LA COMPETENZA RICONSIDERATA

Carissime exallieve e carissimi exallievi dell’ICa di Roma,

chiediamo il vostro aiuto ai fini di una ricerca in corso sulla competenza catechetica nel nostro Istituto.

Riteniamo importante il contributo di ciascuno di voi per un’attenta verifica, una analisi della situazione attuale e per progettare percorsi di formazione catechetici fedeli alla tradizione dell’ICA e rispondenti alle sfide attuali. Anche se “rubiamo” un po’ del vostro tempo, riteniamo preziose le risposte che ci darete con schiettezza e onestà professionale.

 

Riceverete a breve una mail dalla piattaforma di riferimento su cui rispondere e vi chiediamo la cortesia di inviare le risposte possibilmente entro e non oltre il 16 aprile c.a.

 

Non ci rimane che dirVi grazie.

 

Un fraterno saluto a tutti voi con l’augurio di pace per la Pasqua ormai prossima

 

Don Giuseppe Ruta

Membri dell’ICA e del team di Ricerca

Sinite – In memoria di Emilio Alberich 1933-2022

Sinite è la rivista dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose e Catechetiche “San Pío X” (Pontificia Università di Salamanca). Questa pubblicazione è liberamente accessibile.

In questa occasione, la Rivista n. 191 dedica alcuni articoli alla persona e al contributo di D. Emilio Alberich, eminente catechista spagnolo, morto a Siviglia il 9 settembre 2022.

Di seguito una sintesi dei contenuti del Magazine.

In ricordo di Emilio Alberich Sotomayor Il salesiano Luis A. Gallo, intimo compagno di Emilio Alberich, presenta in questo articolo Emilio Alberich attraverso alcuni frammenti della sua vita, della sua personalità e del suo modo di essere, nonché alcune delle sue pubblicazioni più eccezionali e linee di pensiero della catequeta spagnola.
Le parole di Emilio Alberich Emilio Alberich ha contribuito all’approfondimento della teologia catechistica e dell’insegnamento religioso, producendo una vasta letteratura, dove spiccano i suoi manuali di catechesi, nei quali espone in modo ordinato, sintetico, accessibile e profondo gli assi principali di un nuovo modello di catechesi. Nella stesura della rivista abbiamo deciso di ascoltare il professor Alberich in tre interviste realizzate negli anni 2007, 2012 e 2013 per tre riviste di catechesi.
Alcune dimensioni del linguaggio religioso nella teologia catechistica di Emilio Alberich Questo articolo, in omaggio a don Emilio Alberich, vuole riflettere sul posto del linguaggio religioso nella sua proposta catechistica. Per questo ci soffermeremo a rileggere i suoi scritti principali prestando attenzione soprattutto alla sua proposta di catechesi degli adulti, per approfondire e scoprire come la catechesi possa contribuire al rinnovamento del linguaggio religioso e catechistico. Inizieremo presentando una diagnosi dello stato del linguaggio religioso secondo Alberich, per poi approfondire la proposta dell’autore sulla creazione di una catechesi evangelizzatrice che permetta la formazione di credenti con una fede adulta, in comunità a misura d’uomo e una Chiesa rinnovata.

 

indice Sinite

presentazione Sinite 

Gallo Luis Mi testimonio

 

Nel numero di Dicembre 2022 della Rivista di CATECHETICA ed EDUCAZIONE:

EMILIO ALBERICH SOTOMAYOR – IN MEMORIAM Il pensiero Catechetico nelle interviste

Bibliografia Alberich

Porre le basi per una “scienza” giovane: la Catechetica fondamentale di Emilio Alberich – Giuseppe Ruta

Adulti credenti e credibili si diventa! Il contributo di Emilio Alberich alla catechesi degli adulti – Jerome Vallabaraj

 

Gli auguri della Presidenza CEI a Papa Francesco

Di seguito il Messaggio di auguri della Presidenza CEI al Santo Padre in occasione del decimo anniversario dell’elezione al Soglio pontificio.

