docenti, studenti e personale delle Università e Istituzioni pontificie romane, Francesco esorta a “fare coro” per affrontare le sfide inedite del presente (Ascolta il Podcast con la voce del Papa):

Specie dopo la pandemia del Covid 19, urge avviare un processo che porti a una sinergia effettiva, stabile e organica tra le istituzioni accademiche, per meglio onorare gli scopi specifici di ciascuna e per favorire la missione universale della Chiesa. E non andare litigando fra noi per prendere un alunno, un’ora in più. .Vi invito, pertanto, a non accontentarvi di soluzioni dal fiato corto, e a non pensare a questo processo di crescita semplicemente come a un’azione “di difesa”, volta a fronteggiare il calo delle risorse economiche e umane. Va visto, piuttosto, come uno slancio verso il futuro, come un invito ad accogliere le sfide di un’epoca nuova della storia.

No a soluzioni dal fiato corto

“Fare coro” tra le diverse componenti delle comunità e fra le varie istituzioni accademiche sorte a Roma nei secoli grazie alla “generosità e lungimiranza di molti ordini religiosi”, dice il Papa, si impone come necessario. “A fronte del minor numero di allievi e di insegnanti, questa molteplicità di poli di studio rischia di disperdere energie preziose. Così, anziché favorire la trasmissione della gioia evangelica dello studio, dell’insegnamento e della ricerca, minaccia a volte di rallentarla e affaticarla. Dobbiamo prenderne atto”.

La realtà è più importante dell’idea

L’eredità secolare di facoltà e università pontificie va sviluppata, avviando “al più presto un fiducioso processo” in una “direzione corale”, “con intelligenza, prudenza e audacia, tenendo sempre presente che – precisa il Vescovo di Roma – la realtà è più importante dell’idea”.

Se volete che abbia un futuro fecondo, la sua custodia non può limitarsi al mantenimento di quanto ricevuto: deve invece aprirsi a sviluppi coraggiosi e, se necessario, anche inediti.

A questo proposito il Papa indica nel Dicastero per la Cultura e l’Educazione il referente per accompagnare le istituzioni accademiche in questo cammino.

Cristo dirige il coro

“Corale” è la realtà della speranza, constata il Pontefice che, contemplando il Cristo Risorto, opera di Pericle Fazzini, dominante il palco dell’Aula Paolo VI, riflette su come le mani di questa scultura assomiglino a quelle di un maestro di coro: la destra aperta sembra dirigere l’insieme dei coristi; la sinistra con l’indice puntato invece suggerisce l’idea che stia convocando un solista, dicendo: “Tocca a te”.

Le mani del Cristo coinvolgono al tempo stesso il coro e il solista, perché nel concerto il ruolo dell’uno si accordi con quello dell’altro, in una costruttiva complementarità. Per favore: mai solisti senza coro. “Tocca a tutti voi!” e al tempo stesso: “Tocca a te!”. Questo dicono le mani del Risorto. Mentre ne contempliamo i gesti, rinnoviamo allora il nostro impegno a “fare coro”, nella sintonia e nell’accordo delle voci, docili all’azione viva dello Spirito.

Scuola di accordo e consonanza di voci

L’università d’altronde è la scuola dell’accordo e della consonanza tra voci e strumenti differenti: “il luogo”, dice Francesco citando san John Henry Newman, “dove diversi saperi e prospettive si esprimono in sintonia, si completano, si correggono e si bilanciano l’un l’altro”. Un’armonia che va coltivata innanzitutto a partire da sé stessi, accordando le tre intelligenze che vibrano nell’anima: mente, cuore e mani. Queste ultime, paragonate da Aristotele e Kant rispettivamente all’anima e al cervello esterno dell’uomo, esorta il Pontefice, siano “eucaristiche come quelle di Cristo”: capaci di rendere grazie, di misericordia, di generosità e di “stringere altre mani”.

La prima volta che sono uscito in Piazza, da Papa, mi sono avvicinato ad un gruppo di ragazzi ciechi. E uno mi disse: “Posso vederla? Posso guardarla?” Io non capii. “Sì”, gli ho detto. E con le mani cercava…e mi… “Ah grazie”: mi ha visto con le mani. Questo mi ha toccato tanto.

L’intelligenza di mani sensibili

Se “il verbo prendere indica un’azione tipicamente manuale”, prosegue il Vescovo di Roma, esso “è anche radice di parole come comprendere, apprendere e sorprendere: mentre le mani prendono, la mente comprende, apprende e non si lascia sorprendere”:

Perché questo avvenga, ci vogliono mani sensibili. La mente non potrà comprendere nulla se le mani sono chiuse dall’avarizia, o se sono “mani bucate”, che sprecano tempo, salute e talenti, o ancora se si rifiutano di dare la pace, di salutare e di stringere altre mani. Non potrà apprendere nulla se le mani hanno dita puntate senza misericordia contro i fratelli e le sorelle che sbagliano. E non potrà sorprendersi di nulla, se le stesse mani non sanno congiungersi e levarsi al Cielo in preghiera.