Beatissimo Padre,
sono passati dieci anni da quel “buona sera” con cui si presentò alla Chiesa e al mondo intero; da allora le Sue parole e i Suoi gesti hanno continuato a toccare il cuore, a sorprendere, a parlare a tutti e a ciascuno.
Quel saluto è stato l’inizio di un dialogo: in questo tempo, ci ha aiutato a capire quanto il Vangelo sia attraente, persuasivo, capace di rispondere ai tanti interrogativi della storia e ad ascoltare le domande che affiorano nelle pieghe dell’esistenza umana.
Ci ha insegnato a uscire, a stare in mezzo alla strada e soprattutto ad andare nelle periferie, per capire chi siamo. Possiamo conoscere davvero noi stessi solo guardando dall’esterno, da quelle prime periferie che sono i poveri: Lei ci ha spinto a incontrarli, a vederli, a toccarli, a fare di loro i nostri fratelli più piccoli. Perché, come ci ha ricordato più volte, la nostra non è una fede da laboratorio, ma un cammino, nella Storia, da compiere insieme.
Vogliamo esprimerLe la nostra gratitudine per aver accolto l’eredità di Benedetto XVI e per averci accompagnato, a partire dall’Anno della Fede, incoraggiandoci a vivere da cristiani nelle tante contraddizioni, sfide e pandemie di questo mondo. Con l’impegno a “tracciare insieme sentieri di pace”, perché “solo la pace che nasce dall’amore fraterno e disinteressato può aiutarci a superare le crisi personali, sociali e mondiali” (Messaggio per la Giornata mondiale della pace, 1° gennaio 2023).
Insieme alle Chiese che sono in Italia Le porgiamo i più cari auguri per questo anniversario, assicurandoLe la nostra vicinanza operosa e la nostra preghiera.

 

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Francesco alle università pontificie: lavorate insieme con slancio e lungimiranza

Il Papa riceve rettori, docenti, studenti e personale delle istituzioni accademiche vaticane e chiede di aprirsi a sviluppi coraggiosi e inediti per favorire la missione universale della Chiesa: l’università non è la scuola dell’uniformità, ma l’accordo tra voci

Paolo Ondarza – Vatican News

Quella delle istituzioni accademiche pontificie romane è “un eredità ricchissima, che può promuovere vita nuova, ma che può anche inibirla se diventa troppo autoreferenziale” o “un pezzo di museo”. Ricevendo in Aula Paolo VI circa 3.000 persone, tra rettori, docenti, studenti e personale delle Università e Istituzioni pontificie romane, Francesco esorta a “fare coro” per affrontare le sfide inedite del presente (Ascolta il Podcast con la voce del Papa):

Specie dopo la pandemia del Covid 19, urge avviare un processo che porti a una sinergia effettiva, stabile e organica tra le istituzioni accademiche, per meglio onorare gli scopi specifici di ciascuna e per favorire la missione universale della Chiesa. E non andare litigando fra noi per prendere un alunno, un’ora in più. .Vi invito, pertanto, a non accontentarvi di soluzioni dal fiato corto, e a non pensare a questo processo di crescita semplicemente come a un’azione “di difesa”, volta a fronteggiare il calo delle risorse economiche e umane. Va visto, piuttosto, come uno slancio verso il futuro, come un invito ad accogliere le sfide di un’epoca nuova della storia.

No a soluzioni dal fiato corto

“Fare coro” tra le diverse componenti delle comunità e fra le varie istituzioni accademiche sorte a Roma nei secoli grazie alla “generosità e lungimiranza di molti ordini religiosi”, dice il Papa, si impone come necessario. “A fronte del minor numero di allievi e di insegnanti, questa molteplicità di poli di studio rischia di disperdere energie preziose. Così, anziché favorire la trasmissione della gioia evangelica dello studio, dell’insegnamento e della ricerca, minaccia a volte di rallentarla e affaticarla. Dobbiamo prenderne atto”.

La realtà è più importante dell’idea

L’eredità secolare di facoltà e università pontificie va sviluppata, avviando “al più presto un fiducioso processo” in una “direzione corale”, “con intelligenza, prudenza e audacia, tenendo sempre presente che – precisa il Vescovo di Roma – la realtà è più importante dell’idea”.

Se volete che abbia un futuro fecondo, la sua custodia non può limitarsi al mantenimento di quanto ricevuto: deve invece aprirsi a sviluppi coraggiosi e, se necessario, anche inediti.

A questo proposito il Papa indica nel Dicastero per la Cultura e l’Educazione il referente per accompagnare le istituzioni accademiche in questo cammino.

Cristo dirige il coro

“Corale” è la realtà della speranza, constata il Pontefice che, contemplando il Cristo Risorto, opera di Pericle Fazzini, dominante il palco dell’Aula Paolo VI, riflette su come le mani di questa scultura assomiglino a quelle di un maestro di coro: la destra aperta sembra dirigere l’insieme dei coristi; la sinistra con l’indice puntato invece suggerisce l’idea che stia convocando un solista, dicendo: “Tocca a te”.

Le mani del Cristo coinvolgono al tempo stesso il coro e il solista, perché nel concerto il ruolo dell’uno si accordi con quello dell’altro, in una costruttiva complementarità. Per favore: mai solisti senza coro. “Tocca a tutti voi!” e al tempo stesso: “Tocca a te!”. Questo dicono le mani del Risorto. Mentre ne contempliamo i gesti, rinnoviamo allora il nostro impegno a “fare coro”, nella sintonia e nell’accordo delle voci, docili all’azione viva dello Spirito.

Scuola di accordo e consonanza di voci

L’università d’altronde è la scuola dell’accordo e della consonanza tra voci e strumenti differenti: “il luogo”, dice Francesco citando san John Henry Newman, “dove diversi saperi e prospettive si esprimono in sintonia, si completano, si correggono e si bilanciano l’un l’altro”. Un’armonia che va coltivata innanzitutto a partire da sé stessi, accordando le tre intelligenze che vibrano nell’anima: mente, cuore e mani. Queste ultime, paragonate da Aristotele e Kant rispettivamente all’anima e al cervello esterno dell’uomo, esorta il Pontefice, siano “eucaristiche come quelle di Cristo”: capaci di rendere grazie, di misericordia, di generosità e di “stringere altre mani”.

La prima volta che sono uscito in Piazza, da Papa, mi sono avvicinato ad un gruppo di ragazzi ciechi. E uno mi disse: “Posso vederla? Posso guardarla?” Io non capii. “Sì”, gli ho detto. E con le mani cercava…e mi… “Ah grazie”: mi ha visto con le mani. Questo mi ha toccato tanto.

L’intelligenza di mani sensibili

Se “il verbo prendere indica un’azione tipicamente manuale”, prosegue il Vescovo di Roma, esso “è anche radice di parole come comprendere, apprendere e sorprendere: mentre le mani prendono, la mente comprende, apprende e non si lascia sorprendere”:

Perché questo avvenga, ci vogliono mani sensibili. La mente non potrà comprendere nulla se le mani sono chiuse dall’avarizia, o se sono “mani bucate”, che sprecano tempo, salute e talenti, o ancora se si rifiutano di dare la pace, di salutare e di stringere altre mani. Non potrà apprendere nulla se le mani hanno dita puntate senza misericordia contro i fratelli e le sorelle che sbagliano. E non potrà sorprendersi di nulla, se le stesse mani non sanno congiungersi e levarsi al Cielo in preghiera.

Webinar “Cultura digitale e IRC. Opportunità e criticità”

31 marzo 2023

Sede: Sala Facoltà di Scienze di Comunicazione sociale dell’UPS per i partecipanti in presenza.

 

Dopo il Seminario di Studio La domanda formativa degli Insegnanti di Religione, realizzato il 3 dicembre 2022, l’équipe di Pedagogia religiosa dell’Istituto di Catechetica propone un Webinar.

Tema: «Cultura digitale e IRC. Opportunità e criticità».

Nell’orizzonte dato dal tema “Categorie per interpretare la cultura contemporanea”, quale scenario determinano le serie tv digitali e i social media? Quali emozioni e sentimenti vengono suscitati? Quale idea di relazione, famiglia, religione, società sta dietro la tessitura del digitale?

Destinatari: Gli Insegnanti di Religione di scuola statale e paritaria di ogni ordine e grado.

Metodica: Attività in presenza oppure on-line, con accesso libero e iscrizione obbligatoria.

Data: Venerdì 31/03/2023.

Ore 17:00-19:30.

 

Programma

17.00-17.15: Saluto delle Autorità e Presentazione

17.15-17.55: Prima Relazione: F. Pasqualetti «Dietro le quinte dei social». Meccanismi dei social ed effetti sulla percezione culturale e sociale.

17.55-18.15: Question Time.

18.15-18.55: Seconda Relazione: R. Butera «Serietà della serialità?!». Narrazioni seriali e influsso sulla quotidianità: comportamenti, emozioni, relazioni, religione.

18.55-19.15: Question Time.

19.15-19.30: Conclusioni.

Responsabili: Équipe IRC: Proff. C. Carnevale, S. Cicatelli, G. Cursio, A. Peron, G. Usai

Coordinatore: Prof. Corrado Pastore

 

Sussidio liturgico Quaresima 2023

Sussidio proposto dall’Ufficio Liturgico Nazionale, in collaborazione con il Settore Biblico dell’Ufficio Catechistico Nazionale, il Servizio Nazionale per la Pastorale delle persone con disabilità e la Caritas Italiana.
21 Febbraio 2023

«Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!» (2Cor 6,2). Le parole indirizzate dall’apostolo Paolo alla comunità cristiana di Corinto aprono il cammino della Quaresima, tempo di grazia che il Signore Gesù ci dona per ritornare a lui con tutto il cuore e ricominciare una vita nuova, al di là di tutti i nostri fallimenti.

I gesti di carità, le parole della preghiera, i frutti del digiuno di questo tempo di guarigione dell’anima ci aiuteranno a celebrare le festività pasquali «non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità» (1Cor 5,8).

Se la Quaresima è il tempo della conversione, i cinquanta giorni di Pasqua sono un «laetissimum spatium» per uscire dall’oscurità della notte e vivere l’incontro con il Risorto, gustare la gioia e alimentare la speranza, crescere nella comunione e raccontare le meraviglie da Dio compiute.

Seguendo la suggestiva immagine dei “Cantieri”, che accompagna il cammino sinodale delle Chiese che sono in Italia, il sussidio, proposto dall’Ufficio Liturgico Nazionale, in collaborazione con il Settore Biblico dell’Ufficio Catechistico Nazionale, il Servizio Nazionale per la Pastorale delle persone con disabilità e la Caritas Italiana, potrà risultare utile per i presbiteri, chiamati a crescere nell’arte del celebrare, e per le nostre assemblee, desiderose di vivere con verità la purificazione quaresimale e la gioia della Pasqua.

 

 Giuseppe Baturi
Segretario Generale della CEI


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Proposta di canto:
Spezza il tuo pane

Musica: Matteo Lattarulo
Testo ispirato a Is 58
Forma: Canzone
Uso liturgico: Comunione e Presentazione dei doni
Voci: Antonio Di Marco e Francesca Pillon
Organo: Carlo Paniccià

      • Spartito: PDF
      • File audio: MP3


Quaresima 2023 “Ascesi quaresimale, itinerario sinodale”

Pubblichiamo di seguito il testo del Messaggio di Papa Francesco per la Quaresima 2023 sul tema “Ascesi quaresimale, itinerario sinodale”. 

 

Cari fratelli e sorelle!
I vangeli di Matteo, Marco e Luca sono concordi nel raccontare l’episodio della Trasfigurazione di Gesù. In questo avvenimento vediamo la risposta del Signore all’incomprensione che i suoi discepoli avevano manifestato nei suoi confronti. Poco prima, infatti, c’era stato un vero e proprio scontro tra il Maestro e Simon Pietro, il quale, dopo aver professato la sua fede in Gesù come il Cristo, il Figlio di Dio, aveva respinto il suo annuncio della passione e della croce. Gesù lo aveva rimproverato con forza: «Va’ dietro a me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!” (Mt 16,23). Ed ecco che «sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte» (Mt 17,1).
Il Vangelo della Trasfigurazione viene proclamato ogni anno nella seconda Domenica di Quaresima. In effetti, in questo tempo liturgico il Signore ci prende con sé e ci conduce in disparte. Anche se i nostri impegni ordinari ci chiedono di rimanere nei luoghi di sempre, vivendo un quotidiano spesso ripetitivo e a volte noioso, in Quaresima siamo invitati a “salire su un alto monte” insieme a Gesù, per vivere con il Popolo santo di Dio una particolare esperienza di ascesi.
L’ascesi quaresimale è un impegno, sempre animato dalla Grazia, per superare le nostre mancanze di fede e le resistenze a seguire Gesù sul cammino della croce. Proprio come ciò di cui aveva bisogno Pietro e gli altri discepoli. Per approfondire la nostra conoscenza del Maestro, per comprendere e accogliere fino in fondo il mistero della salvezza divina, realizzata nel dono totale di sé per amore, bisogna lasciarsi condurre da Lui in disparte e in alto, distaccandosi dalle mediocrità e dalle vanità. Bisogna mettersi in cammino, un cammino in salita, che richiede sforzo, sacrificio e concentrazione, come una escursione in montagna. Questi requisiti sono importanti anche per il cammino sinodale che, come Chiesa, ci siamo impegnati a realizzare. Ci farà bene riflettere su questa relazione che esiste tra l’ascesi quaresimale e l’esperienza sinodale.
Nel “ritiro” sul monte Tabor, Gesù porta con sé tre discepoli, scelti per essere testimoni di un avvenimento unico. Vuole che quella esperienza di grazia non sia solitaria, ma condivisa, come
lo è, del resto, tutta la nostra vita di fede. Gesù lo si segue insieme. E insieme, come Chiesa pellegrina nel tempo, si vive l’anno liturgico e, in esso, la Quaresima, camminando con coloro che il Signore ci ha posto accanto come compagni di viaggio. Analogamente all’ascesa di Gesù e dei discepoli al Monte Tabor, possiamo dire che il nostro cammino quaresimale è “sinodale”, perché lo compiamo insieme sulla stessa via, discepoli dell’unico Maestro. Sappiamo, anzi, che Lui stesso è la Via, e dunque, sia nell’itinerario liturgico sia in quello del Sinodo, la Chiesa altro non fa che entrare sempre più profondamente e pienamente nel mistero di Cristo Salvatore.
E arriviamo al momento culminante. Narra il Vangelo che Gesù «fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce» (Mt 17,2). Ecco
la “cima”, la meta del cammino. Al termine della salita, mentre stanno sull’alto monte con Gesù, ai tre discepoli è data la grazia di vederlo nella sua gloria, splendente di luce soprannaturale, che non veniva da fuori, ma si irradiava da Lui stesso. La divina bellezza di questa visione fu incomparabilmente superiore a qualsiasi fatica che i discepoli potessero aver fatto nel salire sul Tabor. Come in ogni impegnativa escursione in montagna: salendo bisogna tenere lo sguardo ben fisso al sentiero; ma il panorama che si spalanca alla fine sorprende e ripaga per la sua meraviglia. Anche il processo sinodale appare spesso arduo e a volte ci potremmo scoraggiare. Ma quello che ci attende al termine è senz’altro qualcosa di meraviglioso e sorprendente, che ci aiuterà a comprendere meglio la volontà di Dio e la nostra missione al servizio del suo Regno.
L’esperienza dei discepoli sul Monte Tabor si arricchisce ulteriormente quando, accanto a Gesù trasfigurato, appaiono Mosè ed Elia, che impersonano rispettivamente la Legge e i Profeti (cfr
Mt 17,3). La novità del Cristo è compimento dell’antica Alleanza e delle promesse; è inseparabile dalla storia di Dio con il suo popolo e ne rivela il senso profondo. Analogamente, il percorso
sinodale è radicato nella tradizione della Chiesa e al tempo stesso aperto verso la novità. La tradizione è fonte di ispirazione per cercare strade nuove, evitando le opposte tentazioni dell’immobilismo e della sperimentazione improvvisata.
Il cammino ascetico quaresimale e, similmente, quello sinodale, hanno entrambi come meta una trasfigurazione, personale ed ecclesiale. Una trasformazione che, in ambedue i casi, trova il suo
modello in quella di Gesù e si opera per la grazia del suo mistero pasquale. Affinché tale trasfigurazione si possa realizzare in noi quest’anno, vorrei proporre due “sentieri” da seguire per
salire insieme a Gesù e giungere con Lui alla meta. Il primo fa riferimento all’imperativo che Dio Padre rivolge ai discepoli sul Tabor, mentre contemplano Gesù trasfigurato. La voce dalla nube dice: «Ascoltatelo» (Mt 17,5). Dunque la prima indicazione è molto chiara: ascoltare Gesù. La Quaresima è tempo di grazia nella misura in cui ci mettiamo in ascolto di Lui che ci parla. E come ci parla? Anzitutto nella Parola di Dio, che la Chiesa ci offre nella Liturgia: non lasciamola cadere nel vuoto; se non possiamo partecipare sempre alla Messa, leggiamo le Letture bibliche giorno per giorno, anche con l’aiuto di internet. Oltre che nelle Scritture, il Signore ci parla nei fratelli, soprattutto nei volti e nelle storie di coloro che hanno bisogno di aiuto. Ma vorrei aggiungere anche un altro aspetto, molto importante nel processo sinodale: l’ascolto di Cristo passa anche attraverso l’ascolto dei fratelli e delle sorelle nella Chiesa, quell’ascolto reciproco che in alcune fasi è l’obiettivo principale ma che comunque rimane sempre indispensabile nel metodo e nello stile di una Chiesa sinodale.
All’udire la voce del Padre, «i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: “Alzatevi e non temete”. Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo» (Mt 17,6-8). Ecco la seconda indicazione per questa Quaresima: non rifugiarsi in una religiosità fatta di eventi straordinari, di esperienze suggestive, per paura di affrontare la realtà con le sue fatiche quotidiane, le sue durezze e le sue contraddizioni. La luce che Gesù mostra ai discepoli è un anticipo della gloria pasquale, e verso quella bisogna andare, seguendo “Lui solo”. La Quaresima è orientata alla Pasqua: il “ritiro” non è fine a sé stesso, ma ci prepara a vivere con fede, speranza e amore la passione e la croce, per giungere alla risurrezione.
Anche il percorso sinodale non deve illuderci di essere arrivati quando Dio ci dona la grazia di alcune esperienze forti di comunione. Anche lì il Signore ci ripete: «Alzatevi e non temete».
Scendiamo nella pianura, e la grazia sperimentata ci sostenga nell’essere artigiani di sinodalità nella vita ordinaria delle nostre comunità. Cari fratelli e sorelle, lo Spirito Santo ci animi in questa Quaresima nell’ascesa con Gesù, per fare esperienza del suo splendore divino e così, rafforzati nella fede, proseguire insieme il cammino con Lui, gloria del suo popolo e luce delle genti.

Roma, San Giovanni in Laterano, 25 gennaio, festa della Conversione di San Paolo

FRANCESCO

La scelta conviviale. Cittadinanza elegante e felicità sociale

Penso che oggi “essere umani” e “fare comunità” siano le scommesse più importanti che ciascuno è chiamato a cogliere nel corso della propria vita e che rendono ciascuno attore protagonista contemporaneo e conspaziale con tutti coloro che si muovono sul palcoscenico del mondo.

 

Inizia così il saggio di Gionatan De Marco, con un obiettivo preciso e molto chiaro: il raggiungimento di una cittadinanza elegante e di una felicità conviviale.

Per ottenere questi due obiettivi la prima cosa da fare è riappropriarsi del tempo, perché il tempo è un diritto che deve essere concesso a tutti. Deve essere considerato come un patrimonio personale e collettivo e di conseguenza opportunità di futuro. In una società che richiede di essere il più performativa possibile e che cerca di ridurre il nostro tempo privato, questo libro ha un punto di vista contrario e contrastante. L’Autore vede il tempo come un bene comune e quindi garanzia di uno spazio personale in cui potersi esprimere al meglio.

L’Autore in modo chiaro ed esaustivo spiega punto per punto quali sono i valori su cui devono basarsi la cittadinanza generativa e la felicità sociale, e lo fa volgendo lo sguardo al passato, scomodando quella civiltà che sta alla base dell’attuale società moderna: l’antica e gloriosa Roma.

Il lettore avrà così il privilegio di ripercorre tutte le virtù fondanti dell’antica Roma: dalla fides alla pietas, dalla virtus all’humanitas, declinati anche e soprattutto in chiave moderna.

I capitoli del libro si susseguono uno dietro l’altro in modo progressivo, prendendo per mano il lettore e cercando di spiegare quali sono le tappe fondamentali per poter avere un orizzonte sociale diverso, migliore del presente.

Dalla teoria si passa, pagina dopo pagina, alla pratica con l’individuazione degli attori che potranno essere in grado di attuare ciò che nella prima parte del libro è stato solo teorizzato.

La figura del conviviality designer – colui che ritaglia del tempo nei tempi di una comunità, per costruire e consolidare relazioni, per permettere alle persone di conoscersi, per capirsi, fare esperienze insieme, mettersi alla prova, affrontare e risolvere problemi e conflitti, in processo comunicativo autentico, fatto di fiducia e reciprocità – occupa tutta la seconda parte del libro così da rendere completo e chiaro il pensiero presentato inizialmente.

La scelta conviviale di Gionatan De Marco è un saggio che aiuta a comprendere meglio l’attuale complessità moderna. Lo fa in modo chiaro e accessibile, dando degli spunti di approfondimento che possono essere affrontati in gruppo ma anche singolarmente.

Affrontare la complessità sociale odierna è un passaggio fondamentale per riuscire a scorgere un orizzonte nuovo e necessario per il futuro delle nuove generazioni.

 

La scelta conviviale. Cittadinanza elegante e felicità sociale

Gionatan De Marco

In libreria il 03.02.2023

 

 DATI LIBRO

AUTORE: Gionatan De Marco

TITOLO: La scelta conviviale. Cittadinanza elegante e felicità sociale

COLLANA: Attraverso

PAGINE: 160

PREZZO: 13,00 €

ISBN: 9788832713725

 

Editrice Ave -Faa

Marketing – Promozione

Via Aurelia 481 – 00165 Roma

Tel. 06-66132341

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Essere missionarie oggi

di LUCIA CAPUZZI giornalista di «Avvenire»

Donne che vanno oltre. Così, parafrasando Madeleine Delbrêl, possiamo definire le missionarie. Quelle che partono verso orizzonti lontani e luoghi remoti in cui vivono e, spesso, muoiono da martiri, nel senso di testimoni. E quelle che, «senza battello», oltrepassano frontiere culturali, sociali e spirituali per raggiungere l’altro. Come ci ricorda papa Francesco nel messaggio per la scorsa Giornata missionaria mondiale: «La Chiesa di Cristo era, è e sarà sempre “in uscita” verso i nuovi orizzonti geografici, sociali, esistenziali, verso i luoghi e le situazioni umane “di confine”, per rendere testimonianza di Cristo e del suo amore a tutti gli uomini e le donne di ogni popolo, cultura, stato sociale. In questo senso, la missione sarà sempre anche missio ad gentes, come ci ha insegnato il Concilio Vaticano II, perché la Chiesa dovrà sempre spingersi oltre, oltre i propri confini, per testimoniare a tutti l’amore di Cristo».

Non è possibile tracciare un identikit rigido delle missionarie poiché la parola “missione” ingloba un contenuto plurale, multidimensionale, policromo. Fino alla seconda metà del Novecento, il termine veniva impiegato, in base all’accezione conferitale dai gesuiti nel XVI secolo, per indicare delle attività speciali della Chiesa. Nel boom missionario dell’Ottocento, si riferisce alla figura un po’ romantica del presbitero inviato ufficialmente dalla gerarchia ecclesiastica in un Paese non cristiano con il mandato di convertire la popolazione e edificare una comunità ecclesiale.
Una formula che, paradossalmente, esclude le donne. Eppure, proprio questo periodo, vede il fiorire di straordinarie figure: le grandi suore missionarie, da Francesca Saverio Cabrini, apostola dei migranti, a Laura Montoya, pioniera della difesa degli indigeni amazzonici. Donne che sono andate oltre in molti sensi, inclusi i pregiudizi nei propri confronti.
È il primo gennaio 1872 quando tre ragazze, Maria Caspio, Luigia Zago e Isabella Zadrich, danno vita al nucleo originario di quello che poi sarà il primo Istituto femminile esclusivamente missionario nato in Italia: le Pie madri della Nigrizia, ora comboniane. Il fondatore, Daniele Comboni, è consapevole dell’audacia della scelta e delle perplessità che rischiava di suscitare. A farlo perseverare è la convinzione profonda della necessità delle donne, testimoni della compassione di Dio per i poveri. Per questo, paragona le “sue” suore a «un sacerdote e più di un prete». Esse sono – scrive – «una vera immagine delle antiche donne del Vangelo, che, con la stessa facilità con la quale insegnano l’abc agli orfani abbandonati in Europa, affrontano mesi di lunghi viaggi a 60 gradi, attraversano deserti su cammelli, e cavalcano cavalli, dormono all’aperto, sotto un albero o in un angolo di una barca araba, aiutano i malati e chiedono giustizia dai Pascià per gl’infelici e gli oppressi. Loro non temono il ruggito del leone, affrontano tutti i lavori, viaggi disastrosi e la morte, per conquistare le anime per la Chiesa». Altri istituti verranno costituiti negli anni immediatamente successivi: le suore saveriane, le suore della Consolata, le missionarie dell’Immacolata.

A mandare in crisi il concetto “classico” di missione e di missionario o missionaria è la sua associazione all’espansione coloniale dell’Occidente. Una certa narrativa cerca di integrare la trasmissione della fede nell’opera “civilizzatrice dell’uomo bianco” nei confronti di popoli “primitivi o selvaggi”. È il concilio Vaticano II a fare piazza pulita di ogni ambiguità e a dare uno spessore inedito all’impulso missionario. La missione non è uno dei tanti uffici ecclesiali bensì dimensione costitutiva della Chiesa che partecipa alla missio Dei. In tale ottica, si configura come un dinamismo il cui fine è raggiungere il mondo intero per trasformarlo in Popolo di Dio. Quest’ultimo è missionario poiché Dio lo è.

Nell’ecclesiologia odierna, la Chiesa è considerata essenzialmente missionaria: esiste mentre è inviata e mentre si costituisce
in vista della sua missione. Una svolta ben descritta nell’articolo della storica Raffaella Perin [a pag. 12]. Evangelii gaudium, ispirato dal documento di Aparecida e dagli stimoli del Sinodo sulla Nuova evangelizzazione, riprende con forza questa prospettiva.

Nella “Chiesa in uscita” di cui parla papa Francesco, stile, attività, orari, linguaggio e struttura sono trasformati dalla scelta
missionaria, che ne costituisce il perno. La riforma della Curia romana, contenuta nella Costituzione apostolica Praedicate evangelium, ne è l’incarnazione concreta, come illustrato dalla canonista Donata Horak [a pag. 18].
Essere missionari è, dunque, un modo di essere comunità ecclesiale. Non è sociologia. La missione non è una Ong, come ripete il Pontefice. Non è, cioè, un’attività istituzionalizzata, una funzione da svolgere, un impegno da portare a termine, seppure a fini benefici e caritativi. È la natura della Chiesa. Il motore del suo agire. Riguarda il cuore del Vangelo: inquietudine per chi è escluso e passione per il Regno. Come afferma Agostino Rigon, direttore generale del Festival della missione: «Se Dio si preoccupa del mondo interno, anche il campo della missio Dei è il mondo intero: ogni essere umano e tutti gli aspetti della sua esistenza».
È la fraternità a spingere l’uomo o la donna a farsi prossimo dei caduti agli angoli delle vie, ovunque essi si trovino: indigeni espulsi dalle loro terre, vittime di tratta, bimbi schiavi, rom intrappolati nelle periferie delle città, migranti condannati a un invisibile pellegrinare. Ad aiutarli a rialzarsi e ad accettare di essere rialzato da loro.

Perché gli scartati sono maestri, di vita e di fede, come mette in luce un inedito progetto del dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale che ha realizzato una sorta di “cattedra dei poveri di teologia”. Un gruppo di esperti ha rivolto le grandi domande della teologia a un gruppo di marginali fra i marginali. Le risposte, un distillato di Vangelo.
Da ciò, però, sorge un interrogativo cruciale. Se tutti i battezzati e le battezzate sono necessariamente missionari, ha ancora senso la scelta di quanti – laici e religiosi – lasciano il proprio Paese e si recano in luoghi lontani per annunciare il Vangelo con la vita e con le opere? «Ovviamente sono convinta di sì», afferma Marta Pettenazzo, religiosa delle missionarie di Nostra Signora degli Apostoli e prima donna a guidare tra il 2014 e il 2019 la Conferenza degli istituti missionari italiani (CIMI). «L’impegno missionario riguarda ciascuno e ciascuna. Alcuni e alcune, tuttavia, hanno la chiamata dedicare tutta la loro esistenza e talenti alla testimonianza del Vangelo, dentro e fuori dal proprio Paese». Una missione, dunque, intesa a trecentosessanta gradi e rivolta alla fragilità umana ovunque essa si trovi.

Se l’orizzonte geografico non è più dominante, esso, tuttavia, non è scomparso. «La cosiddetta missio ad extra, cioè vissuta in altre nazioni rispetto alla propria, è una delle dimensioni della missione e continua ad essere la priorità per alcuni Istituti o congregazioni. Al cuore di
questa scelta non si colloca tanto lo spostamento fisico quanto l’attitudine esistenziale che implica la disponibilità a partire. Significa lasciare il tuo noto per andare verso qualcos’altro. E quando lo fai, ti metti necessariamente nell’attitudine dell’imparare. La missione mi ha insegnato che doni solo nel modo in cui in cui impari», sottolinea suor Marta. Di nuovo, spunta la dimensione “dell’andare oltre” in cui il
contributo delle donne diventa fondamentale. Lo è sempre stato: la prima missionaria della storia della cristianità è Maddalena, come ci racconta la biblista Marinella Perroni [a pag. 16]. La missione contemporanea, al cui cuore si collocano il prendersi cura e l’accompagnare, ha però un volto molto femminile, come dimostra il caleidoscopio di storie raccolte in questo numero. Da quella di Lisa Clark, missionaria della nonviolenza nella società civile e all’interno delle istituzioni, alla vicenda di suor Zvonka Mikec, dell’Istituto Figlie di Maria Ausiliatrice, una vita missionaria in Africa, incontrata a Roma dalla scrittrice Tea Ranno, ex allieva delle salesiane. Il recupero del femminile, associato a lungo a irrazionalità e incapacità di gestione, come sostiene il teologo protestante David Bosch, è fondamentale per liberare il concetto di missione da ogni pretesa di dominio, da ogni ansia performativa, da ogni paradigma efficientista.

Solo il missionario che al vigore abbina la tenerezza sa creare spazi di autentica gratuità. Certo, tale atteggiamento mentale e spirituale richiede un percorso di formazione integrale che resta una delle sfide aperte. Istituti e congregazioni, per le religiose e o le laiche che vi appartengono, sempre più abbinano alla teologia di base studi avanzati di missionologia, oltre a un curriculum specifico per la mansione che andranno a svolgere nelle diverse opere, dalla sanità all’istruzione. «Certo, andrebbe potenziata maggiormente la parte sull’interculturalità», dice suor Marta. Per quante, invece, scelgono di partire con associazioni o attraverso la diocesi, oltre alla formazione interna, esistono dei corsi specifici, tra cui quello del Centro unitario per la formazione missionaria (CUM) di Verona.
La nota dolente, specie in tempi di recessione mondiale, resta il sostentamento. Solidarietà e opere sono le prime fonti anche se perennemente insufficienti. Spesso il contributo dei benefattori copre la realizzazione di progetti specifici. Più difficile, però, trovare fondi per il mantenimento, indispensabile affinché le missionarie possano dedicarsi a tempo pieno agli ultimi. Religiose e laiche spesso optano
per l’inserimento nelle diocesi dei Paesi di accoglienza.

Rimane, tuttavia, da risolvere la questione di rendere il contributo riconosciuto per il loro impegno nella pastorale, pienamente adeguato rispetto al lavoro svolto e idoneo a sostenersi. Una modalità, ancora pionieristica, che si va affermando è quella di comunità missionarie intercongregazionali e, a volte, miste, che consentano di sperimentare appieno relazioni di reciprocità tra i generi.
Insomma, la missione del XXI secolo non può fare a meno delle donne. «La loro creatività è indispensabile per affrontare le situazioni limite nelle quali sei immersa in missione. Per me missionaria è colei che contribuisce a partorire la fede sia in chi non la conosce sia in quanti hanno perso il senso». Una “levatrice del Va n g e l o ” che non ha l’ansia di battezzare o, peggio, di conquistare proseliti bensì cerca di aprire finestre per far entrare il soffio dello Spirito nelle donne e negli uomini di questo tempo.

 

DONNE CHIESA MOND O
MENSILE DELL’OSSERVATORE ROMANO NUMERO 119 FEBBRAIO 2023 CITTÀ DEL VAT I C A N O